Conosco e apprezzo
Gianluigi Gargiulo per le sue foto che dagli anni Settanta ad oggi
documentano volti, luoghi e situazioni di Napoli. Con un pizzico di
civetteria, Gargiulo si definisce “un ingegnere prestato alla
fotografia”, che è un modo per sottolineare un diverso approccio al
mondo - sempre più schizofrenico e ambiguo - del mestiere del fotografo,
in un momento che ha mutato profondamente i modi di produzione e di
fruizione dell’immagine fotografica, dell’informazione a essa
connessa e degli altri ambiti legati alla ricerca formale e alla sua
conseguente valenza artistica. Il ruolo del fotografo è dunque cambiato?
Oppure è ancora quello di documentare, usare e scoprire nuovi
linguaggi, non lasciarsi intimidire dalle nuove opportunità che ha a
disposizione? Il panorama si è allargato ed è stato rivoluzionato
dall’avvento del digitale che ha moltiplicato in maniera esponenziale la
registrazione dell’insignificante, ogni dettaglio dell’esistenza
quotidiana o della vita intima. In un mondo saturo d’immagini cosa fa
“un ingegnere prestato alla fotografia”, ovvero un fotografo di
avvenimenti che ha costruito la sua ricerca linguistica ed il ritmo dei
suoi video con la precisione di un ingegnere? Parafrasando Lacan
potremmo rispondere che la funzione del linguaggio non è quella
d'informare, ma di provocare. Nel senso letterale del termine, inteso
come pro-vocare, ossia “chiamare fuori”, “chiedere che si faccia
presente”. Provocare è la parola che più si addice per illustrare il
complesso rapporto tra arte e pensiero. E Gargiulo con “Anime senza”,
infatti, provoca. Sostituisce al corpo umano un manichino senz’anima e,
invertendo i termini, rivela che nella vita c'è un senso morale che
l'uomo non può esimersi dal considerare. Il manichino è un simulacro,
una protesi su cui poggiare un vestito, una sostituzione virtuale
dell’uomo e, proprio per questo, ha un valore erotico: non diversamente
Rick Deckard fa l’amore con l’androide Rachel nel “Blade Runner” di
derivazione dickiana. Questa valenza erotica (una versione del piacere
che pare amplificata dalla sua stessa intangibilità) che Gargiulo ha in
passato sperimentato alternando carne umana e manichini, fa venire in
mente alcune performance dell’arte contemporanea, incline a raccogliere
fermenti associati allo sfogo sociale, soprattutto alle ambiguità di una
re(l)azione che oggi pare dilaniarsi tra ribellione e accettazione,
possibilità di contatto e claustrofobia della gabbia digitale.
La fotografia è “arte della superficie”, in essa ciò che c’è da dire sembra subito manifestarsi allo sguardo. Ciononostante, la fotografia è arte temporale e dell’evocazione può fornire un senso univoco o ambiguo e oscuro. Ci viene data, così, la possibilità di “vedere oltre il tempo”, che è un’esperienza del tutto particolare, situata in una terza dimensione del pensiero, dove gli accadimenti visibili in superficie lasciano presagirne altri, che sono “accadimenti nel significato”. Per questo, “Anime senza” non è solo il titolo fortuito di una mostra, ma una dichiarazione di poetica, un atteggiamento filosofico volto ad operare una decostruzione della tradizione fotografica e personale in nome di una libera interpretazione dei significati prodotti da immagini allusive. Non si tratta di una facile critica volta a rifiutare un presente “senz’anima”: piuttosto si tratta di non cedere alla tentazione di un facile sociologismo dogmatico, per parlare con immagini, accurate nei loro contrasti cromatici, precise nelle ambientazioni surreali, scomode nel valore di una imprecisa metafora.
Testo di Mario Franco
La fotografia è “arte della superficie”, in essa ciò che c’è da dire sembra subito manifestarsi allo sguardo. Ciononostante, la fotografia è arte temporale e dell’evocazione può fornire un senso univoco o ambiguo e oscuro. Ci viene data, così, la possibilità di “vedere oltre il tempo”, che è un’esperienza del tutto particolare, situata in una terza dimensione del pensiero, dove gli accadimenti visibili in superficie lasciano presagirne altri, che sono “accadimenti nel significato”. Per questo, “Anime senza” non è solo il titolo fortuito di una mostra, ma una dichiarazione di poetica, un atteggiamento filosofico volto ad operare una decostruzione della tradizione fotografica e personale in nome di una libera interpretazione dei significati prodotti da immagini allusive. Non si tratta di una facile critica volta a rifiutare un presente “senz’anima”: piuttosto si tratta di non cedere alla tentazione di un facile sociologismo dogmatico, per parlare con immagini, accurate nei loro contrasti cromatici, precise nelle ambientazioni surreali, scomode nel valore di una imprecisa metafora.
Testo di Mario Franco
Segnala:
Amalia di Lanno