mercoledì 1 maggio 2013

DE NITTIS al Palazzo Zabarella




Giuseppe De Nittis, Sul Lago dei Quattro Cantoni, 1881, circa Olio su tela, cm. 48x67, Collezione privata, courtesy Francesca Dini

Palazzo Zabarella Dal 19 gennaio al 26 maggio 2013Sede Via San Francesco 27, Padova 35121 - 

Informazioni Tel +39 049 8753100

Davvero commovente - con la stupefacente presenza della luce, in plain air soprattutto, ma anche negli interni, incontri salottieri con paralumi - l’intensa riconoscibilità della motivazione nei raggruppamenti delle persone, ognuno, nelle posture, il peso del corpo, il movimento del volto, con una sorta d’intima intenzionalità, che poi trova forza e valore nella visione d’insieme, nel paesaggio naturale come tra la folla. Così nella “Banca d’Inghilterra”, 1878: nella fotografia degli elementi architettonici, precisi ritmi spaziali, ogni persona pare ritratta a sé, trattenuta nell’istante in cui stava osservando, parlando, pensando - e poi però anche nell’equilibrio complessivo della stagione, dei colori, nel rapporto vuoto/ pieno, come sfondo un turbato cielo grigio di nuvole di pioggia. 

Nello stesso modo in altre opere inglesi, “La National Gallery e la chiesa di Saint Martin a Londra”, o “Trafalgar Square”. Ma questo delizioso senso del proprio vivere autonomo, fermato allo sguardo in diverse situazioni di movimento, in azioni proprie, è rintracciabile anche quando i gruppi sono molto piccoli, come “Il foro di Pompei” tra colonne dorate e cielo azzurro, o “Avenue du Bois de Boulogne”, anche gli abiti pronti a seguire l’armonia del cammino che ha in sé il proprio scopo, anche nella direzione dello sguardo, qui intorno tanti batuffoli di cagnolini anche loro con propri desideri sia pure nel gioco, oppure ancora nella “Lezione di pattinaggio”, una perfetta concentrazione di vicinanza nel portamento, nella cura della stabilità, dei contrappesi, di sfondo piccole figure di cui però si potrebbe anche intuire la ragione del loro trovarsi lì. E anche quando pare prevalere il carattere veristico si riconosce però sempre, meravigliosamente, una personale ricomposizione della superficie, tra pieni e vuoti, distanze e intervalli, in raffinate sfumature di luci, temperature e colori. Di grande interesse, non solo “popolare” (come l’impressionismo in generale, un felice motivo d’attrazione in questi percorsi turistici d’arte), la mostra dedicata a Giuseppe De Nittis (Barletta, 1846 / Saint-Germaine-en-Laye, 1884) a Padova, a Palazzo Zabarella, centoventi opere di diverso formato che, nel confermare il valore di questo pittore italiano capace di dialogare a pari merito con grandi artisti europei, conferma l’esigenza, tra molte influenze e suggestioni, di proseguire una propria coerente ricerca espressiva, stilistica, per luci e tessuti, ambienti naturali e nuovi paesaggi, la grande città e i ritratti, dalle Puglie a Londra, Napoli e Parigi, dove alla fine si fermerà, continuando però a tornare più volte in Inghilterra. Dalla periferica Barletta ai grandi riconoscimenti internazionali. 
Un incanto i diversi biancori di “Giornata d’inverno. (Ritratto della signora De Nittis)”, con il senso di freddo e purezza della neve alla finestra e il candore delle pennellate dell’abito in contiguità con il pallore della pelle, 1882: e sono riconosciute dal Journal le novità linguistiche nella tecnica del pastello, “da lui adottata dal 1875 in leggero anticipo sull’amico Degas”. Bello allora andare avanti e indietro in questa mostra - e soffermarsi magari ancora davanti a “L’Ofantino”, 1866, tra linee di assoluto nitore, il cielo terso, il disegno accurato, minuzioso, per gli animali e i carri, la collina e il fiume: un’altra tecnica qui, olio su tela, ma insieme un altro sguardo, diversa tensione formale. E prima della serie di paesaggi dedicati al Vesuvio, ecco, “I pioppi” del ’70 dove ancora si coglie una nuova freschezza di pennellata nella visione d’insieme, forte la luminosità in un giorno d’autunno. 
Corretto il titolo della sezione “1873-75. Al Bois de Boulogne. De Nittis pittore della vita moderna e gli impressionisti”. Parigi dunque. In ogni stagione, al laghetto dei giardini del Lussemburgo e sulla neve, Léontine - la moglie - che pattina e l’amazzone che dialoga con due passanti (e cagnolino): ma al di là dei soggetti c’è il confronto culturale. Limpida la riflessione di Cecioni che accosta De Nittis a Boldini, “Tutti e due si erano molto distinti per la ricerca dello chic nella cifra. Il De Nittis peraltro per il desiderio di aver la stima dei realisti...”. Restando come sospeso il confronto, inevitabile, con gli impressionisti. Filtrando il De Nittis intanto la fascinazione per la suprema eleganza delle opere giapponesi che stavano arrivando sempre più numerose a Parigi. Perché tra i meriti di questa mostra c’è anche la continua sollecitazione a riconoscere affinità, appartenenze - e poi però anche scarti, rielaborazioni, ritorni, differenze. Con il piacere di cogliere legami, spunti, dialoghi aperti: e in quella “Giornata d’inverno” non si può non osservare sorridendo di piacere il vassoio di lacca in primo piano con la tazza di porcellana blu, segni dell’attrazione di De Nittis per l’arte orientale. Ma si può cogliere anche l’influenza di Turner in alcune opere londinesi. Mentre le ricerche sui riverberi dell’acqua, la fluidità delle atmosfere, lo stesso soggetto in ore diverse del giorno, le vibrazioni luministiche rinviano inevitabilmente all’impressionismo. Nei Taccuini di De Nittis ritornano i pensieri su questo movimento - e i suoi rapporti con Degas e Manet. Tra gli acquisti personali dell’artista anche quattro quadri di Claude Monet. 
Nel catalogo della mostra si arriva quindi a sottolineare la “definitiva consacrazione” di De Nittis con la Legione d’Onore, ma anche con la presentazione di dodici dipinti all’Esposizione Universale di Parigi del 1878. Tra le magnifiche vedute urbane di speciale efficacia “La costruzione del Trocadéro”, come, pur del tutto diverso, il delizioso olio su tela “ La profumeria Violet verso il 1880”. Alla morte, tra i numerosi necrologi - De Nittis, trentotto anni, all’acme della fama - quello di Émile Bergerat che, nel titolo, collegava la scomparsa del pittore alla fine dell’Impressionismo.

ArsKey Valeria Ottolenghi

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Massimo Nardi