martedì 29 gennaio 2013

Alberto Burri, opera al nero. "Cellotex" 1972-1992



Alberto Burri, opera al nero. "Cellotex" 1972-1992
a cura di Bruno Corà
15 DICEMBRE 2012 - 31 MARZO 2013

Dal 15 dicembre 2012 è in programma, alla Galleria dello Scudo a Verona, una mostra incentrata su un aspetto particolare dell’impegno artistico di Alberto Burri: la declinazione del nero  nei Cellotex.
Il titolo Opera al nero è volutamente ripreso dal capolavoro letterario di Marguerite Yourcenar, in cui esplicito è il riferimento agli antichi trattati alchemici, in cui si illustra il procedimento di separazione e dissoluzione della materia nelle sue varie componenti formative. Il concetto di "nigredo" o “nerezza”, non disgiunta da rimandi alla Melancholia I di Dürer, allude alla scomposizione di un corpo attraverso l’azione disgregante del fuoco, e al successivo processo di riaggregazione. “Opera al nero”, quindi, tanto più in Burri, diviene simbolo della creazione, luogo segreto del fare, dove alberga il “mistero oltre l’apparenza” come disse Guido Ballo nel 1988 riferendosi al ciclo Annottarsi 2 esposto alla XLIII Biennale di Venezia, ora in parte rappresentato in questa mostra veronese.
Il cellotex, che l’artista in precedenza ha impiegato come supporto per altre composizioni, diviene ora il protagonista assoluto, ovvero l’’“opera”. In un processo di graduale denudamento del mezzo espressivo, Burri giunge all’elemento di base, al materiale che da sempre è stato concepito al servizio di altro. Non diversamente da quanto è avvenuto  con le sue sperimentazioni più iconiche, come i Sacchi, i Legni  o le Plastiche combuste, la materia continua ad essere al centro del lavoro dell’artista, in grado di stabilire essa stessa, al proprio interno, regole ed equilibri inediti.
Pur nel suo aspetto apparentemente disadorno, ma in realtà essenziale, ecco rivelarsi in Burri l’uso insistito del monocromo: più che un nero è il “suo” nero, mai identico a se stesso; cambia forma, dimensione, crea uno spazio all’interno del quadro. Anche quando appare inalterabile nella sua fissità, l’immagine è tuttavia suscettibile di varianti, imperniate su differenze minime, in modo tale da porsi, di volta in volta, come un evento unico e irripetibile. Con i Cellotex Burri giunge a una suprema misura “classica”, riscoprendo un rigore strutturale mai pervenuto prima a esiti di così elevata raffinatezza.
Attraverso una selezione di 30 opere realizzate nell’arco di un ventennio, fra il 1972 e il 1992, suddivise in sei sezioni, la mostra offre uno sguardo sugli esiti espressivi che connotano il linguaggio dell’artista dopo gli anni ’50 e ’60, quando ormai si è imposto all’attenzione della critica internazionale.
Apre la rassegna Nero del 1972 circa, ancora scarno nella strutturazione dello spazio, con la linea dell’orizzonte alta, ondulata, a introdurre un elemento di levità entro una struttura che non si irrigidisce mai in forme rigorosamente geometriche. Insieme ad altri tre lavori, databili tra il 1974 e il 1982, scandisce la prima sezione dal titolo significativo La notte della pittura, in cui si manifesta il tema di fondo della mostra: “nessun’altra opera della modernità è così profondamente coniugata al ‘nero’ quanto quella di Burri”, come afferma Bruno Corà in catalogo. Seguono quattro dei sedici elementi che formano la serie Monotex del 1986, esposta per la prima volta l’anno dopo nella grande mostra all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Di formato quadrato e imperniati sul medesimo modulo compositivo, documentano la metamorfosi dall’ocra su ocra del cellotex naturale al nero su nero ottenuto con una sapiente ma al tempo stesso singolare stesura dell’acrilico. 
Il nero torna quindi a dominare in due grandi Cellotex della serie Annottarsi 2 del 1987. I sedici quadri dell’intero ciclo, dopo l’esordio nella sala personale alla XLIII Biennale di Venezia nel 1988, vengono trasferiti, tra novembre e dicembre 1988, alla Murray and Isabella Rayburn Foundation di New York, imponendosi all’attenzione del pubblico americano proprio per la ripresa del nero come cifra peculiare del linguaggio dell’artista. Come in molti altri casi, la dimensione tende ora al monumentale, a dimostrare come Burri voglia uscire dai confini pittorici per interagire prepotentemente con lo spazio, stabilendo un ordine più o meno cadenzato nell’alternanza dei soggetti e dei diversi formati.
La serie Assegai  è qui rappresentata da Nero A n. 1 e Nero A n. 4 del 1987 circa, presentati nella personale alla Galleria Eva Menzio a Torino tra il 1988 e il 1989. Pervenuta alla sintesi estrema, la pittura azzera la varietà e la cura del dettaglio, ma diviene essa stessa assolutezza formale e cromatica. Assegai è un termine che rimanda all’Africa dove, ufficiale medico, Burri si trova negli anni della guerra: “in assenza di specifiche informazioni a cui coniugarlo nell’intenzione poetica assegnatagli da Burri”, scrive Bruno Corà, “reca quale unico riferimento quello dell’arma diffusa nel paleolitico, dal manico corto e la lama in pietra, osso o corno, simile a una lancia ma di dimensioni ridotte.”
Si giunge alla quinta sezione, in cui sono riuniti quadri realizzati da Burri fra il 1987 e il 1992, durante i suoi soggiorni nella casa-studio a Los Angeles. Le loro partiture formali appaiono analoghe a quelle dei primi lavori eseguiti fra il 1948 e il 1950, ricorrenti anche in opere successive, dimostrando in tal modo come i Cellotex neri dell’ultimo periodo visualizzino andamenti spaziali costanti nell’intero arco della sua ricerca.
Chiude il percorso l’intera serie dei Mixoblack del 1990, dieci lavori ottenuti mediante un particolare processo calcografico, la mixografia, che permette la realizzazione di carte a rilievo grazie a matrici in polvere di sabbia e marmo su cellotex.
Per l’occasione viene pubblicato un ricco catalogo, edito da Skira, introdotto da una presentazione di Maurizio Calvesi, e corredato da un saggio di Bruno Corà, curatore della mostra, autore inoltre dell’analisi critica delle opere esposte. Seguono l’indagine di Rita Olivieri sulla fortuna critica dei Cellotex, un testo di Vittorio Rubiu, una dettagliata biografia dell’artista a cura di Aldo Iori, la ricostruzione dei rapporti di Burri con la Biennale di Venezia elaborata da Laura Lorenzoni, e un’intervista di Manuela De Leonardis ad Aurelio Amendola, fotografo a cui Burri è stato legato da una lunga amicizia. La sezione a cura di Elena Dalla Costa ricostruisce il repertorio delle mostre di Burri tra il 1977 e il 2007 in cui i Cellotex sono stati presenza esclusiva e prevalente al fine di offrire uno strumento di documentazione e un dettagliato prospetto delle tappe in cui si articola la concezione e presentazione al pubblico dei singoli cicli.

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Amalia di Lanno