martedì 27 febbraio 2018

Ettore Pinelli. MONO


La Fusion Art Gallery - Inaudita presenta la mostra MONO di Ettore Pinelli, artista siciliano, tra le altre cose, finalista del premio Cairo 2017. MONO è un progetto che si sviluppa attorno ad una singola immagine. Il lavoro di Ettore si basa su una ricerca concettuale costante, a cui si unisce uno sperimentalismo tecnico in continua evoluzione. La mostra rientra nella programmazione di NEsxT – Indepentent Art Festival ed è parte del circuito COLLA e di ContemporaryArt Torino e Piemonte.


Visibile manifesto (monologico)
di Barbara Fragogna

Cerco sempre, attraverso il caso e l’accidentalità, di trovare un modo perché l’apparenza sia là, rifatta però a partire da altre forme. – Francis Bacon

Orizzonte degli eventi, superficie limite, singolarità, orizzonte interno, spazio-tempo. Il progetto “Mono” di Ettore Pinelli è un acceleratore di particelle, un’idea che devo, per esigenze ineluttabili e cellulari, legare a scenari cosmici. Perché è l’idea stessa (o la pre-idea?) dove nell’uno si svela l’intrigo del tutto, che dà origine a questo processo/procedura/sviluppo.
Oltre la pittura e il soggetto, oltre a un qualsiasi significato, Pinelli concretizza un Big Bang vorticoso. Il suo è il film del rewind lanciato avanti in un fast far-ward furioso, un esploso congelato pieno di filacci, zoom, tasselli, crops, polveri, colate, gesti, sfiati, strappi, still. Il momento in cui si tappano le orecchie e si perde l’equilibrio, un calo di pressione, un giramento, un’euforia inquietante e magnifica inalazione d’ossigeno. Superfici stratificate come sedimenti in cui ogni filo tracciato dalle setole è un’era. Immagino uno slittamento ortogonale della tela/supporto e che ogni sua linea/strato si sviluppi su di un piano estruso e successivo. Come un rendering digitale. In questo ambiente di aggregazione e disfacimento, di errore sapiente e accidente, di materia e vapori, di saturo e insaturo, di colore e di grigio, in questo ambiente ciclonico e uroborico, l’occhio dello spettatore si trova al centro della giostra che è l’ubiquo MONO zootropico, il dispositivo ottico che muove, esalta e aumenta la realtà del lavoro sotto tutti i suoi aspetti. Livelli sovrapposti, sfalsati, dislocati sono interpreti e ripetitori polifonici, mezzi attraverso cui esplorare la possibilità.
Affascinano la mantramania del concetto, la compulsione della pratica artistica veloce e forsennata (monologo), l’euforia del rinfrancamento, la pervicacia nel perseguire la sintesi, il serissimo discorso sull’arte come consapevole visione privata del circostante. L’interesse dell’artista è nella ricerca, nella riflessione e nella pratica attraverso il movimento e l’espansione del gesto, deve perciò (contrastando la sua peculiare natura minuziosa e analitica) togliersi di dosso l’esubero di pensiero, di razionalità, di conoscenza, deve eliminare la pittura della pittura, la figura della figura, la superficie della superficie, deve essere capace di sbagliare con competenza, di affermarsi per mezzo di una parossistica negazione, deve uscire dallo stereogramma di sé. Ettore Pinelli è in grado di focalizzare perché amplifica, disfacendone l’immagine, la metafora dell’esistenza. Il suo monolite è una cellula piena di particelle, è la macro di un dettaglio da misurare in micron.
Al di là della tecnica e dell’indubbia capacità dell’artista di sviscerare il tono dal mono-tono, l’oggetto dal soggetto e il senso dal significato, andando oltre la percezione dell’immagine (non immagine?), intrappolati nell’occhio acquisiamo una capacità di visione ex-novo, come se un predeterminato rosa fosse il filtro/retina della percezione di una realtà diversamente reale (non immaginaria ma iper-reale), come se quel rosa fosse il monitor/schermo disturbato e distorto (il vetro di Bacon?) che ci separa e contemporaneamente fonde col frangente (un’atmosfera?), come se il rosa (pervinca?) nella sua radiazione ultravioletta fosse il portale ad una gamma fatalmente accessibile.
Chiavi di lettura, espansioni del punto di fuoco, irradiazioni, fotogrammi, evoluzioni, sviluppi, tentativi, frammenti.
Uno - tutt’uno.

Mille modi per distruggere un’immagine
di Gabriele Salvaterra

È diventato ormai un luogo comune quello che descrive la percezione della realtà negli ultimi cinquant’anni come un’esperienza segnata dalla mediazione continua di un flusso soverchiante di immagini. Queste - prima attraverso la stampa e la televisione, oggi sempre più immateriali e legate alla presenza costante di smartphone e pc nelle nostre vite - hanno del resto giustificato, per la sua veridicità, una presa d’atto da parte di molte persone di questo dato. Perciò non è affatto infrequente leggere testi o discutere con persone che sottolineano, con toni accusatori o entusiasti a seconda dei casi, una presenza imprescindibile dell’immagine nel nostro modo di guardare il mondo. A più di ottant’anni dal citatissimo saggio di Walter Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, qualsiasi cosa, persino noi stessi, entra in un canale di riproduzione iconografica che ne suddivide e ripropone l’essenza in una miriade di sfaccettature incontrollabili tendenti a non avere più effetti per la loro eccessiva quantità.
Ciò che Ettore Pinelli realizza in questo progetto, un’intera mostra creata a partire da una singola immagine ripetuta ossessivamente, è in qualche maniera una sovversione dell’impianto teorico proposto da Benjamin nel suo celebre trattato. Si potrebbe parlare di un’opera d’arte in una condizione di unicità plurima dove i lavori nascono manualmente, dichiarando la propria singolarità individuale, ma d’altra parte germinando di continuo come riproduzioni l’uno dall’altro. Sembra trattarsi di una rivincita aggressiva all’immagine contemporanea che non nasconde neppure un fascino morboso verso la stessa.
Guardando a questo approccio originale a un unico soggetto si pensa quasi che per Pinelli la soluzione a un problema, come spesso accade nella realtà, sia un immergersi totalmente in esso, abbracciarlo integralmente prima di capire se sia possibile cancellarlo o, al contrario, esserne annichiliti. In questa attitudine l’indigestione anticipa la valutazione del possibile soffocamento o, viceversa, dell’auspicata liberazione, cosicché la verifica non avviene attraverso un lento abituarsi alle situazioni, ma prendendole di petto, esageratamente, in uno scontro con l’immagine e il soggetto in cui non è chiaro se l’autore riuscirà a uscire dal labirinto o perirà nelle sue spire. L’immagine è glorificata e assassinata allo stesso tempo e la ripetitività con cui viene adottata dimostra anche il suo essere semplice pretesto per poter sviluppare un corpus di lavori potenzialmente infinito. E qui sta un interessante paradosso: l’uomo produce più immagini di quante ne è in grado di gestire, archiviare e ricordare nell’arco dell’esistenza, eppure, lo dimostra questo progetto, ne basterebbe una soltanto per coprire la memoria di una vita, una soltanto per poterne parlare per sempre.
L’unico soggetto della mostra, una scena di aggressione tra ragazzi, è ormai così distanziato dalla realtà di provenienza da assumere le sembianze di un ricordo fantasmatico attenuato attraverso ulteriori processi di mediazione artistica e manuale. Il maggior pregio di questi lavori risiede forse nell’apertura che Pinelli impone al soggetto di partenza, da cui si può comprendere la principale filiazione con il pensiero e la pratica di Gerhard Richter: l’immagine artistica è conclusa paradossalmente nella misura in cui riesce a essere inconclusa, aperta e polisemica. Come in quelle opere che tendo a definire “cieli violenti” (Zoom in, 2018), dove la scena di aggressione è minimamente percepibile e resa evanescente nei colori autunnali di una volta celeste appena percorsa dagli indizi di un dramma. È qui che si rivela la maggiore sfida dell’autore alle immagini contemporanee, presenze della nostra vita che parlano sempre chiaramente e direttamente, dicendo: “applaudi”, “ridi”, “scandalizzati”, “acquista”, “indignati”. Pinelli, come se il processo creativo non fosse questione di addizione o potenziamento ma di liberazione e superamento dei blocchi imposti esternamente dalla realtà, sgrava l’immagine da tutta la sua funzionalità per mantenersi in quell’alone di sospensione indeterminata dove anche lo sguardo ritrova una propria autonomia critica.
Tanti modi, insomma, per distruggere un’immagine o farla rivivere sotto altre spoglie.


La mostra inaugura Sabato 10 marzo 2018 alle 19, l’artista sarà presente.


Ettore Pinelli (Modica, 1984)
Formatosi in Accademia di belle arti di Firenze, si diploma in pittura nel 2007 e in progettazione e cura degli allestimenti nel 2010 in collaborazione con il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Nel 2009 fonda .LAB (Young Artists Sharing Ideas | Firenze)
Nel 2014 è selezionato per la 1ª edizione del Premio FAM Giovani per le arti visive (AG). Nel 2015 partecipa al Workshop Residenza Ritratto a Mano 2.0 con Simone Berti e Valentina Vetturi, a cura di Giuliana Benassi e Giuseppe Pietroniro, Caramanico Terme (PE) e sempre nel 2015 é selezionato da Eva Comuzzi ed Andrea Bruciati per Some Velvet Drawings (ArtVerona). Tra il 2015 e il 2016 è finalista in numerosi premi tra cui il Premio Fondazione San Fedele (Milano), Premio Combat Prize (Livorno), Premio Arteam Cup (Alessandria) e Premio Francesco Fabbri (Treviso). Nel 2015 è vincitore del Premio Marina di Ravenna e nel 2016 del Premio We Art International (Milano) in collaborazione con Basement Project Room (LT). Nel 2015 è artista selezionato dai curatori del premio ORA. Nel 2016 è uno dei finalisti di TU 35, geografie dell’arte emergente in Toscana, promosso dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Artista inserito da Camillo Langone in Eccellenti Pittori, il diario della pittura italiana vivente. Presente nella collezione Identità Siciliane di Imago Mundi, Fondazione Benetton. Nel 2017 partecipa a Modernolatria Boccioni+100 esponendo alla Galleria Nazionale di Cosenza. Nel 2017 è finalista al 18º Premio Cairo (Palazzo Reale Milano). Invitato da I Martedì Critici a partecipare alla 5ª sessione del progetto di Residenze Artistiche Bocs Art a cura di Alberto Dambruoso (Cosenza). Menzionato dalla rivista Arte (Cairo Editore) come uno degli artisti under 40 significativi dello stato della ricerca artistica italiana.


Mostra
Titolo: MONO
Artisti: Ettore Pinelli
Date 10.3 – 21.4.2018
Luogo: Piazza Peyron, 9g, 10143 Torino
A cura di: Barbara Fragogna
Inaugurazione: sabato 10 marzo 2018 ore 19
Ingresso libero
Orari di apertura: dal giovedì al sabato, dalle 16 alle 19.30 e su appuntamento
Info:+39 3493644287 | www.fusionartgallery.net | info.fusionartgallery@gmail.com

Lapo Simeoni. Diorama/Napoli


La galleria delle arti contemporanee Intragallery è lieta di ospitare nei suoi spazi espositivi di Napoli la mostra Diorama / Napoli, personale di Lapo Simeoni, che inaugurerà mercoledì 7 marzo dalle 18.30 alle 21.00, e terminerà il 10 maggio 2018.
Lapo Simeoni, ha ideato questo progetto espositivo pensando ad una personale visione di Napoli legata alla storia della città, dal passato fino a quella contemporanea, con i simboli della sua cultura, in un continuo dialogo multi-temporale tra passato e presente.
L’artista si è concentrato in particolare sul tema del rapporto Cittá-Mare-Storia-Miti -Vesuvio-Consumismo-Geopolitica.
Le tematiche predilette dall'artista recuperano con ironia e sottigliezza concettuale un'iconografia popolare che viene messa in discussione e sottoposta a slittamento di significato. Simeoni è un attivista estetico che afferma apertamente il proprio pensiero, ed ama sperimentare con materiali e accostamenti fino ad individuare quelli idonei a veicolare le proprie intuizioni. Talvolta la denuncia sociale che caratterizza le sue opere affronta personaggi e fatti di cronaca passata, oppure si serve di elementi storici per riflettere sul presente. I riferimenti ad avvenimenti, vengono espressi attraverso una simbologia precisa, spesso sono esplicitati nei titoli. Altre volte le immagini assumono tonalità poetiche, ma non si distaccano mai da un retrogusto tematico del tutto amaro, irrisolto.

La sua visione della città di Napoli viene dunque riportata in mostra come un Diorama contemporaneo, ispirato inizialmente dal romanzo fantastico Viaggio al centro della Terra di Jules Verne del 1864. Il racconto, considerato un romanzo scientifico, precursore della fantascienza, è inoltre uno dei primi esempi del filone avventuroso della ricerca del “mondo perduto”. Narra la storia di un viaggio al centro della Terra, che parte da un profondo vulcano in Islanda, si snoda attraverso numerose avventure, e termina nel nostro Mediterraneo, attraverso una rocambolesca uscita dal vulcano di Stromboli.

Così, suggestionato da questa scena fantastica, e ispirato dalla contemporanea realtà della città, Simeoni ci racconta il suo viaggio a Napoli, ricreando un nucleo intimo all’interno della galleria come fosse il centro del vulcano (viaggio al centro della terra), immaginandovi il ritrovamento di “reperti contemporanei” e del passato, che tra incoerenze e armonie, formeranno un Diorama di Napoli che sarà insieme meraviglia e denuncia.


Bio
Lapo Simeoni è nato ad Orbetello, (Gr) nel 1979. Esplorando varie tecniche espressive, l’arte di Lapo Simeoni affronta senza indugio temi che contemplano i risvolti postmoderni più scomodi della civiltà dei consumi. L'arte di Simeoni affronta discorsi necessari, urgenti, invitando l'osservatore a porsi delle domande, a mettere in discussione gli stereotipi imperanti, i mezzi d'informazione, ma soprattutto ad interrogarsi su questioni quali la responsabilità sociale e le conseguenze che il potere delle immagini esercita sul nostro modo di percepire la realtà. Ha conseguito il Foundation in Art and Design alla Central Saint Martins School of Art and Design di Londra. Tra le principali mostre dell’artista si ricordano:
Forever Never Comes Museo Archeologico e d´Arte della Maremma, Grosseto, a cura di Lapo Simeoni (2017/18); Bonelli Lab, Canneto sull´Oglio (MN)a cura di Matteo Galbiati e Livia Savorelli (2017) The Rebirth Tryad, a cura di Chiara Canali Reggia di Caserta, (2016), Quattro appunti su un viaggio a Cosenza, a cura di Alberto Dambruoso, Intragallery (NA), (2016), Residenza BoCS, Cosenza, (2015), Early Adopter, Allegra Nomad Gallery, Bucarest, Romania (2014), The Illusion of the Perfect Century, CORPO 6 Gallery, Berlino, Germania (2014), Il Tasto Rosso, The FORMAT Gallery, Milano (2014). The Foundation, Palazzo pubblico di Piazza del Popolo, Orbetello, (2013), SPAM!, Pastificio Cecere, Roma (2012), Ars Apocalipsis, Kunstverein Kreis Gutersloh, Germania (2011), IK MIS JE -I e MISS YOU, De Krabbedans exposities, Kunstuitleen, Eindhoven, Olanda, (2011), VIVA L’ITALIA!, Cassero Mediceo, Grosseto (2011), XIV BJCEM - Biennal of Young Artists, Skopje, Macedonia, (2010), Mind the gap, Altri Lavori In Corso Gallery, Rome (2010), 7 Italian Visions, Art.Lab Gallery, Basilea (2009), Empty City/ Mutant Place, Movin’ UP project, Beijing, Art Channel Gallery, Cina (2008). Vive e lavora a Berlino.

DIORAMA / NAPOLI
di Lapo Simeoni

dal 7 marzo 2018 al 10 maggio 2018

Opening
Mercoledì 7 marzo 2018 Ore 18.30

L’artista sarà presente.

Via Cavallerizza a Chiaia, 57, 80121, Napoli 

domenica 25 febbraio 2018

Bertozzi & Casoni | Così è (se vi pare)


Anna Marra Contemporanea è lieta di presentare Così è (se vi pare), mostra personale di Bertozzi & Casoni che inaugura martedì 6 marzo 2018.

Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni, in arte Bertozzi & Casoni, sono tra i più originali e innovativi artisti della scultura ceramica contemporanea. Conosciuti a livello internazionale per la raffinatezza delle loro creazioni, in oltre trent’anni di carriera hanno portato la ricerca artistica su questo materiale a un livello tecnico ed esecutivo così alto da diventare essa stessa un linguaggio espressivo, che fa tesoro delle abilità artigianali e nello stesso tempo ne indaga le potenzialità inedite grazie all’uso delle più moderne tecnologie industriali.

Sebbene a uno sguardo distratto le loro opere possano sembrare “copie del reale” per l’accuratezza nella finitura dei minimi dettagli, di fatto, invece, Bertozzi & Casoni non parlano mai la lingua del realismo, ma quella più complessa del sembiante: gli oggetti e le suppellettili, le piante e gli animali, gli avanzi e le testimonianze del passato sono rappresentazioni mimetiche dei referenti originali. Nella ricomposizione e nel riadattamento in forma di scultura o di installazione ogni cosa assume un nuovo significato, una nuova vitalità espressiva, che intende mettere in scena i vizi e le virtù della società contemporanea. Per Bertozzi & Casoni non esiste un’unica realtà sensibile universalmente accettata, ma esistono tante possibili interpretazioni dell’esperienza quotidiana, delle quali le sculture sono esempi tangibili. È quello che accade nel teatro di Pirandello: in Così è (se vi pare) ciascun personaggio interpreta i fatti “reali” da un punto di vista strettamente personale, traendo le proprie conclusioni, senza attenersi all’oggettività delle situazioni che, pertanto, diventano relative e rendono insolubile l’enigma, la decifrazione della “realtà dei fatti”. Per gli artisti, come per il drammaturgo, esiste un relativismo delle forme e dei significati che rende impossibile avere una visione unica e certa della realtà. Per questi motivi i lavori di Bertozzi & Casoni non riproducono l’esistente, ma riproducono la sua esistenza in forme che sono altro da sé attraverso la mimesi maniacale e l’ironia pungente, disvelando le contraddizioni della società dei consumi che ci mostra soltanto una parziale verità.


La mostra, accompagnata da un catalogo edito Gangemi editore con testo di Lorenzo Respi, rimarrà aperta fino al 7 aprile 2018.

Bertozzi & Casoni | Così è (se vi pare)
a cura di Lorenzo Respi
6 marzo - 7 aprile 2018


ANNA MARRA CONTEMPORANEA
via sant'angelo in pescheria, 32
00186 | roma (italy)

lunedì - sabato | 15.30 - 19.30
Monday - Saturday | 3.30pm - 7.30pm
(+ 39) 06 97612389

sabato 24 febbraio 2018

Umberto Manzo



Fin dagli anni Ottanta il lavoro dell’artista partenopeo è caratterizzato da un percorso che l’ha portato a confrontarsi con tecniche e materiali eterogenei quali l’emulsione fotografica, la grafite, la pittura a olio, i colori e le colle vegetali, fino ad elaborare un proprio linguaggio inconfondibile.

Nelle opere più recenti l’artista sperimenta nuove soluzioni formali per realizzare i suoi archivi della memoria, continua a stratificare i suoi disegni e li colloca nello spessore del telaio creando poi tagli multiformi, sagome di erme classiche, profili di volti, attraverso i quali riemergono le carte con infinite narrazioni. Come nei suoi primi lavori il corpo resta la sua cifra stilistica riconoscibile e diventa unità di misura dello spazio e del tempo.

L’artista scruta oltre la superficie, alla ricerca di molteplici significati, di un ordine nuovo che indaga anche lo spazio delle architetture classiche, dei monumenti del passato più lontano, come la Piscina Mirabilis o gli anfiteatri romani, evocati nelle sue ultime opere.

La mostra si potrà visitare fino al 7 aprile 2018.

Biografia
Umberto Manzo ha esposto in gallerie private e spazi pubblici in Italia e all'estero. Le sue opere fanno parte di importanti collezioni private internazionali. Alcuni suoi lavori di grandi dimensioni sono installati in permanenza nella Stazione Cilea della Metropolitana di Napoli e nei prossimi mesi due sue opere verranno acquisite nelle collezioni del Museo di Capodimonte e del Museo Madre di Napoli.



ENGLISH

Since the Eighties, the work of the Neapolitan artist has been marked by a path which has led him to measure himself against heterogeneous materials such as photographic emulsion, graphite, oil painting, vegetable colours and glue until he developed his own, unmistakable language.

In his most recent works, the artist has experimented with new formal solutions in order to realize his archives of memory. He continues to stratify his drawings and arranges them in the thickness/depth of the canvas subsequently creating manifold cuts, outlines of classical sculptures, profiles, through which layers of paper re-emerge to reveal an infinity of narratives. As in his early works, the human body remains his most recognizable stylistic feature and becomes a unit of measure of space and time.

This artist scrutinizes beyond the surface, in search of multiple significances, of a new order which also explores the space of classical architecture, of monuments from the remote past, such as the Piscina Mirabilis or the Roman amphitheatres evoked in his latest works.

The exhibit will remain open to the public until 7 April, 2018.

Biography
Umberto Manzo has exhibited in primate galleries and public venues in Italy and abroad. His works are parts of important private International collections. Some of his large-scale works have been permanently installed in the Cilea Station of the Naples Metro and in the near future, both the Capodimonte Museum and the Madre Museum in Naples plan to place two of his works in their collections.



Riviera di Chiaia, 215
80121 - Napoli
Tel/Fax +39 081 414306

Lunedì - Venerdì
10.00 - 13.30 / 16.00 - 19.30
Sabato
10.00 - 13.30

venerdì 23 febbraio 2018

Fabio Ranzolin. Bye Bye Circo Massimo



Montoro12 Contemporary Art è lieta di presentare Bye Bye Circo Massimo, prima mostra personale in galleria di Fabio Ranzolin, a cura di Amalia Nangeroni.
Il progetto espositivo concepito dall'artista è una riflessione sulla tradizione italiana e le sue contraddizioni, e si concentra nello specifico sulle sue stratificazioni culturali, ponendo un accento su Roma e la passione omoerotica.
La parola tradizione condivide con tradimento la stessa radice: entrambe derivano infatti dal verbo latino tradere, che etimologicamente si riferisce a una consegna, a un passaggio, a una trasmissione.
Ranzolin consegna all'interpretazione dello spettatore alcuni oggetti prelevati dal proprio vissuto personale ma anche frammenti e esperienze appartenenti ad altri soggetti, di cui si impadronisce, tradendoli e ponendoli talvolta in relazione a elementi organici e oggetti industriali. “Lo sfogo tuo, lo prendo come tale, vive della tua sola esperienza, ora hai la mia”- con queste parole in prespaziato pvc oro, i visitatori sono accolti in galleria. Si tratta di una frase, di cui l'artista si è appropriato, tradendo il mittente originario, a sua volta traditore. Volutamente vaga, la frase si presta a molteplici equivoci.

La mostra si sviluppa mediante una narrazione costruita attraverso l'evocazione di miti, simbologie, personaggi e avvenimenti. Adriano e Antinoo, Giove e Ganimede, Pasolini e quello che successe a Ramuscello, l'ultimo saluto di Francesco Totti al calcio, le Lettere a Lucio della rivista pornografica Doppiosenso, i Baci stellari di Valeria Marini incisi su una collanina, La fontana di Trevi, la riproduzione tarocca della Pietà di Michelangelo, la moda firmata Valentino e l'”Italia capovolta” su di una spilla kitsch – sono pretesti per contestualizzare una critica al consumismo più che mai urgente oggi. Viviamo in un periodo definito dal filosofo e sociologo Gilles Lipovetsky, ipermoderno, dove il vettore dell'estetizzazione del mondo è il consumo (L'esthétisation du monde: vivre à l'âge du capitalisme artiste, 2013). Citando la “scomparsa delle lucciole” denunciata da Pasolini durante gli anni successivi al boom economico, e il dramma psicologico dell'uomo borghese raccontato da Fellini, Ranzolin inzia una riflessione sulla cultura italiana, presentando una società in crisi, i cui valori culturali sono in continua trasformazione. Il poter confidare sulla parola data (fides); l'autocontrollo ma anche il rispetto per la tradizione (gravitas); pietà, devozione, patriottismo e protezione verso il prossimo (pietas); la dignità nel rappresentare un popolo (majestas); e l'ideale dell'uomo romano (virtus), ovvero le virtù dei mores maiorum, nucleo della morale tradizionale della civiltà romana, vengono qui contraddette o reinterpretate. La Storia, che impassibile registra costanti mutamenti, dimostra che l'energia potenziale della cultura è in perenne stato di equilibrio indifferente. L'artista attaverso il ready-made condivide la bellezza dell'indifferenza duchampiana, e attiva un gioco complesso di risonanze e resistenze, per riflettere sulla cultura della vita moderna.

Fabio Ranzolin (Vicenza, 1993) vive e lavora tra Venezia e Roma. Ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Venezia e successivamente ha frequentato il corso di Alberto Garutti, IUAV Venezia. Dal 2016 è rappresentato dalla Galleria Montoro12 Contemporary Art. Nel 2013 è stato assistente per Loris Greaud a Punta della Dogana e nel 2015 ha lavorato con Thomas Hirschhorn per la 56th Biennale di Venezia. Nel 2016 ha esposto alla 100ma collettiva Fondazione Bevilacqua La Masa, in cui vince il terzo premio; nello stesso anno realizza la prima personale a Trieste presso la galleria Zimmerfrey; nel 2017 viene selezionato dalla commissione di Code Art Fair a Copenaghen e nell' aprile del 2018 sarà in residenza presso Villa Lena, selezionato da Caroline Bourgeois.

 
Fabio Ranzolin 
Bye Bye Circo Massimo 
a cura di Amalia Nangeroni 
Inaugurazione: giovedì 15 Febbraio 2018, 18.00-20.30 
16 Febbraio – 29 Marzo 2018



Via di Montoro, 12 - 00186 Roma - Mobile +39 392 9578974 
- Rue de la Regence, 67 - 1000 Brussels