lunedì 20 febbraio 2012

Doppia personale di Gianni Pettena a Milano

Nel capoluogo lombardo, due spazi espositivi – la Galleria Federico Luger e la Galleria Enrico Fornello, fino al 16 marzo 2012 – dedicano simultaneamente un omaggio alla produzione artistica, storica e contemporanea, di Gianni Pettena, arista, architetto e designer che, nell’arco di quattro decenni, ha saputo evolvere la sperimentazione dei linguaggi artistici in una coerente ricerca volta a scardinare i confini tra le discipline. Propone, sin da subito, una ripensamento radicale della disciplina architettonica, incentrata non più sul funzionalismo, sul razionalismo o su prassi progettuali e costruttive ma su un approccio verso l’ambiente fisico che presuppone sempre una fusione con la natura.

Le sue innovazioni, anche sul piano formale, sottendono la concezione del lavoro artistico come catalizzatore di energia del cambiamento territoriale e sociale, mettendo in atto eventi energetico-trasformativi, dove è il coinvolgimento del pubblico (fisico, emozionale, mentale) ad attivare l’ambiente. Una precisa posizione concettuale, sintetizzata nella definizione di “anarchitetto” (contenuta nel suo libro-manifesto del 1973).La sua produzione così come la parallela attività teorica lo pongono tra i protagonisti di rilievo nel dibattito sull’architettura, l’arte e il design contemporaneo. Negli anni Sessanta è co-fondatore del nucleo originario del movimento dell’Architettura Radicale italiana e in seguito della Global Tools rivendicando sempre una sua autonoma posizione (si pensi alla dichiarazione poetica ”Io sono una spia” realizzata nel 1973 proprio in occasione della creazione di questo sistema di laboratori creativi collettivi); ribadendo la centralità dell’architetto il cui modus operandi si fonda su un serrato intreccio con le coeve ricerche delle arti visive: land art, happening, performance, arte concettuale e comportamentale. In mostra sono presentate una serie di fotografie in bianco e nero che documentano le sue performance più radicali, gli interventi sugli spazi pubblici degli anni della contestazione, in cui Pettena percorre nuove modalità espressive, contribuendo all’elaborazione di un’altra coscienza ambientale, ecologica, artistica, politica. Come per la trilogia del 1968, Carabinieri, Milite ignoto, Grazia & Giustizia, dove lettere di grande formato, costruite in materiale deperibile, finiscono per disintegrarsi a causa della pioggia, dell’umidità o perché immerse nel mare dopo una processione-performance. Queste parole, scelte in quanto stereotipi esistenziali e ideologici della retorica del potere, assumono, nella durata minima dell’azione, una chiave di lettura antiautoritaria in dialogo con l’ambiente urbano, sovvertendone con spirito critico e ironico il significato.La sovrapposizione grafica all’ambiente urbano diventa magistrale nell’intervento di Pettena sul palazzo di Arnolfo di Cambio a San Giovanni Valdarno, dove l’inserimento di losanghe inclinate nella loggia rinascimentale rimarcano, nascondendola, la partitura delle arcate. Di quest’opera del 1968, Gillo Dorfles scrive che l’artista fornisce :[…] attraverso l'inserimento di un linguaggio contemporaneo, una percezione diversa eppure ancora integrata al linguaggio del passato. Con questa operazione si viene ad ottenere un fenomeno molto interessante soprattutto dal punto di vista percettivo, perché dopo che l’edificio è stato osservato con la mascheratura delle bande inclinate e viene poi rivisto una volta ricondotto alla sua primitiva condizione, ci si rende immediatamente conto dell'esistenza di una specifica qualità percettiva che andava perduta senza la 'sovrapposizione' di cui abbiamo parlato”.

L’urgenza provocatoria, quasi di matrice situazionista, nella rilettura del mondo per liberare significati nascosti è palese nella fotografia Some Call Him Pig (1971), dove il cartellone con l’immagine di un poliziotto che fa la respirazione bocca a bocca ad un bambino quale messaggio in risposta alle critiche subite dalla polizia durante la contestazione studentesca , è reinterpretata con una velata allusione alla pedofilia.

Nella conferenza performance Marea (1974) - in cui l’artista è gradualmente inondato dalla marea del Tamigi mentre pronuncia un discorso critico sulla teoria dell’architettura - l’intreccio tra linguaggio architettonico e artistico si palesa in una configurazione di gesti che aprono lo spazio ai passaggi del tempo e del mutamento atmosferico (alta marea, freddo). Il suo intero corpus di opere è incentrato su un’idea costruttiva che sopravvive anche agli interventi temporanei (come Ice House, Tumbleweed Catcher, Clay House, del 1972, dove l’architettura è dissolta da processi naturali), poiché è proprio l’autodissoluzione dei processi a sottintendere la sua critica alla teoria dell’architettura.


Federico Luger Via Circo 120123 Milano





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Amalia Di Lanno