Giorgio De Chirico, Piazza_d'Italia Courtesy_Galleria_d'Arte_Maggiore__G.A.M.,_Bologna_(Italy
8
giugno – 29 settembre
Castello
Aragonese – Otranto (Le)
Orari:
giugno e settembre 10-21; luglio e agosto 10-24.
Info
e prenotazioni: 199.151.123 – callcenter@sistemamuseo.it
GIORGIO DE CHIRICO - MISTERO E POESIA
Dopo
Joan Mirò, Pablo Picasso, Salvador Dalì e Andy Warhol, a Otranto approda
un’interessante mostra dedicata al grande artista italiano a cura di Franco
Calarota.
Le sale del Castello Aragonese ospiteranno
undici dipinti a olio, tre sculture e oltre trenta tra disegni, acquarelli e
grafiche, prestiti della Galleria d’Arte Maggiore di Bologna.
Metafisica
a sud, enigma di un pomeriggio d’estate è, invece, il titolo del programma degli
eventi a margine della mostra.
Un grande evento giunge per il quinto anno
consecutivo al Castello
Aragonese di Otranto, contenitore culturale gestito dall’Agenzia di
Comunicazione Orione
di Maglie e dalla Società Cooperativa Sistema Museo di Perugia, con la direzione
artistica dell’architetto Raffaela Zizzari. Dopo aver accolto oltre
200mila visitatori con le mostre di Joan Mirò, Pablo Picasso, Salvador Dalì e
Andy Warhol, l’antico maniero idruntino ospita da sabato 8 giugno a domenica 29 settembre
la mostra “Giorgio de Chirico - Mistero e poesia” a cura di Franco Calarota.
Partito
dall'Italia con la sua Metafisica, Giorgio de Chirico (Volos, 10 luglio 1888 –
Roma, 20 novembre 1978) ha conquistato la scena internazionale fin dalla prima
metà del secolo scorso, travalicando i confini dell'arte per influenzare con il
suo universo artistico non solo la generazione successiva di pittori, ma anche
letterati, filosofi, architetti e la psicanalisi.
Attraverso
una selezione di opere – undici dipinti a olio, tre sculture e oltre trenta tra
disegni, acquarelli e grafiche, in prestito dalla Galleria d’Arte Maggiore di
Bologna - la mostra proposta al Castello di Otranto si pone come
obiettivo quello di dimostrare come Giorgio de Chirico abbia disseminato con la
pittura quantità di argomenti nelle più varie zone culturali e di rinnovare
l’accostamento critico di un autore che in modo tanto completo rappresenta la
nostra epoca.
L'esposizione monografica su Giorgio de
Chirico illustrerà il percorso della sua opera all’insegna della Metafisica –
intesa dal maestro come qualità eletta della pittura e non come caratteristica
dei soggetti – che scorre lungo le diverse fasi stilistiche del suo lavoro:
recupero della tradizione classica, suscitazioni surreali e riavvicinamenti
alla realtà si intrecciano in un universo di mondi, linguaggi e codici
differenti.
Inventore di città allucinate e assurde, le
sue “Piazze d'Italia” si offrono come luoghi incerti e instabili da cui
l'occhio è attratto per le sue architetture classiche, racchiuse nella gabbia
di una rassicurante prospettiva rinascimentale, ma da cui la mente divaga per
l'accostamento con elementi stranianti che trasformano i luoghi familiari da
cui prende ispirazione (come Monaco di Baviera, Firenze, Roma, Torino, Parigi,
Ferrara e New York) in realtà analoghe, diverse, sospese in un'atemporalità
assoluta. Si tratta di una imagerie
fatta di interruzioni e dissonanze che per citare Italo Calvino danno vita a
“città del pensiero” a cui gli architetti del dopoguerra si ispireranno per la
realizzazione di nuovi edifici e progetti urbanistici.
La figura umana è quasi inesistente in
questo universo, sostituita da calchi in gesso di statue antiche o dai suoi
tipici manichini. Si tratta di quelle famose “Muse inquietanti” che popolano il
suo universo nell'enigmaticità e nel silenzio, vivendo come guardiani tra ciò
che è stato e quello che sarà in un eterno presente, in un continuo ritorno, in
una ripetizione differente. Le sue figure senza volto, prive di connotati
fisici e quindi anche di etnia, cultura o religione, sorvegliano
imperscrutabili la sua dialettica sospesa tra rievocazione e invenzione, tra
ricordo e rinnovamento, occupando la superficie con la loro presenza immutabile
che immerge in un mondo classico, un'angoscia del tutto moderna.
Del resto come lo stesso de Chirico
confida: “Senza la scoperta del passato, non è possibile la scoperta del
presente”. A questo scopo il maestro frequenta il museo per utilizzare nelle
sue opere ogni reperto e andare così “al di là della fisica”, spostandosi in
questo modo al di fuori del mondo a lui attuale in una dimensione che sia
appunto Metafisica. Giorgio de Chirico sceglie di rivolgersi a quell'universo
mitologico che affonda le sue radici nel glorioso passato della storia dei
popoli del Mediterraneo per rivendicare un valore estetico a ogni oggetto e
circostanza preesistente a lui e soprattutto per nobilitare i luoghi squallidi
del presente (con le ciminiere, i treni, i simboli di un paesaggio moderno)
attraverso il loro inserimento in quelli di un passato illustre.
Metafisica a sud, enigma di un pomeriggio d’estate è il titolo del
programma degli eventi a margine della mostra dedicata a Giorgio de Chirico che
offriranno la possibilità di compiere inconsuete esplorazioni del nostro
territorio regionale, delle sue molteplici peculiarità, attraverso la visione
pittorica dell’artista padre della metafisica. Una serie di eventi collaterali (ancora
in via di definizione) si inseriranno nel solco del percorso di marketing
innovativo intrapreso nel 2009 con la nuova direzione artistica del castello,
amplificando l’attrattività e l’offerta culturale della Città di Otranto e
dell’intero territorio del Salento. Tra gli altri appuntamenti in programma,
giovedì 13 giugno Andrea Molesini presenterà “La Primavera Del
Lupo” (Sellerio); mercoledì 10 luglio, giornata di commemorazione dei 125 anni
dalla nascita di de Chirico, ci sarà la proiezione integrale di Visioni
Mediterranee (appunti per una
Metafisica a Sud, gioco-studio su Giorgio de Chirico e la Magna Grecia), di Chiara Idrusa
Scrimieri, un percorso tra docufilm e videoarte, un viaggio di
lettura metafisica applicata al paesaggio sensibile della nostra Magna Grecia, e
l’inaugurazione di una collettiva di giovani artisti pugliesi. L’istallazione
del cortile Mysterious balls di Raffaela Zizzari decontestualizza, invece, le
palle policrome da battigia otrantina, trasformandole in sedute che permettono
ai visitatori di sostare e di “fruire” dell’istallazione, trasformando così il
cortile in luogo enigmatico di incontro. La rassegna degli eventi collaterali,
giunta alla quarta edizione, ha registrato importanti risultati non solo per i
visitatori che hanno apprezzato le singole mostre e gli appuntamenti ma anche
per artisti, architetti, registi, designer e aziende che traggono una concreta
opportunità di incontro e di promozione.
La mostra è aperta tutti i giorni.
Orari:
giugno e settembre 10-21; luglio e agosto 10-24.
Ticket d’ingresso: intero € 7,00; ridotto € 4,00 (6-14 anni,
oltre 65 anni, scolaresche, diversamente abili e relativi accompagnatori,
gruppi superiori a 20 unità, convenzioni attive). Titolari Otranto Card: intero
€ 6,00.
Audioguida: singola € 4,00;
doppia € 6,00.
Visita guidata di gruppo su prenotazione (in italiano,
inglese o francese)
• solo mostra: gruppi 80,00 euro + ticket
d’ingresso; scuole 60,00 euro + ticket d’ingresso
• mostra + castello: gruppi 100,00 euro +
ticket d’ingresso; scuole 80,00 euro + ticket d’ingresso.
Info e prenotazioni: 199.151.123
– callcenter@sistemamuseo.it
Info per la Stampa (non pubblicare):
Orione – Maglie
Pierpaolo Lala 339
4313397
Laura Casciotti 340
3021855
Sistema Museo –
Perugia
Sara Stangoni 339
1012800
GIORGIO
DE CHIRICO E IL FIUTO DI RABDOMANTE
Franco Calarota
In più occasioni Giorgio de Chirico
sottolinea come la critica, i mercanti, gli intellettuali e gli altri pittori
del suo tempo non abbiano mai veramente compreso la sua arte ed anzi, afferma
come si sia spesso ritrovato nella difficile situazione di dover andar contro
anche ai suoi sostenitori e agli amici che “non capiscono nulla della mia
pittura”[1].
Del resto gli obiettivi principali delle ironiche osservazioni di de Chirico
sono quelli di svelare non solo i meccanismi che regolano il mondo che ruota
intorno all'arte - e quindi quello dei movimenti di pensiero, delle poetiche,
delle strategie di mercato - ma anche e soprattutto il “mistero” e la
“bellezza” dell'arte stessa. Si trova in errore anche chi davanti alla sua
opera declama a gran voce l'emozione, perché “non bastano le lacrime e i
sospiri e le mute ammirazioni davanti ai capolavori dei musei; né bastano le
idee generali e le teorie, specie quelle che [...] hanno per meta precipua di menar
il can per l'aia e d'ingannare il nemico”[2].
Secondo de Chirico per comprendere bisogna partire dalla materia che “è una
cosa infinitamente più occulta e difficile a capire che non il lato poetico e
metafisico di un'opera d'arte”[3].
Anche in questo Giorgio de Chirico può giustamente essere considerato
“originario”, se si prende in considerazione la distinzione che vede operare su
due fronti antagonistici, durante la prima metà del XX secolo, i diversi
movimenti di avanguardia che possono essere considerati “originali” nel rompere
con il passato per proporre il nuovo a tutti i costi, e quelle correnti di cui
de Chirico è il Maestro per eccellenza e che mirano ad una evoluzione nella
continuità della tradizione, a un dialogo con la storia dell'arte[4].
Se questa ricerca di un nesso con il passato è evidente e si nota già da
un’occhiata distratta ai soggetti classici che fanno capolino sulle tele o
nell'uso dell'impianto prospettico di tipo rinascimentale che de Chirico
utilizza, è necessario osservare attentamente e da vicino la materia delle sue
opere per scoprire il suo obiettivo. Lui stesso insieme all'immancabile
sostegno della moglie, Isabella Far[5],
passerà intere giornate a studiare i manoscritti degli artisti del passato e
trascorrerà ore ad osservare i dipinti nei musei, per imparare a realizzare a
mano la tempera ideale e svelare i segreti tecnici della “grande pittura”[6].
Se invece che presentare se stesso in
uno dei tanti costumi di stile rinascimentale, Giorgio de Chirico si fosse
autoritratto con pipa, berretto e la lente d'ingrandimento potrebbe essere
divertente immaginarlo nei panni di Sherlock Holmes che, come suggerisce in un
suo scritto, “con fiuto da rabdomante”[7]
si impegna ad evitare tranelli ed a risolvere gli enigmi dell'arte, per
“scavare” e portare alla luce, permettendo allo spettatore di entrare in quel
mondo metafisico da lui ideato. Del resto sono le sue stesse parole che
conducono a questa interpretazione, quando dice che “la porta sul mondo della
metafisica non si apre che raramente, mentre la grande pittura, legata al
Talento Universale, è il frutto dell'ispirazione artistica e di un serio lavoro
umano e concreto”[8]. De Chirico si sporca le
mani quindi per partire dal concreto, da uno studio della materia e del disegno
in entrambi ripetendo differentemente gli stessi soggetti per poi arrivare a
quel risultato perfetto che conduce alla Metafisica. Una parola rubata ad
Aristotele, il più grande filosofo greco, e derivata dal greco antico, che
segna un ritorno anche al paese dove Giorgio de Chirico vede i natali: la
Grecia, dove ad onor del vero nasce da genitori italiani. Il maestro sceglie il
termine metafisica per presentare al mondo la sua arte, una parola che già
contiene nel significato etimologico una traccia per andare “oltre”, per superare
l'occhiata distratta ed avventurarsi alla ricerca dell'essenza, della verità in
se stessa. Seguendo le indicazioni lasciate dalle sue stesse dichiarazioni
negli scritti di suo pugno e nelle interviste, conditio sine qua non di
tale manifestazione è l'equilibrio perfetto di tutti i tasselli: la qualità
della materia, la perfezione del disegno, l'accurata scelta dei soggetti, la
maestrale esecuzione pittorica racchiusa nella gabbia prospettica di tipo
rinascimentale. In altre parole, de Chirico parte dalla “fisica” dai
fenomeni reali legati ai cinque sensi per spostarsi al “meta” che va “oltre”
quello che è già stato fatto fino a quel momento sia da quelli prima di lui,
sia da lui stesso, per andare “al di là” della realtà fenomenica e
svelarci il “sopra”, l'assoluto, l'essenza la verità del tutto.
Diverse sono le fasi artistiche della
sua carriera e cade in errore chi pensa che il primo periodo metafisico fino
agli anni Venti abbia più valore degli anni tra il Sessanta o il Settanta dove
ritorna agli stessi soggetti per perfezionarli, abbandonando la fase barocca.
Forse è proprio questa ricerca di perfezione che lo porterà, nell'ultimo
decennio della sua vita, ad additare come false molte delle opere
precedentemente create. E non si cada nell'errore di pensare che la produzione
scultorea abbia un ruolo subalterno nell'opera del Maestro, perché la scultura
riveste un ruolo di primaria importanza ed è presente in tutta la sua
produzione, anche in quella pittorica. Spesso nella sua prima produzione è, infatti,
il marmo bianco di una statua il punto su cui convergono le linee prospettiche
del dipinto e spesso si tratta di soggetti estrapolati dal mondo
greco-ellenistico, a voler già sottolineare un ritorno alle origini della sua
storia personale e della civiltà artistica. Se fin dagli esordi appaiono
frammenti marmorei, come le teste, la scultura conquista non solo il centro del
dipinto, ma anche la sua interezza. Basta pensare alle tante rappresentazioni
di Arianna tra le “piazze d'Italia” la cui compostezza giganteggia sulla
presenza dell'uomo, quando raffigurato, così come sulla tecnologia che
sapientemente diventa parte integrante di un paesaggio classico e fuori del
tempo. Ed è proprio la stessa Arianna a rendere evidente quell'intento
di classicità, così come di atemporalità presente nell'opera di de Chirico.
Dipinto dopo dipinto, Arianna entra in possesso di quelle qualità
metafisiche che la fanno andare “oltre” alla ricerca di continuità con la
tradizione, per andare “al di sopra” e costituirsi come emblema dell'infinito.
Nella produzione del primo de Chirico le sculture, poi sostituite dai
manichini, “coerentemente con l'interpretazione in chiave di rappresentazione
di ogni fenomeno [...] impersonano la metafisica controfigura, il fondamento
archetipo che si incarica di rappresentare la pittura nella sua emblematicità e
concettualità originaria”[9].
A poco a poco avviene, infatti, un ulteriore spostamento metafisico verso
“l'oltre”, verso il andare “al di là” e “al di sopra” e la scultura perde le
sue fattezze classiche per rendere manifesta la sua essenza simbolica ed essere
sostituita dai manichini che rendono evidente la loro trasformazione nei titoli
dal riferimento esplicito come Penelope e Telemaco, Ettore e
Andromaca. La trasformazione avviene in due fasi, una iniziale in cui il
manichino si presenta come vera e propria controfigura della statua ed un
passaggio ulteriore in cui esibisce fattezze a metà tra le sembianze di una
marionetta e di uno schermidore fino alla trasformazione finale in quelle muse
inquietanti che sono simulacri del suo mondo metafisico. Ancora una volta ci
vengono in aiuto le parole dello stesso de Chirico quando afferma che “per
quello che riguarda il manichino, più assomiglia all'uomo, più è freddo e
sgradevole. Il carattere patetico e lirico dei miei manichini, in particolare
di quelli seduti, come Gli Archeologici, viene dal loro allontanamento
dall'uomo. Anzi il manichino è ai nostri occhi spiacevole, perché è una sorta
di parodia dell'uomo. Diventa un oggetto di cui i tratti sono vicini a quelli
dell'uomo, ma che è spogliato del movimento e della vita; il manichino è
profondamente non vivente e questa mancanza di vita ci ripugna e ce lo rende
odioso” ma continua “chi non ha il tempo di osservare con attenzione una statua
o un manichino, non può rendersi conto che il manichino vuole essere un uomo e
che per questa ragione è mostruoso, perché aspira alla vita, è profondamente
non-vivente, a differenza di una statua che vuole essere un'opera d'arte;
questa non aspira alla vita, ma alla spiritualità grazie a cui ottiene
l'immortalità; la vita dell'arte”[10].
Ecco quindi la sintesi perfetta, il manichino si estranea dal dipinto per
diventare scultura, ottiene immortalità, acquista caratteri metafisici e
diventa essenza nella produzione dell'artista. Ed ecco ancora una volta
emergere la vena rivelatrice di Giorgio de Chirico, lui con la sua metafisica
mira a presentarci l'essenza, la verità.
[1]Giorgio
de Chirico “Memorie della mia vita”, Bompiani, 2008.
[2]Giorgio
de Chirico, “Pro tempera oratio”, 1920 ca., pubblicato in questo catalogo.
[3]Giorgio
de Chirico “Memorie della mia vita”, cit.
[4]Sulla
distinzione tra “originale” e “originarie” si veda Renato Barilli, “Fenomenologia
degli stili”, Bononia University Press, 2007.
[5]Pseudonimo
di Isabella Pakzswer
[6]Idem
[7]Giorgio
de Chirico, “Brevis pro plastica oratio” pubblicato in “Aria d'Italia” nel
1940, contenuto in Maurizio Fagiolo “Giorgio de Chirico – Il meccanismo del
pensiero”, Einaudi, 1985.
[8]Giorgio
de Chirico, “Monsieur Doudron”, 1945, edito da La Differénce, Parigi, 2004.
[9]Giovanna
della Chiesa, “De Chirico scultore”, Giorgio Mondadori & Associati, 1988.
[10]Giorgio
de Chirico, “Discorso sullo spettacolo teatrale”, in “L'illustrazione
italiana”, 25 ottobre 1942.
segnala:
Massimo Nardi