Alberto Burri, opera al nero. "Cellotex" 1972-1992
a cura di Bruno Corà
15 DICEMBRE 2012 - 31 MARZO 2013
Dal 15
dicembre 2012 è in programma, alla Galleria dello Scudo a Verona, una mostra
incentrata su un aspetto particolare dell’impegno artistico di Alberto Burri:
la declinazione del nero nei Cellotex.
Il
titolo Opera al nero è volutamente
ripreso dal capolavoro letterario di Marguerite Yourcenar, in cui esplicito è
il riferimento agli antichi trattati alchemici, in cui si illustra il
procedimento di separazione e dissoluzione della materia nelle sue varie
componenti formative. Il concetto di "nigredo" o
“nerezza”, non disgiunta da rimandi alla Melancholia
I di Dürer, allude alla scomposizione di un corpo attraverso l’azione
disgregante del fuoco, e al successivo processo di riaggregazione. “Opera al
nero”, quindi, tanto più in Burri, diviene simbolo della creazione, luogo
segreto del fare, dove alberga il “mistero oltre l’apparenza” come disse Guido
Ballo nel 1988 riferendosi al ciclo Annottarsi
2 esposto alla XLIII Biennale di Venezia, ora in parte rappresentato in
questa mostra veronese.
Il cellotex, che l’artista in
precedenza ha impiegato come supporto per altre composizioni, diviene ora il
protagonista assoluto, ovvero l’’“opera”. In un processo di graduale
denudamento del mezzo espressivo, Burri
giunge all’elemento di base, al materiale che da sempre è stato concepito al
servizio di altro. Non diversamente da quanto è avvenuto con le sue sperimentazioni più iconiche, come i Sacchi, i Legni o le Plastiche combuste, la materia continua ad essere al centro del lavoro
dell’artista, in grado di stabilire essa stessa, al proprio interno, regole ed equilibri
inediti.
Pur nel suo aspetto apparentemente disadorno, ma in
realtà essenziale, ecco rivelarsi in Burri l’uso insistito del monocromo: più
che un nero è il “suo” nero, mai identico a se stesso; cambia forma,
dimensione, crea uno spazio all’interno del quadro. Anche quando appare
inalterabile nella sua fissità, l’immagine è tuttavia suscettibile di varianti,
imperniate su differenze minime, in modo tale da porsi, di volta in volta, come
un evento unico e irripetibile. Con i Cellotex Burri
giunge a una suprema misura “classica”, riscoprendo
un rigore strutturale mai pervenuto prima a esiti di così elevata
raffinatezza.
Attraverso una selezione di 30 opere realizzate
nell’arco di un ventennio, fra il 1972 e il 1992, suddivise in sei sezioni, la
mostra offre uno sguardo sugli esiti espressivi che connotano il linguaggio
dell’artista dopo gli anni ’50 e ’60, quando ormai si è imposto all’attenzione
della critica internazionale.
Apre la rassegna Nero del 1972
circa, ancora scarno nella strutturazione dello spazio, con la linea
dell’orizzonte alta, ondulata, a introdurre un elemento di levità entro una
struttura che non si irrigidisce mai in forme rigorosamente geometriche. Insieme
ad altri tre lavori, databili tra il 1974 e il 1982, scandisce la prima sezione
dal titolo significativo La notte della
pittura, in cui si manifesta il tema di fondo della mostra: “nessun’altra
opera della modernità è così profondamente coniugata al ‘nero’ quanto quella di
Burri”, come afferma Bruno Corà in catalogo. Seguono quattro dei sedici elementi
che formano la serie Monotex del 1986,
esposta per la prima volta l’anno dopo nella grande mostra all’Università degli
Studi di Roma “La Sapienza”. Di formato quadrato e imperniati sul medesimo
modulo compositivo, documentano la metamorfosi dall’ocra su ocra del cellotex
naturale al nero su nero ottenuto con una sapiente ma al tempo stesso singolare
stesura dell’acrilico.
Il nero
torna quindi a dominare in due grandi Cellotex
della serie Annottarsi 2 del 1987. I
sedici quadri dell’intero ciclo, dopo l’esordio nella sala personale alla XLIII
Biennale di Venezia nel 1988, vengono trasferiti, tra novembre e dicembre 1988,
alla Murray and Isabella Rayburn Foundation di New York, imponendosi
all’attenzione del pubblico americano proprio per la ripresa del nero come
cifra peculiare del linguaggio dell’artista. Come in molti altri casi, la dimensione
tende ora al monumentale, a dimostrare come Burri voglia uscire dai confini
pittorici per interagire prepotentemente con lo spazio, stabilendo un ordine
più o meno cadenzato nell’alternanza dei soggetti e dei diversi formati.
La serie Assegai
è qui rappresentata da Nero A n. 1 e Nero A n. 4 del 1987 circa, presentati nella personale alla
Galleria Eva Menzio a Torino tra il 1988 e il 1989. Pervenuta alla sintesi
estrema, la pittura azzera la varietà e la cura del dettaglio, ma diviene essa
stessa assolutezza formale e cromatica. Assegai
è un termine che rimanda all’Africa dove, ufficiale medico, Burri si trova
negli anni della guerra: “in assenza di specifiche informazioni a cui
coniugarlo nell’intenzione poetica assegnatagli da Burri”, scrive Bruno Corà,
“reca quale unico riferimento quello dell’arma diffusa nel paleolitico, dal
manico corto e la lama in pietra, osso o corno, simile a una lancia ma di
dimensioni ridotte.”
Si
giunge alla quinta sezione, in cui sono riuniti quadri realizzati da Burri fra il 1987 e il 1992, durante i suoi soggiorni
nella casa-studio a Los Angeles. Le loro partiture formali appaiono analoghe a
quelle dei primi lavori eseguiti fra il 1948 e il 1950, ricorrenti anche in opere
successive, dimostrando in tal modo come i Cellotex
neri dell’ultimo periodo visualizzino andamenti spaziali costanti nell’intero
arco della sua ricerca.
Chiude
il percorso l’intera serie dei Mixoblack
del 1990, dieci lavori ottenuti mediante un particolare processo calcografico,
la mixografia, che permette la realizzazione di carte a rilievo grazie a matrici
in polvere di sabbia e marmo su
cellotex.
Per l’occasione viene
pubblicato un ricco catalogo, edito da Skira, introdotto da una presentazione di
Maurizio Calvesi, e corredato da un saggio di Bruno Corà, curatore della
mostra, autore inoltre dell’analisi critica delle opere esposte. Seguono l’indagine
di Rita Olivieri sulla fortuna critica dei Cellotex,
un testo di Vittorio Rubiu, una dettagliata biografia dell’artista a cura di
Aldo Iori, la ricostruzione dei rapporti di Burri con la Biennale di Venezia elaborata
da Laura Lorenzoni, e un’intervista di Manuela De Leonardis ad Aurelio Amendola,
fotografo a cui Burri è stato legato da una lunga amicizia. La sezione a cura
di Elena Dalla Costa ricostruisce il repertorio delle mostre di Burri tra il
1977 e il 2007 in cui i Cellotex sono
stati presenza esclusiva e prevalente al fine di offrire uno strumento di
documentazione e un dettagliato prospetto delle tappe in cui si articola la
concezione e presentazione al pubblico dei singoli cicli.
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Amalia di Lanno