INAUGURAZIONE MOSTRA
GIOVEDÌ 4 DALLE ORE 19.00
LA SEDUZIONE DELLA VITA
FRA I FRAMMENTI DI UN VOLTO
a cura di Gianluca Ranzi
La rappresentazione del volto è il punto di partenza del lavoro di Duty Gorn, che, dai primi ritratti fino alle ultime opere, mostra però una progressiva attenzione alla sua decostruzione fino alla messa in crisi del dogma della sua riconoscibilità.
Estrapolate direttamente dalla realtà, ingigantite, essenzializzate, filtrate e poi ricostruite dal gioco dei pieni e dei vuoti della pittura, le immagini di questi lavori posseggono freddezza e rigore, invitano lo spettatore ad assumere una certa distanza, fisica ed emotiva, e attraverso uno sguardo ironico aprono uno spiraglio sui meccanismi di funzionamento della società dei consumi e la proiezione degli ideali collettivi sui nuovi miti dell’apparenza.
La figura, femminile per eccellenza, serve per segnare una soglia, il solco naturale che sepa- ra l’apparizione dell’arte da altre apparizioni. In questo scarto si misura anche la distanza tra l’opera d’arte e una certa fenomenologia pop delle immagini massmediatiche che, nonostante rientri nel codice genetico e nei riferimenti di Duty Gorn, appare qui lontanissima in forza della destrutturazione e del sezionamento a cui le figure sono sottoposte, come se venissero taglia- te e ricomposte secondo un ordine diverso.
Spesso d’altronde nella storia dell’arte, non solo contemporanea, l’artista al maschile ha usato la figura femminile come bersaglio di un ideale da distanziare, mettere tra parentesi, sezionare e raffreddare, basti pensare al taglio anatomico effettuato da Gustave Courbet al sesso femmi- nile della sua “Origine du monde”, dipinta nel 1866 esclusivamente per l’occhio del turco Khalil Bay, rimasta privata fino al 1966 e poi acquistata e custodita da Jaques Lacan dietro una tendi- na, pronta ad essere svelata come un vero e proprio coup de théatre. Lo stesso è avvenuto del resto nell’ambito della Pop Art americana con la serie dei Great American Nudes di Tom Wes- selmann, parenti alla lontana dei volti di Duty Gorn, che proprio come le opere in mostra fondo- no l’arabesco lineare di Matisse a una struttura rigorosa che risale fino a Mondrian e che sono costruiti, o decostruiti, in quel modo statico e un po’ anonimo che dona loro energia e plasticità.
Duty Gorn ci ricorda quanto sia audace l’atto di dipingere, quando non si tratta più di presenta- re una copia dal vero ma di rappresentare una sintesi del reale, di inventare una rappresenta- zione della vita che sia portatrice di una seduzione sezionata dal bisturi della pittura, come in Courbet, e di una ricostruzione sintetica dell’oggetto come avviene nei nudi di Wesselmann, e mai da confondere coi maquillage grafici da rivista patinata. In questo modo l’opera coagula dentro di sé la memoria culturale visiva di modelli linguistici anche lontani nello spazio e nel tempo in un movimento di corso e ricorso fuori da ogni prospettiva lineare, come avviene infatti nella nuova installazione dove ogni faccia del cubo corrisponde a una differente “visione” della realtà, intercambiabile e sovrapponibile, mutante e fluida.
Erede quindi di questo processo di distanziamento emotivo dal potere erotico femminile - si direbbe che più gli artisti ne sentano la vicinanza e l’influenza, più tentino di controllarlo e inca- nalarlo -, Duty Gorn utilizza un approccio meccanico di segmentazione dei piani della pittura e della loro ricomposizione in insiemi incoerenti dal punto di vista della rappresentazione realisti- ca, ma coerenti rispetto a una ricostruzione in cui regna una calma rigorosa, un silenzio artifi- ciale e voluto, un’atmosfera che richiama l’esercizio della scrittura ed è al contempo solenne e vibrante. Le forme e le loro sovrapposizioni, i giochi di linee e di sovradimensionamenti, i piani pittorici incrociati ai partiti decorativi, se da una parte paradossalmente annientano l’aura della forma estetica, allo stesso tempo la sottolineano in maniera quasi sacrale. Per l’artista quindi la forma non nasce dalla manifestazione plastica dell’oggetto esposto, ma dalla modalità della sua presentazione, da questo allineare, smontare e ricostruire pittorico dei frammenti della rappresentazione. Lavorare sul frammento significa allora privilegiare le vibrazioni, psicolo- giche e cromatiche, della sensibilità a discapito di una tenuta monolitica dell’immagine. Tali
vibrazioni sono necessariamente discontinue e portano l’artista verso un’opera fatta di molti accidenti linguistici fuori da ogni coerenza interna.
I frammenti di linee e di volti, i tag verbali che entrano in corto circuito con l’immagine, l’or- namentazione e lo scalare dei piani, sono il sintomo di un’estasi della dissociazione e di un desiderio potente che, nonostante il controllo, appare in continua mutazione, in uno stato di perenne ibridazione che nelle ultime opere si rende più complesso aprendosi in strutture a ventaglio che occupano la parete espandendosi a macchia d’olio alla conquista dello spazio psicologico del soggetto ritratto e dello spazio fisico dell’ambiente.
L’ibridazione e la conquista sono anche dirette a far interagire immagine e testo, secondo una modalità per cui quest’ultimo contribuisce alla riuscita del progetto aumentandone la per- centuale di ambiguità semantica, dal momento che la lettura dei tag risulta il più delle volte di difficile comprensione. Nelle opere decostruite di Duty Gorn, dove l’immagine del volto si scompone in piani emozionali, gli inserimenti di testo creano uno spazio ulteriore dove lo spettatore è subito invitato a considerare possibili sottotesti significativi che convivono con la seduzione dell’immagine. In questo caso l’artista è interessato ad inserire frammenti di scrit- tura che non possano essere facilmente compresi dallo spettatore e che sembrano assorbirsi nel camouflage dei partiti decorativi che contornano l’immagine. Eppure l’inserimento di questi “cammei” che presentano segni in forma di scrittura porta in direzione dell’esibizione di una cripto-scrittura che è un modo di rappresentare il linguaggio secondo nuove regole associa- tive, proprio nello stesso modo in cui sono trattate le immagini dei volti, che per ritornare ad avere senso devono rispondere ad altre regole che non quelle della verosimiglianza anatomi- ca e richiedono pertanto l’intervento attivo dello spettatore che deve poterne fornire una sua lettura e una sua interpretazione.
Ecco quindi come al posto di una relazione eminentemente lineare, gerarchica e bloccata tra il leggere e lo scrivere e tra il vedere e il leggere, Duty Gorn si cimenta con uno spazio transitivo in cui giocano liberamente immagini e testi e in cui la scrittura è intesa sia come fenomeno verbale che visivo. L’artista compie così la sua personalissima incursione nel campo della scrittura, trasfigurandola in immagini e assorbendola nel fuoco incrociato di prospettive e di tagli, di campiture di colore che descrivono per contrasto (come nella costante compresenza di nero e bianco) zone perfette di luce e di ombra, che per una conflagrazione di punti di vista coinvolgono lo spettatore e richiedono la sua attenzione interpretativa.
In definitiva le opere di Duty Gorn respirano e mutano come un volto in cui sta scritta la sua me- moria genetica e su cui poggia la sua determinazione del futuro. I suoi volti, che sono fatti di co- lore, immagine, scrittura e seduzione, incarnano tutti gli aspetti metafisici e biologici della visione di un evento vivente, che l’arte sa preservare e trasmettere nella pienezza della sua vitalità.
*La mostra sarà aperta tutti i giorni fino al 18 aprile
dalle 10.00 alle 20.00 su appuntamento.
IFD Gallery
via Marco Polo 4 - Milano
Tel. 02 6679931
Metro:
MM Garibaldi
MM REPUBBLICA
Tram:
2 - 9 - 29/30 - 33
GIOVEDÌ 4 DALLE ORE 19.00
LA SEDUZIONE DELLA VITA
FRA I FRAMMENTI DI UN VOLTO
a cura di Gianluca Ranzi
La rappresentazione del volto è il punto di partenza del lavoro di Duty Gorn, che, dai primi ritratti fino alle ultime opere, mostra però una progressiva attenzione alla sua decostruzione fino alla messa in crisi del dogma della sua riconoscibilità.
Estrapolate direttamente dalla realtà, ingigantite, essenzializzate, filtrate e poi ricostruite dal gioco dei pieni e dei vuoti della pittura, le immagini di questi lavori posseggono freddezza e rigore, invitano lo spettatore ad assumere una certa distanza, fisica ed emotiva, e attraverso uno sguardo ironico aprono uno spiraglio sui meccanismi di funzionamento della società dei consumi e la proiezione degli ideali collettivi sui nuovi miti dell’apparenza.
La figura, femminile per eccellenza, serve per segnare una soglia, il solco naturale che sepa- ra l’apparizione dell’arte da altre apparizioni. In questo scarto si misura anche la distanza tra l’opera d’arte e una certa fenomenologia pop delle immagini massmediatiche che, nonostante rientri nel codice genetico e nei riferimenti di Duty Gorn, appare qui lontanissima in forza della destrutturazione e del sezionamento a cui le figure sono sottoposte, come se venissero taglia- te e ricomposte secondo un ordine diverso.
Spesso d’altronde nella storia dell’arte, non solo contemporanea, l’artista al maschile ha usato la figura femminile come bersaglio di un ideale da distanziare, mettere tra parentesi, sezionare e raffreddare, basti pensare al taglio anatomico effettuato da Gustave Courbet al sesso femmi- nile della sua “Origine du monde”, dipinta nel 1866 esclusivamente per l’occhio del turco Khalil Bay, rimasta privata fino al 1966 e poi acquistata e custodita da Jaques Lacan dietro una tendi- na, pronta ad essere svelata come un vero e proprio coup de théatre. Lo stesso è avvenuto del resto nell’ambito della Pop Art americana con la serie dei Great American Nudes di Tom Wes- selmann, parenti alla lontana dei volti di Duty Gorn, che proprio come le opere in mostra fondo- no l’arabesco lineare di Matisse a una struttura rigorosa che risale fino a Mondrian e che sono costruiti, o decostruiti, in quel modo statico e un po’ anonimo che dona loro energia e plasticità.
Duty Gorn ci ricorda quanto sia audace l’atto di dipingere, quando non si tratta più di presenta- re una copia dal vero ma di rappresentare una sintesi del reale, di inventare una rappresenta- zione della vita che sia portatrice di una seduzione sezionata dal bisturi della pittura, come in Courbet, e di una ricostruzione sintetica dell’oggetto come avviene nei nudi di Wesselmann, e mai da confondere coi maquillage grafici da rivista patinata. In questo modo l’opera coagula dentro di sé la memoria culturale visiva di modelli linguistici anche lontani nello spazio e nel tempo in un movimento di corso e ricorso fuori da ogni prospettiva lineare, come avviene infatti nella nuova installazione dove ogni faccia del cubo corrisponde a una differente “visione” della realtà, intercambiabile e sovrapponibile, mutante e fluida.
Erede quindi di questo processo di distanziamento emotivo dal potere erotico femminile - si direbbe che più gli artisti ne sentano la vicinanza e l’influenza, più tentino di controllarlo e inca- nalarlo -, Duty Gorn utilizza un approccio meccanico di segmentazione dei piani della pittura e della loro ricomposizione in insiemi incoerenti dal punto di vista della rappresentazione realisti- ca, ma coerenti rispetto a una ricostruzione in cui regna una calma rigorosa, un silenzio artifi- ciale e voluto, un’atmosfera che richiama l’esercizio della scrittura ed è al contempo solenne e vibrante. Le forme e le loro sovrapposizioni, i giochi di linee e di sovradimensionamenti, i piani pittorici incrociati ai partiti decorativi, se da una parte paradossalmente annientano l’aura della forma estetica, allo stesso tempo la sottolineano in maniera quasi sacrale. Per l’artista quindi la forma non nasce dalla manifestazione plastica dell’oggetto esposto, ma dalla modalità della sua presentazione, da questo allineare, smontare e ricostruire pittorico dei frammenti della rappresentazione. Lavorare sul frammento significa allora privilegiare le vibrazioni, psicolo- giche e cromatiche, della sensibilità a discapito di una tenuta monolitica dell’immagine. Tali
vibrazioni sono necessariamente discontinue e portano l’artista verso un’opera fatta di molti accidenti linguistici fuori da ogni coerenza interna.
I frammenti di linee e di volti, i tag verbali che entrano in corto circuito con l’immagine, l’or- namentazione e lo scalare dei piani, sono il sintomo di un’estasi della dissociazione e di un desiderio potente che, nonostante il controllo, appare in continua mutazione, in uno stato di perenne ibridazione che nelle ultime opere si rende più complesso aprendosi in strutture a ventaglio che occupano la parete espandendosi a macchia d’olio alla conquista dello spazio psicologico del soggetto ritratto e dello spazio fisico dell’ambiente.
L’ibridazione e la conquista sono anche dirette a far interagire immagine e testo, secondo una modalità per cui quest’ultimo contribuisce alla riuscita del progetto aumentandone la per- centuale di ambiguità semantica, dal momento che la lettura dei tag risulta il più delle volte di difficile comprensione. Nelle opere decostruite di Duty Gorn, dove l’immagine del volto si scompone in piani emozionali, gli inserimenti di testo creano uno spazio ulteriore dove lo spettatore è subito invitato a considerare possibili sottotesti significativi che convivono con la seduzione dell’immagine. In questo caso l’artista è interessato ad inserire frammenti di scrit- tura che non possano essere facilmente compresi dallo spettatore e che sembrano assorbirsi nel camouflage dei partiti decorativi che contornano l’immagine. Eppure l’inserimento di questi “cammei” che presentano segni in forma di scrittura porta in direzione dell’esibizione di una cripto-scrittura che è un modo di rappresentare il linguaggio secondo nuove regole associa- tive, proprio nello stesso modo in cui sono trattate le immagini dei volti, che per ritornare ad avere senso devono rispondere ad altre regole che non quelle della verosimiglianza anatomi- ca e richiedono pertanto l’intervento attivo dello spettatore che deve poterne fornire una sua lettura e una sua interpretazione.
Ecco quindi come al posto di una relazione eminentemente lineare, gerarchica e bloccata tra il leggere e lo scrivere e tra il vedere e il leggere, Duty Gorn si cimenta con uno spazio transitivo in cui giocano liberamente immagini e testi e in cui la scrittura è intesa sia come fenomeno verbale che visivo. L’artista compie così la sua personalissima incursione nel campo della scrittura, trasfigurandola in immagini e assorbendola nel fuoco incrociato di prospettive e di tagli, di campiture di colore che descrivono per contrasto (come nella costante compresenza di nero e bianco) zone perfette di luce e di ombra, che per una conflagrazione di punti di vista coinvolgono lo spettatore e richiedono la sua attenzione interpretativa.
In definitiva le opere di Duty Gorn respirano e mutano come un volto in cui sta scritta la sua me- moria genetica e su cui poggia la sua determinazione del futuro. I suoi volti, che sono fatti di co- lore, immagine, scrittura e seduzione, incarnano tutti gli aspetti metafisici e biologici della visione di un evento vivente, che l’arte sa preservare e trasmettere nella pienezza della sua vitalità.
*La mostra sarà aperta tutti i giorni fino al 18 aprile
dalle 10.00 alle 20.00 su appuntamento.
IFD Gallery
via Marco Polo 4 - Milano
Tel. 02 6679931
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MM REPUBBLICA
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2 - 9 - 29/30 - 33
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Amalia di Lanno