sabato 13 febbraio 2016

Entrare nell’opera. Paola Angelini / Stefano Cozzi / Marie Denis / Dominique Figarella / Graziano Folata / Stefano Moras /



Entrare nell’opera
Paola Angelini / Stefano Cozzi / Marie Denis /
Dominique Figarella / Graziano Folata / Stefano Moras /

a cura di Daniele Capra
da un’idea di Marina Bastianello

19 febbraio – 2 aprile 2016
Inaugurazione giovedì 18 febbraio, ore 19.00

La Galleria Massimodeluca presenta come prima mostra del 2016 una collettiva in cui si confrontano sei giovani artisti che lavorano sull’avvicinamento all’osservatore. Il progetto prende ispirazione e titolo dall’azione di Giovanni Anselmo Entrare nell’opera (1971).


La Galleria Massimodeluca presenta la prima mostra del 2016 negli spazi di via Torino: Entrare nell’opera, collettiva con opere di Paola Angelini, Stefano Cozzi, Marie Denis, Dominique Figarella, Graziano Folata eStefano Moras (dal 19 febbraio al 2 aprile 2016, inaugurazione giovedì 18 febbraio ore 19.00).
Il progetto espositivo, a cura di Daniele Capra da un’idea di Marina Bastianello, direttore artistico della Massimodeluca, nasce “dalla volontà di mettere a confronto artisti la cui ricerca punta all’avvicinamento emotivo e concettuale all’osservatore, nella consapevolezza di come la pratica artistica sia una continua e inesausta inquisizione dello sguardo altrui” spiega Capra.

La mostra - costituita da una dozzina di opere che spaziano dalla pittura al video, dalla fotografia alla scultura e all’installazione - trae ispirazione dall’azione di Giovanni Anselmo Entrare nell’opera, lavoro che indaga con particolare intensità il rapporto visivo con lo spettatore e le dinamiche di coinvolgimento psichico nei confronti dell’opera.

Nel 1971 Anselmo colloca una fotocamera su un cavalletto puntando l’obiettivo verso il prato che gli sta davanti, scegliendo la modalità dello scatto ritardato. Poi preme il pulsante e inizia a correre, dando le spalle all’obbiettivo. Ne risulta una foto in cui l’artista è ritratto di spalle, in movimento. Il titolo risultato dell’azione è particolarmente significativo: Entrare nell’opera. “È un titolo aperto, polisemico, in cui le possibili interpretazioni si sovrappongono e si fondono - illustra Daniele Capra - È innanzitutto Anselmo ad entrare fisicamente, correndo, nella natura. Nel contempo egli entra con la propria presenza personale nell’opera d’arte che sta realizzando: la foto che ne risulta è infatti un autoritratto, sebbene di spalle e sfuggente. Ma c’è un terzo grado significativo a cui il titolo allude, rivolto all’osservatore: l’immagine fotografica documentativa consente allo spettatore i medesimi gradi di libertà dell’artista, permettendogli di entrare doppiamente nell’opera (cioè sia nella natura stessa che nell’azione di Anselmo). L’artista carica così emotivamente lo spettatore affidandogli un ruolo centrale, non differente dal proprio, scambiando i punti di vista tra soggetto attivo che osserva e oggetto guardato”.


Il progetto espositivo Entrare nell’opera della Galleria Massimodeluca analizza come la ricerca del coinvolgimento, psichico ma anche percettivo e spaziale, sia una delle strategie più significative dell’arte, non solo dei nostri giorni (si pensi ad esempio a molti autori fiamminghi che, a partire dal Quattrocento, hanno cercato di rappresentare, attraverso specchi o riflessi di luce, piccoli scampoli di mondo che non sono collocati di fronte all’occhio dell’artista, ma giacciono al contrario alle sue spalle). “L’identificazione diretta con l’autore o l’artificio tecnico che delimita un’area entro cui può muoversi lo spettatore, in un abbandono immersivo e contemplativo, si avvicina alla scelta dell’uso della prima persona singolare in una narrazione, modalità che consente al lettore di sviluppare un sentimento di immedesimazione e prossimità emotiva con il protagonista” conclude Capra.


Al termine della mostra verrà pubblicato un catalogo.


Gli artisti

La pratica pittorica di Paola Angelini (San Benedetto del Tronto, 1983) è caratterizzata da una figurazione spiazzante, ondivaga ed antiprospettica, che scaturisce da un approccio che è contemporaneamente meditativo ed analitico. Molto del suo lavoro conserva, nel segno intenso e nel colore, le tracce iconografiche ed il vigore coloristico e dei grandi maestri del passato.

La ricerca di Stefano Cozzi (Milano, 1989) è fortemente collegata agli aspetti enigmatici dell’inconscio e della rappresentazione simbolica, a cui l’artista dà forma attraverso la scultura, il video e la performance. La natura, la casualità degli eventi, lo scorrere del tempo, la morte sono i temi e le ossessioni che Cozzi indaga adottando modalità dal colore pacato ed esistenzialista.

L’opera di Marie Denis (Bourg-Saint-Andéol, 1972) indaga in forma a due e tre dimensioni la meraviglia dell’elemento naturale e le possibilità scultoree insite nella materia vegetale. Rami, alberi, foglie, piume sono così le parti costitutive di architetture complesse in cui l’imprevedibile mutevolezza della flora si ricompone grazie ad una razionale geometria combinatoria.

I lavori di Dominique Figarella (Chambéry, 1966) nascono da una pratica visiva concettuale di sovrapposizioni e mascheramenti di immagini che l’artista mette in scena attraverso una pittura rigorosa a tinte piatte. Il soggetto è così reso visibile per negazione, grazie ad una processualità ricorsiva in cui è frequente l’utilizzo di immagini fotografiche che frazionano lo sguardo.

Fotografia e scultura sono i mezzi espressivi privilegiati da Graziano Folata (Rho, 1982), che fa della natura e dei suoi elementi dei frequenti campi di indagine. La sua ricerca nasce dall’urgenza di un confronto psicologico con lo spettatore, che egli ama interrogare ricorrendo a composizioni volutamente irrisolte e capaci di stimolare un rapporto dialogico. Chi guarda è così spinto a prendere posizione, a dare forma alle proprie opinioni.


Il lavoro di Stefano Moras (Pordenone, 1985) prende forma da una ricognizione sul mondo in cui sono centrali l’analisi pittorica e la casualità dell’incontro. La sua pratica artistica si contraddistingue per un lavoro processuale su tela, dichiaratamente non iconico, che viene innervato dalla presenza di elementi residuali quali reperti naturali, scarti e manufatti dimenticati.



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