giovedì 13 giugno 2013

GIORGIO DE CHIRICO - MISTERO E POESIA


Giorgio De Chirico, Piazza_d'Italia Courtesy_Galleria_d'Arte_Maggiore__G.A.M.,_Bologna_(Italy
8 giugno – 29 settembre
Castello Aragonese – Otranto (Le)
Orari: giugno e settembre 10-21; luglio e agosto 10-24.
Info e prenotazioni: 199.151.123 – callcenter@sistemamuseo.it

GIORGIO DE CHIRICO - MISTERO E POESIA
Dopo Joan Mirò, Pablo Picasso, Salvador Dalì e Andy Warhol, a Otranto approda un’interessante mostra dedicata al grande artista italiano a cura di Franco Calarota.
 Le sale del Castello Aragonese ospiteranno undici dipinti a olio, tre sculture e oltre trenta tra disegni, acquarelli e grafiche, prestiti della Galleria d’Arte Maggiore di Bologna.

Metafisica a sud, enigma di un pomeriggio d’estate è, invece, il titolo del programma degli eventi a margine della mostra.
Un grande evento giunge per il quinto anno consecutivo al Castello Aragonese di Otranto, contenitore culturale gestito dall’Agenzia di Comunicazione Orione di Maglie e dalla Società Cooperativa Sistema Museo di Perugia, con la direzione artistica dell’architetto Raffaela Zizzari. Dopo aver accolto oltre 200mila visitatori con le mostre di Joan Mirò, Pablo Picasso, Salvador Dalì e Andy Warhol, l’antico maniero idruntino ospita da sabato 8 giugno a domenica 29 settembre la mostra “Giorgio de Chirico - Mistero e poesia” a cura di Franco Calarota.

Partito dall'Italia con la sua Metafisica, Giorgio de Chirico (Volos, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978) ha conquistato la scena internazionale fin dalla prima metà del secolo scorso, travalicando i confini dell'arte per influenzare con il suo universo artistico non solo la generazione successiva di pittori, ma anche letterati, filosofi, architetti e la psicanalisi.

Attraverso una selezione di opere – undici dipinti a olio, tre sculture e oltre trenta tra disegni, acquarelli e grafiche, in prestito dalla Galleria d’Arte Maggiore di Bologna - la mostra proposta al Castello di Otranto si pone come obiettivo quello di dimostrare come Giorgio de Chirico abbia disseminato con la pittura quantità di argomenti nelle più varie zone culturali e di rinnovare l’accostamento critico di un autore che in modo tanto completo rappresenta la nostra epoca.

L'esposizione monografica su Giorgio de Chirico illustrerà il percorso della sua opera all’insegna della Metafisica – intesa dal maestro come qualità eletta della pittura e non come caratteristica dei soggetti – che scorre lungo le diverse fasi stilistiche del suo lavoro: recupero della tradizione classica, suscitazioni surreali e riavvicinamenti alla realtà si intrecciano in un universo di mondi, linguaggi e codici differenti.

Inventore di città allucinate e assurde, le sue “Piazze d'Italia” si offrono come luoghi incerti e instabili da cui l'occhio è attratto per le sue architetture classiche, racchiuse nella gabbia di una rassicurante prospettiva rinascimentale, ma da cui la mente divaga per l'accostamento con elementi stranianti che trasformano i luoghi familiari da cui prende ispirazione (come Monaco di Baviera, Firenze, Roma, Torino, Parigi, Ferrara e New York) in realtà analoghe, diverse, sospese in un'atemporalità assoluta. Si tratta di una imagerie fatta di interruzioni e dissonanze che per citare Italo Calvino danno vita a “città del pensiero” a cui gli architetti del dopoguerra si ispireranno per la realizzazione di nuovi edifici e progetti urbanistici.

La figura umana è quasi inesistente in questo universo, sostituita da calchi in gesso di statue antiche o dai suoi tipici manichini. Si tratta di quelle famose “Muse inquietanti” che popolano il suo universo nell'enigmaticità e nel silenzio, vivendo come guardiani tra ciò che è stato e quello che sarà in un eterno presente, in un continuo ritorno, in una ripetizione differente. Le sue figure senza volto, prive di connotati fisici e quindi anche di etnia, cultura o religione, sorvegliano imperscrutabili la sua dialettica sospesa tra rievocazione e invenzione, tra ricordo e rinnovamento, occupando la superficie con la loro presenza immutabile che immerge in un mondo classico, un'angoscia del tutto moderna.

Del resto come lo stesso de Chirico confida: “Senza la scoperta del passato, non è possibile la scoperta del presente”. A questo scopo il maestro frequenta il museo per utilizzare nelle sue opere ogni reperto e andare così “al di là della fisica”, spostandosi in questo modo al di fuori del mondo a lui attuale in una dimensione che sia appunto Metafisica. Giorgio de Chirico sceglie di rivolgersi a quell'universo mitologico che affonda le sue radici nel glorioso passato della storia dei popoli del Mediterraneo per rivendicare un valore estetico a ogni oggetto e circostanza preesistente a lui e soprattutto per nobilitare i luoghi squallidi del presente (con le ciminiere, i treni, i simboli di un paesaggio moderno) attraverso il loro inserimento in quelli di un passato illustre.

Metafisica a sud, enigma di un pomeriggio d’estate è il titolo del programma degli eventi a margine della mostra dedicata a Giorgio de Chirico che offriranno la possibilità di compiere inconsuete esplorazioni del nostro territorio regionale, delle sue molteplici peculiarità, attraverso la visione pittorica dell’artista padre della metafisica. Una serie di eventi collaterali (ancora in via di definizione) si inseriranno nel solco del percorso di marketing innovativo intrapreso nel 2009 con la nuova direzione artistica del castello, amplificando l’attrattività e l’offerta culturale della Città di Otranto e dell’intero territorio del Salento. Tra gli altri appuntamenti in programma, giovedì 13 giugno Andrea Molesini presenterà “La Primavera Del Lupo” (Sellerio); mercoledì 10 luglio, giornata di commemorazione dei 125 anni dalla nascita di de Chirico, ci sarà la proiezione integrale di Visioni Mediterranee (appunti per una Metafisica a Sud, gioco-studio su Giorgio de Chirico e la Magna Grecia), di Chiara Idrusa Scrimieri, un percorso tra docufilm e videoarte, un viaggio di lettura metafisica applicata al paesaggio sensibile della nostra Magna Grecia, e l’inaugurazione di una collettiva di giovani artisti pugliesi. L’istallazione del cortile Mysterious balls di Raffaela Zizzari decontestualizza, invece, le palle policrome da battigia otrantina, trasformandole in sedute che permettono ai visitatori di sostare e di “fruire” dell’istallazione, trasformando così il cortile in luogo enigmatico di incontro. La rassegna degli eventi collaterali, giunta alla quarta edizione, ha registrato importanti risultati non solo per i visitatori che hanno apprezzato le singole mostre e gli appuntamenti ma anche per artisti, architetti, registi, designer e aziende che traggono una concreta opportunità di incontro e di promozione.

La mostra è aperta tutti i giorni.
Orari: giugno e settembre 10-21; luglio e agosto 10-24.
Ticket d’ingresso: intero € 7,00; ridotto € 4,00 (6-14 anni, oltre 65 anni, scolaresche, diversamente abili e relativi accompagnatori, gruppi superiori a 20 unità, convenzioni attive). Titolari Otranto Card: intero € 6,00.
Audioguida: singola € 4,00; doppia € 6,00.
Visita guidata di gruppo su prenotazione (in italiano, inglese o francese)
• solo mostra: gruppi 80,00 euro + ticket d’ingresso; scuole 60,00 euro + ticket d’ingresso
• mostra + castello: gruppi 100,00 euro + ticket d’ingresso; scuole 80,00 euro + ticket d’ingresso.
Info e prenotazioni: 199.151.123 – callcenter@sistemamuseo.it

Info per la Stampa (non pubblicare):
Orione – Maglie
Pierpaolo Lala 339 4313397
Laura Casciotti 340 3021855

Sistema Museo – Perugia
Sara Stangoni 339 1012800

GIORGIO DE CHIRICO E IL FIUTO DI RABDOMANTE
Franco Calarota

In più occasioni Giorgio de Chirico sottolinea come la critica, i mercanti, gli intellettuali e gli altri pittori del suo tempo non abbiano mai veramente compreso la sua arte ed anzi, afferma come si sia spesso ritrovato nella difficile situazione di dover andar contro anche ai suoi sostenitori e agli amici che “non capiscono nulla della mia pittura”[1]. Del resto gli obiettivi principali delle ironiche osservazioni di de Chirico sono quelli di svelare non solo i meccanismi che regolano il mondo che ruota intorno all'arte - e quindi quello dei movimenti di pensiero, delle poetiche, delle strategie di mercato - ma anche e soprattutto il “mistero” e la “bellezza” dell'arte stessa. Si trova in errore anche chi davanti alla sua opera declama a gran voce l'emozione, perché “non bastano le lacrime e i sospiri e le mute ammirazioni davanti ai capolavori dei musei; né bastano le idee generali e le teorie, specie quelle che [...] hanno per meta precipua di menar il can per l'aia e d'ingannare il nemico”[2]. Secondo de Chirico per comprendere bisogna partire dalla materia che “è una cosa infinitamente più occulta e difficile a capire che non il lato poetico e metafisico di un'opera d'arte”[3]. Anche in questo Giorgio de Chirico può giustamente essere considerato “originario”, se si prende in considerazione la distinzione che vede operare su due fronti antagonistici, durante la prima metà del XX secolo, i diversi movimenti di avanguardia che possono essere considerati “originali” nel rompere con il passato per proporre il nuovo a tutti i costi, e quelle correnti di cui de Chirico è il Maestro per eccellenza e che mirano ad una evoluzione nella continuità della tradizione, a un dialogo con la storia dell'arte[4]. Se questa ricerca di un nesso con il passato è evidente e si nota già da un’occhiata distratta ai soggetti classici che fanno capolino sulle tele o nell'uso dell'impianto prospettico di tipo rinascimentale che de Chirico utilizza, è necessario osservare attentamente e da vicino la materia delle sue opere per scoprire il suo obiettivo. Lui stesso insieme all'immancabile sostegno della moglie, Isabella Far[5], passerà intere giornate a studiare i manoscritti degli artisti del passato e trascorrerà ore ad osservare i dipinti nei musei, per imparare a realizzare a mano la tempera ideale e svelare i segreti tecnici della “grande pittura”[6].
Se invece che presentare se stesso in uno dei tanti costumi di stile rinascimentale, Giorgio de Chirico si fosse autoritratto con pipa, berretto e la lente d'ingrandimento potrebbe essere divertente immaginarlo nei panni di Sherlock Holmes che, come suggerisce in un suo scritto, “con fiuto da rabdomante”[7] si impegna ad evitare tranelli ed a risolvere gli enigmi dell'arte, per “scavare” e portare alla luce, permettendo allo spettatore di entrare in quel mondo metafisico da lui ideato. Del resto sono le sue stesse parole che conducono a questa interpretazione, quando dice che “la porta sul mondo della metafisica non si apre che raramente, mentre la grande pittura, legata al Talento Universale, è il frutto dell'ispirazione artistica e di un serio lavoro umano e concreto”[8]. De Chirico si sporca le mani quindi per partire dal concreto, da uno studio della materia e del disegno in entrambi ripetendo differentemente gli stessi soggetti per poi arrivare a quel risultato perfetto che conduce alla Metafisica. Una parola rubata ad Aristotele, il più grande filosofo greco, e derivata dal greco antico, che segna un ritorno anche al paese dove Giorgio de Chirico vede i natali: la Grecia, dove ad onor del vero nasce da genitori italiani. Il maestro sceglie il termine metafisica per presentare al mondo la sua arte, una parola che già contiene nel significato etimologico una traccia per andare “oltre”, per superare l'occhiata distratta ed avventurarsi alla ricerca dell'essenza, della verità in se stessa. Seguendo le indicazioni lasciate dalle sue stesse dichiarazioni negli scritti di suo pugno e nelle interviste, conditio sine qua non di tale manifestazione è l'equilibrio perfetto di tutti i tasselli: la qualità della materia, la perfezione del disegno, l'accurata scelta dei soggetti, la maestrale esecuzione pittorica racchiusa nella gabbia prospettica di tipo rinascimentale. In altre parole, de Chirico parte dalla “fisica” dai fenomeni reali legati ai cinque sensi per spostarsi al “meta” che va “oltre” quello che è già stato fatto fino a quel momento sia da quelli prima di lui, sia da lui stesso, per andare “al di là” della realtà fenomenica e svelarci il “sopra”, l'assoluto, l'essenza la verità del tutto.
Diverse sono le fasi artistiche della sua carriera e cade in errore chi pensa che il primo periodo metafisico fino agli anni Venti abbia più valore degli anni tra il Sessanta o il Settanta dove ritorna agli stessi soggetti per perfezionarli, abbandonando la fase barocca. Forse è proprio questa ricerca di perfezione che lo porterà, nell'ultimo decennio della sua vita, ad additare come false molte delle opere precedentemente create. E non si cada nell'errore di pensare che la produzione scultorea abbia un ruolo subalterno nell'opera del Maestro, perché la scultura riveste un ruolo di primaria importanza ed è presente in tutta la sua produzione, anche in quella pittorica. Spesso nella sua prima produzione è, infatti, il marmo bianco di una statua il punto su cui convergono le linee prospettiche del dipinto e spesso si tratta di soggetti estrapolati dal mondo greco-ellenistico, a voler già sottolineare un ritorno alle origini della sua storia personale e della civiltà artistica. Se fin dagli esordi appaiono frammenti marmorei, come le teste, la scultura conquista non solo il centro del dipinto, ma anche la sua interezza. Basta pensare alle tante rappresentazioni di Arianna tra le “piazze d'Italia” la cui compostezza giganteggia sulla presenza dell'uomo, quando raffigurato, così come sulla tecnologia che sapientemente diventa parte integrante di un paesaggio classico e fuori del tempo. Ed è proprio la stessa Arianna a rendere evidente quell'intento di classicità, così come di atemporalità presente nell'opera di de Chirico. Dipinto dopo dipinto, Arianna entra in possesso di quelle qualità metafisiche che la fanno andare “oltre” alla ricerca di continuità con la tradizione, per andare “al di sopra” e costituirsi come emblema dell'infinito. Nella produzione del primo de Chirico le sculture, poi sostituite dai manichini, “coerentemente con l'interpretazione in chiave di rappresentazione di ogni fenomeno [...] impersonano la metafisica controfigura, il fondamento archetipo che si incarica di rappresentare la pittura nella sua emblematicità e concettualità originaria”[9]. A poco a poco avviene, infatti, un ulteriore spostamento metafisico verso “l'oltre”, verso il andare “al di là” e “al di sopra” e la scultura perde le sue fattezze classiche per rendere manifesta la sua essenza simbolica ed essere sostituita dai manichini che rendono evidente la loro trasformazione nei titoli dal riferimento esplicito come Penelope e Telemaco, Ettore e Andromaca. La trasformazione avviene in due fasi, una iniziale in cui il manichino si presenta come vera e propria controfigura della statua ed un passaggio ulteriore in cui esibisce fattezze a metà tra le sembianze di una marionetta e di uno schermidore fino alla trasformazione finale in quelle muse inquietanti che sono simulacri del suo mondo metafisico. Ancora una volta ci vengono in aiuto le parole dello stesso de Chirico quando afferma che “per quello che riguarda il manichino, più assomiglia all'uomo, più è freddo e sgradevole. Il carattere patetico e lirico dei miei manichini, in particolare di quelli seduti, come Gli Archeologici, viene dal loro allontanamento dall'uomo. Anzi il manichino è ai nostri occhi spiacevole, perché è una sorta di parodia dell'uomo. Diventa un oggetto di cui i tratti sono vicini a quelli dell'uomo, ma che è spogliato del movimento e della vita; il manichino è profondamente non vivente e questa mancanza di vita ci ripugna e ce lo rende odioso” ma continua “chi non ha il tempo di osservare con attenzione una statua o un manichino, non può rendersi conto che il manichino vuole essere un uomo e che per questa ragione è mostruoso, perché aspira alla vita, è profondamente non-vivente, a differenza di una statua che vuole essere un'opera d'arte; questa non aspira alla vita, ma alla spiritualità grazie a cui ottiene l'immortalità; la vita dell'arte”[10]. Ecco quindi la sintesi perfetta, il manichino si estranea dal dipinto per diventare scultura, ottiene immortalità, acquista caratteri metafisici e diventa essenza nella produzione dell'artista. Ed ecco ancora una volta emergere la vena rivelatrice di Giorgio de Chirico, lui con la sua metafisica mira a presentarci l'essenza, la verità.



[1]Giorgio de Chirico “Memorie della mia vita”, Bompiani, 2008.
[2]Giorgio de Chirico, “Pro tempera oratio”, 1920 ca., pubblicato in questo catalogo.
[3]Giorgio de Chirico “Memorie della mia vita”, cit.
[4]Sulla distinzione tra “originale” e “originarie” si veda Renato Barilli, “Fenomenologia degli stili”, Bononia University Press, 2007.
[5]Pseudonimo di Isabella Pakzswer
[6]Idem
[7]Giorgio de Chirico, “Brevis pro plastica oratio” pubblicato in “Aria d'Italia” nel 1940, contenuto in Maurizio Fagiolo “Giorgio de Chirico – Il meccanismo del pensiero”, Einaudi, 1985.
[8]Giorgio de Chirico, “Monsieur Doudron”, 1945, edito da La Differénce, Parigi, 2004.
[9]Giovanna della Chiesa, “De Chirico scultore”, Giorgio Mondadori & Associati, 1988.
[10]Giorgio de Chirico, “Discorso sullo spettacolo teatrale”, in “L'illustrazione italiana”, 25 ottobre 1942.

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Massimo Nardi