lunedì 19 maggio 2025

CORTILI APERTI ALL'ARTE

 


CORTILI APERTI ALL’ARTE

Torna l'appuntamento con le bellezze storiche di Bitonto Cortili Aperti, due giorni imperdibili per ammirare Bitonto nei suoi luoghi più affascinanti.

L’Associazione SANCTI NICOLAI CONVIVIUM In occasione dell’ XI edizione di “Bitonto Cortili Aperti”- manifestazione sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, voluta e organizzata  a fine maggio dall’Associazione Dimore Storiche Italiane . I cortili delle più’ importanti  dimore storiche di tutta Italia sono aperti e visitabili -

che si svolgerà nei giorni 24 e 25 maggio 2025, organizza la mostra d’arte contemporanea CORTILI APERTI ALLARTE

ALL’ARTE  dal 22 al 29 maggio 2025 presso la sede dell’Associazione SANCTI NICOLAI CONVIVIUM Piazza

Cattedrale, 35 Bitonto (BA).

 

Vernissage:

giovedì 22 maggio 2025 alle ore 18.30

Presenta

ROSANNA MELE Storico dell’Arte

 

Espongono: LUIGI BASILE, FRANCO CARBONE, FRANCO CORTESE, GIUSEPPE DE SARIO , LETIZIA GATTI, PASQUALE GUASTAMACCHIA, ANTONIO LAURELLI, MASSIMO NARDI, DOMENICO SCARONGELLA,PAOLO SCIANCALEPORE.

La mostra sarà visitabile tutti i giorni dal 22 al 29 maggio 2025 dalle ore 18,00 alle ore 20,30.



domenica 18 maggio 2025

GREENLAND BLURRING I progetti in Artico di Roberto Ghezzi


L’Istituto italiano di Cultura di Copenaghen presenta, mercoledì 21 maggio 2025 alle ore 18,30, una mostra di arte contemporanea dedicata alla ricerca dell’artista italiano Roberto Ghezzi dal titolo GREENLAND BLURRING, Art, Science and Climate Change in the Polar Lands a cura di Mara Predicatori. Un progetto ambizioso, frutto di studi e ricerche sull’Artico che l’artista porta avanti da diversi anni, in collaborazione con scienziati del Consiglio Nazionale delle Ricerche e, in questa occasione, con il patrocinio di Centro per l’Arte Contemporanea Palazzo Lucarini Contemporary e il supporto di Cartiera Magnani Pescia e Phoresta ETS, con l’obiettivo di indagare la natura e fenomeni connessi al cambiamento climatico, in chiave artistica. La personale di Ghezzi all’IIC di Copenaghen vede la collaborazione di Italia e Danimarca nella restituzione artistico-scientifica di un ampio progetto che intende ‘far parlare il ghiaccio’ coinvolgendo più partner nella condivisa volontà di diffondere e affrontare i temi ambientali ed ecologici attraverso il filtro poetico e critico, ad un tempo, dell’arte.

La mostra presenta opere realizzate da Roberto Ghezzi in due residenze artistiche, rispettivamente a Tassilaq (Groenlandia, 2022) presso The Red House di Robert Pieroni e alle Isole Svalbard (Norvegia, 2023), presso lo Spitsbergen Artists Center; entrambe le residenze sono state realizzate in collaborazione con il CNR ISP (Istituto di Scienze Polari). Il contributo scientifico dei ricercatori Biagio Di Mauro e Fabiana Corami ha portato a interessanti scoperte relative lo scioglimento dei ghiacciai. In entrambe le esperienze l’artista ha lasciato che fosse la fusione del ghiaccio a lasciare tracce e dunque a produrre le sue opere. Nel primo caso producendo delle cianotipie da dilavamento; nel secondo un video prodotto dal rimontaggio di girati prodotti da telecamere trasportate dai rivoli di ghiaccio in rapido scioglimento. La particolarità della ricerca dell’artista è quella di produrre lavori artistici limitando più possibile il proprio intervento diretto. Egli, infatti, tramite un’attenta prassi preparatoria, fa in modo che siano i fenomeni naturali e gli elementi del paesaggio quali acqua, aria e ghiaccio a lasciare le loro tracce su supporti di diverso tipo in sperimentazioni sempre più ardite e rispettose della voce della natura. La traccia raccolta, non manipolata dall’artista, si trasforma così in una sorta di campione o referto analizzabile talvolta scientificamente per la sua neutralità. 

A corredo della mostra vi sono inoltre delle cianotipie di paesaggi che documentano i luoghi attraversati e taccuini con gli appunti visivi e diaristici dell’artista. La mostra è l’occasione, non solo di immergersi nella contemplazione di opere artistiche di indubbia fascinazione estetica, ma anche, a partire dalla ricerca di Ghezzi, di riflettere sul cambiamento climatico in atto e interrogarci sull’agire umano rispetto a quanto sta avvenendo.




Titolo: GREENLAND BLURRING | Art, Science and Climate Change in the Polar Lands | I progetti in Artico di Roberto Ghezzi
Artista: Roberto Ghezzi
Curatela: Mara Predicatori
Oggetto: Arte contemporanea. Mostra personale con opere realizzate in due residenze artistiche nelle regioni artiche
Con la partecipazione scientifica della dott.ssa Fabiana Corami del CNR ISP
Con il patrocinio di: Palazzo Lucarini Contemporary Centro per l’Arte Contemporanea

Inaugurazione: 21 maggio 2025 ore 18,30

Periodo: dal 21 maggio al 6 giugno 2025
Orario visite: lunedì 9.30-15 – martedì 12-15 – mercoledì 9.30 -16.00 – giovedì 9.30 -16.00 venerdì 9.30-12; 14.00-15.00

Sede: Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen
Gjørlingsvej 11, DK 2900 Hellerup – Copenaghen, Danimarca
Tel. +45 39620696 - iiccopenaghen@esteri.it
Ente organizzatore: Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen (Danimarca)
Sponsor tecnico: Cartiera Enrico Magnani Pescia, Phoresta ETS

Communication Manager Amalia Di Lanno

info@amaliadilanno.com - +39 3337820768

sabato 17 maggio 2025

Giulia Barone e Gianmarco Savioli. In/Fondo Innesto Ciò che rimane di te.


Spazio Iris è lieto di presentare “In/Fondo. Innesto Ciò che rimane di te.” mostra personale di Giulia Barone e Gianmarco Savioli curata da Giulia Pontoriero che inaugurerà sabato 24 maggio alle ore 18:00 e sarà visitabile (su appuntamento) fino al 12 giugno.

Giunto al quarto capitolo del progetto Naturale, la mostra mira a porre l’accento sull’accezione topica che l’essere umano attribuisce alla dimensione naturale. La Natura diventa un’identità personificata e mistica, monade e idilliaca, alla quale l’uomo assegna un potere meramente salvifico non con la sola volontà di rispondere al perché della sua unicità, ma di confermare, di contro, anche la volontà di controllarla e assoggettarla. Se da un lato la Natura viene percepita come erotica e alla mercé di un voyeurismo corale e passivo, dall’altro viene riconosciuta come entità attiva e agente, una forza dominante trasformata dall’uomo, privo di controllo, in aliena e perturbante, poiché soltanto attraverso il suo naturale appassire che questo prende atto della sua stessa morte. Di fronte alla crudezza della realtà oggettiva, l’essere umano crea l’immaginario naturale come struttura narrativa per trovare quel «senso comune» di appartenenza che mira verso un orizzonte trascendentale. Come scrive Giulia Pontoriero nel testo critico: “In/Fondo. Innesto Ciò che rimane di te., è un titolo che nasce anteriore a questo testo e che a posteriori sta manifestando tutta la sua coerenza. Cos’è che rimane di te (Natura) ? Il ricordo di ciò che eri (la tua Essenza) ? La sostanza materica che non hai più?

La volontà di trasporre il titolo in prima persona e accezione poetica, è allusione di una dichiarazione esplicita di intenti, di interventi e di tributo, ma potrebbe essere allo stesso tempo un’accettazione/rassegnazione dolce amara da parte dell’uomo di ammettere il proprio devoto asservimento nei confronti della natura? In/Fondo. Innesto Ciò che rimane di te., è un racconto visivo che parla di un amore, di un dono e di un senso di appartenenza profonda che ci lega a ciò che definiamo naturale e archetipo.”

Il progetto espositivo porta alla luce l’esigenza da parte della curatrice di non applicare la retorica del “dialogo”, ma chiede di rivendicare l’unicità dei due artisti presenti. Il corpo di opere collocate all’interno dello Spazio Iris diventano il risultato di una riflessione collettiva che mira ad indagare e osservare la mutevolezza dell’essenza e della forma della Natura. Le opere di entrambi gli artisti sono racconti visivi da considerare non necessariamente collegati fra loro: è lo spettatore a decidere se scovarne un’analogia comune, ma è anche colui che può accettarne duplici significati isolati. Giulia Barone e Gianmarco Savioli rivolgono nei confronti della Natura un sentimento intimo e profondo, che sia esplicito o velato, ed è per tale ragione che il progetto "In/Fondo. Innesto Ciò che rimane di te.” ammette la possibilità di una coesistenza e reciprocità fra più elementi che possano tradurre la dimensione naturale sia nella sua mutevolezza che nella sua permanenza.

Naturale
Capitolo 0.4

Giulia Barone e Gianmarco Savioli
In/Fondo Innesto
Ciò che rimane di te.

A cura di Giulia Pontoriero

Opening sabato 24 maggio 2025 ore 18:00 
Visitabile anche domenica 25 maggio dalle 11:00 alle 13:30
Fino al 12 Giugno (su appuntamento)

Spazio Iris 
Via G. Fonzi 38 Spoltore (PE)Informazioni

Contatti
spazioiris.mauraprosperi@gmail.com
@spazioiris_: https://www.instagram.com/spazioiris_/ www.mauraprosperi.com

Rovers Malaj, velluto rosa

Velluto rosa, 80 x 100 cm, acrilico su tela, 2024

NAMI gallery è lieta di presentare la mostra personale di Rovers Malaj dal titolo velluto rosa, a cura di Massimiliano Maglione, che inaugurerà giovedì 22 Maggio alle ore 17, alla presenza dell' artista. 

Le opere in mostra di Rovers Malaj rappresentano attraverso un linguaggio pittorico fluido tutto ciò che ruota attorno alla storia, ritraendone i frammenti e le appendici che la caratterizzano , usando le sfumature e il rosa vellutato /velato che giocano a sublimare la realtà, epurandola e rendendola delicatamente malinconica. 

La leggerezza è solo apparente, i volti e i tratti sgrammaticati enfatizzano se stessi , in una veste onirica e mai marcata. Il risultato sono immagini rarefatte ma intrise di un immaginario potente che instaura un dialogo armonioso tra memoria, realtà e immaginazione.

L'artista si muove tra storia e fantasia con uno sguardo visionario, ironico al contempo, ma attento alla "luminosa" realtà, in una fusione con quell'immaginario privo di regole logiche, senza rigorosi modelli di riferimento. Se è vero che Rovers molto si concentra su frammenti di storia dimenticati, mescolando immagini storiche e invenzioni curiose del passato come nel dipinto Reparto speciale - dedicato ai piccioni viaggiatori e all’invenzione di Julius Neubronner - non tralascia però le espressioni più vere dell'amicizia partecipata e della condivisione come ad esempio in Bloody mary.

In questo delicato intreccio tra realtà e immaginazione, l'artista invita 'delicatamente' a riflettere sull’ingegno umano, sui valori , sulla possibilità di 'brevettare' sulla scia del passato nuovi congegni immaginari. Come Le Macchine di Munari –invenzioni tanto precise quanto impossibili, descritte e illustrate nei minimi particolari, che si ribellano all’obbligo di dover servire a qualcosa – osserviamo nei dipinti di Rovers atmosfere, espressioni, e atteggiamenti immaginari, deliberatamente complessi ma nati per eseguire operazioni semplici o sardonicamente trascurabili.

Mr Opening, così spavaldo e imponente, ritratto in Arriva Mr Opening, con disincanto fa da guida in questo percorso espositivo visionario, rosa e impalpabile

La mostra sarà visitabile fino al 19 giugno, su appuntamento.

BIOGRAFIA 
Nato in Albania e cresciuto in Italia, Rovers Malaj è un pittore residente a Bruxelles la cui pratica artistica si interroga sulla mediazione visiva e tecnologica della realtà. Dopo aver conseguito la laurea triennale e magistrale in Pittura all'Accademia di Belle Arti di Venezia, ha sviluppato un approccio distintivo che definisce "impressionismo digitale", in cui decostruisce immagini d'archivio di tecnologie obsolete. I suoi dipinti enfatizzano il contrasto cromatico e la definizione erosa, presentando visioni "iporealistiche" che confondono il confine tra passato e futuri speculativi. Le opere di Malaj esplorano la memoria, il fallimento e l'estetica sorpassata dell'innovazione, confrontandosi con le dimensioni assurde e malinconiche dell'obsolescenza tecnologica. I suoi progetti nel 2025 lo vedranno lavorare tra Napoli, il Giappone e Bruxelles.

NAMI gallery
Via Carlo Poerio 9 
80121 Napoli 
+39 371 186 6842
info@namigallery.com

mercoledì 14 maggio 2025

Alessandra Cecchini e Riccardo D’Avola-Corte. Dato un muro, che cosa succede dietro?

Riccardo D’Avola-Corte, Arabesco/uragano, vortice, soglia, 2025, spray painting, oil on canvas - I’ve never been/ I’m yours, ongoing series, 1: monstera dried flowers, polyurethane, spray paint, chains 2: agave dried leaves, polyurethane, spray painting, chains, photo by Francesco Leonardi

 



In corso da Struttura il duo-show di Alessandra Cecchini e Riccardo D’Avola-Corte, “Dato un muro, che cosa succede dietro?”*.

L’intervento proposto ha come riferimento imprescindibile l’Étant donnés di M. Duchamp così come alcuni dipinti, fotografie e dunque immagini nelle quali da piccoli dettagli di oggetti riflettenti si rivela una parte al di là del muro aprendo la superficie a nuovi spazi e a nuove possibilità.

La parete, concepita come elemento strumentale, funzionale di un avvenimento e dunque di un presente mutevole, dinamico e incerto. Il muoversi nello spazio è pensato come un muoversi dall’esterno verso l’interno, dal basso verso l’alto (e viceversa), senza mai poter essere certi di dove si è, di cosa si è visto. Ogni elemento in mostra è concepito come parte di una narrazione che non può essere ricondotta a una sola decodifica ma si fa esperienza allucinata di qualcosa che potenzialmente non appartiene al mondo fisico, tangibile. Gli elementi costitutivi che racchiudono o aprono lo spazio non sono intesi come superfici, quindi, ma come elementi architettonici essenziali, atti a contenere, racchiudere un’altra porzione di realtà (o una sua contraddizione), un interstizio tra mondi. Uno spazio che pretende di essere in connessione diretta con chi guarda, come uno scenario composto da potenziali indizi e ipotetiche trappole. Non vi è spiegazione univoca di cosa si è visto, di cosa sia realmente accaduto o delle interferenze inevitabili dell’immaginazione.

* Il titolo fa riferimento a una frase di Jean Tardieu, cit. in: G. Perec, Specie di Spazi, Bollati Boringhieri, 2018, Dodicesima ristampaDato un muro, stringere qualcosa tra le mani di Caterina Taurelli Salimbeni

Testo di Caterina Taurelli Salimbeni
Una stanza chiusa, una rampa di scale, un graffio sulla parete. La mostra di Alessandra Cecchini e Riccardo D’Avola-Corte si apre come una scena già accaduta. Un viaggio percettivo che si snoda attraverso una serie di indizi e che disseziona limiti e aspetti dell’attività umana più banale e assoluta: l’osservazione.

Il titolo è il primo indizio. Dato un muro, che cosa succede dietro? è una citazione di Jean Tardieu che campeggia in alto sulla pagina in cui George Perec in Specie di Spazi 1 scrive:

Metto un quadro su un muro. Poi dimentico che c’è un muro. Non so più che cosa c’è dietro il muro, non so più che c’è un muro, non so più che questo muro è un muro, non so più che cos’è un muro. Non so più che nel mio appartamento ci sono dei muri, e che se non ci fossero muri, non ci sarebbe l’appartamento. Il muro non è più ciò che delimita e definisce il luogo in cui vivo, ciò che lo separa dagli altri luoghi in cui gli altri vivono, non è più che un supporto per il quadro. Ma dimentico anche il quadro, non lo guardo più, non lo so guardare. 

Teniamolo un attimo da parte. L’ambiente è circoscritto da pareti incontaminate. La parete speculare all’ingresso, però, è stata violata: incisioni profonde e irregolari spezzano l’intonaco a opera di una zampa antropomorfa, prima presenza svelata. La rampa di scale adiacente ostacola la vista di una narrazione che lentamente prende corpo al piano di sopra. Lo spazio è dato, come il muro, come la porta di quercia che Marcel Duchamp realizzò al Philadelphia Art Museum nel 1969 per una delle sue opere più celebri: Étant donnés: 1. La chute d’eau, 2. Le gaz d’éclairage. Dopo qualche tempo, i curatori del museo furono costretti a indicare di osservare attraverso i fori realizzati nella porta, di fronte alla negligenza del pubblico che passava oltre senza sbirciare.

Cecchini e D’Avola-Corte giocano con la natura domestica dello spazio di Struttura, sovvertendo il rapporto tra pubblico e privato, interno ed esterno, collocando lo spettatore nella posizione dell’intruso che valica il confine della dimensione intima. Il corpo diventa visibile e ingombrante, e un automatismo insito nel desiderio di incedere oltre lo spinge lungo le scale. È in questo cortocircuito tra attrazione e repulsione che si costruisce l’architettura emotiva della mostra. La relazione tra Étant donnés e Dato un muro, che cosa succede dietro? non è solo un omaggio formale, ma una riflessione condivisa sul gesto del “dare” e sul modo in cui questo gesto interroga la percezione. In entrambe le opere, ciò che è dato non è mai interamente visibile, ma sempre parziale, condizionato, filtrato. Il dato non implica una piena disponibilità, ma piuttosto un’apertura enigmatica: qualcosa ci è offerto, ma nel momento stesso in cui si mostra, si sottrae. In questo caso è l’ambiente stesso ad agire come ostacolo e interstizio, mentre le opere si configurano come presenze sospese che contribuiscono narrativamente all’ambiguità di ciò che rappresentano.

Al piano superiore, una creatura dai tratti mostruosi giace su un tappeto di velluto che richiama, secondo un gioco linguistico delicato e ironico, la forma vegetale della Monstera. La ricerca di Alessandra Cecchini, incentrata sul rapporto tra identità e memoria e quella di Riccardo D’Avola-Corte, che si insinua nelle fenditure del reale tra sentire collettivo e intimità, si incontrano in questo contatto. Un’incomunicabilità tra mondi che nascono distanti e che momentaneamente coabitano. L’alterità prende forma nella mostruosità e nelle beautiful things wrapped in darkness, per dirla con David Lynch, altro riferimento esplicito del progetto. Pensiamo alla scena di Blue Velvet (1986) in cui Jeffrey nascosto nell’armadio, spia attraverso le due ante l’oggetto del suo desiderio e diventa testimone involontario di una delle sequenze più violente e disturbanti della storia del cinema. Ciò che si staglia all’altezza della nostra vista qui è altro. La narrazione espositiva culmina in un dipinto bicromo che galleggia nello spazio: la cornice rossa perimetra un viola profondo dal quale si stagliano pennellate curve, una spirale che sembra avere attratto, o forse originato, tutti gli elementi che compongono l’ambiente. Dal soffitto pendono due sculture dalla forma cangiante che riflettono lo stesso movimento rotatorio. Sul pavimento gli oggetti appaiono come svuotati della loro essenza e prosciugati, esoscheletri di creature primitive. Le mura dello spazio racchiudono un mistero. Di questa esperienza ciò che sopravvive è la percezione, mentre l’oggetto della vista resta incerto. Maurice Merleau-Ponty esprime perfettamente questa dinamica, ne La fenomenologia della percezione 2: Vedere significa entrare in un universo di esseri che si mostrano, ed essi non si mostrerebbero se non potessero essere nascosti gli uni dietro gli altri, o dietro a me.

L’oggetto si manifesta solo nell’orizzonte del possibile, nell’incontro con il corpo e lo sguardo che lo accoglie. In questo senso, l’intero impianto espositivo della mostra è una messa in scena fenomenologica: non si tratta di decifrare un significato nascosto, ma di abitare una soglia, un campo percettivo in cui ogni elemento è un dato sensibile che si completa solo nell’esperienza incarnata dello spettatore. È infatti il corpo, e non l’oggetto, a costituire la costante della percezione, il suo orizzonte latente. Il corpo è riconoscibile a sé stesso non da uno sguardo esterno, ma proprio grazie alla reversibilità della percezione: attraverso le “sensazioni doppie”, come quando una mano tocca l’altra e al tempo stesso si sente toccata, o quando le due gambe, le due braccia, si percepiscono in reciproca presenza.

La mostra si muove così tra più livelli semantici e linguaggi, non necessariamente contrapposti ma continuamente rimescolati: tra scultura, pittura e installazione, ma anche tra il piano della narrazione e della sua evocazione, tra ciò che è visibile e ciò che non lo è. I dati disseminati nello spazio, non raccontano, ma suggeriscono, sono indizi in attesa. Dato un muro, che cosa succede dietro? è visitabile da due persone alla volta. L’altro, ci permetterà di avere cognizione del proprio corpo, o meglio, della presenza del proprio corpo nello spazio. La mostra si compone infatti nella mente di chi osserva, come un’indagine senza soluzione o un sogno che resta addosso. E, un po’ come in Inception (2010) di Christopher Nolan, dove i personaggi che viaggiano nei sogni portano con sé un talismano per ancorarsi alla realtà, anche qui potrebbe essere utile stringere qualcosa tra le mani, e non perdere d’occhio il compagno o la compagna con cui si esplora il luogo. Forse è questo lo spazio generativo dell’immaginazione: ciò che non vediamo, ciò che supponiamo dietro un muro.

1 G. Perec, Specie di Spazi (1989), tr. It. R. Delbono, Bollati Boringhieri, Torino 2018.
2 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione (1945), tr. it. A. Bonomi, Bompiani, Milano 2003.

Alessandra Cecchini (Rieti, 1990). Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Perugia e all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 2019 entra a far parte dell’artist-run space romano Spazio In Situ e dal 2020 è nella redazione di ISIT. La sua ricerca artistica prende avvio da riflessioni intorno ai concetti di identità e memoria e al rapporto di questi ultimi con l’immagine e le dinamiche attraverso le quali questa determina la nostra percezione del mondo. Quest’ultimo, frammentato e ricomposto, contrapposto e duale, appare come il territorio di incontro-scontro tra reale e virtuale, entro il quale l’artista ricerca degli elementi contraddittori e dei confini labili così come degli spazi di continuità.
Fra le ultime mostre: The Spanish Steps, a cura di Luca Caddia and Fulvio Chimento, in collaborazione con Ella Francesca Kilgallon e Carlotta Minarelli (Keats and Shelley House, Roma, 2025); Tsunami, a cura di Ludovica Tata (Liminal Space, Roma, 2025); Pit-stop (con un contributo di Cesare Pietroiusti, Spazio In Situ, Roma, 2025); The Voyage Out, a cura di Domenico De Chirico (A.MORE Gallery, Milano, 2024); Be the difference...with Art! (Museo Canova, Possagno, 2024); Name: Crungus Classification: unknown, a cura di Caterina Taurelli Salimbeni (Parentesi Tonde, Palermo, 2024); Just add water: something fishy (PrimaLinea Studio, Roma, 2024); Performa, a cura di Collettivo Ostiense (Università di Roma Tre, 2024); Solar Dogs, a cura di Caterina Taurelli Salimbeni (Spazio In Situ, 2023), Fotoelettrico, a cura di Davide Silvioli (duo show, MA PROJECT, Perugia, 2023), Mostra dei finalisti del Talent Prize 2022 (Museo delle Mura di Roma, 2022), Materia Nova, Nuove generazioni a confronto, a cura di Massimo Mininni (Galleria d’Arte Moderna di Roma, 2021), Contenere il cielo (Chippendale Studio, Milano, 2020).

Riccardo D’Avola a.k.a Riccardo D’Avola-Corte vive e lavora tra Roma dal 2021. Dal 2023 è parte di PrimaLinea Studio. Si è formato all’Accademia di belle arti di Brera, Milano sotto la guida di Gianni Caravaggio e Fabrizio Gazzarri. Ha esposto in vari spazi, gallerie e musei, tra cui, nel 2017, con il caffè internazionale di Palermo ha esposto al MAXXI per “the independent”. Nel 2019 ha realizzato la sua prima mostra personale negli Stati Uniti “You will never understand what your caresses leaving on me” curata da Ben Sang per Final Hot Desert (Bonneville Salt Flats, Utah, Stati Uniti) e per Hyperspace Lexicon volume 4 a cura di Nicholas Campbell (Los Angeles, California) nel 2021. Ha partecipato a Infinite-Scroll al TraumabarundKino di Berlino con I8I durante la Berlin Art Week 2021. Ha preso parte al progetto Falconer con il collettivo I8I. La ricerca di Riccardo D’Avola Corte si è articolata nel tempo su vari fronti ed immaginari, questi sempre in bilico tra un sentire comune e intimità. Il suo è uno sguardo diventato pratica che s’insedia nelle fenditure della realtà, nelle incomprensioni, nei conflitti, negli scontri, nelle tensioni di ciò che lo circonda e di ciò che vive. Incomprensioni, limiti, che diventano il punto di partenza per indagare, e comprendere ciò che emerge fino a trasfigurare tutto, senza mai alterarne l’essenza. Storie di residui che diventano arabeschi, storie di ripetizioni, ma soltanto per coglierne le differenze nella stratificazione del tempo. Velocità, erotismo, lentezza, profondità, coesistenza, tempo, naturale e artificiale, sono sempre state le fondamenta della sua pratica, le tracce su cui poter comparare e far scontrare i vari livelli di realtà, di presente che trasmigrano nel suo lavoro. L’idea è quella di voler costruire una visione senza immagine, di creare uno scavalcamento per superare “lo schermo” che si pone davanti al testimone dell’opera. Minare un equilibrio, ferirsi ed accarezzarsi con la pittura. Configurare un corpo nudo e tagliente, ma anche candido e sensuale, sempre in attesa di sfuggire o di sprofondare nel confine in cui noi tutti siamo.

Caterina Taurelli Salimbeni (Roma, 1992) è curatrice e scrittrice. La sua pratica si sviluppa attraverso progetti editoriali, mostre e programmi pubblici, concentrandosi sul potenziale narrativo del reale. È stata direttrice artistica di Manifattura Tabacchi a Firenze e ha collaborato con istituzioni a Parigi, Milano, Roma, Firenze, Cape Town e Venezia. Attualmente lavora presso il MACRO - Museo d’Arte Contemporanea di Roma.

Struttura esplora il divario tra realtà e rappresentazione, indagando come il mezzo — nella sua qualità sensibile e percettiva — influenzi e modifichi la comunicazione. L’interazione tra contenuto e forma, una ricerca sul modo in cui il mezzo stesso modula l’esperienza e il significato di ciò che trasmette.

Alessandra Cecchini e Riccardo D’Avola-Corte . Dato un muro, che cosa succede dietro?
con un testo Caterina Taurelli Salimbeni

La visione delle opere è prevista per un pubblico di due persone alla volta
visite su appuntamento
Struttura, piazza Santi Apostoli, 81-Roma

Oltre il linguaggio: dove le parole diventano luogo


Nel contesto del progetto espositivo “La Materia dei Luoghi Immaginari”, la galleria Sabato Angiero Arte ospita l’evento conclusivo “Oltre il linguaggio: dove le parole diventano luogo”, un incontro dove l’arte si fa ponte tra pensiero e percezione, tra visibile e immaginario.

L’iniziativa, che coinvolge artisti e pensatori, esplora la parola come strumento generativo, capace di costruire  spazi che non seguono le leggi della geometria, ma quelle dell’immaginazione e della mente. Al centro del progetto, la parola non è solo mezzo di comunicazione, ma diventa materia viva, essenza creativa e veicolo di trasformazione.

Tra i protagonisti dell’evento:
Giuseppe Caccavale, artista e poeta, presenta “Lettera ad un amico napoletano”, un'opera intima e poetica in cui la parola scritta diventa disegno, spazio e presenza. Il testo, affidato alle mani del destinatario, prende  forma sulle pareti, trasformandosi in tessitura emotiva che unisce distanza e prossimità.
Il filosofo Giuseppe Ferraro accompagna il pubblico in un viaggio attraverso il linguaggio, vissuto non solo come strumento, ma come energia creativa. Il suo intervento si propone come riflessione profonda sulla parola come esperienza e costruzione di senso, oltre i confini del linguaggio convenzionale.
I giovani artisti Fatima Benedetto, Simone Luciano e Nicola Zucaro, propongono una riflessione sul silenzio e sull’assenza di parole con l’opera “No More Words”, una scritta in nastro adesivo, un testo e un video che denunciano la saturazione del linguaggio contemporaneo, invitando a una pausa significativa e a un ascolto del non detto. Il fotografo Peppe Maisto, offre un atto di resistenza poetica con un lavoro che attraversa il buio dell’esperienza umana, illuminato solo dalla torcia testarda della speranza. Un frammento scritto nel silenzio di una soffitta diventa eco universale. Giuseppe Cerrone, infine, chiude la serata con il monologo “Tenere un cece in bocca”, un invito a riflettere sul potere del silenzio, spesso dimenticato in una società logorroica e rumorosa.

“Oltre il linguaggio” è un invito ad abitare luoghi immaginari dove la parola crea mondi, disegna distanze e accorcia le assenze. È uno spazio dove arte, filosofia e poesia si intrecciano per generare nuove visioni del reale.



“Oltre il linguaggio: dove le parole diventano luogo”
Ultimo appuntamento del ciclo espositivo “La Materia dei Luoghi Immaginari”
visitabile fino ad agosto 2025


Sabato Angiero Arte, Saviano (NA)
Via Padre Girolamo Russo,9 Saviano (NA)

Per informazioni stampa e contatti:
studiocomunicazioni@gmail.com
wwwsabatoangierosabatoarte.com

domenica 11 maggio 2025

RUMORE BIANCO di Michele Attianese

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In corso presso la galleria Centometriquadri Arte Contemporanea di Santa Maria Capua Vetere la nuova mostra personale di Michele Attianese, dal titolo Rumore Bianco, a cura di Rita Alessandra Fusco.

Un gradito ritorno, quello di Attianese, dopo qualche anno di pausa dalla scena espositiva, che riassume il punto di vista attuale dell’artista, la sua visione del mondo, attraverso il dialogo tra opere nuove e del passato. Trait d’union del suo discorso, la costante sperimentazione dei linguaggi e dei materiali, l’intreccio emotivo tra i pensieri piú intimi e la realtà circostante, racchiusa in una ricercata metafisica delle emozioni.


RUMORE BIANCO di Michele Attianese
a cura di Rita Alessandra Fusco
fino al 5 giugno 2025

Centometriquadri arte contemporanea
Via Carlo Sant'agata, 14
Santa Maria Capua Vetere (Ce)

Orari di apertura su appuntamento
Sergio Gioielli +39 339 438 7214
gioser2005@libero.it

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