JULIA KRAHN
BEYOND BELIEF
BEYOND BELIEF
Ultima-Cena_2011_Julia-Krahn
JULIA KRAHN
BEYOND BELIEF
a cura di ANGELA MADESANI
L'artista tedesca indaga temi di natura esistenziale, sacra, storico artistica con grande eleganza formale. La mostra oltre che al Pomo da DaMo avrà un'ampia sezione anche presso i Musei Civici di Imola, dove inaugura alle ore 19. Per questa seconda sede l'artista ha studiato uno specifico percorso che si snoda tra il piano terreno e le collezioni di arte dei Musei con cui i diversi lavori di Krahn entrano in un fitto dialogo di natura iconografica e simbolica. Si viene così a creare una sorta di ponte tra l'arte contemporanea e l'arte antica in cui lo spettatore è chiamato a partecipare attivamente.
Riportiamo qui di seguito il testo della conversazione tra l'artista e la curatrice della mostra, testo che sarà pubblicato nel catalogo che accompagnerà la rassegna.
Conversazione fra Julia Krahn e Angela Madesani
In occasione della doppia mostra di Julia Krahn a Imola, ai Musei Civici e alla Galleria Pomo da DaMo abbiamo chiesto all’artista tedesca, che da oltre dieci anni vive nel nostro paese, di parlare di alcune tematiche portanti della sua ricerca.
I tuoi lavori nascono sempre da delle domande: quesiti di matrice esistenziale, ma essi non vogliono offrire risposte. Semmai stimolano ulteriori punti interrogativi.
Solo attraverso lo scambio dei diversi punti di vista, delle interpretazioni personali è possibile costruire un percorso, che sempre e comunque costituisce una forma di arricchimento.
Quanto ha pesato e quanto pesa la tua biografia sulla tua ricerca?
Moltissimo.
Sei spesso protagonista del tuo lavoro. È un’operazione performativa?
Lavoro su me stessa. Ho fotografato mio padre, mia madre. Sì. Quando scatto sono completamente sola, è come una performance in cui però manca il pubblico. È una cosa molto intima e non potrebbe avvenire in altro modo.
Vogliamo parlare di Mutter, madre del 2009. Come è nato questo lavoro in cui tieni tra le braccia un telo bianco come per cullare un bambino, che in realtà non c’è.
Questo lavoro nasce da un quesito sull’esistenza e sulla prosecuzione della stessa. È una domanda sul futuro. Ritornando a Mutter, non riuscivo a dare una forma al bambino che è in braccio alla donna. Mi interessava cercarlo nelle pieghe del velo. Sentire il peso del bambino che non esiste o forse, semplicemente, non si vede.
Sei colpita dalla figura della Madonna, che torna spesso nei tuoi lavori. Mi pare che nella tua pittura ci sia una forte legame con la pittura antica, rinascimentale.
Amo andare nei musei, studiare l’iconografia, la luce la postura dei dipinti dei pittori che mi interessano. Ma nonostante tutto questo l’immagine della Mutter deriva da quella di un dipinto di anonimo che è riproposta su un santino che faceva parte della mia collezione personale di immagini di questo tipo.
Un altro protagonista assiduo del tuo lavoro è il piccione.
Il significato primigenio è quello di messaggero e poi di animale sacrificale. È il simbolo dello Spirito Santo. La prima volta che l’ho utilizzato è stato per L’ultima cena: nel 2011. Sulla tavola vuota era rimasto un solo piccione. La gente mi diceva che avevo commesso un errore, che sulla tavola dell’ultima cena c’era una colomba e non un piccione. Così ho tinto il piccione imbalsamato, che avevo utilizzato, prima di bianco e poi di rosso. In occasione della mostra a Imola lo stesso piccione verrà esposto, ma questa volta ricoperto di foglia d’oro, un riferimento a tutto ciò che di prezioso ci circonda.
Un’ultima cena vuota. Perché hai tolto le presenze umane?
Si tratta di un’immagine che è a tal punto dentro di noi che non sorge neppure il dubbio che le cose stiano proprio così. In realtà si sa poco di quello che si crede di sapere. Cosa fare perché la gente capisca che si tratta di un’ultima cena? Basta pochissimo: un tavolo lungo, coperto da una stoffa bianca a mo’di tovaglia. A terra creo delle impronte: la traccia di una presenza attraverso l’assenza. L’ultima cena è un’icona. È un’immagine di solitudine, di abbandono. Cristo è stato abbandonato, tradito. Quanta umanità in questo episodio! L’uomo tradisce sempre del resto. L’idea di tradimento è anche in Vitello d’oro, che è talmente bello da sembrare di marzapane, ma in realtà è morto. Quello che mi affascina è che spesso la bellezza sta proprio nel tradimento. L’uomo è affascinato da tutto ciò che è proibito, in tal senso tradisce, va contro i suoi ideali, procurandosi in molti casi sofferenza. Quanto dolore c’è nella bellezza!
Nei lavori che porti a Imola c’è una nuova presenza, quella del serpente, un animale fortemente simbolico sia in senso positivo, come immagine di completezza, che negativo, così nella Bibbia. Adamo ed Eva vengono tentati dal serpente e mangiano il frutto proibito. L’avere utilizzato proprio il serpente da parte delle sacre scritture pare sia una polemica contro i miti cananaici, per i quali il serpente rappresentava la divinità suprema.
Ho utilizzato il serpente che è il simbolo del peccato originale in una chiave di denuncia senza alcun significato negativo. Il peccato originale, infatti, ha tolto spazio alla donna. La colpa per la quale la donna dovrebbe soffrire è in realtà una forma di eroismo. Nelle religioni indiane rappresenta Kundalini che è un’energia positiva, e in quasi tutte le culture il serpente è fonte di forza. Una forza che si cerca di controllare e di sottomettere. In questa serie di lavori vi è un risvolto ironico. Mi attorciglio addosso il serpente che diviene una sorta di pene e di coda, volevo togliere la sensazione negativa per ritrovare una forma di completamento delle energie di donna e serpente: come in una sorta di unione per fare pace con quanto è già stato. . Cosi é nata questa sorta di dea, eroe, folletto, una madre-terra- che si avvicina alla storia in modo leggero, per sdrammatizzare e allo stesso tempo per porci dei quesiti.
In un’altra opera Vanitas Maddalena del 2011 ti specchi accanto a un teschio?
È una Vanitas classica, per la quale ho guardato a Caravaggio, per esempio. La morte, il teschio, appare solo quando mi guardo nello specchio. Ancora una riflessione esistenziale.
Vorrei chiudere questa conversazione parlando di un tuo lavoro che ha suscitato un profondo scalpore, Reinheit Maddalena del 2009. Dove tu sei seduta nuda all’angolo di una stanza. Solo sul tuo capo c’è un drappo di un colore ocra dorato che si sviluppa nello spazio. Dalle tue gambe, dalla tua vagina esce un rosario a grandi chicchi…
Indubbiamente è un’immagine molto forte. A prima vista può apparire blasfema, pornografica. In realtà è il mio pensiero sulla spiritualità. Il titolo in tedesco significa purezza. Potrebbe trattarsi di una donna che ha appena concepito o partorito…e cosa c’è di più sacro di tutto questo?
Imola // fino al 3 novembre 2013
Julia Krahn – Beyond Believe
a cura di Angela Madesani
IL POMO DA DAMO
Via XX Settembre 27
MUSEO DI SAN DOMENICO
Via Sacchi 4
www.ilpomodadamo.it
http://museicivici.comune.imola.bo.it
Julia Krahn – Beyond Believe
a cura di Angela Madesani
IL POMO DA DAMO
Via XX Settembre 27
MUSEO DI SAN DOMENICO
Via Sacchi 4
www.ilpomodadamo.it
http://museicivici.comune.imola.bo.it
Segnala:
Amalia di Lanno
21 settembre
3 novembre
2013
JULIA KRAHN
BEYOND BELIEF
a cura di ANGELA MADESANI
Inaugurazione sabato 21 Settembre// ore 18 Il Pomo da DaMo // ore 19 Museo di San Domenico
L'artista tedesca indaga temi di natura esistenziale, sacra, storico artistica con grande eleganza formale. La mostra oltre che al Pomo da DaMo, dove inaugura alle 18, avrà un'ampia sezione anche presso i Musei Civici di Imola, dove inaugura alle ore 19. Per questa seconda sede l'artista ha studiato uno specifico percorso che si snoda tra il piano terreno e le collezioni di arte dei Musei con cui i diversi lavori di Krahn entrano in un fitto dialogo di natura iconografica e simbolica. Si viene così a creare una sorta di ponte tra l'arte contemporanea e l'arte antica in cui lo spettatore è chiamato a partecipare attivamente.
Riportiamo qui di seguito il testo della conversazione tra l'artista e la curatrice della mostra, testo che sarà pubblicato nel catalogo che accompagnerà la rassegna.
Conversazione fra Julia Krahn e Angela Madesani
In occasione della doppia mostra di Julia Krahn a Imola, ai Musei Civici e alla Galleria Pomo da DaMo abbiamo chiesto all’artista tedesca, che da oltre dieci anni vive nel nostro paese, di parlare di alcune tematiche portanti della sua ricerca.
I tuoi lavori nascono sempre da delle domande: quesiti di matrice esistenziale, ma essi non vogliono offrire risposte. Semmai stimolano ulteriori punti interrogativi.
Solo attraverso lo scambio dei diversi punti di vista, delle interpretazioni personali è possibile costruire un percorso, che sempre e comunque costituisce una forma di arricchimento.
Quanto ha pesato e quanto pesa la tua biografia sulla tua ricerca?
Moltissimo.
Sei spesso protagonista del tuo lavoro. È un’operazione performativa?
Lavoro su me stessa. Ho fotografato mio padre, mia madre. Sì. Quando scatto sono completamente sola, è come una performance in cui però manca il pubblico. È una cosa molto intima e non potrebbe avvenire in altro modo.
Vogliamo parlare di Mutter, madre del 2009. Come è nato questo lavoro in cui tieni tra le braccia un telo bianco come per cullare un bambino, che in realtà non c’è.
Questo lavoro nasce da un quesito sull’esistenza e sulla prosecuzione della stessa. È una domanda sul futuro. Ritornando a Mutter, non riuscivo a dare una forma al bambino che è in braccio alla donna. Mi interessava cercarlo nelle pieghe del velo. Sentire il peso del bambino che non esiste o forse, semplicemente, non si vede.
Sei colpita dalla figura della Madonna, che torna spesso nei tuoi lavori. Mi pare che nella tua pittura ci sia una forte legame con la pittura antica, rinascimentale.
Amo andare nei musei, studiare l’iconografia, la luce la postura dei dipinti dei pittori che mi interessano. Ma nonostante tutto questo l’immagine della Mutter deriva da quella di un dipinto di anonimo che è riproposta su un santino che faceva parte della mia collezione personale di immagini di questo tipo.
Un altro protagonista assiduo del tuo lavoro è il piccione.
Il significato primigenio è quello di messaggero e poi di animale sacrificale. È il simbolo dello Spirito Santo. La prima volta che l’ho utilizzato è stato per L’ultima cena: nel 2011. Sulla tavola vuota era rimasto un solo piccione. La gente mi diceva che avevo commesso un errore, che sulla tavola dell’ultima cena c’era una colomba e non un piccione. Così ho tinto il piccione imbalsamato, che avevo utilizzato, prima di bianco e poi di rosso. In occasione della mostra a Imola lo stesso piccione verrà esposto, ma questa volta ricoperto di foglia d’oro, un riferimento a tutto ciò che di prezioso ci circonda.
Un’ultima cena vuota. Perché hai tolto le presenze umane?
Si tratta di un’immagine che è a tal punto dentro di noi che non sorge neppure il dubbio che le cose stiano proprio così. In realtà si sa poco di quello che si crede di sapere. Cosa fare perché la gente capisca che si tratta di un’ultima cena? Basta pochissimo: un tavolo lungo, coperto da una stoffa bianca a mo’di tovaglia. A terra creo delle impronte: la traccia di una presenza attraverso l’assenza. L’ultima cena è un’icona. È un’immagine di solitudine, di abbandono. Cristo è stato abbandonato, tradito. Quanta umanità in questo episodio! L’uomo tradisce sempre del resto. L’idea di tradimento è anche in Vitello d’oro, che è talmente bello da sembrare di marzapane, ma in realtà è morto. Quello che mi affascina è che spesso la bellezza sta proprio nel tradimento. L’uomo è affascinato da tutto ciò che è proibito, in tal senso tradisce, va contro i suoi ideali, procurandosi in molti casi sofferenza. Quanto dolore c’è nella bellezza!
Nei lavori che porti a Imola c’è una nuova presenza, quella del serpente, un animale fortemente simbolico sia in senso positivo, come immagine di completezza, che negativo, così nella Bibbia. Adamo ed Eva vengono tentati dal serpente e mangiano il frutto proibito. L’avere utilizzato proprio il serpente da parte delle sacre scritture pare sia una polemica contro i miti cananaici, per i quali il serpente rappresentava la divinità suprema.
Ho utilizzato il serpente che è il simbolo del peccato originale in una chiave di denuncia senza alcun significato negativo. Il peccato originale, infatti, ha tolto spazio alla donna. La colpa per la quale la donna dovrebbe soffrire è in realtà una forma di eroismo. Nelle religioni indiane rappresenta Kundalini che è un’energia positiva, e in quasi tutte le culture il serpente è fonte di forza. Una forza che si cerca di controllare e di sottomettere. In questa serie di lavori vi è un risvolto ironico. Mi attorciglio addosso il serpente che diviene una sorta di pene e di coda, volevo togliere la sensazione negativa per ritrovare una forma di completamento delle energie di donna e serpente: come in una sorta di unione per fare pace con quanto è già stato. . Cosi é nata questa sorta di dea, eroe, folletto, una madre-terra- che si avvicina alla storia in modo leggero, per sdrammatizzare e allo stesso tempo per porci dei quesiti.
In un’altra opera Vanitas Maddalena del 2011 ti specchi accanto a un teschio?
È una Vanitas classica, per la quale ho guardato a Caravaggio, per esempio. La morte, il teschio, appare solo quando mi guardo nello specchio. Ancora una riflessione esistenziale.
Vorrei chiudere questa conversazione parlando di un tuo lavoro che ha suscitato un profondo scalpore, Reinheit Maddalena del 2009. Dove tu sei seduta nuda all’angolo di una stanza. Solo sul tuo capo c’è un drappo di un colore ocra dorato che si sviluppa nello spazio. Dalle tue gambe, dalla tua vagina esce un rosario a grandi chicchi…
Indubbiamente è un’immagine molto forte. A prima vista può apparire blasfema, pornografica. In realtà è il mio pensiero sulla spiritualità. Il titolo in tedesco significa purezza. Potrebbe trattarsi di una donna che ha appena concepito o partorito…e cosa c’è di più sacro di tutto questo?
L'artista tedesca indaga temi di natura esistenziale, sacra, storico artistica con grande eleganza formale. La mostra oltre che al Pomo da DaMo, dove inaugura alle 18, avrà un'ampia sezione anche presso i Musei Civici di Imola, dove inaugura alle ore 19. Per questa seconda sede l'artista ha studiato uno specifico percorso che si snoda tra il piano terreno e le collezioni di arte dei Musei con cui i diversi lavori di Krahn entrano in un fitto dialogo di natura iconografica e simbolica. Si viene così a creare una sorta di ponte tra l'arte contemporanea e l'arte antica in cui lo spettatore è chiamato a partecipare attivamente.
Riportiamo qui di seguito il testo della conversazione tra l'artista e la curatrice della mostra, testo che sarà pubblicato nel catalogo che accompagnerà la rassegna.
Conversazione fra Julia Krahn e Angela Madesani
In occasione della doppia mostra di Julia Krahn a Imola, ai Musei Civici e alla Galleria Pomo da DaMo abbiamo chiesto all’artista tedesca, che da oltre dieci anni vive nel nostro paese, di parlare di alcune tematiche portanti della sua ricerca.
I tuoi lavori nascono sempre da delle domande: quesiti di matrice esistenziale, ma essi non vogliono offrire risposte. Semmai stimolano ulteriori punti interrogativi.
Solo attraverso lo scambio dei diversi punti di vista, delle interpretazioni personali è possibile costruire un percorso, che sempre e comunque costituisce una forma di arricchimento.
Quanto ha pesato e quanto pesa la tua biografia sulla tua ricerca?
Moltissimo.
Sei spesso protagonista del tuo lavoro. È un’operazione performativa?
Lavoro su me stessa. Ho fotografato mio padre, mia madre. Sì. Quando scatto sono completamente sola, è come una performance in cui però manca il pubblico. È una cosa molto intima e non potrebbe avvenire in altro modo.
Vogliamo parlare di Mutter, madre del 2009. Come è nato questo lavoro in cui tieni tra le braccia un telo bianco come per cullare un bambino, che in realtà non c’è.
Questo lavoro nasce da un quesito sull’esistenza e sulla prosecuzione della stessa. È una domanda sul futuro. Ritornando a Mutter, non riuscivo a dare una forma al bambino che è in braccio alla donna. Mi interessava cercarlo nelle pieghe del velo. Sentire il peso del bambino che non esiste o forse, semplicemente, non si vede.
Sei colpita dalla figura della Madonna, che torna spesso nei tuoi lavori. Mi pare che nella tua pittura ci sia una forte legame con la pittura antica, rinascimentale.
Amo andare nei musei, studiare l’iconografia, la luce la postura dei dipinti dei pittori che mi interessano. Ma nonostante tutto questo l’immagine della Mutter deriva da quella di un dipinto di anonimo che è riproposta su un santino che faceva parte della mia collezione personale di immagini di questo tipo.
Un altro protagonista assiduo del tuo lavoro è il piccione.
Il significato primigenio è quello di messaggero e poi di animale sacrificale. È il simbolo dello Spirito Santo. La prima volta che l’ho utilizzato è stato per L’ultima cena: nel 2011. Sulla tavola vuota era rimasto un solo piccione. La gente mi diceva che avevo commesso un errore, che sulla tavola dell’ultima cena c’era una colomba e non un piccione. Così ho tinto il piccione imbalsamato, che avevo utilizzato, prima di bianco e poi di rosso. In occasione della mostra a Imola lo stesso piccione verrà esposto, ma questa volta ricoperto di foglia d’oro, un riferimento a tutto ciò che di prezioso ci circonda.
Un’ultima cena vuota. Perché hai tolto le presenze umane?
Si tratta di un’immagine che è a tal punto dentro di noi che non sorge neppure il dubbio che le cose stiano proprio così. In realtà si sa poco di quello che si crede di sapere. Cosa fare perché la gente capisca che si tratta di un’ultima cena? Basta pochissimo: un tavolo lungo, coperto da una stoffa bianca a mo’di tovaglia. A terra creo delle impronte: la traccia di una presenza attraverso l’assenza. L’ultima cena è un’icona. È un’immagine di solitudine, di abbandono. Cristo è stato abbandonato, tradito. Quanta umanità in questo episodio! L’uomo tradisce sempre del resto. L’idea di tradimento è anche in Vitello d’oro, che è talmente bello da sembrare di marzapane, ma in realtà è morto. Quello che mi affascina è che spesso la bellezza sta proprio nel tradimento. L’uomo è affascinato da tutto ciò che è proibito, in tal senso tradisce, va contro i suoi ideali, procurandosi in molti casi sofferenza. Quanto dolore c’è nella bellezza!
Nei lavori che porti a Imola c’è una nuova presenza, quella del serpente, un animale fortemente simbolico sia in senso positivo, come immagine di completezza, che negativo, così nella Bibbia. Adamo ed Eva vengono tentati dal serpente e mangiano il frutto proibito. L’avere utilizzato proprio il serpente da parte delle sacre scritture pare sia una polemica contro i miti cananaici, per i quali il serpente rappresentava la divinità suprema.
Ho utilizzato il serpente che è il simbolo del peccato originale in una chiave di denuncia senza alcun significato negativo. Il peccato originale, infatti, ha tolto spazio alla donna. La colpa per la quale la donna dovrebbe soffrire è in realtà una forma di eroismo. Nelle religioni indiane rappresenta Kundalini che è un’energia positiva, e in quasi tutte le culture il serpente è fonte di forza. Una forza che si cerca di controllare e di sottomettere. In questa serie di lavori vi è un risvolto ironico. Mi attorciglio addosso il serpente che diviene una sorta di pene e di coda, volevo togliere la sensazione negativa per ritrovare una forma di completamento delle energie di donna e serpente: come in una sorta di unione per fare pace con quanto è già stato. . Cosi é nata questa sorta di dea, eroe, folletto, una madre-terra- che si avvicina alla storia in modo leggero, per sdrammatizzare e allo stesso tempo per porci dei quesiti.
In un’altra opera Vanitas Maddalena del 2011 ti specchi accanto a un teschio?
È una Vanitas classica, per la quale ho guardato a Caravaggio, per esempio. La morte, il teschio, appare solo quando mi guardo nello specchio. Ancora una riflessione esistenziale.
Vorrei chiudere questa conversazione parlando di un tuo lavoro che ha suscitato un profondo scalpore, Reinheit Maddalena del 2009. Dove tu sei seduta nuda all’angolo di una stanza. Solo sul tuo capo c’è un drappo di un colore ocra dorato che si sviluppa nello spazio. Dalle tue gambe, dalla tua vagina esce un rosario a grandi chicchi…
Indubbiamente è un’immagine molto forte. A prima vista può apparire blasfema, pornografica. In realtà è il mio pensiero sulla spiritualità. Il titolo in tedesco significa purezza. Potrebbe trattarsi di una donna che ha appena concepito o partorito…e cosa c’è di più sacro di tutto questo?