“Black Shell”
sculture di Federica Luzzi
Federica Luzzi espone in mostra sculture appartenenti al ciclo Black Shell, avviato nel 2001. Il ricorso al termine inglese non è dovuto a banale esotismo. L'equivalente inglese dell'italiano conchiglia possiede infatti un vastissimo ventaglio di significati, incentrati sulla valenza linguistica del guscio, dell'involucro (1); una polisemia (con relativa ambivalenza del simbolo: citando Warburg, Luzzi evoca il concetto mitico di “Giano bifronte”) che insiste giustamente a non smarrire.
In realtà, il lavoro scultoreo per l'artista romana ha caratteristiche assai diverse da quelle della scultura tradizionale: Luzzi ha cominciato la sua attività scolpendo elementi in legno di tiglio, di noce, di pero; poi si è occupata di tessitura, intrecciando, con pazienza certosina, fibre vegetali al telaio verticale (una tecnica che allude al processo organico di sviluppo di una pianta: “lento, dal basso verso l’alto, in tutte le direzioni”); per associare infine elementi di legno scolpito e levigato alla tessitura.
Tutto il procedimento operativo dell'artista possiede un marcato e assai motivato significato ecologico: a cominciare dalla fascinazione, che data dagli anni dell'infanzia e che non è mai venuta meno, subìta da parte dei semi e dei baccelli delle piante: minuscole e affascinanti meraviglie della natura.
Semi e baccelli possiedono forme sontuose e fantastiche, riescono persino, se agitati o percossi, ad essere sonori, magari emettendo un suono simile a quello del crotalo, e assicurano la dimensione della mobilità ad un albero, altrimenti radicato in una determinata porzione di suolo. Per il fatto di rinserrare gelosamente il germe vitale, essi alludono altresì alla valenza di incomunicabilità insita nell’opera d’arte: diventano – dice l’artista – enigmi.
Ma Luzzi sa pure interpretare una operatività di antica sapienza manuale, che impiega esclusivamente materiali naturali (legni, fibre vegetali, grafite) e un sentimento vibrante, quasi animistico, della natura, popolato di presenze misteriose, di forme chiuse, capaci di rinserrare, a volte per tempi incredibilmente lunghi, la capacità vitale, in una sorta di “vita dormiente”, le cui potenzialità germinative sono temporaneamente sospese. Si è dato il caso – ricorda sempre Luzzi – di un seme di magnolia, interrato come offerta rituale duemila anni fa, in Giappone, e che, piantato e coltivato, ha germogliato, restituendo oltretutto una specie di quella essenza ormai altrimenti estinta.
Sculture come involucro; sculture addirittura come vestiti, che l'artista indossa, e che, più che alla nostra, riescono congeniali ed eloquenti alla cultura orientale, che difatti ha più volte riservato una calorosa accoglienza alle opere di Federica Luzzi.
Anche il sistematico ricorso al monocromo nero riveste molteplici valenze: ha un significato “tecnico” in quanto accentua il valore plastico e di texture di superficie delle opere, ma rimanda pure alla fase iniziale del processo alchemico e alla Terra madre perennemente fertile, senza dimenticare che se in Occidente il nero è il colore del lutto, tale associazione non è univoca, in quanto, nelle culture orientali, questo significato è affidato alla cromia antitetica, il bianco.
Carlo Fabrizio Carli
(1) – Da dizionario di lingua inglese: “Conchiglia, guscio, involucro, baccello, corazza, squama, scaglia, leggero battello, schema, schizzo di progetto, cassa interna di un feretro, scorza, carcassa, ossatura, apparenza, parvenza, proiettile, granata, cartuccia, bossolo, guardamano, strato elettronico”.
sculture di Federica Luzzi
Federica Luzzi espone in mostra sculture appartenenti al ciclo Black Shell, avviato nel 2001. Il ricorso al termine inglese non è dovuto a banale esotismo. L'equivalente inglese dell'italiano conchiglia possiede infatti un vastissimo ventaglio di significati, incentrati sulla valenza linguistica del guscio, dell'involucro (1); una polisemia (con relativa ambivalenza del simbolo: citando Warburg, Luzzi evoca il concetto mitico di “Giano bifronte”) che insiste giustamente a non smarrire.
In realtà, il lavoro scultoreo per l'artista romana ha caratteristiche assai diverse da quelle della scultura tradizionale: Luzzi ha cominciato la sua attività scolpendo elementi in legno di tiglio, di noce, di pero; poi si è occupata di tessitura, intrecciando, con pazienza certosina, fibre vegetali al telaio verticale (una tecnica che allude al processo organico di sviluppo di una pianta: “lento, dal basso verso l’alto, in tutte le direzioni”); per associare infine elementi di legno scolpito e levigato alla tessitura.
Tutto il procedimento operativo dell'artista possiede un marcato e assai motivato significato ecologico: a cominciare dalla fascinazione, che data dagli anni dell'infanzia e che non è mai venuta meno, subìta da parte dei semi e dei baccelli delle piante: minuscole e affascinanti meraviglie della natura.
Semi e baccelli possiedono forme sontuose e fantastiche, riescono persino, se agitati o percossi, ad essere sonori, magari emettendo un suono simile a quello del crotalo, e assicurano la dimensione della mobilità ad un albero, altrimenti radicato in una determinata porzione di suolo. Per il fatto di rinserrare gelosamente il germe vitale, essi alludono altresì alla valenza di incomunicabilità insita nell’opera d’arte: diventano – dice l’artista – enigmi.
Ma Luzzi sa pure interpretare una operatività di antica sapienza manuale, che impiega esclusivamente materiali naturali (legni, fibre vegetali, grafite) e un sentimento vibrante, quasi animistico, della natura, popolato di presenze misteriose, di forme chiuse, capaci di rinserrare, a volte per tempi incredibilmente lunghi, la capacità vitale, in una sorta di “vita dormiente”, le cui potenzialità germinative sono temporaneamente sospese. Si è dato il caso – ricorda sempre Luzzi – di un seme di magnolia, interrato come offerta rituale duemila anni fa, in Giappone, e che, piantato e coltivato, ha germogliato, restituendo oltretutto una specie di quella essenza ormai altrimenti estinta.
Sculture come involucro; sculture addirittura come vestiti, che l'artista indossa, e che, più che alla nostra, riescono congeniali ed eloquenti alla cultura orientale, che difatti ha più volte riservato una calorosa accoglienza alle opere di Federica Luzzi.
Anche il sistematico ricorso al monocromo nero riveste molteplici valenze: ha un significato “tecnico” in quanto accentua il valore plastico e di texture di superficie delle opere, ma rimanda pure alla fase iniziale del processo alchemico e alla Terra madre perennemente fertile, senza dimenticare che se in Occidente il nero è il colore del lutto, tale associazione non è univoca, in quanto, nelle culture orientali, questo significato è affidato alla cromia antitetica, il bianco.
Carlo Fabrizio Carli
(1) – Da dizionario di lingua inglese: “Conchiglia, guscio, involucro, baccello, corazza, squama, scaglia, leggero battello, schema, schizzo di progetto, cassa interna di un feretro, scorza, carcassa, ossatura, apparenza, parvenza, proiettile, granata, cartuccia, bossolo, guardamano, strato elettronico”.
Galleria "Arte e Pensieri", via Ostilia 3a, Roma
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Amalia Di Lanno