Mercoledì 7 marzo presso la sala Bona Sforza del Castello Svevo di Bari si inaugura la mostra Desert Inn / Desert In, prodotta da La Corte, fotografia e ricerca, in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni ambientali e architettonici per le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia.
Il progetto è di Carlo Garzia con la presenza di dodici autori tra cui Cesare Ballardini, Guido Guidi, Pio Tarantini e Giovanni Zaffagnini, con circa settanta opere di diverso formato e tecnica.
Il deserto non è visto come luogo esotico con oasi e palmizi, e nemmeno come luogo inanimato in cui pochissime forme di vita resistono, ma piuttosto come una metafora del silenzio, dell’indeterminatezza: uno spazio indistinto ma mobile in cui l’essere può perdersi ma anche ritrovarsi. E’ il dominio del vuoto, del fare vuoto, dell’assenza di linguaggio, un luogo in cui tutto può equivalere a tutto.
Non sarà quindi nemmeno il deserto delle sfide mortali dei rally e di improbabili avventure romantiche o il deserto a cinque stelle che emiri saturi di petrodollari permettono di contemplare dall’alto di confortevoli e avveniristiche costruzioni.
Gli autori invitati hanno perciò dato interpretazioni molto diverse e personali, in generale legate a quella linea di nuovo paesaggio italiano che comincia ad affermarsi nei primi anni 80 con la ricerca di Luigi Ghirri.
Ballardini lo ha visto come una linea di confine tra campagna e periferia di piccoli centri urbani, anonimi e omologati da una architettura geometrile. Barchiesi esplora con sguardo epico il deserto dell’Arizona secondo la grande tradizione della fotografia americana e del suo mito della frontiera.
Di Marco individua in un deposito di scheletri animali in un museo di scienze naturali di vecchia concezione non solo le certezze positive della vecchia scienza classificatoria e tassonomica, ma anche l’azione del tempo che riduce e ossifica il vivente con immagini di forza quasi barocca.
Garzia cita il mito americano di Buddy Holly e di Francis Coppola rintracciando il famoso diner di Peggy Sue e altri luoghi incongrui ai limiti del deserto, un motel o una falsa astronave.
Guido Guidi lo trova nelle tracce ancora calcinate di un teatro incendiato, deserto di stupidità e di violenza.
Maffi assembla rocce e nuvole in una idea di paesaggio ricostruito con un raffinato incastro digitale.
Roberto traccia l’ordinaria desolazione delle spiagge adriatiche fuori stagione, con colori freddi e geometri disfatte.
Tarantini ricostruisce come in un teatrino una piccola cosmogonia tra artigianato, gioco e memoria antropologica.
Toja esplora con un drammatico bianco e nero il deserto della follia ma anche del tentativo di contenerla con la violenza istituzionale degli spazi deputati.
Vicario ci offre la palette delicata e mutevole di una salina.
Per Zaffagnini il deserto è un grande buco nero, da cui faticosamente emergono pochi segni minimali della cultura urbana.
Zanni infine scopre nella nostra terra i colori forti, quasi violenti, di una piccola miniera di bauxite a cielo aperto.
Il progetto è di Carlo Garzia con la presenza di dodici autori tra cui Cesare Ballardini, Guido Guidi, Pio Tarantini e Giovanni Zaffagnini, con circa settanta opere di diverso formato e tecnica.
Il deserto non è visto come luogo esotico con oasi e palmizi, e nemmeno come luogo inanimato in cui pochissime forme di vita resistono, ma piuttosto come una metafora del silenzio, dell’indeterminatezza: uno spazio indistinto ma mobile in cui l’essere può perdersi ma anche ritrovarsi. E’ il dominio del vuoto, del fare vuoto, dell’assenza di linguaggio, un luogo in cui tutto può equivalere a tutto.
Non sarà quindi nemmeno il deserto delle sfide mortali dei rally e di improbabili avventure romantiche o il deserto a cinque stelle che emiri saturi di petrodollari permettono di contemplare dall’alto di confortevoli e avveniristiche costruzioni.
Gli autori invitati hanno perciò dato interpretazioni molto diverse e personali, in generale legate a quella linea di nuovo paesaggio italiano che comincia ad affermarsi nei primi anni 80 con la ricerca di Luigi Ghirri.
Ballardini lo ha visto come una linea di confine tra campagna e periferia di piccoli centri urbani, anonimi e omologati da una architettura geometrile. Barchiesi esplora con sguardo epico il deserto dell’Arizona secondo la grande tradizione della fotografia americana e del suo mito della frontiera.
Di Marco individua in un deposito di scheletri animali in un museo di scienze naturali di vecchia concezione non solo le certezze positive della vecchia scienza classificatoria e tassonomica, ma anche l’azione del tempo che riduce e ossifica il vivente con immagini di forza quasi barocca.
Garzia cita il mito americano di Buddy Holly e di Francis Coppola rintracciando il famoso diner di Peggy Sue e altri luoghi incongrui ai limiti del deserto, un motel o una falsa astronave.
Guido Guidi lo trova nelle tracce ancora calcinate di un teatro incendiato, deserto di stupidità e di violenza.
Maffi assembla rocce e nuvole in una idea di paesaggio ricostruito con un raffinato incastro digitale.
Roberto traccia l’ordinaria desolazione delle spiagge adriatiche fuori stagione, con colori freddi e geometri disfatte.
Tarantini ricostruisce come in un teatrino una piccola cosmogonia tra artigianato, gioco e memoria antropologica.
Toja esplora con un drammatico bianco e nero il deserto della follia ma anche del tentativo di contenerla con la violenza istituzionale degli spazi deputati.
Vicario ci offre la palette delicata e mutevole di una salina.
Per Zaffagnini il deserto è un grande buco nero, da cui faticosamente emergono pochi segni minimali della cultura urbana.
Zanni infine scopre nella nostra terra i colori forti, quasi violenti, di una piccola miniera di bauxite a cielo aperto.
Nessun cedimento quindi ad una facile poesia o al gusto di una avventura tutto compreso, ma una riflessione sulla perdita di senso del paesaggio “man altered”.
La mostra è accompagnata da un catalogo e resterà aperta sino a domenica 25 aprile negli orari di apertura del Castello.
La mostra è accompagnata da un catalogo e resterà aperta sino a domenica 25 aprile negli orari di apertura del Castello.
L’ingresso al castello sarà gratuito il pomeriggio dell’inaugurazione e durante la tradizionale settimana della cultura ad aprile.
Per ulteriori informazioni garzia.carlo@fastwebnet.it
Segnala:
Amalia Di Lanno