venerdì 26 febbraio 2021

DUE | Kazuna Taguchi


Kazuna Taguchi è una pittrice che lavora con la fotografia. Le sue opere sono estremamente affascinanti e uniche per tecnica e contenuti.

In occasione della sua prima mostra personale a Roma, l’artista giapponese, da molti anni residente a Vienna, presenterà una serie di nuove fotografie realizzate nel 2020. La mostra inaugura il novo spazio espositivo a Roma della galleria viennese Ermes Ermes.

Kazuna Taguchi (*Tokyo, 1979) vive e lavora a Vienna. Ha concluso i suoi studi presso la Tokyo University of the Arts con un MFA e un dottorato di ricerca in pittura. Fra le mostre si ricordano: Why do birds suddenly appear?, Galerie Martin Janda, Vienna (2020); The Unremarkableness of Disobedient Desire, Lucie Drdova Gallery, Praga (2020); Autumn Sale of Dreams and Love, Significant Other, Vienna, (2019); Is there something I should know, Vinifero, Vienna (2019); Reading Images: The Time of photography, Tokyo Photographic Art Museum, Tokyo (2019); And, Then, Museum Haus Kasuya, Kanagawa, (2019); The Eye of Eurydice, Void+, Tokyo, (2019); Retrospective of museum collection: 2014→1890, The National Museum of Art, Osaka, Osaka, (2018); Wienfluss, Museum Haus Kasuya, Kanagawa (2017); Sleeping Beauty, Hiroshima City Museum of Contemporary Art, Hiroshima (2014); The Crimson Sun, ShugoArts, Tokyo (2013); Somewhere Between Me and This World- Japanese Contemporary Photography, Tokyo Metropolitan Museum of Photography,Tokyo (2012); Pandemonium, XYZ Collective, Tokyo (2012).

ERMES - ERMES
Via dei Banchi Vecchi, 16 - Roma - Lazio
fino al 25 marzo 2021
Kazuna Taguchi | DUE
Orari di apertura: mercoledì – venerdì, ore 14.00 – 18.00 o su appuntamento: info@ermes-ermes.com

www.kazunataguchi.com/cv.html
www.ermes-ermes.com/upcoming

Covid-19 – norme di comportamento:
I visitatori devono indossare una mascherina di protezione FFP2, mantenere 2m di distanza dallo staff di galleria e dagli altri visitatori e devono fornire un loro recapito per eventuale contact tracing. La capacità della galleria può ospitare al massimo 2 visitatori alla volta. Si prega gentilmente di attendere fuori in caso di capacità raggiunta.  Si prega gentilmente di non visitare la mostra in caso di sintomi associati al Covid-19 o se si è stati in contatto con persone che hanno sintomi legati al Covid-19.


pubblica: 


mercoledì 24 febbraio 2021

LADDER TO THE MOON: Lula Broglio, Giulia Mangoni, Eugenia Mussa, Marta Roberti


Ladder to the Moon è il titolo di un dipinto realizzato da Georgia O’ Keefe nel 1958, conservato al Whitney Museum di New York. Viene considerato per lo più un dipinto astratto, ma di astratto non ha assolutamente nulla. Sullo sfondo di un cielo latteo/acquamarina si staglia una rudimentale scala tesa verso un quarto di luna; molto basso, quasi un accenno, il paesaggio di Gost Ranch, nel New Mexico, con la montagna Pedestal. E’ un dipinto fortemente evocativo, essenziale, primitivo, quasi mistico. Si legge che nella cultura del Pueblo, che la O’ Keefe ha studiato a lungo, la luna rappresentava il congiungimento con le forze ancestrali e superiori. E’ una visione potente, ambiziosa. In un qualche modo simboleggia il tendere verso un qualcosa e rappresenta lo strumento per farlo. Ladder to the Moon è anche il titolo scelto per questa nuova mostra da Monitor, che vede una partecipazione tutta al femminile, dopo la mostra romana del 2019 If It is Untouchable it is not beautiful: Lula Broglio, Marta Roberti, Giulia Mangoni ed Eugenia Mussa sono le protagoniste di questa nuova mostra collettiva.

I passetti felpati di un levriero in un cappottino azzurro attraversano le strade del centro di una Torino deserta mentre l’artista compie una delle sue passeggiate notturne. Il cane cammina da solo, senza il suo padrone, ma con passo sicuro e sostenuto tanto da non sembrare affatto smarrito ma più, se vogliamo, un’epifania, un’apparizione misteriosa e magica. Voom Voom di Lula Broglio (Sanremo, 1993) apre la mostra, con la sua atmosfera surreale, i colori accesi, traslazione di una città che si inizia ad esplorare senza appartenervi e in cui ci si sente “come un palazzo degli anni Cinquanta, quelli con i lampadari di vetro, grandi e squadrati, che quando ci passi sotto hai paura che ti caschino in testa […] quegli edifici con gli ingressi ricercati, accoglienti e silenziosissimi con quella moquette fanè e polverosa, ma nonostante tutto con un bel colore vivace e felice (Broglio, ATPdiary, 2020)”. 
Nella stessa stanza, fanno da contraltare dei piccoli, squillanti camei di Eugenia Mussa (Maputo, Mozambique 1978) artista di origine africana ma di stanza a Lisbona, che usa immagini tratte da filmati amatoriali di varia provenienza e periodo - famiglie in piscina, signore ad una parata, cheerleaders, giocatori di golf - trasformandole attraverso l’uso di colori fluo, in scene di appagante tranquillità. Colori che, fugacemente portati dalla televisione o dalle riviste allo sguardo dell’artista bambina, contrastavano il grigiore di una vita in un paese tormentato dalle guerre civili, rappresentando l’unico mezzo di comunicazione con la normalità. 
Marta Roberti (Brescia 1977) negli ultimi sette anni, ha compiuto diversi viaggi in Oriente, dimorando principalmente a Taiwan. Più volte l’artista nelle sue interviste ricorda di aver lasciato molto presto i luoghi della sua infanzia, i cui paesaggi e natura ritornano spesso nei suoi lavori frammisti alle suggestioni delle atmosfere taiwanesi. Nelle sue opere Roberti indaga il rapporto tra Occidente ed Oriente ed in particolare modo “come l’identità occidentale si costituisca a partire da ciò che ritiene essere altro da sé: dagli animali alla natura, a tutto quello che è considerato diverso ed esotico (Roberti)”. In Ladder to the Moon sono esposti grandi disegni - il disegno è il medium più congeniale all’artista - in cui nudi femminili assumono pose legate alla meditazione yoga e alle asane ed ispirate al mondo animale, cui questa forma di meditazione si ispira per ritrovare uno stato di grazia. 
L’italo-brasiliana Giulia Mangoni (Isola del Liri, 1991) dopo un decennio in Brasile torna nella sua cittadina natale, riprendendo il legame con “le storie e le mitologie rurali, feudali e postidustriali, utilizzando dispositivi rappresentativi come un modo per metabolizzare e negoziare queste influenze stratificate (Mangoni)”. Le opere esposte in galleria, vedono il recupero di antiche iconografie locali sotto forma di statuette decorative, realizzate da un artigiano di Sora con il quale l’artista ha uno scambio durevole e costante. Le immagini, quasi primitive, si uniscono ad una componente propria nella carnosità della pittura sudamericana in alcune pennellate, nel cesello degli abiti e dello sfondo. 

Ladder to the Moon può esser interpretata come una indagine, parziale, appena accennata, ed assolutamente non esaustiva del panorama che riguarda la pittura figurativa attuale ed alcune delle artiste che lo rappresentano. Artiste appartenenti a diverse generazioni e provenienze culturali. Artiste apparentemente molto diverse, per tecnica pittorica e genesi del lavoro ma accomunate da un’unica tensione che sottende la ricerca dell’altro da sé, delle memorie ancestrali od oniriche, o semplicemente, appartenenti alla storia di un passato ignoto e lontano ma che viene sublimata e fatta propria.


LADDER TO THE MOON
with Lula Broglio, Giulia Mangoni, Eugénia Mussa, Marta Roberti

MONITOR ROME
Palazzo Sforza Cesarini
via Sforza Cesarini 43a
00186 Roma
T: +39 0639378024
M: monitor@monitoronline.org

Open day: Saturday February 27th
11am – 7 pm

*In accordance with the guidelines of the D.P.C.M. December 3, 2020 and to avoid crowds, the opening of each exhibition’s cycle does not include an opening night. The exhibition will be open to the public from the date indicated and it can be visited according to the usual opening hours of the gallery (Tue – Fri 1- 7 pm). No reservation is required to visit the exhibition, but the entrances will be limited and it will be possible to access wearing your own face mask.


martedì 23 febbraio 2021

RIPARTIRE DALL’ARTE E DAL MERCATO - Incontri con Esperti del Settore per gli studenti dell'Accademia delle Belle Arti Fidia


RIPARTIRE DALL’ARTE E DAL MERCATO
Un ciclo di incontri tra l’Accademia delle Belle Arti Fidia e i massimi Esperti del panorama nazionale

Con ospiti eccezionali come Alberto Fiz che ha arricchito la lezione con un intervento sulla speculazione del mercato, Adriana Polveroni attraverso un affondo sul sistema delle Fiere, Cristina Dinello Cobianchi con la realtà straordinaria dello spazio no profit di Album Arte, e Marco Comito con i consigli per promuovere il proprio lavoro e fare l'art dealer, l’Accademia delle Belle Arti Fidia, una delle istituzioni calabresi più attive, diretta da Michele Licata, attraverso il ciclo di “Incontri con gli Esperti”, dal 2 febbraio al mese di giugno, a cura della professoressa Anna de Fazio Siciliano, grazie all’operatività dello staff Sergio Morabito, propone una serie di incontri virtuali che ha visto finora la partecipazione di quattro grandi esponenti della cultura artistica e del mercato italiano.

La Calabria, regione d’Italia percepita spesso come periferica, vuole farsi portatrice di novità e luogo dove riaccendere un fermento artistico e culturale anche attraverso il confronto interdisciplinare tra allieve e allievi con docenti ed esperti del panorama nazionale.

In prospettiva di uno sviluppo professionale per le allieve e gli allievi dell’Accademia, appare azzardato parlare di un sistema e mercato dell’arte che, soprattutto alla luce di una situazione già precaria vista la chiusura di molte gallerie, adesso resa ancora più insostenibile con l’aggravante dell’emergenza sanitaria, fatica a sopravvivere.

Ecco che l’iniziativa degli “Incontri con gli Esperti” con l’obiettivo di riaccendere la luce su queste tematiche in questa regione, rappresenta una sfida coraggiosa e controtendenza.

Punto di partenza della serie di incontri è il mercato dell’arte, materia del corso tenuto dalla docente de Fazio Siciliano; tuttavia, si è reso necessario ampliare la discussione con considerazioni critiche e storiche della classe docente (finora di Isabella Battista, Loredana Cacucciolo, Domenico Carteri, Carmelo Cipriani, Gianluca Covelli, Giovanni Marziano) sulla realtà anche museale e culturale del territorio complesso dove la proposta è nata.

La serie di incontri, mediante un dialogo diretto, sta favorendo un proficuo scambio di idee e di energie positive e ha lanciato un segnale di volontà di riapertura verso quella vivace contaminazione che ha contraddistinto l’eredità della storia calabrese, quando il baricentro della cultura era più propizio a questa altezza geografica. 

Il prossimo appuntamento da mettere in agenda è a marzo, presto le informazioni.

La serie di incontri sarà presto raccontata in un documento pubblico.

Press office Artpressagency



lunedì 22 febbraio 2021

WORLDVIEW: ANTROPOLOGIA DELL’ECO-VISIONE

Pam Longobardi - Sappho Mirror

Worldview: Antropologia dell’eco-visione, è un progetto di ricerca ed una mostra d’arte contemporanea, che testimonia con un approccio esperienziale e artistico, l'interferenza che l'attività umana ha prodotto sui cicli naturali del pianeta, proponendo una riflessione sull'impatto della nostra specie sulla Terra, più che mai attuale nel momento di una pandemia globale e che mette fortemente in discussione l'equilibrio instabile tra uomo e natura.

Organizzata da Primo Piano LivinGallery| Progetti & Servizi per l’Arte Contemporanea, con la cura di Dorese Rose Sacquegna,la mostra avrà luogo dal 26 Febbraio al 18 Marzo presso la Fondazione Palmieri a Lecce. Con il Patrocinio del Comune di Lecce - Assessorato alla Cultura e in partnership con la Fondazione Ionion Center for Arts and Culture di Cefalonia (Grecia), l’evento ha una mission comune che unisce il lavoro di artisti, curatori, ricercatori, attivisti per educare attraverso l’arte allo sviluppo sostenibile riducendo il consumo di materiale plastico, per proporre processi virtuosi di cambiamento dei comportamenti e degli stili di vita.

In questo contesto – e in anteprima nazionale - il progetto KEFALONIA PLASTIC FREE, iniziato in Grecia nel 2013, dall’artistaeco-femminista americana PAM LONGOBARDI(New Jersey, 1958),con la sua squadra Drifters Project che si occupa di esaminare, documentare, raccogliere e identificare le prove del crimine di inquinamento da plastica. Progetto supportato tra gli altri dall’organizzazione mondiale di Plastic Pollution Coalitionche mobilita cittadini, artisti, attivisti e curatori, per un impegno sociale condiviso in favore della tutela ambientale, partendo da una isola alla volta. 

Pam Longobardi vive ad Atlanta dal 1970. Figlia di un bagnino biochimico oceanico della Union Carbide e della campionessa di immersioni dello Stato del Delaware, Pam è collegata all’acqua sin dalla tenera età. Con Drifters Project, entità collaborativa globale, si centralizza la figura dell’artista come operatore culturale-attivista-ricercatore. Tra i vari progetti ha partecipato alla spedizione GYRE nel 2013 nelle remote aree costiere dell'Alaska ed è stata protagonista di un film della National Geographic. Vincitrice del Premio Hudgens - il più prestigioso premio assegnato ad un artista in Nord America – la Longobardi è presente nelle pubblicazioni della National Geographic, Sierra Magazine, Weather Channel e in mostre e collezioni museali internazionali. È parte del “Oceanic Society’s Artist In Nature”e Professoressa distinta e Onoraria presso la Georgia State University. 

Oltre alla Longobardi, altre figure professionali hanno contribuito al progetto di tutela ambientale in terra greca, tra cui qui la curatrice francese Sarina Basta, la direttrice della Fondazione Ionion Center di Kefalonia, Sophie Giannakis-Kagadis la performer e attivista americana Susan Knippenberge Dores Sacquegna(co-curatrice della mostra in corso). 

In performance, Massimiliano Manieri in collaborazione con Mafalda Greco per “WAP II ovvero World After Plastics / il mondo dopo la plastica”, al suo secondo atto ( il primo è stato presso Castel Dell’Ovo a Napoli nel 2020). L’azione evidenzia il patimento dell’essere umano nei confronti di una civiltà inquinata dalla plastica. Manieri è nato nel 1968 a Copertino (Lecce), poeta, performer e artista visuale, espone a livello nazionale e internazionale. Opera con la Primo Piano LivinGallery dal 2008. 

Worldview è una visione globale e in questo evento sono presenti artisti dall’Europa all’America, dall’Asia all’Australia, dal Brasile al Medio Oriente, che riflettono con le loro opere sui concetti di Nature-Naturans, Sostenibilità-Adattamento, Cambiamento-Coesistenza.

Tra installazioni, fotografia, pittura e tecniche multimediali le opere dell’artista Cileno e residente a Milano, Hérnan Pitto Bellocchio(di cui si ricorda la presenza per il suo intervento alla stazione di benzina a Gagliano del Capo durante la sua residenza artistica nel 2020) e qui presente con nuove opere, di cui una di esse rende omaggio alla città di Lecce, l’artista Cipriota Aristi Hadjisavva, gli artisti francesi Yann Jettaine Timothée Peignier, l’artista svizzera Brigitte Müller Hunziker, il brasiliano Luciano Fonseca Pinheiro, il venezuelano Alberto Riera, la giapponese Tomomi Sato, l’artista lussemburghese Margot Reding-Schroeder, l’artista olandese e residente in Australia Nel Ten Woldee gli artisti italiani Luca Bray, bresciano residente a Lecce e Luisa Elia, salentina che vive ed opera tra Milano e il Salento. 

Completa la mostra la rassegna di video arte e short films di: Nathaniel Cas Ancheta curatore-artista americano, del duo francese Nancy & Philip Barwell, della filmaker turca Irem Coban, del trio performativo italiano Gruppo Sinestetico, della regista americana Kacie Lees, dell’artista italiano Raffaele Quida (presente anche con opere visuali), della filmaker croata Tanja Ravlic





WORLDVIEW: ANTROPOLOGIA DELL’ECO-VISIONE

A cura di Rose e Dores Sacquegna

Dal 26 Febbraio al 18 Marzo 2021
Inaugurazione Venerdì 26 Febbraio ore: 18:00
Fondazione Palmieri, Lecce

Fondazione Palmieri, Vico Dei Sotterranei, Lecce (Chiesa di San Sebastiano)

Giorni e orari per la visita: Dal Lunedì al Venerdì: 16:00-20:00. Mattina: 11:00-13:00 solo su appuntamento 

INFO: primopianogallery@gmail.com | Tel + 39 349 37 20 659 

Accesso consentito dal Nuovo DPCM del 14 Gennaio 2021 in materia di riapertura di Mostre, Musei, Biblioteche, Archivi e tutte le attività Ricreative nelle zone gialle e secondo gli indirizzi di tutela per la salute di utenti e lavoratori. Obbligo di mascherina e accesso contingentato.


venerdì 19 febbraio 2021

Tomaso Binga - Locus


Per festeggiare un importante traguardo, i 90 anni di Tomaso Binga, la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, il Lavatoio Contumaciale, la FUIS-Federazione Unitaria Italiana Scrittori e l’Associazione FigurAzioni, sono liete di annunciare la conclusione performativa dell’opera Locus che sarà conclusa nella sede romana della Fondazione, in via dei Monti di Pietralata 16 (Roma), dal 20 febbraio al 10 aprile 2021. 

Homo ornat locum - non hominem locus è la frase che si può leggere guardando nel suo insieme Locus, una grande opera realizzata da Tomaso Binga nel 2005 (mai presentata al pubblico e incompiuta) su un progetto del 1995 che fa parte del ciclo Biographic dove la scrittura, per osmosi, diventa pittura: «nell’85 ho stipulato un armistizio tra Scrittura e Pittura con il Biographic che ho presentato alla XI Quadriennale di Roma». 

Per l’occasione l’artista recupera la scritta di Cicerone HOMO LOCUM ORNAT - NON HOMINEM LOCUS (L’uomo nobilita la dimora – non la dimora l’uomo) MCMXXIV A FUNDAMENTIS presente sul fronte di un palazzo in piazza Perin del Vaga, realizzato nel 1926 dall’architetto Marcello Piacentini, che ospita il Lavatoio Contumaciale, associazione nata per volere di Binga che inaugura nel 1974 con una sua performance (Parole da conservare Parole da distruggere), per sottolineare che quello spazio dell’arte, la casa dell’artista appunto, è anche a pieno titolo uno spazio che si apre all’aperto dell’altro, «a divenire casa di chiunque voglia contribuire in modo operoso, come esecutore creativo o fruitore non passivo, alla realizzazione dell’arte»: di un’arte in contumacia, di un pensiero divergente e di una necessaria disobbedienza nei confronti dei conformismi, delle sterili convenzionalità. 

Composto da venti elementi (e precisamente da dieci grandi tele 190x100 sormontate da altrettante piccole tele 35x100 che vanno a delineare una sorta di fregio in cui si prolungano e vibrano i segni del Biographic) il maestoso lavoro è una operazione performativa collettiva che prende forma e si realizza con l’apporto e il coinvolgimento del pubblico. In Locus, che è la casa dell’artista, ma anche di colui che la frequenta, Binga vuole chiedere oggi agli amici dell’arte e del cuore di lasciare una piccola traccia di sé sulla superficie del grande quadro per modificarlo e aiutarlo a crescere, per portare a conclusione quella operazione avviata appunto negli anni Novanta del secolo scorso e mai terminata. (Le tracce saranno documentate via via in un quaderno che raccoglierà le firme di quanti hanno agìto sull’opera). 

* In ottemperanza alle norme il pubblico è vivamente invitato a indossare la mascherina, utilizzare il disinfettante per le mani all’ingresso della mostra e mantenere la distanza sociale di almeno un metro.



Tomaso Binga Locus
a cura di Antonello Tolve e Stefania Zuliani
inaugurazione sabato 20 febbraio 2021 ore 11:30
Via dei Monti di Pietralata 16 - Roma

<<< dal 22 febbraio al 10 aprile ingresso solo su prenotazione tel. +39 349 58 13002 >>> 
L’artista sarà presente il 20 febbraio, alle ore 12:00, in diretta facebook al link
https://www.facebook.com/tomaso.binga, con riprese video a cura di Rosa Galantino

giovedì 18 febbraio 2021

Luisa Lambri | Autoritratto

Luisa Lambri, Untitled (Sheats-Goldstein House, #14). Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano e Thomas Dane Gallery

Il PAC presenta la prima ampia mostra personale di Luisa Lambri in Italia, un progetto espositivo pensato e sviluppato appositamente per il padiglione milanese.

Concentrandosi principalmente sulla fotografia, il lavoro di Lambri è caratterizzato da un impegno con un esteso spettro di soggetti che ruotano attorno alla condizione umana e al suo rapporto con lo spazio, come la politica della rappresentazione, l’architettura, la storia della fotografia astratta, il modernismo, il femminismo, l’identità e la memoria. L’installazione delle sue fotografie e lo spazio espositivo costituiscono una parte integrante del suo lavoro. Ogni nuovo luogo che accoglie una sua installazione presenta qualità uniche con le quali l’artista interagisce, rendendo ogni progetto un’opera site-specific. Le opere di Lambri non sono mai installate indipendentemente dalla struttura che le ospita.

Il titolo della mostra al PAC è un omaggio alla critica d’arte Carla Lonzi che nel 1969, prima di lasciare la professione per dedicarsi alla militanza femminista, pubblica sotto il titolo di “Autoritratto” una raccolta di interviste con quattordici artisti scelti da lei nell’esperienza dell’avanguardia anni ‘60. Il dialogo che ne deriva dà una dimensione degli artisti privata e che privilegia il loro ruolo attivo nel parlare in prima persona di sé e del proprio stare nell’arte e nel mondo. Allo stesso modo Lambri costruisce letture personali e intime dei soggetti da lei scelti per i suoi lavori e incoraggia un dialogo tra l’osservatore, l’opera d’arte e lo spazio in cui si trova nel loro complesso.

Il progetto al PAC si concentra sui rapporti tra le opere di Lambri e l’architettura di Ignazio Gardella. Le fotografie diventano una vera estensione dello spazio e, di conseguenza, l’architettura di Gardella e l’esperienza soggettiva dei visitatori una parte integrante del lavoro.

Una vasta selezione di opere, alcune mai presentate prima in Italia e realizzate tra il 1999 e 2017, sottolineano la sua tendenza a lavorare in serie. Lambri si pone in dialogo con il lavoro di artisti come Donald Judd, Robert Irwin, Lygia Clark e Lucio Fontana oltre che il lavoro di architetti come Álvaro Siza, Walter Gropius, Marcel Breuer, Mies van der Rohe, Luis Barragán, Rudolph Schindler, Paulo Mendes da Rocha e Giuseppe Terragni, tra gli altri.

L’allestimento della serie Untitled (Sheats-Goldstein House), 2007, nel parterre del PAC, coinvolge anche un altro importante architetto: l’italiana Lina Bo Bardi, che nel 1957 ricevette l’incarico per la progettazione del nuovo Museo di Arte Moderna di San Paolo del Brasile (MASP). Le dieci fotografie selezionate sono esposte sui cavalletti realizzati da Bardi per il museo brasiliano, qui riprodotti in collaborazione con l’Instituto Bardi di San Paolo.

Nata a Como nel 1969, Luisa Lambri attualmente vive a Milano. Il suo lavoro è stato esposto alla Quadriennale di Roma (2020 e 2005), alla Triennale di Cleveland (2018), alla Biennale di Architettura di Chicago (2017), alla Biennale di Liverpool (2010) e alla Biennale di Venezia (Architettura 2010 e 2004; Arte 2003 e 1999). Le hanno dedicato mostre personali il Met Breuer di New York (2017) e l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (2012), l’Hammer Museum di Los Angeles (2010), il Baltimore Museum of Art (2007), la Menil Collection di Houston (2004) e Kettle’s Yard di Cambridge (2000), e le sue opere sono state esposte in numerose collettive, tra le tante al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh (2019 e 2006), alla Tate Modern di Londra (2018), al Museum of Contemporary Art di Chicago (2009). Il lavoro di Lambri è incluso inoltre in diverse collezioni, tra le quali il Museum of Modern Art di San Francisco, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles e il Solomon Guggenheim Museum di New York.

La mostra è co-curata da Diego Sileo e Douglas Fogle, e sarà accompagnata da un catalogo bilingue che comprende le immagini delle opere esposte, le vedute di installazione e nuovi saggi critici.

Luisa Lambri
AUTORITRATTO
16.02 - 30.05.2021
a cura di Diego Sileo e Douglas Fogle


INFO E ORARI 
Martedì, mercoledì e venerdì 
10:00—19:30
Giovedì 10:00—20:30

Lunedì, sabato e domenica CHIUSO
Ultimo ingresso un'ora prima della chiusura

È consigliata la prenotazione.

via Palestro 14
Milano — 20121

lunedì 15 febbraio 2021

Luigi Presicce - Le Storie della Vera Croce

In hoc signo vinces - Le storie della vera croce | foto Daniele Pezzi

La storia dell’essere umano è stata costantemente attraversata da guerre e conflitti originati da motivazioni religiose, politiche, culturali ed economiche. Nello stesso modo, il presente non riesce a svincolarsi o a differire da queste problematiche che sembrano essere intrinseche e ataviche e, così, i tempi incerti che ci sovrastano sono caratterizzati da una quotidianità che viene sistematicamente sommersa dai continui tentativi di destabilizzazione. Una ricerca di predominio, controllo e imposizione di determinate ideologie che segna ed evidenzia l’urgenza attuale del progetto di Luigi Presicce presentato negli spazi del Mattatoio. 

In particolare, il progetto raccoglie un ciclo di dieci episodi, iniziato nel 2012 e intitolato Le Storie della Vera Croce, che compone un’unica grande opera esposta per la prima volta nella sua totalità. Dieci capitoli, formati da un totale di diciotto performance, che vengono presentati attraverso la loro documentazione video, realizzata inizialmente da Francesco G. Raganato e successivamente da Daniele Pezzi, in cui la pittura diventa tuttavia il centro nevralgico dell’impianto espositivo. Da questa articolazione iniziale si declina un palinsesto a scadenza settimanale conformato da sei tableaux vivants intorno a cui un numero preciso di artisti invitati creano delle sedute di pittura dal vivo, insieme a quattro dialoghi di approfondimento e una rassegna cinematografica.

Il ciclo Le Storie della Vera Croce trae la sua ispirazione dalle omonime vicende del Sacro Legno tratte da La Legenda Aurea di Jacopo Da Varagine (1228-1298) e dalla Sacra Bibbia. A questi due testi hanno fatto riferimento Agnolo Gaddi (1350-1396) e Piero Della Francesca (1416-1492) nella realizzazione di due dei più significativi cicli pittorici dell'arte italiana del '300 e del '400, rispettivamente in Santa Croce a Firenze e in San Francesco ad Arezzo. Luigi Presicce attraverso queste dieci tappe ripercorre e affronta su piani paralleli episodi della storia del Sacro Legno miscelati ad avvenimenti e personaggi storici e contemporanei di rilevanza sociopolitica, simbologie alchemiche e di natura esoterica, senza risparmiare neanche il tema delle guerre scatenate dagli scontri tra religioni che hanno attraversato la storia. Le scenografie, volutamente incoerenti con l’epoca originale degli avvenimenti, costruiscono una successione di narrazioni anacronistiche attraverso quadri statici che ci osservano e ci invitano ad addentrarci in un immaginario estremamente singolare che coinvolge opposti quali percorso iniziatico e materialismo postmoderno, fede misterica e confutabilità scientista.

Seguendo una ricerca legata a media spesso molto differenti tra loro come la pittura e la performance e accostando mitologia, storia, superstizione e religione, il dispositivo di Luigi Presicce alterna la rappresentazione in formato video delle sue performance con una maniacale ricerca sulla pittura. Dallo spegnimento dei video nascono performance, incontri e proiezioni cinematografiche incentrate sulla pittura dal vivo e sui tableaux vivants, attraverso un’eclettica trama di citazioni e rimandi in cui l’artista mescola cultura popolare e culti misterici, folklore e sacralità, storia antica e contemporanea in modo completamente libero e autonomo.

L’artista da una parte dedica una costante attenzione all’uomo e alla sua ricerca verso l’immateriale, dall’altra propone una riflessione sul ruolo che la figura dell’artista, all’interno di questo percorso, assume. In questo modo, il padiglione 9b del Mattatoio si trasforma in uno spazio che invita il visitatore a costruire il proprio percorso iniziatico di attenzione alla storia, alla conoscenza e a un retaggio culturale ormai nebuloso, ma imprescindibili nella nostra definizione identitaria, che si staglia e ritorna attraverso una composizione estetica studiata con una minuziosa ossessione. 

Il progetto Le Storie della Vera Croce di Luigi Presicce è il secondo capitolo del programma triennale Dispositivi sensibili, ideato da Angel Moya Garcia per il Mattatoio di Roma e incentrato sulla convergenza fra metodi, estetiche e pratiche delle arti visive e delle arti performative, attraverso un modello di presentazione che si evolve costantemente. 

La mostra è stata resa possibile grazie alle istituzioni e alle persone che hanno supportato e contribuito allo sviluppo del ciclo “Le Storie della Vera Croce” dal 2012 come Watershed/Intramoenia Extra Art, Barletta; MACRO, Roma; Arte a Capo, Gagliano del Capo (LE); The Blank, Bergamo; ArtOnTime, Castello in Movimento, Fosdinovo (MS); Museo Marino Marini, Firenze; Centrale Fies, Dro (TR); MAGA – Museo di Arte di Gallarate e Azienda Speciale Palaexpo - Mattatoio | Progetto Prender-si cura.

Si ringrazia in particolar modo Francesco G. Raganato e Daniele Pezzi per la realizzazione e la concessione dei video.


LUIGI PRESICCE | LE STORIE DELLA VERA CROCE
9 FEBBRAIO > 2 MAGGIO 2021
a cura di Angel Moya Garcia


Mattatoio
Piazza Orazio Giustiniani, 4 - Roma

Damien Hirst alla Galleria Borghese di Roma

Damien Hirst, The Skull Beneath the Skin, 2014. Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS 2021

DAMIEN HIRST, a cura di Anna Coliva e Mario Codognato, dal 10 maggio al 10 ottobre 2021: un imponente gruppo di opere dalla serie di Hirst Treasures from the Wreck of the Unbelievable saranno esposte in tutte le sale del Museo affiancando i capolavori antichi. Sculture colossali o piccolissime, realizzate in materiali pregiati come il bronzo, il marmo di Carrara o la splendida malachite si inseriranno, insieme ai suoi dipinti Color Space, nel flusso della collezione permanente, in una visione che combina il contemporaneo all’arte del passato, esorta a ripensare i loro statuti e che crea nuovi confini.

DAMIEN HIRST A ROMA
A caratterizzare la primavera dell’istituzione romana sarà la mostra dedicata a Damien Hirst, l’ex “enfant terrible” dell’arte britannica. Attivissimo durante il 2020 con dirette-video sui social network, iniziative umanitarie e raccolte fondi a sostegno del servizio sanitario inglese, l’artista – recentemente al centro di una mostra diffusa nella città di St. Moritz, in Svizzera – presenterà un imponente gruppo di opere dalla serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable (presentata a Venezia nel 2017). Le opere saranno poste in dialogo con i capolavori storici della collezione della Galleria Borghese, innescando un gioco di continui rimandi tra passato e contemporaneità. (fonte Skyarte)


Galleria Borghese
Piazzale Scipione Borghese 5,
00197 Roma, Italia
Tel. +39 0667233753


venerdì 12 febbraio 2021

Soap operas



Soap operas, un richiamo alla precedente destinazione industriale dell'edificio che ci ospita, il saponificio Cella fondato nel 1899. Come noto il termine "soap opera" arriva nel periodo in cui questi sceneggiati erano sponsorizzati da aziende che producevano prodotti per la clientela di casalinghe, e molti di questi erano detersivi.

La tele-novella, e prima ancora la radio-novella, non sono solo una grandissima idea per la radio e la tv ma si basano su di un genere letterario, le novelle, una serie di racconti intrecciati. Senza parlare della foto-novella che ha dato un enorme contributo alla alfabetizzazione di un paese che era in gran parte di analfabeti e parlava solo in dialetto. Insieme alla RAI sono stati fortissimi mezzi di diffusione della lingua italiana. Era anche un potente mezzo politico per far vedere un mondo occidentale ricco ed opulento, far sognare una casa piena di elettrodomestici, un marito che va al lavoro in automobile, una camera tutta per i bimbi, la signora che va a fare la spesa nei negozi pieni di merce ricercata ed alla portata di tutti. Ci sono state anche le case editrici legate al partito comunista di foto- novelle con tematiche sociali come il lavoro, il disagio giovanile, la migrazione da sud a nord ma non hanno avuto successo, quel pubblico voleva sognare una vita agiata in un paese che aveva ancora le macerie della guerra nelle strade. 

Il filo conduttore sono i racconti intrecciati tra queste opere ma andiamo a vederle: La fotografia del giardino in Giappone di Alberto Moro curato come se ogni pezzo abbia un'importanza cosmologica. La fotografia della città norvegese di una miniera abbandonata di Valentina Tamborra, dove la memoria è quasi del tutto sepolta dalla dimenticanza. E Letizia Scarpello unisce queste immagini come i filamenti di gas che collegano i cluster delle galassie nell'universo con la sua installazione. 

Letizia Scarpello ancora con le sue opere che ci riportano alla cosmologia e ricordano i superammassi, strutture di miliardi di galassie scoperte di recente. Michela Cattai ci propone i suoi vetri, compatti e solidi ma nello stesso tempo sembrano leggeri per la loro forma e lucentezza, come le stelle prima di diventare supernove. 

Le sculture di Nadia Galbiati e Flavio Pellerito, due astronavi fatte più di vuoto che di materia, leggere come un pensiero, capaci di viaggiare nel cosmo della nostra immaginazione, come la curiosità dei bambini. 

Livia Sciorilli Borrelli con la textile art ha un progetto del recupero della lana per le sue opere rimandando ad un racconto di pezzi vissuti, Caterina Ruysch Voltolini con la sua bambina in altalena ed i ricordi meditativi dell'infanzia con una sorpresa, ma questo dovete vederlo. 

Il Museo Alessi espone "Comix in the Kitchen", una raccolta di illustrazioni di artisti per gli oggetti di uso casalingo. “A Home Odissey” di Massimo Giacon, “Pollo e guai non mancano mai” di Sergio Cascavilla e “Bon Apetit” di Javier Mariscal. Pezzi che riportano il buon umore quando si va in cucina avendo una valenza artistica notevole.


Installation View

Ferrini Milano

in collaborazione con
House Gallery di Laura Ricci Galleria Bianchi Zardin SLIDE
Museo Alessi

Alberto Moro - Valentina Tamborra - Letizia Scarpello Michela Cattai - Nadia Galbiati - Flavio Pellerito Livia Sciorilli Borrelli - Caterina Ruysch Voltolini Massimo Giacon - Sergio Cascavilla - Javier Mariscal

a cura di Antonio Salvador

Via Ferrini, 3 - Milano

fino al 28 febbraio su appuntamento
visite su appuntamento nel fine settimana, scrivendo ad Antonio Salvador: 
aafsalvador@gmail.com aasphoto@icloud.com

Cielo di giugno di Enrico David



Gió Marconi ha il piacere di annunciare Cielo di giugno, la prima personale di Enrico David in galleria.

Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete di orizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze e disegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensati e appuntati durante il periodo di concepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale. Cielo di giugno marca una soglia nella pratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi” e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati in media e linguaggi differenti. La loro sequenza, oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David come pittore e ha come pretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primo buio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terra o su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che come scriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e in pratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.

La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dello spazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono i contenuti. Il fraterno silenzio del fango (2020) e Zattera viva (2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura, costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora, aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno della malinconia si abbandonano alla caducità, o zattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consueta intonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non ha corpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come in una sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, o meglio, del come fare della pittura nel modo meno pittorico possibile.

Bassa marea al molo, Fossa madre, Cielo trema o niente, o Punti di fiamma, Salvezza trovata in cielo tutti del 2020, come Cielo di giugno che da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo più rapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poi ricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementi di natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dello spazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale la materialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.

Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro tra la caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravvive all’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.

La mostra è accompagnata da un testo di Rita Selvaggio.

Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.
Tra le sue mostre più recenti: Gradations of Slow Release, MCA, Chicago, Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington (2019); 58° Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019); Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016); Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore (2016); The Hepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum, Los Angeles (2013); 55° Biennale di Venezia a cura di Massimiliano Gioni, Venezia (2013); Head Gas, New Museum, New York (2011); Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011); How Do You Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009); Bulbous Marauder, Seattle Art Museum, Seattle (2008); Ultra Paste, ICA, Londra (2007) e 50° Biennale di Venezia a cura di Francesco Bonami, Venezia (2003). 

Enrico DAVID Cielo di giugno
9 febbraio – 20 marzo 2021
martedì – sabato; 11-19 (su appuntamento)


GióMARCONI
VIA TADINO 20 20124 MILANO ITALY T +39 02 29 404 373 F +39 02 29 405 573
INFO@GIOMARCONI.COM WWW.GIOMARCONI.COM

giovedì 11 febbraio 2021

SAVINIO - Incanto e Mito

Monumento ai giocattoli

La mostra Savinio. Incanto e mito al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps creerà corti circuiti sorprendenti con le magnifiche opere della collezione di sculture di Palazzo Altemps, suggerendo nuove affinità in un gioco di corrispondenze e accordi liberi e originali.

Personaggio eclettico, erudito, dai molteplici interessi che spaziano dalla musica alla letteratura, dalla pittura al teatro, Alberto Savinio (Andrea De Chirico) – 1891-1952 – rappresenta la figura di un intellettuale dalla complessità straordinaria, capace di far dialogare e intessere le discipline umanistiche in un linguaggio visionario e all’avanguardia. 

La mostra Savinio. Incanto e mito al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps mette in luce, attraverso alcuni temi e momenti fondamentali, la particolarità di una poetica che associa e coniuga antico e moderno, estetica e ironia, memoria e fantasia in un’ottica globale oggi di grande attualità. Il gioco, le strutture e trame illusorie e chimeriche, le civiltà passate e le epoche aurorali, la decostruzione dei racconti leggendari e mitici, le caleidoscopiche immagini che spezzano l’equilibrio visivo in composizioni inattese e folgoranti, diventano gli indizi da inseguire nei labirintici spazi del Museo. 

Divisi in diverse sezioni tematiche, i dipinti sulle pareti creeranno corti circuiti sorprendenti con le magnifiche opere della collezione di sculture di Palazzo Altemps, suggerendo nuove affinità in un gioco di corrispondenze e accordi liberi e originali.


Savinio. Incanto e mito
A cura di Ester Coen 
8 Febbraio 2021 - 13 Giugno 2021

Piazza S. Apollinare, 46 
Roma, 00186 Italia

Organizzazione, comunicazione e catalogo Electa
Promosso da Museo Nazionale Romano


 

mercoledì 10 febbraio 2021

Long Distance di Azzedine Saleck


Curva Pura è lieta di inaugurare, venerdì 19 febbraio 2021 ore 18.30, la mostra site specific Long Distance, un progetto di Azzedine Saleck con le sue nuove opere realizzate a Roma, accompagnate da un poema di Audrey Gutman e una lettera di Giuseppe Armogida.

L’esposizione, con cinque grandi opere concettualizzate e realizzate per entrare in dialettica con lo Spazio Curva Pura, offre uno scorcio sulla sua attuale ricerca artistica che individua nella distanza il punto di partenza per capire i tempi attuali, le migrazioni, il senso di appartenenza e il viaggio.

Azzedine Saleck è un poeta e un artista che attualmente vive tra Parigi e Roma. Di origini mauritane e americane, cresciuto in Francia, Saleck coglie la complessità delle influenze culturali frammentate nell’intersezione tra lingua e forma. La sua ricerca si concretizza in sculture basate sul linguaggio e la progettazione di spazi che creano intimità e risposte emotive. I riferimenti dislocanti (Litany, 2016), la ricreazione di spazi e habitat immaginari di Saleck si riferiscono e inducono comportamenti ritualistici. Le sue opere site specific innescano momenti di consapevolezza e portano sovente a trasformazioni. Assurgono a testimonianze di momenti, storie soggettive e collettive. Saleck ha esposto alla Fondazione Gulbenkian, Parigi, e al Confort Moderne, Poitiers, alla galleria Southard Reid di Londra, alla galleria High Art di Parigi e allo spazio Treize di Parigi, Villa Arson a Nizza, Palais de Tokyo e Centre Pompidou a Parigi. Il suo lavoro è pubblicato su Talismans, the desert between us is only Sand, Gulbenkian Foundation, 2018, anno, 2016, Alter Zombie 2015 ).

In riferimento al lavoro di Saleck, scrive Damien Arnault :
“E cosa prende una buona parte del nostro cervello se non l'amore? Forse questo è l’argomento costantemente assente nell'arte contemporanea: non può decorare i nostri fantastici loft, e i sentimenti che scivolano dalla depressione all'estasi non sono ancora commerciabili. In qualche modo la poesia va con l'amore. E concentrato sui suoi problemi interni, Azzedine Saleck si allontana dall'idea del professionista dell'arte contemporanea: l’amore è la sua passione, l'amore per i paesaggi, gli animali, gli amici, il sesso, l'amore per l'amore e le sue montagne russe emotive. È un processo semiotico. I poeti ci dicono che amare può trasformare qualsiasi cosa in un feticcio decadente. Quindi non dovremmo vedere i poeti come caricature o dandy del XIX secolo. Non perché ci salveranno dall'ironia e dal cinismo o perché saranno loro a mostrarci un'autenticità mai raggiunta; ma più perché sono loro che portano nuovi riferimenti e nuovi schemi cognitivi nelle arti visive, e forse tutte cose visibili. È così che i testi di Azzedine Saleck contaminano la tangibilità delle sue sculture inquietanti. Ed è questo è anche il modo in cui lo faranno le sue sculture spostare ricordi di sensazioni.”


AZZEDINE SALECK
Long Distance

19 febbraio 2021 ore 18.30 


L’ingresso sarà contingentato secondo le normative vigenti.
Fino al 28 marzo 2021

Orari: su appuntamento - prenotare via mail curvapura@gmail.com o whatsapp 3314243004

Curva Pura
Via Giuseppe Acerbi, 1a - Roma curvapura@gmail.com

Ufficio Stampa
Roberta Melasecca
Melasecca PressOffice - Interno 14 next
tel 3494945612 - roberta.melasecca@gmail.com

lunedì 8 febbraio 2021

Max Coppeta | SOSPENSIONI GRAVITAZIONALI


In corso alla Amira Art Gallery la personale Sospensioni gravitazionali di Max Coppeta a cura di Cynthia Penna / ART1307

L’artista presenta negli spazi della Galleria, oltre a una raccolta di opere che fanno parte della ricerca Piogge Sintetiche, il video della performance Zero Gravity presentato ufficialmente al Teatro Circulo, in occasione della V ed. del ConFusión Festival di València e inserito nell’agenda europea per l’Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018.

La performance Zero Gravity, nasce dall’osservazione di due sculture: ZeroGravity (2013) e Rainmaker (2016) finalista al Premio Cramum del Museo del ‘900 Milano, presenti in mostra insieme all’istallazione Strip of Wind presentata al Tokyo Metropolitan Art Museum (2016) in occasione dei 150 anni di rapporti diplomatici tra l’Italia e il Giappone, alla macchina scenica Flow, presentata insieme all’opera Free Drop alla Reggia di Caserta (2018) e a Curve di tensione presentata alla LA Artcore di Los Angeles (2019).

La gravità è la forza che anima queste opere che, per la prima volta, saranno esposte assieme dopo aver girato il mondo in questi anni. L’idea di riunirle nasce anche dalla necessità, in questo delicato momento storico, di meditare sullo stato di “sospensione” in cui è precipitato il mondo. La ricerca di Coppeta nasce da una visione ottica attenta alla deformazione della materia in cui si esplorano le capacità di manipolazione della realtà, tramite la riflessione e la rifrazione della luce sui materiali. A questi elementi di costruttivismo, arte concreta e cinetismo, l’artista fonde atmosfere teatrali e visionarie, contestualmente rigorose nella forma, che evidenziano quel senso della percezione ora distorta, mutante, irreale e ambigua, destinata a sancire un’attrazione atemporale con la sfera emozionale.

Attraverso il video-documento della performance Zero Gravity, per la prima volta visibile online in versione integrale, questi elementi emergono all’unisono coinvolgendo, chi guarda, in un vortice di equilibri e suoni sincopati in azioni sospese.

Biografia
Max Coppeta nasce a Sarno nel 1980, vive e lavora a Bellona (Ce). Nel 2002 si laurea in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli, con una tesi sul teatro multimediale. Lo stesso anno gli viene assegnata una borsa di studio dall’Istituto Superiore di Design di Torino. Nel 2006 si specializza in Arti Visive e Spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Napoli. La sua attività di ricerca, in cui esplora le varie possibilità della percezione visiva, è monitorata dalla Fondazione Filiberto Menna di Salerno e dalla Fondazione D’Ars di Milano. E’ insignito di numerosissimi premi nazionali ed internazionali. Ha esposto a Houston, Los Angeles, Lancaster, Singapore, Tokyo, Caracas, València, Napoli, Milano, Torino, Venezia. Ha collaborato con l’Università di Salerno, il Politecnico di Milano e il Dams di Torino.

Sospensioni gravitazionali di Max Coppeta 
a cura di Cynthia Penna
visitabile fino al 17 marzo 2021

Ufficio stampa:
Stefania Trotta trottastefania87@gmail.com
www.maxcoppeta.it

Amira Art Gallery, via San Felice n.16, Nola (Na) / Italy 
* Ingresso su prenotazione (+39) 338.8217328

Lo spazio fluido di Maddalena Granziera


Sabato 13 febbraio 2021, presso la galleria Arte Spazio Tempo di Venezia, si terrà l’apertura della mostra “Lo spazio fluido” dell’artista Maddalena Granziera organizzata dall’associazione ATTIVA Cultural Projects e accompagnata da testo critico e presentazione di Giulia Cacciola.

L’esposizione è costruita intorno all’opera omonima Lo spazio fluido creata in esclusiva per l’ultimo numero del magazine d’artista Ŏpĕra, edito dall’Associazione Attiva Cultural Projects. Alla base della scelta espositiva, vi è la lettura di una tematica ricorrente nella produzione artistica di Maddalena, che parte dall’osservazione della realtà e trova sviluppo nella sua stessa rielaborazione. 

Le due sale della galleria accolgono il visitatore in un percorso visivo e immaginario che spazia dalla serie di opere realizzate su tela, fino ai trasferimenti fotografici su carta. 

Il percorso artistico di Maddalena è decisamente influenzato dal pensiero calviniano, tanto che alcune opere portano come titolo intere frasi dell’autore, tratte, in modo particolare, dal romanzo “Le città invisibili” e dalla raccolta di racconti “Le Cosmicomiche”. 

Attraverso le tele, Maddalena dona a chi le osserva un viaggio disconnesso dalla realtà, senza specifici riferimenti spazio-temporali: i paesaggi che immortala si dissolvono tramite solventi industriali distribuiti sull’immagine in modo del tutto casuale, ottenendo ogni volta risultati inaspettati e diversi che ritraggono qualcosa di non così riconoscibile, qualcosa che corrisponde solo lontanamente alla realtà così come siamo abituati a classificarla. 

In nessuna opera l’uomo emerge come soggetto principale ed è del tutto assente nella rappresentazione visiva, ma necessariamente presente come elemento fondamentale della trasformazione del paesaggio.

Maddalena Granziera (Treviso, 1991) frequenta l’Accademia di Belle Arti di Venezia e nel 2017 consegue il Diploma Accademico di II˚ livello in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo. Espone in diverse collettive tra cui la 103ma Collettiva Giovani Artisti di Fondazione Bevilacqua la Masa; la mostra dedicata ai vincitori della X Edizione del Premio Nocivelli - concorso in cui si aggiudica il Premio Coppa Luigi - e la mostra finalisti dell’ottava edizione del Premio Combat Prize. Nel 2019 Partecipa alla residenza artistica promossa dal Consorzio Brianteo di Villa Greppi a Monticello Brianza (LC) curata da Simona Bartolena, ed espone in altre collettive in Lombardia e in una personale a Padova curata dal Progetto Giovani di Padova. Dal 2019 entra a far parte di Sciame Project, progetto ideato da Miriam Montani, con cui aderisce a diverse iniziative, tra cui una collettiva a Cascia (PG). Attualmente vive e lavora a Treviso.




La mostra sarà visitabile dal 13 febbraio al 28 marzopresso la galleria Arte Spazio Tempo, Campo del Ghetto, 2877, 30121 - Venezia (VE).

Orari: dal giovedì al sabato dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 18:30.

Nel rispetto delle norme anti-covid, l’apertura della mostra il sabato 13 febbraio 2021 avverrà previa prenotazione gratuitaalle visite guidate con l’artista e la curatrice durante l’intera giornata, nei seguenti orari: 10:00 - 13:00 e 14:00 - 18:00

Per prenotare scrivere a: attiva.art@gmail.com

UFFICIO STAMPA
Attiva Cultural Projects ETS
Via Bellucci Sessa, 23 - Portici (NA)
attiva.art@gmail.com



 

venerdì 5 febbraio 2021

Matèria apre la nuova sede a Roma con 'Carie' di Stefano Canto


Matèria, galleria nata nel 2015, apre la nuova sede in via dei Latini 27 a Roma, con una mostra personale di #StefanoCanto visitabile a partire dal 13 febbraio 2021. 

In un periodo di ripensamento delle formule abituali della fruizione dell’arte, Matèria amplia i suoi spazi per guardare al futuro e all’evoluzione del suo ruolo, sia a livello locale che internazionale. Questo cambiamento rappresenta una svolta significativa, frutto di cinque anni di attività che hanno visto tutti gli artisti rappresentati cimentarsi con una personale in galleria. Un ciclo iniziale che ha dato vita a numerosi progetti con artisti, curatori, realtà italiane e internazionali, preparando un terreno fertile per la crescita della galleria. 
Continua così il percorso iniziato in via Tiburtina 149: essenziale resta la creazione di un gruppo di artisti con i quali lavorare a un progetto comune, mettendo al centro il loro supporto culturale, economico e progettuale. «Lo stato di crisi ci mette davanti a scelte forzate - dichiara Niccolò Fano fondatore e direttore di Matèria - che una volta intraprese marcano fortemente l’andamento e il futuro di una galleria; il passo che facciamo oggi definisce in maniera radicale il nostro futuro. Cambiare spazio e cogliere un’opportunità in questo mare in tempesta ci permette di formalizzare una rinnovata linea di pensiero e d’azione, che punta fortemente sulla città, senza tralasciare una selezione di collaborazioni nazionali e internazionali che intendiamo costruire e consolidare nei prossimi anni».
Gli spazi della nuova galleria aprono al pubblico con Carie, mostra personale di Stefano Canto (Roma, 1974), a cura di Giuliana Benassi. Canto presenta un nuovo corpus di opere, frutto di una ricerca iniziata nel 2009, che riflette la spina dorsale del suo intero processo artistico. Il titolo della mostra è preso in prestito dal vocabolario della botanica e fa riferimento alla decomposizione di tessuti vegetali dovuta all’azione di parassiti fungini, detti appunto “carie”. 
L’artista ha concepito tutte le opere a partire da tronchi e pezzi di corteccia di alberi raccolti sul ciglio della città, tutti deperiti e svuotati al loro interno a causa del lavorio di putrefazione dovuto alle carie lignee. Ed è proprio da questo vuoto che nasce il processo scultoreo dell’artista, dall’avvicinamento alle masse arboree deteriorate, dall’azione di rigenerazione attraverso innesti cementizi, dal riempimento delle cavità con costruzioni architettoniche. Laddove c’è assenza, l’artista impone una presenza costruttiva. 
La vitalità del vuoto trionfa, la sua immanente presenza scultorea invade la galleria accompagnando il visitatore in un bosco di opere che ridisegna architettonicamente gli spazi espositivi come una grande installazione site-specific. Come nota Giuliana Benassi: «lo spazio espositivo sembra trasformarsi in un paesaggio, un paesaggio non idilliaco, ma cadenzato dalla costante parresia dialogica tra natura e architettura, dove l’una prende ispirazione dall’altra e viceversa».
Dopo la pubblicazione che ha accompagnato la mostra del 2019 Sotto l’influenza del Fiume. Sedimento, si rinnova la collaborazione tra Stefano Canto e Fiorenza Pinna, designer e curatrice, con un nuovo volume realizzato in occasione di Carie, da cui prende il titolo. Il libro si colloca all’interno di un progetto editoriale che prevede la collaborazione a lungo termine tra Pinna e Canto, volta a esaminare e documentare il processo dell’artista durante l’arco di tre mostre personali in galleria. 

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OPENING BY APPOINTMENT ONLY
Stefano Canto
Carie
curated by Giuliana Benassi
Saturday February 13 (11am - 7pm)
For bookings and info:
contact@materiagallery.com
+39 3318336692


Matèria - founded in 2015 - opens its new headquarters in via dei Latini 27 in Rome, with a solo show by #StefanoCanto set to open on the 13th of February 2021.
In a period where our habitual forms of engagement with art are being reexamined, Matèria expands its gallery spaces to welcome the future and the evolution of its role, both locally and internationally.
This transition represents a significant turning point, the result of five years of activity that have seen all the gallery’s represented artists try their hand at a solo show. This initial cycle has given life to numerous projects involving artists, curators, Italian and international organisations, thus laying the groundwork for the development of the gallery.
The approach introduced and developed in Via Tiburtina 149 remains key; with the core of the overall project centered on the formation of a group of artists with whom to trace a long-term trajectory by focusing on project development through cultural and economic support. "The state of crisis puts us in front of forced choices - says Niccolò Fano, founder and director of Matèria - that once undertaken, strongly mark the progress and future of a gallery; the step we take today radically defines our future. Changing space and seizing an opportunity in a time of heightened turbulence allows us to formalise a renewed line of thought and action - one strongly focused on the city - without neglecting a selection of national and international collaborations that we intend to build and consolidate in the coming years ".


The gallery's new space opens to the public with Carie, a solo exhibition by Stefano Canto (Rome, 1974), curated by #GiulianaBenassi. Canto presents a new body of work, the result of a research process begun in 2009, which embodies the backbone of his entire artistic practice. The title of the exhibition is borrowed from the botanical vocabulary and refers to the decomposition of plant tissues due to the action of fungal parasites, called "Carie". The artist finds his starting point for his exhibited works from tree trunks and pieces of bark collected on the edge of the city roads. What is salvaged has decayed and hollowed out due to the rotting process procured by wood parasites - carie lignee. 
It’s precisely from this void and hollowness that the artist's sculptural process is developed; tying the deteriorated tree mass to a regeneration process enabled by the application of cement grafts and by filling the cavities with stark architectural formations. Where there is absence, the artist imposes a constructive presence.
The vitality of the void triumphs, its immanent sculptural presence invades the gallery accompanying the visitor into a forest of works that architecturally redesigns the gallery as a large scale site-specific installation. As Giuliana Benassi notes: "the exhibition space seems to transform itself into a landscape, a landscape that is not idyllic, but punctuated by the constant dialogic parrhesia between nature and architecture, where one takes inspiration from the other and vice versa".
After the publication that accompanied the 2019 exhibition Sotto l’influenza del Fiume. Sedimento, the collaboration between Stefano Canto designer/curator #FiorenzaPinna is renewed with a new volume created for Carie, from which it takes its title. The publication is part of an editorial project that provides for the long-term collaboration between Pinna and Canto, aimed at examining and documenting the artist's process during the span of three solo exhibitions in the gallery. 


OPENING SU APPUNTAMENTO
Stefano Canto | Carie
a cura di Giuliana Benassi
Sabato 13 febbraio (11:00 - 19:00)

Matèria
via dei Latini 27 - Roma
Per info e prenotazioni:
contact@materiagallery.com
+39 3318336692