A 17 anni dalla grande rassegna organizzata al Pecci di Prato, il
museo MARCA presenta la più esauriente retrospettiva sino ad ora realizzata di
Angelo Savelli (1911-1995).
Attraverso 70 opere tra dipinti, sculture e ceramiche, la rassegna ha lo scopo di focalizzare l’attenzione su uno dei più significativi protagonisti del dopoguerra, rimasto ingiustamente in ombra per troppo tempo pur avendo rivoluzionato radicalmente il modo di fare pittura con esiti che lo pongono in relazione con Lucio Fontana, Piero Manzoni e Salvatore Scarpitta. Ma anche con gli americani Barnett Newman e Ad Reinhardt.
Attraverso 70 opere tra dipinti, sculture e ceramiche, la rassegna ha lo scopo di focalizzare l’attenzione su uno dei più significativi protagonisti del dopoguerra, rimasto ingiustamente in ombra per troppo tempo pur avendo rivoluzionato radicalmente il modo di fare pittura con esiti che lo pongono in relazione con Lucio Fontana, Piero Manzoni e Salvatore Scarpitta. Ma anche con gli americani Barnett Newman e Ad Reinhardt.
Angelo Savelli. Il Maestro del Bianco, a cura di Alberto
Fiz e Luigi Sansone, s’inaugura sabato 15 dicembre 2012 per rimanere
aperta sino al 30 marzo 2013. La mostra è organizzata dalla Provincia
di Catanzaro con il contributo della Regione Calabria e rientra nel progetto
POR Calabria FESR 2007/2013.
La riscoperta di Savelli non poteva che partire dalla Calabria che dedica un doveroso omaggio al suo illustre cittadino nato nel 1911 a Pizzo Calabro e che proprio in questa regione ha avuto i suoi primi riconoscimenti con il Premio Mattia Preti ricevuto nel 1935 a cui seguì la partecipazione alla Biennale di Reggio Calabria. Sebbene nel 1954 si fosse trasferito a New York, non dimenticò mai i legami con la sua terra e nel 1991 è stato aperto a Lamezia Terme il Centro Angelo Savelli a lui dedicato.
La riscoperta di Savelli non poteva che partire dalla Calabria che dedica un doveroso omaggio al suo illustre cittadino nato nel 1911 a Pizzo Calabro e che proprio in questa regione ha avuto i suoi primi riconoscimenti con il Premio Mattia Preti ricevuto nel 1935 a cui seguì la partecipazione alla Biennale di Reggio Calabria. Sebbene nel 1954 si fosse trasferito a New York, non dimenticò mai i legami con la sua terra e nel 1991 è stato aperto a Lamezia Terme il Centro Angelo Savelli a lui dedicato.
La mostra presenta l’intero percorso dell’artista partendo dalle
prime esperienze figurative degli anni Trenta influenzate da Renato Guttuso,
per giungere sino a Where Am I Going una della sue ultime testimonianze
risalente al 1993-94. Non mancano riferimenti al periodo romano con
opere come Autoritratto e Capriccio n.2, entrambe del 1940, proposte nel 2006
al Museo Pericle Fazzini di Assisi nella mostra Angelo Savelli e Roma curata da
Luigi Sansone con un intervento critico di Fabrizio D’Amico.
Questo iter di oltre sessant’anni comprende alcune delle sue opere maggiormente emblematiche sia nell’ambito dell’espressionismo astratto (in questo caso viene esposto White Space già presente nel 1957 nello spazio della galleria newyorkese di Leo Castelli), sia in relazione al lungo periodo del “bianco” iniziato nel 1957 con Fire Dance in mostra insieme ad una serie di lavori d’impatto monumentale come Grande orizzontale, 1960, Speranza, 1961 Senza titolo, 1962 o Going up,1980.
Questo iter di oltre sessant’anni comprende alcune delle sue opere maggiormente emblematiche sia nell’ambito dell’espressionismo astratto (in questo caso viene esposto White Space già presente nel 1957 nello spazio della galleria newyorkese di Leo Castelli), sia in relazione al lungo periodo del “bianco” iniziato nel 1957 con Fire Dance in mostra insieme ad una serie di lavori d’impatto monumentale come Grande orizzontale, 1960, Speranza, 1961 Senza titolo, 1962 o Going up,1980.
Come afferma Wanda Ferro, Presidente della Provincia di Catanzaro con delega
alla cultura, “la grande mostra di Savelli non è solo un doveroso omaggio al
più celebre artista calabrese del dopoguerra insieme a Mimmo Rotella, ma
rappresenta l’occasione per far conoscere alle nuove generazioni il Maestro del
Bianco che, attraverso le sue opere, ha saputo esprimere il desiderio di
assoluto attraverso uno stile inconfondibile.”
La rassegna si avvale di alcuni nuclei particolarmente significativi
e può contare sui prestiti della Fondazione Prada e della Fondazione
VAF-Stiftung. Non mancano, poi, le opere provenienti dal Mart di
Rovereto, dalla GNAM di Roma e dal Museo del Novecento di Milano a cui si
aggiungono i prestiti della famiglia Savelli e degli spazi calabresi come il
Museo Civico di Taverna e il Centro Angelo Savelli.
Proprio dalla GNAM e dal Museo del Novecento provengono due opere cardine della sua ricerca risalenti all’inizio degli anni Sessanta come Consequence (1960) e Shelter 12th Floor (1961), in genere custodite nei depositi, che, grazie alla disponibilità delle due istituzioni, possono finalmente essere mostrate al pubblico.
“La mostra proposta al MARCA è destinata a rappresentare una svolta nell’indagine critica di Savelli, un artista che, nonostante abbia partecipato a cinque edizioni della Biennale di Venezia e sia stato apprezzato dai maestri dell’arte italiana e americana come Lucio Fontana, Piero Dorazio, Barnett Newman e Robert Motherwell, è ben lontano dai riconoscimenti che merita. Questo, probabilmente, è dovuto all’assoluta libertà della sua ricerca, alla sua indipendenza stilistica e al rifiuto di ogni legame di carattere commerciale”, spiega Alberto Fiz direttore artistico del MARCA e curatore dell’evento insieme a Luigi Sansone. Nel 1957, per esempio, rinunciò ad un contratto con la mitica galleria newyorkese di Leo Castelli che, di lì a poco, avrebbe lanciato la pop art di Warhol e di Lichtenstein.
Proprio dalla GNAM e dal Museo del Novecento provengono due opere cardine della sua ricerca risalenti all’inizio degli anni Sessanta come Consequence (1960) e Shelter 12th Floor (1961), in genere custodite nei depositi, che, grazie alla disponibilità delle due istituzioni, possono finalmente essere mostrate al pubblico.
“La mostra proposta al MARCA è destinata a rappresentare una svolta nell’indagine critica di Savelli, un artista che, nonostante abbia partecipato a cinque edizioni della Biennale di Venezia e sia stato apprezzato dai maestri dell’arte italiana e americana come Lucio Fontana, Piero Dorazio, Barnett Newman e Robert Motherwell, è ben lontano dai riconoscimenti che merita. Questo, probabilmente, è dovuto all’assoluta libertà della sua ricerca, alla sua indipendenza stilistica e al rifiuto di ogni legame di carattere commerciale”, spiega Alberto Fiz direttore artistico del MARCA e curatore dell’evento insieme a Luigi Sansone. Nel 1957, per esempio, rinunciò ad un contratto con la mitica galleria newyorkese di Leo Castelli che, di lì a poco, avrebbe lanciato la pop art di Warhol e di Lichtenstein.
Savelli compie la propria rivoluzione trasformando il bianco in
un’inesauribile fonte d’ispirazione dove, come aveva scritto Giulio
Carlo Argan, il gesto pittorico ritrova una “prassi di contemplazione”
attraverso una rinnovata concezione dello spazio.
“Inizialmente il bianco era legato al soggetto trattato, complementare a questo. In seguito è diventato supporto a se stesso, forza, senza essere legato a null’altro che alla propria energia, “ ha affermato Savelli rivelando il significato della sua ricerca che crea un dialogo particolarmente proficuo e stimolante con i Concetti spaziali di Lucio Fontana, con i dipinti astratti di Barnett Newman o con le tele bendate dell’italo-americano Salvatore Scarpitta. Il rapporto di stima e amicizia con Scarpitta risale al 1945 quando entrambi erano soci dell’Art Club. Nel corso del tempo, poi, hanno esposto insieme in diverse occasioni e nel 1988 Savelli, memore della passione di Scarpitta per le auto da corsa, gli dedicò un piccolo lavoro bianco che ricorda un casco da pilota esposto in mostra.
“Inizialmente il bianco era legato al soggetto trattato, complementare a questo. In seguito è diventato supporto a se stesso, forza, senza essere legato a null’altro che alla propria energia, “ ha affermato Savelli rivelando il significato della sua ricerca che crea un dialogo particolarmente proficuo e stimolante con i Concetti spaziali di Lucio Fontana, con i dipinti astratti di Barnett Newman o con le tele bendate dell’italo-americano Salvatore Scarpitta. Il rapporto di stima e amicizia con Scarpitta risale al 1945 quando entrambi erano soci dell’Art Club. Nel corso del tempo, poi, hanno esposto insieme in diverse occasioni e nel 1988 Savelli, memore della passione di Scarpitta per le auto da corsa, gli dedicò un piccolo lavoro bianco che ricorda un casco da pilota esposto in mostra.
Anche il rapporto con Fontana inizia alla metà degli anni
quaranta quando, entrambi, espongono alla galleria del Naviglio di Milano. Da
allora i due artisti hanno avuto contatti frequenti ed è stato proprio Fontana
a sostenere Savelli nel 1964 in occasione del suo invito alla Biennale di
Venezia quando ha vinto il Gran Premio della Grafica. “Ci sono due forme di
spazialità”, ha scritto Savelli. “Quella reale e terrena di Fontana e quella
mia che definirei eterica, in grado di comunicare con il subcosciente.”
Dopo essersi soffermata sugli esordi romani e sul passaggio all’espressionismo astratto, la mostra affronta l’universo bianco dove l’artista calabrese interviene sulla superficie modificando i materiali (usa il bianco titanio e prima ancora la sabbia), trasformando i formati delle opere, scomponendo le figure geometriche. Non manca, poi, l’utilizzo di elementi concreti come le corde che fanno la loro apparizione all’inizio degli anni Sessanta per poi riaffiorare nei lavori finali dell’artista, come emerge con chiarezza dall’allestimento della mostra. “Credo queste corde costituiscano il ricordo della mia infanzia quando stavo sempre in riva al mare”, ha ricordato Savelli. “Ma se inconsapevolmente mi sono riferito al ricordo, la mia intenzione nell’inserire le corde nello spazio compositivo è stata quella di accompagnare l’occhio, in ritmo ellittico, dalla base all’alto dell’opera e viceversa. La linea tracciata dalla corda costituisce un accento dello spazio dividendolo e unendolo nello stesso tempo.” Le corde sono protagoniste anche nelle sculture e a dare il titolo ad una delle sue installazioni più famose, Dante’s Inferno (in mostra viene presentato un prototipo) dove quest’elemento è inserito in strutture verticiali, è stato Barnett Newman in visita nel suo studio a New York che ha immediatamente messo in relazione il grande lavoro plastico con il poema dantesco.
Dopo essersi soffermata sugli esordi romani e sul passaggio all’espressionismo astratto, la mostra affronta l’universo bianco dove l’artista calabrese interviene sulla superficie modificando i materiali (usa il bianco titanio e prima ancora la sabbia), trasformando i formati delle opere, scomponendo le figure geometriche. Non manca, poi, l’utilizzo di elementi concreti come le corde che fanno la loro apparizione all’inizio degli anni Sessanta per poi riaffiorare nei lavori finali dell’artista, come emerge con chiarezza dall’allestimento della mostra. “Credo queste corde costituiscano il ricordo della mia infanzia quando stavo sempre in riva al mare”, ha ricordato Savelli. “Ma se inconsapevolmente mi sono riferito al ricordo, la mia intenzione nell’inserire le corde nello spazio compositivo è stata quella di accompagnare l’occhio, in ritmo ellittico, dalla base all’alto dell’opera e viceversa. La linea tracciata dalla corda costituisce un accento dello spazio dividendolo e unendolo nello stesso tempo.” Le corde sono protagoniste anche nelle sculture e a dare il titolo ad una delle sue installazioni più famose, Dante’s Inferno (in mostra viene presentato un prototipo) dove quest’elemento è inserito in strutture verticiali, è stato Barnett Newman in visita nel suo studio a New York che ha immediatamente messo in relazione il grande lavoro plastico con il poema dantesco.
Negli anni Ottanta, la ricerca sulla geometria assume un
particolare significato e a dimostrarlo sono le opere prive di telaio, con
forme trapezoidali, triangolari o romboidali esposte in mostra. Come scrive
Luigi Sansone “la geometria assume aspetti poetici e immateriali e le forme sono
rese più aeree da un’apertura centrale anch’essa geometrica in cui, al posto
della tela asportata, appare un sottile e trasparente velo bianco di nylon che
limita anche i contorni. Il ritaglio asportato posto a fianco della tela
modificata crea una nuova forma geometrica minore, fluttuante accanto alla
grande, a cui resta intimamente legata come una porta aperta verso un’altra
dimensione.” È il caso di Going Up, 1980 un grande lavoro che si estende sulla
parete per oltre due metri o di Dallas crossroad dove i rettangoli s’incrociano
creando imprevisti punti di fuga. In tutte queste circostanze non manca
l’evocazione di Kazimir Malevich il pittore suprematista russo che nel 1918
realizzò il Quadrato bianco su fondo bianco, al quale Savelli si sentiva idealmente
legato, come dichiara egli stesso in un’intervista:” Ho elaborato forme
geometriche irregolari dando continuità al primo quadro bianco realizzato,
quello di Malevich.”
Sono lavori che in America suscitarono grande ammirazione e nel 1983 è stato un protagonista dell’astrattismo come Robert Motherwell a segnalarlo per conferirgli il prestigioso premio dell’American Academy and Institute of Arts and Letters. Del resto, con gli States Savelli aveva un rapporto ampiamente consolidato e, sin dagli anni sessanta, insegnava, insieme a Piero Dorazio, alla Pennsylvania University di Philadelphia. Ed è proprio Dorazio a ricordare il talento dell’amico: “Savelli, pur non essendo il direttore effettivo, era quello che dirigeva tutte le attività, era quello che aveva più influenza sui ragazzi e dava loro un autentico orientamento. I suoi consigli erano preziosissimi anche perché Savelli era un grande conoscitore della tecnica della pittura e un grande maestro del disegno.”
Sono lavori che in America suscitarono grande ammirazione e nel 1983 è stato un protagonista dell’astrattismo come Robert Motherwell a segnalarlo per conferirgli il prestigioso premio dell’American Academy and Institute of Arts and Letters. Del resto, con gli States Savelli aveva un rapporto ampiamente consolidato e, sin dagli anni sessanta, insegnava, insieme a Piero Dorazio, alla Pennsylvania University di Philadelphia. Ed è proprio Dorazio a ricordare il talento dell’amico: “Savelli, pur non essendo il direttore effettivo, era quello che dirigeva tutte le attività, era quello che aveva più influenza sui ragazzi e dava loro un autentico orientamento. I suoi consigli erano preziosissimi anche perché Savelli era un grande conoscitore della tecnica della pittura e un grande maestro del disegno.”
Per ricostruire la sua vicenda storica e umana, non manca in mostra
la sezione Savelli&Friends in cui sono analizzati i rapporti di
amicizia e di stima con gli artisti che, in periodi differenti, hanno influito
sulla sua opera e tra questi vanno citati Renato Guttuso, Afro, Piero Dorazio,
Lucio Fontana, Salvatore Scarpitta e Mimmo Rotella.
A questa sezione hanno collaborato l’Archivio Afro, l’Archivio Dorazio e la Fondazione Mimmo Rotella.
A questa sezione hanno collaborato l’Archivio Afro, l’Archivio Dorazio e la Fondazione Mimmo Rotella.
La mostra è accompagnata da un ampio catalogo in italiano e inglese
pubblicato da Silvana Editoriale che comprende i saggi di Alberto Fiz, Luigi
Sansone, Tonino Sicoli, oltre a testimonianze storiche di Giulio Carlo Argan,
Palma Bucarelli, Piero Dorazio, Renato Guttuso, Vanni Scheiwiller. Non mancano,
poi, gli scritti di Angelo Savelli e gli interventi di Giuseppe Appella,
Michele Caldarelli, Teodolinda Coltellaro, Fabrizio D’Amico, Flaminio Gualdoni,
Marco Meneguzzo, Gianni Schiavon e Antonella Soldaini.
Orari:
da martedì a domenica 9,30-13; 16-20,30;
chiuso lunedì
Ingresso: 3 euro
da martedì a domenica 9,30-13; 16-20,30;
chiuso lunedì
Ingresso: 3 euro
Consulta il sito
Fonte: www.tafter.it
Segnala:
Amalia Di Lanno