PULL il titolo della mostra personale di Giovanni Termini, che sfrutta e consuma il bianco della galleria per mettere in atto una trasformazione in continuo divenire, un’opera che non si conclude, ma che piuttosto è un operazione di costruzione in piena luce. L’estetica che si percepisce oltre la forma dei lavori in mostra, la dubbia risoluzione di un’azione di cui rimangono documentazioni e tracce, come in un campo da guerra, uno di quelli in cui la guerra si fa per gioco. È proprio il gioco a dare forma all’opera principale, perdendo la sua connotazione abituale e invertendo la funzione dell’oggetto lanciato, il piattello, generalmente elemento colpito o da colpire, che invece colpisce e colpendo si distrugge, quasi fosse solo quella la sua unica fine, lasciando le tracce residuali di un pericolo incombente, diventando da vittima a carnefice di un atto solitamente subito. La tensione di un’azione solo percepita, i resti di qualcosa di accaduto ma che potrebbe ancora avvenire senza preavviso, il lancio pericoloso, l’urto rumoroso, lo scontro violento, lo spazio tracciato dai resti e segnato da un tempo che ormai è memoria. E poi lo stesso oggetto che diventa totem, vincitore slanciato e intatto, impilato in una fredda composizione a colonna.Giovanni Termini lo spazio lo usa, come usa il tempo, trasformandoli in elementi dell’opera, ingloba e assembla contenuti e contenitori, presente e passato, a favore di un opera totale che stimola la percezione assoluta e annida il dubbio della ricerca, dell’insoluto, lasciando l’illusione del caso, ma tracciando dei confini precisi. Un’artista di formazione scultorea che alla fusione e al montaggio permanente preferisce l’incastro, l’assemblaggio semplice, veloce, solo apparentemente fisso, ma pronto a cambiare subito forma e senso, opere che si nutrono della leggerezza dell’equilibrio, in bilico, in cui il limite dell’immobilità è subito generatore di nuove idee. Lavori confinati, perimetrati solitamente da nastri adesivi, isolanti, che racchiudono e trattengono il valore dell’opera e conferiscono quell’aspetto da work in progress che rimanda all’immagine di un cantiere, pulito però, spoglio. Un cantiere che conserva le strutture accatastate, pronte a costruire, ma che sono comunque già forma, e che anzi evocano infinite soluzioni, la sensazione di continuo pericolo, di caduta che schiaccia, e distrugge come in PULL, dove la distruzione diventa generatrice di segni improvvisi e inaspettati capaci quasi di di-segnare lo spazio.
La mostra sarà presentata e accompagnata da un testo critico di Andrea Bruciati.
Info: http://www.artcore.it
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Amalia Di Lanno