giovedì 31 gennaio 2013
Domenica 10 feb > URBINO RESORT > CONFERENZA La scoperta del paesaggio della Gioconda nei territori dell’antico Ducato di Urbino
Rosetta Borchia e Olivia Nesci, autrici del volume Codice P. atlante illustrato del reale paesaggio della Gioconda, edito da Electa, presentano la conferenza di approfondimento “La scoperta del paesaggio della Gioconda nei territori dell’antico Ducato di Urbino”.
L’incontro si terrà proprio tra le colline del Montefeltro, presso URBINO Resort (sala conferenze) nella Tenuta Ss. Giacomo e Filippo, domenica 10 febbraio 2013 alle ore 17 (segue aperitivo) ed illustrerà i luoghi reali dell’antico Ducato di Urbino, ripresi da Leonardo da Vinci nel suo celebre capolavoro.
La conferenza si inserisce nell’ambito degli eventi sul tema CONSERVA IL PAESAGGIO, promossi da URBINO Resort al fine di contribuire alla valorizzazione del territorio nel rispetto dell’ambiente e delle sue radici storiche. La Tenuta Ss. Giacomo e Filippo nel bacino idrografico del fiume Foglia è infatti sito di Importanza Comunitaria (SIC) della Provincia di Pesaro e Urbino, sottoposto a costante salvaguardia, conservazione e recupero, ed è caratterizzato da colline marnoso-argillose, boschi, pianure fluviali e maestose querce secolari. Un area di 360 ettari, di proprietà della famiglia Bruscoli, che è la consacrazione di un culto agricolo reiterato da generazioni e grazie al quale la tradizione rinascimentale delle colture si tramanda e si rinnova nella terra vineata, nel viridarium e nelle ricche piantagioni.
Una parte di queste terre apparteneva per altro alla nonna paterna di Raffaello Sanzio, Isabecta De Lominis, madre di Giovanni Santi, ed è certa la frequentazione di questi luoghi da parte del Duca di Montefeltro, che qui aveva il suo casino di Caccia.
Le due “cacciatrici di paesaggi” Rosetta Borchia, pittrice-fotografa di paesaggi e Olivia Nesci, geomorfologa dell’Università di Urbino, da tempo indagano sui luoghi che ispirarono alcuni pittori rinascimentali, riconoscibili nel territorio del Montefeltro. Mentre gran parte degli storici dell’arte riteneva che si trattasse di vedute immaginarie, le loro ricerche dedicate prima a Piero della Francesca e poi a Leonardo da Vinci, dimostrano di poter collocare geograficamente i paesaggi dipinti dai maestri. Le studiose hanno iniziato anche l’indagine su Raffaello e ne daranno alcune anticipazioni in occasione della conferenza, non a caso ad URBINO Resort, frutto della ristrutturazione di un antico borgo rurale su territori che certamente dovevano essere familiari al pittore nostrano.
La conferenza sarà l’occasione per raccontare le scoperte, documentate nell’atlante Codice P, riguardanti i particolari dello sfondo della Gioconda messi a confronto con le foto del paesaggio reale del Ducato di Urbino. Attraverso una metodologia scientifica, le studiose mostrano come Leonardo abbia utilizzato il metodo della compressione sopra un’estesa veduta aerea del Montefeltro per poterla contenere tutta in una tela ridotta.
Grazie alle moderne tecnologie, tale metodo d’indagine, impiegato per la prima volta per l’analisi dei “luoghi d’arte”, rappresenta un settore innovativo nelle ricerche di Geomorfologia Culturale e Archeologia del paesaggio e pone le basi scientifiche per indagini future non solo limitate ai territori del Montefeltro.
URBINO RESORT Ss. Giacomo e Filippo
Via San Giacomo in Foglia 7
Loc. Pantiere - 61029 Urbino
T +39 0722 580305 - F +39 0722 580798
www. urbinoresort.it - info@urbinoresort. it
UFFICIO STAMPA
Alessandra Zanchi
M +39 328 2128748
press.zanchi@gmail.com
segnalato a :
Massimo Nardi
Elisabetta Di Maggio_I change but I cannot die
[scroll to English]
Laura Bulian Gallery è lieta di annuciare la mostra personale 
dell’artista italiana Elisabetta Di Maggio I change but I cannot die, 
che si inaugura mercoledì 6 Febbraio 2013 .
La scelta del 
titolo della mostra,  I change but I cannot die, proveniente dalla 
lirica di Percy Bysshe Shelley, "The Cloud", ha una intuitiva assonanza 
con l'idea dell'arte e in particolare con l'opera dell’artista. 
 Il cambiamento nelle sue opere proviene da un doppio processo, i 
materiali che usa mutano proprietà, mentre l'immagine cambia in base 
alla luce, al luogo, all'orientamento.
 Nelle opere di 
Elisabetta Di Maggio la carta velina diventa una imprevista forza 
portante, le foglie assecondano il loro rinsecchimento,  ma non si 
sbriciolano, i saponi assumono una parentela con la cera usata nelle 
fusioni, la porcellana mantiene il traforo della carta che sparisce 
nella combustione del caolino.  
 In questa mostra ci sono due grandi
 traiettorie da un lato la trasposizione  della figura  nella 
composizione chirurgica dei suoi intagli; dall'altro l'interpretazione 
di figure che provengono dallo studio scientifico dell'ambiente 
naturale, come  il volo delle farfalle. 
 In “Tappezzeria, 
2012”, metri e metri di carta velina intagliati, seguendo un pattern che
 ricorda i ricami  e la fluorescenza di un giardino selvatico, avvolgono
 a tutto tondo la parete-pilastro che unisce la prima e la seconda 
stanza della galleria. Ricordano il "fragile traliccio" (woof)  delle 
nuvole in cielo, di cui parla Shelley, ma nelle mani di Elisabetta Di 
Maggio diventa un vortice che si addensa tra le mura degli edifici, che 
tanto spesso racchiudono cambiamenti e immutabilità. Questa specie di 
bambagia, fa sparire il muro, al suo posto, strati di ricami uno 
sull'altro diventano una fantastica struttura portante, che trattiene la
 trama (traliccio) del magma quotidiano, delle sue ripetizioni e delle 
sue imprevedibili sorprese. 
 La relazione tra natura e fibra 
interna, reticolare, emerge in “Victoria, 2012”, tre grandi foglie di  
ninfee della famiglia Victoria Regia. Tra le vene dorsali del loro corpo
 ( la loro materia è quasi una carne vegetale) Di Maggio interviene col 
bisturi, creando esili, ma decisivi sfondamenti d'aria. Una specie di 
alleanza di reciproca resistenza per dare forma alla fragilità come 
fonte di trasformazione e non di debolezza. Ancora un traliccio.
 Recenti studi sui voli delle farfalle hanno  chiarito lo speciale 
movimento di questi insetti impollinatori. Quell' andamento svagato che 
 attribuiva loro, e per metafora agli umani,  un'estrosa ed 
incalcolabile traiettoria tra un punto e l'altro, è in realtà legato 
alla struttura delle ali che trovano la loro estensione attraverso 
movimenti che non sono compatibili con una direzione lineare tra un 
punto e l'altro. La simbologia dell'aleatorietà legata a quest'insetto 
multiforme e multicolore, potrebbe essere in realtà  virata nella 
metafora del procedere dell'esperienza sentimentale e intellettuale, che
 raramente può sottovalutare le divergenze di rotta.
 In “Traiettoria
 di volo di farfalla #05, 2012”, l’artista traduce il disegno di questo 
volo pluridirezionale, in una specie di bosco di spilli, che spunta da 
un pannello bianco, puro, astratto.  Pannello e spilli sono gli stessi 
che usano gli entomologi nella loro ricerca. L'andamento sinuoso ci fa 
venire in mente una selva, mentre il brillio degli spilli evidenzia il 
colore oro delle loro capocchie. C'è un che di fiabesco, ma anche di 
enigmatico. Avvince la bellezza di questo tragitto.
 Le farfalle  
sono un ponte tra le vite, impollinano, predispongono le nascite. C'è 
dunque qualcosa di molto forte nella somiglianza con gli umani, eppure 
sono insetti, eppure hanno un corpo diverso, eppure sono state spesso 
usate come sinonimo dell'eterno femminino.
 A questo punto la 
mostra compie una diversione, il traliccio della realtà prende un'altra 
strada e un'altra visione, appare  nell'interrato della galleria una sua
 opera storica “Stupro, 2001” che interpreta un dramma tuttora attuale. 
La ripetizione dei gesti che compongono le figure di ogni lavoro di 
Elisabetta Di Maggio, si allea con quella di una violenza che non mostra
 stanchezza nella propria ripetizione. Alcune decine di saponi da bucato
 di marca Sole sono accostati gli uni agli altri come in un puzzle, su 
alcuni Di Maggio ha inciso i nomi dei liquidi che si liberano durante 
uno stupro: Saliva, Sangue, Sudore, Sperma, Urina, Lacrime. Ad ognuno si
 alterna quello  con la parola Sole della marca del sapone.
 Quale 
sapone può lavare questo evento, quale rimozione è possibile? Nessuna. 
La materia che pulendo la pelle, dovrebbe ripulire l'anima,  non esiste.
 Mentre, l'incisione con il bisturi è quasi didascalica.
  Di Maggio 
ha realizzato questo lavoro nel 2001,  lo ripresenta oggi, circa  due 
mesi dopo lo stupro che ha incendiato le piazze in India, ma quanti sono
 quelli che restano nascosti? Quanti voli di farfalle  le donne dovranno
 compiere  perché possano muoversi senza subire la linearità 
sesso-violenza? Di Maggio ha inserito questo monito all'interno di un 
verso preso in prestito, Cambio, ma non posso morire. Se, invece che 
alle nuvole, lo applichiamo alle esperienze emotive, storiche, cultuali 
degli umani, dobbiamo munirci di un bisturi per estirpare 
chirurgicamente il negativo dall'opposizione pace/guerra, 
amore/violenza, ricchezza/povertà. Anche noi, come le farfalle, ci 
muoviamo in modo complesso, contraddittorio.  Non si possono, quindi, 
fare tagli netti, grossolani. Bisogna scavare al proprio interno, capire
 dove  e quando incidere, come far spazio all'aria per  respirare in un 
altro modo.
 Francesca Pasini
 Elisabetta Di Maggio
 was born in Milan, Italy, in 1964. She works and lives in Venice, 
Italy. / Nasce a Milano nel 1964. Vive e lavora a Venezia
 Selected shows since 2005
 2012: Dis-Nascere, curated by Angela Vettese, Fondazione Bevilacqua La Masa, Palazzetto Tito, Venice, Italy;
 2011: Officina Italia 2 nuova creatività italiana, curated by Renato 
Barilli, Sala del Baraccano Bologna, ALT Arte Contemporanea Bergamo, 
Italy; 2010: 
 Terre Vulnerabili, curated by Chiara Bertola and 
Andrea Lissoni, Hangar Bicocca, Milan, Italy; Cosa fa la mia  anima 
mentre sto lavorando, curated by Francesca Pasini and Angela Vettese, 
Museo MAGA Gallarate, Milan, Italy; 
 2009: Hopes and Doubts, curated by Costantino D’Orazio, the  Dome Martyrs Sqare Beirut and Fondazione Merz Torino, Italy; 
 2008: XV Quadriennale d’ Arte  Palazzo delle Esposizioni Roma, Rome, Italy; 
 2007: Space for your future, curated by Yuko Hasegawa , MOT museum of 
contemporary art, Tokyo, Japan; Apocalittici e integrati. Ventiquattro 
artisti italiani, curated by Paolo Colombo, MAXXI, Rome, Italy; 
 2006: Opere in giardino, curated by Francesca Pasini, Fondazione Remotti, Santa Margherita Ligure; 
 Il potere delle donne, curated by Luca Beatrice,  Caroline Bourgeois, 
Francesca Pasini, Galleria Civica di Arte Contemporanea, Trento, Italy;
 2005: Elisabetta Di Maggio, Viafarini, Milan, Italy, curated by F. Pasini; 
 Aperto per lavori in corso, curated by Francesca Pasini, PAC Milan, Italy; 
 Donna Donne, curated by Adelina von Furstemberg, Palazzo Strozzi, Florence, Italy; 
 Trasparenz, curated by Agnes Kohlmayer, Frauen Museum, Bonn, Germany; 
 Femme(s), curated by Adelina von Furstenberg, Musee de Carouge, Geneve, Swizerland
 The Laura Bulian Gallery is pleased to announce I change but I cannot 
die, a solo exhibition by Italian artist Elisabetta Di Maggio, which 
will be inaugurated on Wednesday 6 February.  
 The title of 
this exhibition,  I change but I cannot die, is taken from "The Cloud", a
 poem by Percy Bysshe Shelley, and blends intuitively with the idea of 
art and this artist's work in particular.   
 The change 
occurring in her works is brought about by a twin-fold process, the 
materials used change their properties while the image changes according
 to light, place and orientation.  
 In Elisabetta Di Maggio's 
artworks tissue paper unexpectedly becomes a fundamental strength, the 
strips adapt to being dried out without crumbling, soaps take on a 
similarity to wax used in casting, porcelain maintains the same texture 
as the tissue which vanishes when the kaolin is fired.  
 In this 
exhibition there are two great trajectories: on the one hard we have the
 transposition of the figure in the surgical composition of its 
sections; on the other the interpretation of figures drawn from the 
scientific study of the natural environment, such as the flight of 
butterflies.  
 In “Wallpaper, 2012”, metres and metres of cut 
paper tissue, following a pattern that recalls the embroidery and 
fluorescence of a wild garden, are completely wrapped around the 
pillar/wall that unites the first and second rooms of the gallery. They 
recall Shelly's “woof”, the fragile texture of the clouds in the sky 
mentioned in the poem, but in Elisabetta Di Maggio's hands they become a
 vortex that thickens within the walls of buildings, very often 
embodying both change and immutability.  This sort of padding makes 
walls vanish and in their place layers upon layers of embroidery become a
 fantastic fundamental framework, holding back the texture (trellis) of 
the day-to-day magma, its repetitions and unforeseeable surprises.     
 The relationship between nature and internal fibre or network emerges 
in “Victoria, 2012”, three large waterlily leaves of the Victoria Regia 
variety. Using a scalpel Di Maggio intervenes amid their dorsal veins 
(their material is almost a vegetable form of flesh), creating slender 
yet decisive lacerations for air. It is a sort of alliance of mutual 
resistance, giving shape to fragility as a source of transformation 
rather than weakness. A trellis once again.     
 Recent 
research into butterfly flight has shed light on the unique movement of 
these pollinating insects. The apparently aimless motion attributed to 
them, and metaphorically to humans, described as a whimsical and 
undefinable path from one point to another, is actually determined by 
the structure of their wings which are spread through movements that are
 incompatible with a linear route between any two points. The symbology 
of uncertainty attributed to this multiform and multicoloured insect 
could indeed be redirected towards the processes of sentimental and 
intellectual experience, where changes of direction can rarely be 
underestimated.     
 In “Butterfly flight trajectory #05, 2012”, the
 artist translates this multidirectional flight into a sort of forest of
 pins protruding from a white, purely abstract panel. Pins and panels 
are the same instruments used by entomologists in their research. The 
sinuous flow reminds us of a wood while the sparkle of the pins 
highlights the golden sheen of their heads. It is something akin to a 
fairytale, yet it remains enigmatic. We are won over by the beauty of 
this itinerary.
 Butterflies are a bridge between lives; through 
pollination they are instrumental in births. There is something very 
strong therefore in this affinity with humans, and yet they are insects,
 their bodies  are different; nevertheless they have often been used as a
 synonym for the eternal feminine.   
 At this point the 
exhibition makes a diversion, the framework of reality shifts to another
 direction and another vision: one of the artist's historical works, 
“Rape, 2001”, is exhibited in the basement. It is the interpretation of a
 drama that remains topical even today.  The repetition of gestures, 
which make up the figures in each work by Elisabetta Di Maggio, make an 
alliance with a form of violence that shows no signs of tiring in its 
own repetition.  Several dozen bars of laundry soap carrying the brand 
name Sole (Eng. Sun) are set side by side like a sort of puzzle. On some
 of these Di Maggio has carved out the names of liquids that are spilled
 during during an act of rape: Saliva, Blood, Sweat, Sperm, Urine, 
Tears.  Each one alternates with a bar carrying the word Sole: the brand
 name. 
 What soap can wash away such an act? What removal would be 
possible? None. A material that can  clean the soul while it cleans the 
skin does not exist. On the other hand, excision, by means of a scalpel,
 is almost didactic.
 Di Maggio created this work in 2001, she 
exhibits it again today about two months after a case of rape fired 
public protests in India. But how many rapes go unreported? How many 
butterfly flights do women have to undertake until they can move freely 
without falling victim to the linearity of sexual violence?  Di Maggio 
has inserted this message within the borrowed line I change but I cannot
 die. If, instead of applying this to a cloud, we apply it to the 
emotional, historical and cultural experience of humanity, we would need
 a scalpel to surgically remove the negative connotations from contrasts
 such as war/peace, love/violence, wealth/poverty. Like butterflies, we 
too move in a complex and contradictory manner. It is not possible 
therefore, to make clean, sweeping incisions. We need to dig deep 
inside, understand where and when to cut, how to make room for the air 
we need so as to breath in different way.
 Francesca Pasini
 Elisabetta Di Maggio was born in Milan, Italy, in 1964. She lives and works in Venice, Italy.
 Selected shows since 2005
 2012: Dis-Nascere, curated by Angela Vettese, Fondazione Bevilacqua La Masa, Palazzetto Tito, Venice, Italy;
 2011: Officina Italia 2 nuova creatività italiana, curated by Renato 
Barilli, Sala del Baraccano Bologna, ALT Arte Contemporanea Bergamo, 
Italy; 2010: 
 Terre Vulnerabili, curated by Chiara Bertola and 
Andrea Lissoni, Hangar Bicocca, Milan, Italy; Cosa fa la mia  anima 
mentre sto lavorando, curated by Francesca Pasini and Angela Vettese, 
Museo MAGA Gallarate, Milan, Italy; 
 2009: Hopes and Doubts, curated
 by Costantino D’Orazio, the  Dome, Martyrs Square, Beirut, Lebanon and 
Fondazione Merz Turin, Italy; 
 2008: XV Quadriennale d’ Arte  Palazzo delle Esposizioni Roma, Rome, Italy; 
 2007: Space for your future, curated by Yuko Hasegawa , MOT museum of 
contemporary art, Tokyo, Japan; Apocalittici e integrati. Ventiquattro 
artisti italiani, curated by Paolo Colombo, MAXXI, Rome, Italy; 
 2006: Opere in giardino, curated by Francesca Pasini, Fondazione Remotti, Santa Margherita Ligure, Italy; 
 Il potere delle donne, curated by Luca Beatrice,  Caroline Bourgeois, 
Francesca Pasini, Galleria Civica di Arte Contemporanea, Trento, Italy;
 2005: Elisabetta Di Maggio, curated by F. Pasini, Viafarini, Milan, Italy; 
 Aperto per lavori in corso, curated by Francesca Pasini, PAC Milan, Italy; 
 Donna Donne, curated by Adelina von Furstemberg, Palazzo Strozzi, Florence, Italy; 
 Trasparenz, curated by Agnes Kohlmayer, Frauen Museum, Bonn, Germany; 
 Femme(s), curated by Adelina von Furstenberg, Musee de Carouge, Geneva, Switzerland.
Segnala:
Amalia di Lanno
SAN GIROLAMO
Sabato
 2 febbraio 2013 alle 18.30 presso la Galleria Comunale Spazio Giovani 
(Via Venezia, 41 Bari) si inaugura la mostra fotografica “San Girolamo",
 evento conclusivo del  Laboratorio di Fotografia 2012 organizzato 
dall’Associazione culturale LAB – Laboratorio di Fotografia di 
Architettura e Paesaggio. 
La mostra è il frutto di una campagna fotografica sui quartieri baresi di San Girolamo e Fesca, luoghi strategici nelle politiche di rigenerazione urbana in atto nella città di Bari.
L’Associazione LAB promuove la cultura fotografica attraverso attività didattiche, eventi, esposizioni e progetti fotografici riguardanti il territorio.
Fotografie di:
Annalisa Albrizio
Paolo Anaclerio
Alessandro Buzzerio
Emanuele Clarizio
Gianni D’Amico
Mario De Marco
Andrea Dammacco
Pierangelo Del Mastro
Giovanbattista Dipierro
Filippo Ludovico
Angelo Marzella
Maria Giovanna Papadopoulous
Mariangela Ranieri
La mostra è il frutto di una campagna fotografica sui quartieri baresi di San Girolamo e Fesca, luoghi strategici nelle politiche di rigenerazione urbana in atto nella città di Bari.
L’Associazione LAB promuove la cultura fotografica attraverso attività didattiche, eventi, esposizioni e progetti fotografici riguardanti il territorio.
Fotografie di:
Annalisa Albrizio
Paolo Anaclerio
Alessandro Buzzerio
Emanuele Clarizio
Gianni D’Amico
Mario De Marco
Andrea Dammacco
Pierangelo Del Mastro
Giovanbattista Dipierro
Filippo Ludovico
Angelo Marzella
Maria Giovanna Papadopoulous
Mariangela Ranieri
 Ricevo e pubblico:
Amalia di Lanno
Berengo Gardin_STORIE DI UN FOTOGRAFO
STORIE DI UN FOTOGRAFO
Casa dei Tre Oci, 1 febbraio – 12 maggio 2013
Giudecca 43, Venezia
Dal 1 Febbraio al 12 Maggio 2013
Orari
Tutti i giorni 10.00 - 19.00
chiuso martedì
Dopo il grande successo della mostra PERSONAL BEST di Elliott Erwitt,
 la Casa dei Tre Oci presenta, in anteprima internazionale, la 
retrospettiva di uno dei più grandi fotografi italiani: Gianni Berengo 
Gardin.
La più completa antologica del maestro. Mostra unica e imperdibile di
 130 fotografie, curata da Denis Curti, direttore artistico della casa 
dei Tre Oci , che lo ha accompagnato attraverso un lungo lavoro tra 
centinaia di stampe in bianco e nero dell' immenso archivio privato, per
 rileggere tutti i suoi scatti, compresi quelli inediti o ritrovati.
La mostra è prodotta da Civita Tre Venezie e da Contrasto con il sostegno di Veneto Banca e della Regione Veneto .
Gianni Berengo Gardin considera questa mostra come la più 
rappresentativa della sua carriera: in parete oltre 130 stampe 
analogiche che ripercorrono il suo lavoro di reporter e che sono lo 
speccchio di un autore che ha fatto dell'etica la sua bandiera.
Berengo Gardin ha voluto rivedere tutta la sua produzione, le mostre 
passate, i libri (oltre 200), le pubblicazioni editoriali (giornali e 
magazines) per rileggere il tutto con lo sguardo di oggi, per scegliere 
le immagini che meglio di altre raccontassero la sua storia, una sintesi
 del suo viaggio da fotografo, dagli esordi all'ultima immagine che ha 
scattato in digitale, due ragazzi che si baciano per strada.
130 fotografie, che ripercorrono la carriera del grande maestro 
italiano che più di altri, ha saputo restituire e rinnovare il 
linguaggio visivo del nostro Paese: Venezia e Milano, i manicomi e la 
legge Basaglia, la Biennale d'arte di Venezia e gli zingari, il 
fondamentale reportage intitolato Dentro le case e New York, Vienna, la 
Gran Bretagna per finire con la straordinaria esperienza con il Touring 
Club che lo spinge a scoprire gli angoli più reconditi del nostro paese,
 fino alle fotografie finora rimaste inedite e qui presentate per la 
prima volta.
Narratore attento alla vita di tutti i giorni, in tutti i suoi 
molteplici aspetti e nella sua evoluzione, è un autore che ha 
immortalato la storia d'Italia in oltre un milione di scatti.
Nato negli anni 40, predilige il bianco e nero, non solo per una 
questione generazionale, ma perché "il colore distrae il fotografo e chi
 guarda".
Considerato da molti il più rappresentativo fra i fotografi italiani,
 da quasi cinquant'anni porta avanti, sempre coerente con sé stesso, un 
importante lavoro d'indagine sociale nella continua ricerca 
dell'obiettività della comunicazione e della qualità dell'immagine. "E 
le immagini sono ciò che conta".
La passione per le strade, la gente qualunque incontrata per caso, 
sorprendenti abbracci rubati al quotidiano: in ogni foto, ciascuno di 
noi ritrova un po' di se stesso, della sua storia, dei suoi ricordi. 
Fotografie capaci di evocare vite semplici e preziose, che attraversano 
campi e piazze, raccontano la storia ed i sentieri sinuosi della vita, 
sono come archetipi dell'immaginario italiano, ci entra sottopelle e ci 
diventa subito familiare.
Persone, oggetti, primi piani, monumenti storici. Immagini concrete, mai astratte, ma soprattutto, immagini reali.
Nella fotografia di Gianni Berengo Gardin le figure umane, quando ci 
sono, raccontano attimi di una vita sospesa, senza tempo, in una 
tradizione di tranquilli gesti quotidiani che si susseguono giorno dopo 
giorno.
La Casa dei Tre Oci, splendida testimonianza dell'architettura 
veneziana di inizio '900 realizzata dall'artista Mario De Maria, è 
proprietà di Polymnia Venezia, società strumentale della Fondazione di 
Venezia.
La mostra che, si avvale della collaborazione di Caffé Florian, 
Molino Stucky, e COOP Adriatica, sarà accompagnata da un catalogo edito 
da Marsilio Editori, anch'esso curato da Denis Curti.
Fonte:  
Segnala:
Amalia Di Lanno
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