Two memory rooms
collettiva di arte contemporanea
a cura di Giuliana Schiavone
dal 6 al 16 giugno 2013
Inaugurazione: 6 giugno ore 19.30
Sede: Galleria Spazio Giovani, via Venezia 41 - Bari
Evento realizzato col Patrocinio del Comune di Bari e dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Media partner dell’evento è la testata giornalistica “Onda del Sud”.
Artisti: Giulia BARONE, CRISA (Cristina Mangini, Elisa Zambetta), Dario DE LEO, Francesco MANGINI, Cosma PEPPINO, Teresa ROMANO/Marco TESTINI, Patrizia Emma SCIALPI, Giuseppe VOLPE, Red ZDREUS.
Si inaugura giovedì 6 giugno 2013, alle ore 19.30, presso la Galleria Spazio Giovani a Bari, “Two memory rooms”, un progetto espositivo che coinvolge un gruppo di giovani artisti pugliesi, curato da Giuliana Schiavone, critico e curatore indipendente, con il Patrocinio del Comune di Bari e dell’Accademia di Belle Arti di Bari. L’intento è quello di raccogliere all’interno di uno spazio situato nel cuore della città Vecchia una serie di opere realizzate dagli artisti durante il loro percorso creativo, nella consapevolezza che, in relazione a un luogo inizialmente vuoto, sia proprio il linguaggio dell’arte a conferire uno status di architettura abitata da equilibri di senso di passaggio, di transito temporaneo della memoria, e catene di infiniti rimandi che procedono a ritroso nel tempo. L’arte attribuisce costantemente significati agli spazi in cui decide di installarsi, riuscendo a tradurre e veicolare una o molteplici storie catturate dalla memoria individuale, e a far sì che esse divengano esperienza di condivisione collettiva attraverso la produzione di una forma esperibile nel presente, per poi essere nuovamente restituite alla memoria del singolo e alla dimensione fluida del passato. La planimetria dell’ambiente espositivo si compone di due vani attigui che in occasione della mostra collettiva si trasformano in due unità spaziali e figurate simili a inventari, riempiti sul piano estetico e contenutistico dalla presenza delle opere. Si attiva così un racconto corale legato alla dimensione del ricordo, inteso qui sia come atto o processo psichico, rievocazione di frammenti emotivi ed eventi legati al passato, e dunque come nuova possibilità di interrogarlo, o come segno visibile di qualcosa che è accaduto e non è più, immagine scomposta e impressa nella memoria, contenuto, traccia conservata negli oggetti, che la realtà risveglia casualmente. Come i dati esterni vengono costantemente immagazzinati e assimilati dai nostri processi mnestici, le pareti dello spazio racchiudono un inventario di ricordi appartenente agli artisti e conservati nelle opere, ciascuna portatrice di una personale versione del tema, nata dalla consapevolezza che proprio la memoria, e dunque ciò che è stato, abbia un ruolo chiave nella costruzione dell’identità del singolo e nella continuità della vita interiore.
Ecco allora la memoria declinata dagli artisti: la sua dimensione apparentemente ludica e provocatoria tradotta con stesure rapide e dagli intensi cromatismi da Dario De Leo, che scompone ai minimi termini le componenti simboliche e formali dell’immaginario collettivo; i livelli visivi e di significato immagazzinati nelle immagini di Marco Testini e Teresa Romano, nei contenuti multimediali che completano costantemente il senso globale dei lavori in progress su identità e paesaggio; il tempo dell’infanzia recuperato e trattenuto da Francesco Mangini nella trasparenza del vetro, dove l’identità dei soggetti può concentrarsi in sagome sospese e primarie; gli oggetti duplicati e poi fusi nelle sperimentazioni di CRISA, le cui combinazioni assomigliano a enciclopediche raccolte di vite e gesti vissuti, di emozioni condivise nella ricerca di una distanza perfetta con l’altro. Troviamo, inoltre, le ibridazioni di Patrizia Emma Scialpi, nate come conseguenza di imperfetti innesti d’anime e corpi, vegetali e umani, depositati lentamente sulla carta che trattiene la quintessenza di ogni moto emozionale liberandola dalla gravità; le storie di vita che si consuma in quelle strade che percorriamo senza mai osservarne i dettagli, raccolte da Giulia Barone, nella sua ricerca su inquadrature e movimento, nel tentativo di fissare la sequenza di brevissimi intervalli di tempo e stupore. Ecco poi le operazioni su carta di Red Zdreus, che su sfondi di parole seriali già lette o pronunciate, appartenenti a presagi che si materializzano all’interno delle cornici, ricrea icone surreali e
dalle capigliature ricche di ingranaggi malfunzionanti, relitti di chissà quale apocalittico avvenimento, o piuttosto genesi dai simboli surreali; le frequenze sonore captate da Cosma Peppino e impresse su supporti longitudinali come a ribadire la continuità dei momenti di tempo che crediamo isolati; e infine la materia fluida e amniotica della cera adoperata da Giuseppe Volpe, che solidificandosi ingloba forme di inchiostro nate certamente dalla casualità, ma che solo il tempo è in grado di raccogliere e raccontare.
collettiva di arte contemporanea
a cura di Giuliana Schiavone
dal 6 al 16 giugno 2013
Inaugurazione: 6 giugno ore 19.30
Sede: Galleria Spazio Giovani, via Venezia 41 - Bari
Evento realizzato col Patrocinio del Comune di Bari e dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Media partner dell’evento è la testata giornalistica “Onda del Sud”.
Artisti: Giulia BARONE, CRISA (Cristina Mangini, Elisa Zambetta), Dario DE LEO, Francesco MANGINI, Cosma PEPPINO, Teresa ROMANO/Marco TESTINI, Patrizia Emma SCIALPI, Giuseppe VOLPE, Red ZDREUS.
Si inaugura giovedì 6 giugno 2013, alle ore 19.30, presso la Galleria Spazio Giovani a Bari, “Two memory rooms”, un progetto espositivo che coinvolge un gruppo di giovani artisti pugliesi, curato da Giuliana Schiavone, critico e curatore indipendente, con il Patrocinio del Comune di Bari e dell’Accademia di Belle Arti di Bari. L’intento è quello di raccogliere all’interno di uno spazio situato nel cuore della città Vecchia una serie di opere realizzate dagli artisti durante il loro percorso creativo, nella consapevolezza che, in relazione a un luogo inizialmente vuoto, sia proprio il linguaggio dell’arte a conferire uno status di architettura abitata da equilibri di senso di passaggio, di transito temporaneo della memoria, e catene di infiniti rimandi che procedono a ritroso nel tempo. L’arte attribuisce costantemente significati agli spazi in cui decide di installarsi, riuscendo a tradurre e veicolare una o molteplici storie catturate dalla memoria individuale, e a far sì che esse divengano esperienza di condivisione collettiva attraverso la produzione di una forma esperibile nel presente, per poi essere nuovamente restituite alla memoria del singolo e alla dimensione fluida del passato. La planimetria dell’ambiente espositivo si compone di due vani attigui che in occasione della mostra collettiva si trasformano in due unità spaziali e figurate simili a inventari, riempiti sul piano estetico e contenutistico dalla presenza delle opere. Si attiva così un racconto corale legato alla dimensione del ricordo, inteso qui sia come atto o processo psichico, rievocazione di frammenti emotivi ed eventi legati al passato, e dunque come nuova possibilità di interrogarlo, o come segno visibile di qualcosa che è accaduto e non è più, immagine scomposta e impressa nella memoria, contenuto, traccia conservata negli oggetti, che la realtà risveglia casualmente. Come i dati esterni vengono costantemente immagazzinati e assimilati dai nostri processi mnestici, le pareti dello spazio racchiudono un inventario di ricordi appartenente agli artisti e conservati nelle opere, ciascuna portatrice di una personale versione del tema, nata dalla consapevolezza che proprio la memoria, e dunque ciò che è stato, abbia un ruolo chiave nella costruzione dell’identità del singolo e nella continuità della vita interiore.
Ecco allora la memoria declinata dagli artisti: la sua dimensione apparentemente ludica e provocatoria tradotta con stesure rapide e dagli intensi cromatismi da Dario De Leo, che scompone ai minimi termini le componenti simboliche e formali dell’immaginario collettivo; i livelli visivi e di significato immagazzinati nelle immagini di Marco Testini e Teresa Romano, nei contenuti multimediali che completano costantemente il senso globale dei lavori in progress su identità e paesaggio; il tempo dell’infanzia recuperato e trattenuto da Francesco Mangini nella trasparenza del vetro, dove l’identità dei soggetti può concentrarsi in sagome sospese e primarie; gli oggetti duplicati e poi fusi nelle sperimentazioni di CRISA, le cui combinazioni assomigliano a enciclopediche raccolte di vite e gesti vissuti, di emozioni condivise nella ricerca di una distanza perfetta con l’altro. Troviamo, inoltre, le ibridazioni di Patrizia Emma Scialpi, nate come conseguenza di imperfetti innesti d’anime e corpi, vegetali e umani, depositati lentamente sulla carta che trattiene la quintessenza di ogni moto emozionale liberandola dalla gravità; le storie di vita che si consuma in quelle strade che percorriamo senza mai osservarne i dettagli, raccolte da Giulia Barone, nella sua ricerca su inquadrature e movimento, nel tentativo di fissare la sequenza di brevissimi intervalli di tempo e stupore. Ecco poi le operazioni su carta di Red Zdreus, che su sfondi di parole seriali già lette o pronunciate, appartenenti a presagi che si materializzano all’interno delle cornici, ricrea icone surreali e
dalle capigliature ricche di ingranaggi malfunzionanti, relitti di chissà quale apocalittico avvenimento, o piuttosto genesi dai simboli surreali; le frequenze sonore captate da Cosma Peppino e impresse su supporti longitudinali come a ribadire la continuità dei momenti di tempo che crediamo isolati; e infine la materia fluida e amniotica della cera adoperata da Giuseppe Volpe, che solidificandosi ingloba forme di inchiostro nate certamente dalla casualità, ma che solo il tempo è in grado di raccogliere e raccontare.
Segnala:
Amalia di Lanno