Mostra
Cesare
Berlingeri – Compenetrazione
Cosenza – Palazzo Arnone - Sala delle Udienze
Sabato 8 marzo 2014 – ore 17.30
Inaugurazione
Sabato
8 marzo 2014, alle ore 17.30, a Cosenza, Palazzo Arnone, sala delle Udienze,
sarà inaugurata la mostra Cesare Berlingeri – Compenetrazione. Interverranno:
Francesco Prosperetti, direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici
della Calabria; Fabio De Chirico, soprintendente per i Beni Storici, Artistici
ed Etnoantropologici della Calabria; Mario Caligiuri, assessore regionale alla
Cultura; Maria Francesca Corigliano, assessore provinciale alla Cultura; Mario
Occhiuto, sindaco di Cosenza e Marilena Sirangelo, Ellebi Galleria d’Arte di Cosenza. Sarà, inoltre, presente
l’artista.
La
rassegna, a cura di Fabio De Chirico, presenta gli interessantissimi esiti del
percorso culturale di Berlingeri, artista calabrese di fama internazionale.
La
mostra segna un’ulteriore tappa dell’impegno della Soprintendenza BSAE della Calabria
per promuovere e diffondere i linguaggi del contemporaneo.
La
riflessione sulle ricerche estetiche più innovative, anche in questa occasione,
non sarà disgiunta dalla valorizzazione dell’ingente patrimonio culturale
rappresentato dalle collezioni d’arte della Galleria Nazionale di Cosenza.
La
rassegna retrospettiva di Berlingeri, difatti, oltre a ripercorre gli snodi più
originali del suo universo creativo, si arricchirà dei volumi e dei colori di
undici installazioni site-specific che proporranno al pubblico il
personale colloquio dell’artista con i grandi capolavori della GNC.
L’iniziativa
è promossa e organizzata dalla Soprintendenza
BSAE della Calabria e da Ellebi
Galleria d’Arte di Cosenza con la collaborazione di Vecchiato Art Galleries di Padova e il sostegno di UBI Banca Carime.
La
riflessione sull’opera di Berlingeri si avvarrà dei contributi critici del
catalogo edito da Rubbettino Editore.
Oltre
al percorso espositivo di Palazzo Arnone la mostra di Berlingeri presenta un
altro importante corpus di opere
presso la Ellebi Galleria d’Arte di Cosenza a partire da domenica 9 marzo 2014.
La mostra Cesare Berlingeri – Compenetrazione
rimarrà aperta dal 9 marzo al 4 maggio 2014, secondo il seguente
orario: 10.00/18.00 (da martedì a domenica)
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Mostra
Cesare Berlingeri – Compenetrazione
Cosenza – Palazzo Arnone -
Sala delle Udienze
Sabato 8 marzo 2014 – ore
17.30
Inaugurazione
Soprintendenza
per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria
Soprintendente: Fabio De Chirico
Cura: Fabio De Chirico
Coordinamento: Domenico Belcastro – Francarosa Negroni
Ufficio
stampa: Silvio Rubens Vivone – Patrizia
Carravetta
Tel.: 0984 795639 fax 0984 71246
Per dirla nel modo più semplice, spiegare equivale ad aumentare, a crescere, mentre piegare equivale a diminuire, a ridurre, a <
La presentazione
dei lavori di Cesare Berlingeri alla Galleria Nazionale di Cosenza si inserisce
all’interno di un percorso intrapreso da alcuni anni e volto a esplorare le
molteplici manifestazioni del contemporaneo nell’ambito della produzione
artistica più recente.
In questa
direzione progettuale si inscrive anche la necessità di sondare i linguaggi del
presente posti in un serrato e costante dialogo con le opere del passato. È di
fatto una scelta programmatica che si fonda sulla convinzione che un museo non
sia un luogo introverso e destinato solo a raccogliere e conservare l’eredità
del passato, ma si debba interrogare sul senso del proprio esistere, assumendo
un ruolo di propulsione e promozione rispetto alle vicende che lo circondano.
Un museo che voglia essere laboratorio e spazio di esperienza e di crescita
deve necessariamente interagire con i linguaggi artistici contemporanei, se non
vuole rinunciare alla sua vocazione di spazio per la crescita culturale del
territorio. In questa coesistenza di passato e presente, di tradizione e
sperimentazione, di aulico e prosaico (come qualcuno potrebbe pensare) si gioca
la partita, ci si avventura nel terreno incerto del rischio, ma al tempo stesso
si tenta di dare un senso preciso all’attività di conservazione e
valorizzazione del nostro patrimonio culturale.
D’altro canto
non va trascurata la necessità per un’istituzione così determinante nel
contesto delle strutture preposte alla organizzazione del sapere di svolgere
un’attività di indirizzo e di promozione culturale, finalizzata
all’individuazione delle emergenze artistiche del contemporaneo, in vista di
una trasmissione al futuro.
Questa
premessa ricostruisce brevemente l’antefatto progettuale che ha visto nascere
la mostra Compenetrazione di Cesare Berlingeri, da me curata, negli
spazi della Galleria Nazionale.
L’incontro con
l’artista è avvenuto inizialmente attraverso un catalogo che mi fu recapitato
probabilmente in circostanze del tutto occasionali: è importante questa breve
nota circostanziale perché fu proprio in quella occasione che rimasi
profondamente colpito dalle sue opere, ancor prima di vederle nel suo atelier a Taurianova. Certo le
fotografie rendono solo la parvenza superficiale delle opere, ma ricordo che mi
stupì l’essenza che da esse si espandeva, come di fronte a lavori che non si
situano in un tempo preciso, in una direzione ben connotata, declinata da
movimenti o percorsi ben chiari. Mi sembrava di rivedere le prime opere di
Burri o di Fontana, non per assonanze stilistiche, ma per quell’aura di opere
‘oltre il tempo’, per quella sensazione di assolutezza che avevo avvertito solo
davanti a pochi maestri.
Il catalogo è
rimasto per qualche tempo nel mio studio.
Poi ho
conosciuto Berlingeri, ci sono stati vari contatti ed è maturata con una
reciproca urgenza il progetto di una sua mostra qui a Palazzo Arnone, che da un
lato potesse restituire la visione complessiva degli ultimi anni della sua
produzione - le sale dedicate ai lavori
storici al piano terra – ma dall’altro ponesse a confronto le sue opere con i
capolavori delle collezioni. La scelta dei contesti e ovviamente delle
installazioni site specific è
maturata attraverso le varie ‘incursioni’ e le soste lunghe nelle sale del
museo, nel tempo, col giusto tempo che occorreva. Non ho interferito, se non in
misura minima, nelle proposte dell’artista, perché ho avvertito immediatamente
la sua profonda sensibilità e anche quel necessario travaglio interiore di chi
sa di trovarsi di fronte ad una sfida, ma al tempo stesso guarda ai capolavori del passato con grande
rispetto e con uno sguardo puro, come di chi per la prima volta osservi un
Mattia Preti o un Luca Giordano. Questo intreccio tra una dimensione
profondamente introspettiva e riflessiva, e l’ingenuo candore di un fanciullo mi
è parso subito il tratto distintivo di Berlingeri. Un dono, direi. E così è
nata Compenetrazione.
Anche quando
sono stato a Taurianova e abbiamo parlato, discusso, ragionato in merito al
progetto, mi ha guidato nel percorso del suo atelier con l’entusiasmo e la
passione di chi mostrasse per la prima volta i suoi segreti, con una tensione
interiore che faceva emergere l’emozione di un disvelamento. Gli spazi della
creazione sono spesso preclusi, luoghi estremamente intimi, che non vanno in
alcun modo violati. Ho provato la sensazione di muovermi tra le stazioni di una
sacra rappresentazione, attraverso un percorso che di volta in volta accende i
riflettori sul dramma bloccato nell’azione e nello spazio. Ogni lavoro aveva un
proprio ambito preciso e nel necessario frastuono di colori e tele ho compiuto
un viaggio nella storia dell’artista.
Difatti il suo
esordio avviene proprio con il teatro, disegnando e progettando scenari e
scenografie già nei primi anni Settanta, un’esperienza importante che ha
profondamente segnato il suo percorso, in anni in cui si riviveva il sogno di
una contaminazione tra le arti che invadeva gli spazi del sociale, nel segno di
forti tensioni ideali.
Ripercorrendo
la sua vicenda artistica un dato appare inequivocabile ed emerge con evidenza
nei tanti scritti che commentano le sue molteplici esposizioni: egli ha
attraversato la modernità e la postmodernità costruendo un linguaggio
assolutamente personale, ereditando perciò quella visione monumentale e quella
forte tensione ideale che ha caratterizzato le generazioni dell’immediato
dopoguerra (Burri, Fontana, Capogrossi), non senza apporti propriamente
concettuali (Manzoni, Klein), fino alla Body art e alla performance. Pur
tuttavia non ha mai fatto parte di movimenti e ha continuato a lavorare con le
tele e i colori negli anni di radicale sparizione dell’opera, con quella
condizione di solitaria esplorazione o di “solitudine” di cui più volte parla
nelle sue dichiarazioni. Ecco dunque un artista che si pone verso la propria azione
con uno spirito moderno, ma attraversato da inquietudini e ansie proprie delle
generazioni più recenti. Direi che questa ‘classicità’ si ritrova in tutte le
sue opere.
Un anno
fondamentale, una cesura essenziale per la comprensione del suo percorso, che
costituisce una svolta radicale nella sua ricerca è il 1976, quando accade un
evento che cambierà in maniera irrevocabile la sua traiettoria. Così lo
racconta: <>.
C’è tutto, c’è molto in questo suo racconto.
La
sperimentazione innanzi tutto. L’attitudine a dispiegare una tela sul pavimento
e ad agire su di essa come solo poteva accadere negli anni dell’action painting,
quando ormai non si guardava più alla tela come ad un quadro, ma come ad un
materiale, ad un linguaggio. Si poteva agire su di essa e intorno ad essa,
inglobando lo spazio nella sua tridimensionalità, nella convinzione che fosse
necessario uscire fuori dalle costrizioni della parete ed invadere la realtà
con tutti i mezzi a disposizione. Altro dato importante è il considerare la
tela come un corpo, un corpo vivo, limitato, ma potenzialmente espanso, il
corpo dell’arte; e vi è poi, il dato più entusiasmante, quello della scoperta:
la scoperta di una piega, della piegazione, ossia dell’azione sull’opera e
sulla materia dell’opera che diviene essa stessa gesto, linguaggio, parte
integrante dell’opera stessa. La scoperta della piega segna un confine tra
l’ansia di una ricerca (identitaria, artistica, linguistica, spirituale) e
l’inizio di un’avventura e di un viaggio nei territori di un codice nuovo,
tutto da esplorare.
Una componente
essenziale dei lavori di Berlingeri, che aveva catturato la mia attenzione sin
dall’inizio, era appunto questa presenza dell’artista nell’opera, questo suo
agire sul proprio lavoro attraverso modalità fortemente espressioniste, ma
anche molto essenziali, esito di un percorso di riduzione che elimina ogni
elemento accessorio per riportare la materia alla sua irriducibile
concentrazione.
Ripercorrendo
i suoi racconti si fa strada in maniera evocativa il racconto della madre che
portava al collo una sorta di amuleto contro il malocchio fatto di un tessuto
nero piegato e rigonfio, una presenza allucinatoria in qualche modo, che
certamente si è sedimentata nell’immaginario di Berlingeri, come una sorta di
chiaro richiamo alle radici, con quanto di irrazionale ma anche di struggente
tutto ciò riesce a richiamare.
La piegazione diviene
dunque la cifra caratterizzante a partire da quella data. Il gesto del piegare
e ripiegare la tela non assurge ad elemento univoco dell’artista, che rivendica
con forza il suo essere un pittore, nell’uso di colori e pigmenti, nell’impiego
di segni ed elementi grafici, quasi di un personale codice primordiale. Ma il
quadro era diventato un limite. L’utilizzo delle pieghe apre così un mondo
nuovo, che abbatte le barriere della bidimensionalità per penetrare nello spazio
circostante.
Questi lavori
dialogano con lo spazio, con tutto ciò che in esso vi è inserito e in qualche
modo lo riflettono e lo inglobano al tempo stesso. Gilles Deleuze ha dedicato
un suo saggio a Leibniz che ha intitolato La piega, elemento pregnante di
tutta l’estetica barocca e paradigma dell’intero pensiero del filosofo tedesco,
nonché ovviamente della condizione umana e, se il piegare la carta
contraddistingue la cultura orientale (origami), piegare il tessuto è ciò che
designa tutta la tradizione occidentale, nell’analisi dello studioso.
Certamente la
piega attraversa tutta la storia dell’arte, divenendo componente stilistica di
molte e tante declinazioni del linguaggio visivo, fino a trasformarsi in
involucro (dall’Enigma di Isidore Ducasse di Man Ray agli empaquetage
di Christo e Jeanne- Claude), componente che involve e avvolge, ripiegandosi ed
espandendosi, quasi fosse materia incandescente e lavica fuoriuscita e
incontenibile. Berlingeri supera l’ambiguità residua dei tentativi di Bonalumi
o Castellani, e dello stesso Pino Pascali,
di modellare la tela in sinuosi andamenti plastici, che non riescono a
penetrare nello spazio, restando ancorati alla superficie del quadro. A volte
si tratta di introflessione, di avvolgimento e sedimentazione, come se il
piegare fosse un racchiudere e nello stesso tempo un rivelare.
Le
installazioni di Berlingeri si dipanano in tutti gli spazi della Galleria
Nazionale, dialogando e interagendo con le opere dei maestri del passato. Si
avverte chiaro nei lavori ora esposti il tentativo di racchiudere un mondo nei
confini di un involucro che condensa nell’unità la molteplicità dell’esistente.
L’impatto immediato sembra un invito alla ‘spiegazione’, quasi un ammiccante
provocazione verso l’osservatore chiamato ad intervenire nell’opera. Un invito
a comprendere, ad osare per svolgere e disvelare quanto vi è racchiuso. Ma è
evidente che il mistero resterà tale. Queste opere piegate mostrano il
divenire, la trasformazione che si compie sotto il nostro sguardo di un
qualcosa verso qualcos’altro, che diventa nell’astanza, dinanzi a noi. Un
tentativo di mettere ordine nel caos dell’informe.
Permane in
questi lavori una sensazione di ansia, di inquieta metamorfosi delle forme. I
corpi come relitti appaiono mutili evocazioni ancestrali, quasi fossero dei
reduci. Si tratta di una geografia di luoghi ambigui, mai completamente risolti
nell’assumere forme definite, ma sempre in bilico tra l’evocazione e la
negazione di qualsiasi iconografia. È questo credo il lato oscuro e notturno di
queste installazioni, che raccontano di una condizione dolorosa e mai
pacificante della storia. Ai colori talvolta squillanti si affianca il nero
pece che si mescola con crescente drammaticità alla dimensione più ludica e
anche ironica in un intreccio che fa di queste opere i paradigmi di una
condizione umana tutta contemporanea, perni del dubbio e dell’instabile domanda
sull’Essere.
Solo in alcuni
casi le sue piegature alludono a frammenti di oggetti della vita reale, cenci o
tessuti casualmente accartocciati, come in una sorta di illusorio ready made.
Il più delle volte la piegazione diviene quasi un gesto rituale e minuzioso,
che compone involucri o stende velari, o arrotola porzioni di tela, che sono in
ogni caso intrise di pigmenti, colle e colori. Apparentemente monocromi, i
lavori riverberano il gesto della creazione come a segnare la superficie, a
voler ribadire la presenza dell’artista.
Una volta
superato il confine del quadro i lavori di Berlingeri invadono lo spazio,
dialogando con le architetture e definendo nuovi confini formali. Nella nuova spazialità che determinano segnano
anche una precisa dimensione del tempo, trasposto nel gesto del piegare che
reca le tracce dell’atto performativo. Il gioco messo in scena lavora
attraverso le pieghe sulla costruzione di una nuova forma che cela e rivela
allo stesso tempo, nell’ambiguità linguistica propria di chi interagisce tra
presenza e assenza: presenza dell’opera, assenza del contenuto. Ecco perché
l’ostensione delle pieghe si discosta dall’espansione all’infinito tipico del
Barocco – in cui l’accumulo dilata se stesso, in riflessi di rimandi quasi
speculari – e si inscrive pienamente nella riduzione all’essenza che è propria
di certe declinazioni minimaliste.
Berlingeri ha
progettato le sue installazioni in rapporto con le opere, come si trattasse in
realtà di un unico grande lavoro, suddiviso per stazioni, o, se si vuole, di un
racconto esposto per capitoli. Amore rosso per Mattia Preti riverbera
nelle tonalità i colori del Trionfo d’Amore del protagonista calabrese
della pittura del Seicento, espandendo
il grande dipinto nello spazio antistante, con una tela rossa lievemente
segnata che lascia intravvedere il supporto al colore, come un dichiarazione
d’amore da svolgere. La Triade collocata dinanzi all’intimo e raccolto
nucleo sacro di Battistello evoca la sacralità dei colori primari e annuncia
l’avvento di una storia di salvezza ancora in fieri. La Piccola piega per
Ribera emana sentori barocchi di rappresentazioni della Passione di Cristo,
come un frammento sgocciolante di umanità tradita e violata, in una condizione
che tutti ci accomuna. Il percorso prosegue con un ulteriore incontro con
Mattia Preti: questa volta è il Cristo e la cananea, intriso di
splendori cromatici posti a scenario di un più drammatico nero, Avvolto nel
nero, che denuncia i conflitti e le miserie della nostra quotidiana
condizione di limitata umanità. Corpo rosso mi pare tra i lavori quello
più drammatico, più carico di un lacerante pathos, che rinvia alle tensioni e al
sofferto tenebrismo del dipinto di Luca Giordano, qui in uno dei suoi momenti
più caravaggeschi, nel gioco dolente di luci ed ombre spinte all’estremo. Una
tensione urgente e un impeto di ascensione si avverte nel Ombre sul rosso
piegato, che si colloca al centro della sala dedicata a De Mura, come fosse
il contraltare dei corpi dipinti in tutta la loro grandiosità.
Lo spazio
antistante sembra essere per Berlingeri il contesto privilegiato per collocare
i suoi lavori, che non aspirano al superamento e alla cancellazione della storia,
ma si pongono in continuità, come un personale commento alla pittura
occidentale, con l’evidente impegno a segnare un raffronto e con tutta la
responsabilità di raccogliere un’eredità pesante e talvolta ingombrante. Così Primordiale
è tra i maestri del Cinquecento calabrese, Negroni e Cardisco, con una triade
di figure bianche distese, quasi a richiamare le origini della pittura stessa e
del mondo.
Nella stanza
successiva, tra Ribera e Stanzione, tra naturalismo e classicismo dunque, Aria
acqua fuoco e terra raccontano degli elementi primari all’origine del
tutto, secondo quell’idea dei presocratici certo non estranea alla koinè
magnogreca, in cui affondano le radici della cultura occidentale. Mentre viene
come imprigionato all’interno della cella semicircolare, retaggio storico
dell’antica destinazione del palazzo a carcere e a luogo di reclusione e
sofferenza, del corpo come dell’anima, Senza titolo, l’immagine
antropomorfa che con le sue lacrime nere si pone a commento dell’artista sul
dolore dell’uomo, senza indulgere in ridondanze, ma con la sintesi di pochi
segni precisi.
Il percorso
della mostra si apre poi al trionfo del barocco, tra Mattia Preti e Luca
Giordano, fino a raggiungere i momenti più rappresentativi del Settecento romano
e napoletano. Ed è qui che Berlingeri schiera un esercito di forme dolenti in
un’installazione corale che, pur se
raccolta in due opere, sembra costituire un dialogo nel dialogo, un rimando di
tensioni che, ora disposte informalmente (29 avvolti segnati di carbone),
ora ripiegate in forma di croce (Composizione 16 elementi piegati), racchiudono
in segni essenziali e nell’assenza di ogni colore, il senso di un dramma
epocale. Si legge in questo tratto quanto abbia inciso nel percorso
dell’artista l’esperienza del teatro come rilettura e rievocazione della
vicenda umana, che si ripete per frammenti sempre identica a se stessa.
Infine, nello
spazio prospiciente alla sezione dedicata a Boccioni, 49 frammenti con ombra
ripropongono nel ritmo circolare il costante ritorno degli eventi.
Nell’intero
percorso espositivo si rilegge dunque il senso di un’opera complessiva, in cui
le singole opere, come le singole pieghe, sembrano far parte di un tutto: la
piega rimanda ad altre pieghe, con un’idea precisa dell’opera come continuum.
Ecco dunque
che la compenetrazione acquista un senso diverso, compiuto, nel mondo
delle forme che si riflettono nel tempo e nello spazio, senza soluzione di
continuità.
Fabio De Chirico
Cesare Berlingeri è nato nel 1948 a Cittanova, in
provincia di Reggio Calabria. Inizia a dipingere giovanissimo, nello studio di
Cittanova del maestro Deleo, docente in pensione dell’Accademia di Liegi. Nel
1964 emigra in Piemonte dove lavora presso un decoratore di chiese. Nel ‘68
intraprende una serie di viaggi in Europa, conosce altri artisti e si confronta
con il mondo della cultura contemporanea. A Roma, negli anni ’70, inizia a
lavorare per il teatro e per la televisione come scenografo e costumista con il
regista E. Vincenti. L’attività teatrale, alla quale si avvicina sempre
profondamente da pittore, rappresenta una costante nel suo percorso artistico.
Fino al 1974 è responsabile per il settore Arte dei centri servizi culturali
CIF della Calabria. Ricerca una propria via espressiva sperimentando tecniche e
maniere diverse di dipingere, utilizza agenti atmosferici quali vento, pioggia,
fuoco che gli permettono di introdurre la casualità e materiali come la calce,
il cemento, la carta straccia e la tela. Le opere di questo periodo sono
presentate in occasione della sua prima personale, presso la Galleria AxA di
Firenze (1975). Si tratta di lavori ad olio, estremamente materici sui quali
l’artista interviene creando dei segni calligrafici mediante l’uso del fuoco.
Nel 1976, per la prima rete RAI, realizza scene e costumi per uno
spettacolo circense, collabora ad un laboratorio di ricerca gestuale e visiva e
realizza un intervento pittorico-gestuale per una piazza calabrese. Sempre per
la RAI, l’anno successivo, è impegnato in un’azione performativa di intervento
sul paesaggio urbano. Ricostruisce, coinvolgendo la gente del luogo, il dramma
di un paese calabrese colpito da un’alluvione. Berlingeri traccia sulla piazza
spazi che ridisegnano i luoghi ormai distrutti, permettendo agli abitanti di
riviverli simbolicamente per la durata dell’evento. Contemporaneamente a
queste riprese, la Rai manda in onda il Faust di C. Marlowe con Tino Buazzelli,
per il quale realizza scene e costumi. Inizia a lavorare alle Trasparenze
(1978), successive al ciclo degli Strappi,
riconfermando il suo studio sulla tela in continua evoluzione-trasformazione.
Le Trasparenze rappresentano “una
ricerca sulla tela e sulla sua penetrabilità, sulla visibilità dell’oltre la
tela: un tentativo di non irrigidire il sistema della visibilità” C. Benincasa.
Sono lavori costituiti da leggerissime tele di lino sovrapposte, ossia
sovrapposizioni di superfici trasparenti che rimandano l’una all’altra e non
nascondono i frammenti di colore e le piccole tele piegate che racchiudono.
Questo ciclo viene presentato nel 1979 alla Galleria Soligo di Roma ed alla
Galleria Civica di Saint Vincent. C. Vivaldi segnala così l’artista sul
catalogo Bolaffi (1980): “Sono lieto di presentare un giovane pittore calabrese
che, pur vivendo in un piccolo centro, è perfettamente inserito nella linea
maestra della cultura internazionale. Si tratta di un artista di sicuro
avvenire.” Nei primi anni Ottanta, in occasione della mostra “Racconti
colorati”, alla galleria “Interarte” di Milano, espone grandi tele di
lino caratterizzate da segni geometrici e calligrafici di grande liricità.
Ripropone, in questa fase, lo stesso concetto delle Trasparenze, di una tecnica che per sovrapposizione non occulta, ma
in questo caso attraverso l’uso dell’acquarello. Nel 1985 presenta alla
Galleria “Soligo” il ciclo delle Fioriture,
anch’esse grandi tele dipinte ad olio ed a smalti industriali con ampi gesti.
Nel testo in catalogo, F. Menna ci fa notare come: “…l’artista lavori per
serie, come questa delle Fioriture
che dà corpo alla mostra odierna, o come le serie precedenti degli strappi e delle piegature: il che vuol dire che le opere singole si inseriscono in
un discorso più articolato, dove ciascuna conferisce e riceve qualcosa dalle altre”.
Partecipa anche alla mostra 5 mosaici per 5 artisti, assieme a Schifano,
Mafonso, Parres e Festa, con il quale, pur nell’assoluta diversità, nasce una
grande amicizia e si sviluppa una grande affinità intellettuale. Nel 1986 è
invitato ad una collettiva a Tokio, “Mostra sul disegno italiano” ed alla XI
Quadriennale di Roma. Alla personale, “Specchio rotto specchio”, espone opere
di piccole e grandi dimensioni dai colori accesi, ottenuti con olio e
pigmento. La “Galleria d’Arte Moderna” di Paternò (CT) ospita una
sua personale, “Nero, Bianco, Rosso e Blu” (1989). I lavori presentati sono
realizzati con una grande varietà di tecniche quali: pigmenti naturali, smalti,
acrilici e cere. Sono per lo più dittici e trittici costituiti
dall’accostamento di tele monocrome, segnate a volte da carbone e grafite, a
lastre di ferro.
Si intensificano le collaborazioni teatrali. Nel 1981 realizza una grande installazione per “La
lunga notte di Medea” al teatro Piccolini di Firenze. Nel 1982, per la Biennale
Teatro di Venezia, realizza una scenografia per “Il Candido ovvero…” di
Leonardo Sciascia; nel 1987, per il teatro stabile di Calabria, cura le scene e
i costumi di “Italian Opera Graffiti”.
Dal 1989 al 1995 è docente all’Accademia d’Arte Drammatica della
Calabria. Durante questo periodo realizza scene e costumi per gli spettacoli
che l’Accademia produce, tra i quali si ricordano: “Le parole, le emozioni, i
linguaggi” (1989); “Rose di ghiaccio, studi in dieci movimenti” (1990);
“Intrighi d’amore” (1991), per il quale realizza “una grande scena-piega che si
apriva e richiudeva, variando lo spazio continuamente” (C. Berlingeri);
“Albergo di montagna”, realizzato per il Festival Internazionale Teatro di
Praga (1994); “La lunga notte di Medea”, per il Festival di Taormina Arte
(1995). Chiamato dalla compagnia “Rossotiziano” di Napoli, nel 1998 cura scene
e costumi per “Variazioni” (Majorana). Possiamo ben comprendere come il teatro
gli offra la possibilità di sperimentare le sue tecniche pittoriche da una sua
frase rilasciata in occasione di un’intervista riportata sul catalogo
della mostra “Nero, Bianco, Rosso e Blu”: “A teatro potevo fare dei grandi
quadri che si muovevano sul palcoscenico. Ho spinto al massimo la mia tendenza
a fare del palcoscenico un quadro dinamico ed ho usato per questa operazione
anche i personaggi come pure indicazioni di colore in movimento”.
I dipinti piegati vengono esposti nel ’90, dopo l’incontro con T.
Trini che scrive: ”Ricordo che quando visitai lo studio di Taurianova, in
preparazione di un’ampia mostra a Messina, Berlingeri duellava ancora con le
perplessità dei suoi sostenitori, per lo più convinti che ‘quegli oggetti’
andassero fuori stile. Ma io ne fui subito entusiasta”. “Opere Recenti”, la
mostra a cui Trini si riferisce, viene allestita nel foyer del Teatro
Vittorio Emanuele, dove sono esposti alcuni dittici e per la prima volta le Piegature. Queste tele piegate ed
impregnate di pigmento puro, abbozzate sin dal 1976 in piccole dimensioni,
vengono adesso riprese e sviluppate. L’idea delle Piegature nasce da un ricordo della sua infanzia: un piccolo
involucro di stoffa nero opaco che sua madre usava tenere al collo come
amuleto. Ma l’atto del piegare grandi tele dipinte viene messo in pratica per
la prima volta in teatro. Mentre lavora ad una scenografia dipinge una notte
stellata su un grande fondale. A spettacolo finito, quando è giunto il momento
di smontarlo, si rende conto come di piega in piega, questa grande tela diventi
un fagotto di circa ottanta centimetri. In questi anni numerose sono le mostre
personali e collettive nelle quali è esposto il suo nuovo lavoro con diversi
apprezzamenti critici. Nel 1994 per la Fondazione Mudima
di Milano crea una grande installazione a parete, Piegare la notte, composta da circa venti piegature, di dimensioni,
forme e colori differenti. Segue la collettiva alla Civica Galleria d’Arte di
Gallarate, Riflessione e ridefinizione
della pittura astratta. La galleria La Polena di Genova gli dedica una personale Viaggi. In un’altra personale alla Fondazione
Mudima (1999), sono esposti oltre alle Piegature,
dei piccoli dipinti su piombo. Il piombo è per l’artista: “una materia sorda,
una materia che assorbe. Una materia veramente silenziosa”. Sono presenti anche
delle grandi tele segnate a carbone nelle quali affiorano “elementi figurali,
segni quasi umani, ombre di presenze, cicli che discorrono” T.Trini. Nel 2001 la New Art Gallery, di Padova
ospita Dipinti Piegati. In uno dei
pensieri tratti dal diario di studio, l'artista, a proposito delle Piegature, dice: "sono pitture che
recano in sé un atto sigillato, un atto che indica il tempo della loro
elevazione futura come atto di nascita. Ogni piegatura possiede l'intera
infinità delle piccole percezioni. Mi fa pensare all'intuizione leibniziana di una
goccia d'acqua che possiede al suo interno un intero universo, le cui gocce
d'acqua contengono al loro interno nuovi universi e così via
all'infinito". Nel 2003 tiene una personale alla Mole Vanvitelliana di
Ancona, progettando per i seminterrati una suggestiva installazione,
Viaggi, opere anch'esse piegate, ma in questo caso più volumetriche e concepite
per invadere lo spazio.
T. Trini cura un’importante monografia sul suo lavoro edita da
Skira. Il suo paese natale lo omaggia con una retrospettiva molto singolare,
perché si avvale di lavori storici, figurativi che l’artista non sempre ama
mostrare, proprio come i suoi disegni, poiché rappresentano una sorta di
diario per immagini della sua vita. E’ invitato, dal Comune di Padova, a
tenere una personale a Palazzo Moroni. Nel 2004 partecipa ad una collettiva al
Museo Nazionale di Arezzo, “Da Picasso a Botero”. Un anno dopo la Calabria si fa promotrice
di due ampie personali. La prima presso il Castello Aragonese di Reggio
Calabria con un’ampia retrospettiva “La pittura piegata”. Per una delle sale,
quella della torre, realizza Deposito di
stelle, un’installazione composta da grandi piegature blu, accatastate su
delle pedane di legno, per la quale V. Baradel scrive: “Il cielo notturno di
Berlingeri precipita al fondo della torre del castello. La sua luce blu si fa
colore solido ripiegandosi nello scrigno della tela. Volte stellate sono quelle
di Giotto ad Assisi e a Padova. Il fondale del cielo, sempre lui, piegato e
ripiegato ora giace a terra, salvato dalla cecità degli uomini e dei e messo al
sicuro nelle segrete viscere della torre. L’alto e il basso si affratellano
quando le stelle scendono nel punto più basso”. La seconda grande mostra in
Calabria è l’antologica “Cesare Berlingeri, Materia” 1975 – 2005 che si tiene
presso il Complesso Monumentale S. Giovanni, a Catanzaro. I Corpi sono l’ultimo ciclo dei suoi
lavori. E’questo è il titolo della personale che si tiene nel 2006 a MUDIMAdrie, Anversa.
Sono corpi d’aria, rivestiti da una superficie levigata, generati da una
materia “che agisce come il pane, cioè respira, si gonfia, cresce come la vita,
come gli alberi. E poi la curiosità più bella è che bastano tre chiodi puntati
qui e là e questa forma cresce in maniera diversa…” C. Berlingeri. A Padova la Vecchiato New Art
Galleries, presenta “Vele per nessun mare” (2007). I lavori proposti sono
sculture, piegature in alluminio dipinte con pasta di smalto. Anche su questo
metallo, come precedentemente per il ferro e per il piombo, avviene la
‘transustanziazione” attraverso il particolarissimo uso del colore.
Nel 2007 il MAC Museo de Goiania gli dedica un’ampia antologica:
circa 200 opere illustrano il percorso dell’artista dagli anni Sessanta fino ai
lavori più recenti. La stessa è ospitata nei mesi successivi al MAM Museo de
Arte Moderna de Salvador de Baia ed al MAM Museo de Arte Moderna di Rio de
Janeiro.
Tra il 2008 e il 2011 i suoi lavori vengono presentati a: 11 th
International Cairo Biennale; Anniart 798 Factory, Pechino; CAMS, Centro Arti
Musica e Spettacolo, Università della Calabria; Galleria Ellebi, Cosenza;
Studio Lattuada, Milano.
Nel 2012 la
Fondazione Rocco Guglielmo, la Fondazione Rotella
e la Vecchiato Art
Galleries organizzano a Catanzaro un’esposizione dal titolo “Ghiacci e ombre”.
“(…) l’installazione dei Ventinove
avvolti con ombra nell’azzurro (…) e Primordiale
(…) sono due stazioni che avvicinano ulteriormente il nodo cruciale,
rappresentato dalla presenza dell’umano in ogni forma visibile che ci circonda.
La prima è una presenza culturale (…), l’effigie di un essere e di una sua
azione ormai incomprensibile; la seconda, invece risale ancora più indietro
nella definizione di questa specie di “ur-form”, di “forma originaria”(non a
caso si titola “Primordiale”) dell’essere. In entrambi i casi si ha la
sensazione di trovarsi di fronte ad un “ritrovamento”, all’emersione da un
tempo diverso di qualcosa che ci riguarda da vicino e che un po’ ci inquieta
perché, ancora una volta, ritroviamo le nostre fattezze. E la nostra coscienza
– ma anche il nostro istinto – ci impone di guardarle come parte di noi”.
(Marco Meneguzzo, curatore della mostra).
pubblica:
Massimo Nardi