Gino Severini, Maternità, 1916. Cortona, Museo dell’Acacdemia Etrusca
Nel primo
dopoguerra, da cui prende avvio la mostra per inoltrarsi fino all’epilogo
tragico del secondo conflitto mondiale e del fatidico 1943, la cultura
italiana, attraverso i suoi migliori esponenti, si sentì investita della
missione dicreare nuove espressioni artistiche per il Novecento, secolo che non
si era in realtà ancora rivelato. Il più lucido interprete di questa missione
fu il letterato Massimo Bontempelli, che nel 1926 dando vita alla rivista “900”
dichiarava: “Il Novecento ci ha messo molto a spuntare. L’Ottocento non poté
finire che nel 1914. Il Novecento non comincia che un poco dopo la guerra”.
La nuova
esposizione ai Musei San Domenico intende rievocare un clima che ha visto non
solo architetti, pittori e scultori, ma anche designer, grafici, pubblicitari,
ebanisti,orafi, creatori di moda cimentarsi in un grande progetto comune che
rispondeva, attraverso una profonda revisione del ruolo dell’artista, alle
istanze del cosiddetto “ritornoall’ordine”. Il rappel à l’ordre, manifestatosi
già durantegli anni della guerra, scaturiva dalla crisi delle avanguardie
storiche, in particolare il Cubismo e il Futurismo, considerate l’ultima
espressione di un processo di dissolvimento dell’ideale classico che era
iniziato con il Romanticismo e si era accentuato con l’Impressionismo e i
movimenti come il Divisionismo e il Simbolismo che lo avevano seguito. Nasceva
non come semplice ritorno al passato, ma come ripresa dei soli canoni ritenuti
adatti alla realizzazione di un pensiero e di una volontà artistica. “Una
solida geometria di oggetti, una nuova classicità di forme”, per Carlo Carrà,
mentre De Chirico concludeva il suo scritto programmatico sul ritorno della
figura umana esclamando:“Pictor classicus sum”.
Il modello di
una ritrovata armonia tra tradizione e modernità,sostenuto da questi artisti –
tra cui ebbero un rilievo maggiore Felice Casorati, Achille Funi, Mario Sironi,
CarloCarrà, Adolfo Wildt e Arturo Martini – avrà, anche grazie allo spirito
critico e organizzativo di Margherita Sarfatti, il sostegno da parte del regime
che era alla ricerca della definizione di un’arte di Stato.
La mostra
rievoca le principali occasioni in cui gli artisti si prestarono a celebrare
l’ideologia e i miti proposti dal Fascismo, basti pensare all’architettura
pubblica, alla pittura murale e alla scultura monumentale. Verranno documentate
la I (1926) e la II (1929) Mostra del NovecentoItaliano; la grande Mostra della
Rivoluzione Fascista, allestita a Roma nel 1932-1933 in occasione del decennale
della marcia su Roma; la V Triennale di Milano (che vide la consacrazione della
pittura murale intesa come arte nazionalpopolare volta a far rivivere una
tradizione illustre); la rassegna dell’ E42 di Roma. La pittura murale e la
scultura monumentale, che furono con l’architettura l’espressione più
significativa e riuscita di quel periodo, vengono indagate all’interno degli
edifici pubblici, come i palazzi di giustizia, delle poste, delle università.
La considerazione delle più impegnative realizzazioni urbanistiche e
architettoniche ci consente di capire quanto è stato realizzato anche a Forlì e
in altri centri della Romagna.
La mostra
presenta i grandi temi affrontati nel Ventennio dagli artisti che hanno aderito
alle direttive del regime, partecipando ai concorsi e aggiudicandosi le
commissioni pubbliche, e da coloro che hanno attraversato quel clima alla
ricerca di un nuovo rapporto tra le esigenze della contemporaneità e la
tradizione, tra l’arte e il pubblico. La presenza di dipinti, sculture, cartoni
per affreschi, opere di grafica, cartelloni murali, mobili, oggetti d’arredo, gioielli,
abiti, intende offrire una visione a tutto tondo del rapporto tra le arti e le
espressioni del costume e della vita, confrontando artisti e materiali diversi.
L’obiettivo comune era, infatti,quello di ridefinire ogni aspetto della realtà
e della vita, passando dal mito classico a una mitologia tutta contemporanea.
Il compito dell’artista, così lo sintetizza Bontempelli, diviene quello di
“inventare miti, favole, storie, che poi si allontanino da lui fino a perdere
ogni legame con la sua persona, e in tal modo diventino patrimonio comune degli
uomini e quasi cose della natura”.
Attraverso i
maggiori protagonisti (pittori come Severini, Casorati, Carrà,De Chirico,
Balla, Depero, Oppi, Cagnaccio di San Pietro, Donghi, Dudreville, Dottori,
Funi, Sironi, Campigli,Conti, Guidi, Ferrazzi, Prampolini, Sbisà, Soffici,
Maccari, Rosai, Guttuso, e scultoricome Martini, Andreotti, Biancini, Baroni,
Thayaht, Messina, Manzù, Rambelli) risalterà la varietà delle esperienze tra
Metafisica, Realismo Magico e le grandi mitologie del Novecento.
Questo
superamento della pittura da cavalletto per recuperare il rapporto tra la
pittura e l’architettura significò il grande ritorno al Quattrocento italiano
visto come fonte di ispirazione per gli artisti contemporanei. Giotto, Masaccio,
Mantegna, Piero della Francesca per quel loro realismo preciso, avvolto in una
atmosfera di stupore lucido, appaiono particolarmente vicini. Guardare al
Quattrocento o all’antichità non significava recidere i legami con l’arte
contemporanea europea, certo non con quegli artisti che, come Picasso e Derain,
a partire dal secondo decennio del Novecento avevano già fatto lo stesso
percorso, passando dalla scomposizione e dall’astrazione cubista alla
ricomposizione della figura e a una nuova classicità in cui venivano presi a
modello l’antico e la tradizione italiana.
Non solo i
dipinti, le sculture o l’architettura, ma anche le opere di grafica e i
manifesti diventarono parte integrante dell’immagine della città moderna. Il
Novecento passò dall’arte alta agli oggetti della vita quotidiana, dove si
respirava la stessa atmosfera di ritorno alla misura classica, anche nella
manipolazione di materiali preziosi. Lo testimoniano gli splendidi mobili e gli
altri oggetti di arredo disegnati da Piacentini, Cambellotti, Pagano,
Montalcini, Muzio, Gio Ponti e i gioielli realizzati da Alfredo Ravasco. Mai
come nel Novecento anche le vicende della moda si intrecciarono e si
identificarono con quelle della cultura e della politica, originando, tra il
sogno parigino e l’autarchia, la prospettiva della grande moda italiana.
Fonte e
maggiori info: http://www.mostranovecento.it/
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Amalia di Lanno