IL VARCO - Mostra Personale Di Michele Ardito - a cura di Patrizia Madau e Luca Sartini .
Galleria Tallulah Studio
Presenta:
“Il varco” di Michele Ardito
A cura di Patrizia Madau e Luca Sartini
Giovedì 9 Maggio 2013
Vernissage ore 18.30 /21.30
Critica a cura di Luca Sartini
Nella rete, nello streaming dell'esistere, un topo, un sogno, la paura, hanno fatto un taglio. Un taglio che sanguina di Libertà.
A cercarlo non ci sarebbe facile trovarlo. Perché non siamo stati noi a farlo, né a trovarlo in definitiva. Perché è la Natura che ci offre sempre la possibilità di un piccolo varco, di un passaggio verso la nostra metamorfosi interiore. Così comincia lo sguardo di Michele Ardito, pittore e uomo, su un mondo che ha una Bellezza feroce. Il mondo delle reti, delle ferite sottili come un battito d'ali o grandi come un albero che si schianta a terra nella foresta amazzonica, complice il silenzio di civiltà post-industriali. Ma non basta. Per
liberarsi bisogna un po' morire a se stessi o sapere che la Libertà ci chiede un prezzo.
E allora, Michele s'interroga sulla Visione,
sul potere del sentimento, sulla luce di un sorriso di speranza che rimane sospeso nell'aria fredda della mattina. E dipinge, forse predica il vangelo dei muscoli che si ossigenano e della volontà “impulsiva”. I
suoi animali hanno un'anima che li lega alla realtà. Sono mosaici di Natura. Sono persone che lavorano, trafficano, vivono e talora si perdono.I suoi protagonisti di questi racconti su tela o su carta sono amanti che soffrono e si danno piacere, legati sadomasticamente al letto del Senso del vivere: quali fili c'imprigionano e quali ferri amorosamente ci ammalano d'abitudine e di godimento? Sono reti di bracconieri, quei legami o carezze invisibili, necessarie all'orgasmo del varco, nella rete della Vita, della famiglia, del lavoro e della quotidianità? O sono chiodi dentro la carne?La risposta non c'è e se c'è ha due facce, è la finestra sulla strada affollata e dentro il nostro cuore. Ma non basta. La sfida è alla Bellezza che nasconde la ferocia di una violenza che si fa fatica a controllare. Se la pennellata si acquieta nel controllo della rifinitura e il colore regala sensazioni profonde, tra neri, lilla e pastellati, c'è sempre un movimento che trasforma la tela e che ci porta a pensare a un prima e a un dopo, alla nostra cercata sopravvivenza. La bellezza che copre la mostruosità, essendone vittima ambita, l'anomalia della pulsione, la sua estasi di potenza che è semplice allenamento alla vita, che cerca nell'armonia di dare al morso la forma del sorriso. La sofferenza c'è nelle doglie come nella morte mischiata alla gioia. La fatica di liberarsi dalla rete del mare, del cielo, della terra scura, non solo dalla bruttezza. Così la pittura di Michele Ardito nasce dal grido liberatorio che rimane sempre un grido, un'affermazione di totale Libertà. Perché siamo nati nella grotta dei genitori. Perché siamo stranieri a noi stessi. Perché camminiamo sempre sull'orlo del burrone. Perché i bracconieri ci cacciano feroci e chi ci libera, talora non sa che non siamo più abituati a volare, percché rientrare senza reti nel nostro IO ci causerà la morte di una parte di noi stessi, perché abbiamo perso il selvaggio che ci guidava e la bussola delle Stelle. Pittura di odori che gioca con le stagioni, l'ambiente, la filosofia della propria animalità. Arte di città e di campagna, che è tutta un'altra Storia.
Galleria Tallulah Studio
Presenta:
“Il varco” di Michele Ardito
A cura di Patrizia Madau e Luca Sartini
Giovedì 9 Maggio 2013
Vernissage ore 18.30 /21.30
Critica a cura di Luca Sartini
Nella rete, nello streaming dell'esistere, un topo, un sogno, la paura, hanno fatto un taglio. Un taglio che sanguina di Libertà.
A cercarlo non ci sarebbe facile trovarlo. Perché non siamo stati noi a farlo, né a trovarlo in definitiva. Perché è la Natura che ci offre sempre la possibilità di un piccolo varco, di un passaggio verso la nostra metamorfosi interiore. Così comincia lo sguardo di Michele Ardito, pittore e uomo, su un mondo che ha una Bellezza feroce. Il mondo delle reti, delle ferite sottili come un battito d'ali o grandi come un albero che si schianta a terra nella foresta amazzonica, complice il silenzio di civiltà post-industriali. Ma non basta. Per
liberarsi bisogna un po' morire a se stessi o sapere che la Libertà ci chiede un prezzo.
E allora, Michele s'interroga sulla Visione,
sul potere del sentimento, sulla luce di un sorriso di speranza che rimane sospeso nell'aria fredda della mattina. E dipinge, forse predica il vangelo dei muscoli che si ossigenano e della volontà “impulsiva”. I
suoi animali hanno un'anima che li lega alla realtà. Sono mosaici di Natura. Sono persone che lavorano, trafficano, vivono e talora si perdono.I suoi protagonisti di questi racconti su tela o su carta sono amanti che soffrono e si danno piacere, legati sadomasticamente al letto del Senso del vivere: quali fili c'imprigionano e quali ferri amorosamente ci ammalano d'abitudine e di godimento? Sono reti di bracconieri, quei legami o carezze invisibili, necessarie all'orgasmo del varco, nella rete della Vita, della famiglia, del lavoro e della quotidianità? O sono chiodi dentro la carne?La risposta non c'è e se c'è ha due facce, è la finestra sulla strada affollata e dentro il nostro cuore. Ma non basta. La sfida è alla Bellezza che nasconde la ferocia di una violenza che si fa fatica a controllare. Se la pennellata si acquieta nel controllo della rifinitura e il colore regala sensazioni profonde, tra neri, lilla e pastellati, c'è sempre un movimento che trasforma la tela e che ci porta a pensare a un prima e a un dopo, alla nostra cercata sopravvivenza. La bellezza che copre la mostruosità, essendone vittima ambita, l'anomalia della pulsione, la sua estasi di potenza che è semplice allenamento alla vita, che cerca nell'armonia di dare al morso la forma del sorriso. La sofferenza c'è nelle doglie come nella morte mischiata alla gioia. La fatica di liberarsi dalla rete del mare, del cielo, della terra scura, non solo dalla bruttezza. Così la pittura di Michele Ardito nasce dal grido liberatorio che rimane sempre un grido, un'affermazione di totale Libertà. Perché siamo nati nella grotta dei genitori. Perché siamo stranieri a noi stessi. Perché camminiamo sempre sull'orlo del burrone. Perché i bracconieri ci cacciano feroci e chi ci libera, talora non sa che non siamo più abituati a volare, percché rientrare senza reti nel nostro IO ci causerà la morte di una parte di noi stessi, perché abbiamo perso il selvaggio che ci guidava e la bussola delle Stelle. Pittura di odori che gioca con le stagioni, l'ambiente, la filosofia della propria animalità. Arte di città e di campagna, che è tutta un'altra Storia.
LUCA SARTINI
Segnala:
Amalia di Lanno