Museo della Fotografia Politecnico di Bari
Via Orabona, 4 - 70125 Bari
21 Marzo 2016 ore 10.00
mostra di Vincenzo Castella "Metropoli Terra Di Bari"
METODOLOGIA DELLA CONOSCENZA
L'immagine della Metropoli Terra di Bari osservata dall'alto e recepita dall'occhio e dalla mente di Vincenzo Castella, integra le visioni di questa Terra proiettate al 2035 dei membri del Comitato Scientifico del Piano Strategico BA2015. Gli scatti che seguono rappresentano l'analisi visiva di un grande Fotografo operata su un territorio in divenire, un insieme vivo di elementi, di particolari, di contrasti, una miscela che si trasforma e trasforma la nostra percezione degli oggetti e dello spazio, in un modo per noi consapevole e inconsapevole al tempo stesso. Non appena ho parlato a Vincenzo Castella di questo progetto, durante l'estate del 2008, ne è stato entusiasta. A settembre dello stesso anno siamo andati insieme su per terrazzi di abitazioni che ne sovrastavano altre, per scale logore di campanili di chiese, evitando batacchi, reti metalliche e tiranti di acciaio, per “guardare” dall’alto i paesaggi deittici delle città, a riconoscere i segni delle affinità, delle mescolanze e delle dispersioni di identità. “Gli uomini non si accorgono di tutte le immagini contenute nelle città e non si accorgono completamente di quello che (in esse stesse) sta accadendo". Non c’è in Castella la libidine per l’architettura tautologica vista come “scatola magica” e messa lì in posa, pronta per essere fotografata. Lui stesso afferma che il suo interesse è rivolto alla città come “laboratorio”, alla forma del contenitore che presagisce il ritmo del contenuto. “L’aspetto della scultura, l’isolamento metaforico di un oggetto tridimensionale, non mi ha mai colpito particolarmente: mi interessa l’insieme, il passaggio, la cerniera, la dimensione transiente tra un oggetto e l’altro” Il suo sguardo indietreggia a comprendere un’immagine piena, stipata (penso ai paesaggi di Atene e di Genova, o a quelli di Amsterdam e di Ramallah, così come all’immobile percorso delle abitazioni di Polignano, Bitonto, Gioia del Colle, ...) a capire il linguaggio delle città, la percezione e la ragione di un luogo, senza il compiacimento del narciso. “Sospetto che non siano tanto le persone che cambiano le città, ma che esse stesse quasi automaticamente riescano a comunicare tra loro e ad assomigliarsi sempre di più. [...] Le città cambiano uniformando i loro aspetti senza l’intervento degli uomini, cambiando il sistema di relazioni, la soglia, la divisione, la somiglianza.” L’artista misura la città che si disegna, autodefinendosi, alle luci uniformi. “L’iperluce, una cosa che esiste, ma non viene da nessuna parte” provoca deboli ombre, forme intersecate di cromatismi che sempre più si assomigliano, di volumi e di simboli che si ripetono e si moltiplicano. Sempre attento a far collimare il paesaggio, facendolo transitare in una griglia, contenendolo in una sorta di paradigma eidetico, in un va e vieni di invisibile appercezione tra osservato e osservatore.
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L’homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l’observent avec des regards familiers.
Comme de longs échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les parfums, les couleurs et les sons se répondent.
Castella oltrepassa il mondo inanimato dei coniugi Becker, a cui pure ha guardato con interesse, privilegiando le variazioni del “modello” là dove si sfalda, osservando sul grande vetro smerigliato i dettagli, le forme, l’effetto del passaggio, ma anche l’appiattimento e l’uniformità strutturale e cromatica, ricomponendo l’insieme che trasmigra, intero e fluido, all’apertura dell’otturatore, fino a impressionare il sensible side della pellicola. La città esiste perché, nella sensazione in atto, viene interamente percepita nella sua complessità, come entità misurabile e mutabile. Una metodologia già percorsa da Aristotele mediante l’utilizzo degli aisthémata e dei phantàsmata. I primi, gli aisthémata, sono l’insieme degli oggetti sensibili percepiti e i phantàsmata sono la rappresentazione iconografica degli oggetti nel nostro pensiero e quindi capaci di dotare l’oggetto stesso della percezione di un contenuto formale. Come più volte sostenuto da Castella, nelle sue fotografie la memoria sopravvive non come nostalgia del vissuto, ma in quanto immaginazione degli oggetti geometrici realmente percepiti, utile quindi a stabilire un medium tra intelletto e oggetti sensibili. In conclusione potremmo considerare le Fotografie di Vincenzo Castella non soltanto come opere d’arte, ma anche un potente medium della gnoseologia aristotelica.
Pio Meledandri Metropoli Terra di Bari – tradizione e innovazione - 2009 (Adda Editore)
1. Castella, V., dicembre 2006, Lotus International, n. 129.
2. Intervista a Vincenzo Castella in corso di pubblicazione in un volume di interviste su Architettura e Fotografia.
3. Castella, V., 2006, Paesaggio e sguardo, in Prospettive integrate. Il paesaggio tra estetica ed ecologia, a cura di Roberto Franzini Tibaldeo, cit., Medusa, Milano, pp. 64–65.
4. Castella, V., 2003, Photo works, intervista di Paola Tognon all’autore, Silvana Editoriale.
5. Baudelaire, C., in Correspondences, da Les fleures du mal. La natura è un tempio in cui viventi colonne lasciano talvolta sfuggire confuse parole; l'uomo vi passa, attraverso foreste di simboli, che lo guardano con sguardi familiari. Simili a lunghi echi, che di lontano si confondano in una tenebrosa e profonda unità – vasta come la notte e la luce – i profumi, i colori e i suoni si rispondono. Traduzione di Adele Morozzo Della Rocca, 1947, UTET, Torino.
6. Aristotele, 354 a.C., De Anima.
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