giovedì 29 marzo 2018

TURNER. Opere della Tate


Per la prima volta in mostra a Roma una raccolta di opere esclusive dell’artista inglese Joseph Mallord William Turner dal 22 marzo al 26 agosto 2018 al Chiostro del Bramante.
Una collezione unica, espressione del lato intimo e riservato di J.M.W. TURNER (23 aprile 1775 – 19 dicembre 1851), donata interamente all’ Inghilterra e conservate presso la Tate Britain di Londra, e che con questa mostra segna l’inizio di una importante collaborazione con il Chiostro del Bramante.
Conosciute oggi come ‘Turner Bequest’, molte delle opere esposte provengono dallo studio personale dell’artista e sono state realizzate nel corso degli anni per il suo ‘proprio diletto’ secondo la bella espressione del critico John Ruskin. Un piacere estetico e visivo che conserva ricordi di viaggi, emozioni e frammenti di paesaggi visti durante i suoi soggiorni all’estero. Era infatti abitudine dell’artista lavorare sei mesi all’aria aperta durante la bella stagione e solo in inverno chiudersi nel suo studio per riportare su tela i ricordi di ciò che aveva visto dal vivo.
Più di 90 opere d’arte, tra schizzi, studi, acquerelli, disegni e una selezione di olii mai giunti insieme in Italia, caratterizzano il percorso espositivo della grande mostra “TURNER. Opere della Tate” dedicata al celebre e rinomato maestro dell’acquerelloche con la sua pittura ha influenzato più di una generazione di artisti, quali Claude Monet, Caspar David Friedrich, Vincent Van Gogh, Edgar Degas, Paul Klee, Franz Marc, Wassily Kandinsky, Gustav Klimt, Mark Rothko, James Turrell e Olafur Eliasson.
Natura e romanticismo si fondono nella raffigurazione perfetta del sublime e nella contemplazione di una forza inarrestabile, quasi misteriosa, che andava rievocata per rispondere al bisogno dell’artista di ricercare un linguaggio in constante evoluzione che anticipasse i tempi e le mode artistiche. Ed è proprio nella capitale inglese, città con più aspettative, grazie a mostre d’arte, spettacoli teatrali e iniziative nel campo delle scienze e della letteratura, che TURNER produce immagini emotivamente intense che divengono il mezzo attraverso il quale l’uomo si sente finalmente libero di sognare.
Divisa in sei sezioni, la mostra invita il visitatore a scoprire cronologicamente l’evoluzione del linguaggio artistico del più grande pittore romantico.

Mostra prodotta e organizzata da: DART Chiostro del Bramante
In associazione con: Tate
Con il patrocinio di: Regione Lazio, Roma – Assessorato alla crescita culturale, Ambasciata Britannica, British Council
Partner tecnico: Trenitalia, Ticketone
Media Coverage: ARTE.it, Wanted in Rome
Catalogo: Skira Editore
Informazioni:
06 68809035 – infomostra@chiostrodelbramante.it
TURNER
Opere della Tate
A cura di David Blayney Brown

Chiostro del Bramante – Via della Pace, Roma
aperto tutti i giorni:
lun – ven 10.00 > 20.00
sab – dom 10.00 > 21.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)
VENDITA BIGLIETTI ONLINE: http://bit.ly/turner_tickets

Ufficio Stampa:
adicorbetta
info@adicorbetta.org
Raffaele Brancato, Annalisa Esposito
comunicazione@chiostrodelbramante.it

martedì 27 marzo 2018

Looking Out Looking In


La galleria Muratcentoventidue Artecontemporanea prosegue il suo percorso espositivo con una mostra collettiva, Looking Out Looking In, che vede la partecipazione di Giulia Caira, Lydia Dambassina, Georgie Friedman, Kristina Kvalvik-Simon Möller, Margarida Paiva, Helena Wittmann. La finestra è l’anima di un edificio, un elemento architettonico che affascina per la sua ambiguità, ciò che permette lo sguardo dall’interno verso l’esterno, così come dall’esterno verso l’interno: separa e unisce, permette di vedere e di essere visti oppure di celare e di celarsi, di apparire o di nascondersi.
Possiamo senz’altro dire che nel nostro immaginario comune le finestre come le porte si trovano su una linea di confine, che separa un “dentro”, l’ambito del privato, del familiare, del conosciuto ,da un “fuori”, l’ambito del pubblico, dell’ignoto.
In questa mostra sono proposte alcune opere in cui le finestre costituiscono elementi rappresentativi o simbolici di rilievo.

Giulia Caira è nata a Cosenza ma si è formata a Torino, dove si è trasferita nel ‘78. Il suo esordio nel ’94 è caratterizzato da una ricerca fotografica sul corpo, relativa a un contesto domestico immaginario, claustrofobico e ostile, in contrasto con i modelli imposti dai mass-media. L’artista si racconta in serie fotografiche con un linguaggio che si avvale di codici ora ironici, ora sarcastici, dove s’intuiscono distorsioni e tic derivanti dall’esperienza quotidiana. Dal 2004 abbandona la casa come luogo privilegiato per allargare il suo sguardo a temi connessi alla condizione psicologica nella relazione con se stessi e con gli altri.
Ne Le parole nascoste (2009), lavoro con il quale l’artista ha vinto il premio della tedesca Foundation Vaf nel 2012, ha affrontato la dicotomia tra l’essere e l’apparire messa in discussione a partire dal classico tavolo di lavoro di forma ovale, topos della mistificazione per eccellenza. L’artista ha lavorato su una dettagliata sceneggiatura ideata da lei stessa, nonché sull’accurata analisi, sul piano concettuale, di tipologie mentali e modelli comportamentali, frutto di un’acutissima capacità di osservare la realtà sociale e individuale.
L’identità è dunque al centro della sua ricerca, la sua complessità e fragilità alla prova dell’io soggettivo e di quello collettivo.
"Terapia familiare" fa parte di una serie fotografica costituita da sette dittici realizzati all’ interno di una stanza sistemico relazionale collocata in uno studio di psicoterapia; in essa la famiglia viene osservata in una realtà domestica simulata, attraverso uno specchio /finestra.
Lydia Dambassina lavora dal 1976 con diversi mezzi come pittura, fotografia, installazioni e proiezioni video. In uno dei suoi ultimi lavori, Party's over- Starts over, che riguarda il tema del debito greco, l’artista si concentra sulla crisi globale e le disuguaglianze che crescono impetuosamente.
“Glassed Windows Cast a Terrible Reflection”, 1998-2013, è un video in cui vediamo scorrere una serie di settantadue fotografie a colori di finestre.
Il titolo rimanda a un’opera di uno degli autori più importanti del cinema indipendente americano e uno dei massimi sperimentatori del cinema mondiale, Stan Brakhage . “Unglassed Windows Cast a Terrible Reflection “ è un cortometraggio del 1953, realizzato all'inizio della sua lunga carriera. Nelle prime sequenze del film quattro ragazzi e due ragazze, che stanno facendo un viaggio in automobile, per via di un guasto lungo il tragitto, si fermano nei pressi di alcune case abbandonate.
Nel video della Dambassina entriamo attraverso questa serie di finestre in una realtà in cui ogni libertà è perduta e ci sono esseri umani, che avendo sepolto ogni traccia di rigenerazione, vi vivono intrappolati.
Dall'infinitamente intimo all'infinitamente pubblico, le opere di Lydia Dambassina rivelano il cuore dell'umano nella sua disfunzione.
Georgie Friedman (USA) è una giovane artista americana i cui progetti includono video installazioni su larga scala, video singoli e multi-canale e diverse serie fotografiche. Ha vissuto, lavorato ed esposto negli Stati Uniti, in musei e università. I suoi lavori si concentrano su un tema, i processi naturali e il rapporto uomo natura, e le reciproche influenze, che hanno una lunga tradizione nel documentarismo oltre che nel campo dell'arte. La natura messa in relazione con le caratteristiche e i limiti dell’uomo contemporaneo sono al centro della sua ricerca. Mettendo in scena potenti condizioni atmosferiche o la forza dell’oceano indaga sull’impatto psicologico e sociale di fenomeni naturali di lieve e di grave entità in relazione alla fragilità e inadeguatezza umana.
Utilizza la fotografia, il video, il suono, l'installazione, l'ingegneria e la fisica della luce, tutto per creare nuove esperienze per gli spettatori.
Partendo dalla frustrazione personale di non essere in grado di dormire," Insomnus", il video in mostra, diventa una tranquilla meditazione sulla consapevolezza della luce che cambia e dei suoni che sono spesso troppo tenui perché l’uomo possa notarli.
Nei suoi lavori Kristina Kvalvik affronta questioni relative a ciò che appare sconosciuto, inspiegabile , misterioso e pone l’accento sui limiti della nostra capacità di osservare la realtà e interpretarla, suggerendo che spesso ciò che vediamo, è ciò che ci aspettiamo di vedere, frutto della proiezione di desideri e di paure.
I suoi video contrariamente alla chiusura prospettica dei film d’intrattenimento, presentano una struttura narrativa aperta all’interpretazione dello spettatore e i suoi personaggi prendono forma dalla prospettiva di chi osserva piuttosto che da quella di chi è osservato. Inoltre tutti gli elementi classici su cui si basano i film di genere sono decostruiti e riutilizzati creando un effetto allo stesso tempo familiare e disorientante. La video installazione in mostra nasce dalla collaborazione con Simon Möller, un artista svedese che vive e lavora a Malmö dal 1997 e opera con video, installazioni e sculture.
“House" presenta una facciata costruita digitalmente, tipica dell'architettura suburbana svedese degli anni '50, chiamata "Folkhemmet". Nel corso del video si deteriora lentamente, ma gli abitanti dell'edificio ne sono ignari e continuano le loro attività quotidiane. "House" tenta di creare la sensazione di sentirsi al di fuori, incapaci di cambiare o influenzare qualcosa che muta lentamente.
Margarida Paiva è una giovane e apprezzata videoartista portoghese, che vive e lavora a Oslo, il cui curriculum vanta numerose partecipazioni a mostre e festival internazionali.
Le sue opere video sono costituite da storie astratte in un approccio narrativo non sequenziale ma fatto di frammenti d’immagini e parole, i personaggi sono soprattutto donne e i temi presentano spesso un elemento di ansia e solitudine. Il trauma della perdita, l’isolamento e la memoria sono motivi ricorrenti in questi film. L’artista esplora gli stati più riposti della mente facendo scorrere in un unico piano temporale pensieri, emozioni, ricordi.
In "Untitled Stories", il video che propone in questa mostra, una voce femminile racconta le sue paure e i suoi ricordi. Mentre parla con un amico immaginario, fluiscono le immagini mentali di interni enigmatici di edifici, di strade e paesaggi . I personaggi rimangono sconosciuti, visti solo a squarci o ascoltati attraverso suoni frammentati. In una sorta di stream-of-consciousness in cui diversi livelli temporali sono collegati dalla voce di questo personaggio femminile, il video esplora i disagi mentali ed emotivi riflettendo su questioni come la difficoltà di esprimere i propri sentimenti.
Helena Wittmann vive ad Amburgo e lavora con diversi media, soprattutto film e video. Docente presso l’Accademia di Belle Arti della città di origine, il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale in mostre e film festival. Il suo primo cortometraggio, Drift , ha fatto parte della serie di film selezionati all’ ultima edizione della Settimana internazionale della Critica a Venezia.
Nella sua pratica artistica gli interni domestici, per lo più stanze semplicemente arredate, costituiscono molto più che le sedi nude di una trama. I suoi video richiedono una pianificazione dettagliata e preliminare perché l’artista è interessata in particolar modo a quello che penetra dall'esterno all’interno di uno spazio definito: la luce, il rumore, la gente.
Nel suo video, intitolato "21.3°C", vediamo l'immagine di una stanza, il suo aspetto cambia col mutare della luce. Una finestra di fronte, vista attraverso la finestra. Mutano le composizioni floreali su un tavolino. Suoni entrano nella stanza dall'esterno. La musica di un pianoforte ci raggiunge dal piano di sotto o dalla porta accanto? In "21.3 ° C" Helena Wittmann riduce gli elementi filmici all'essenziale: luce, ombra, suono, direzione. Fuori da questo minimo, emergono storie che indugiano, atmosfere che risuonano. A poco a poco lo spettatore viene ricacciato su se stesso: attraverso la finestra di fronte qualcuno sembra guardare verso l’interno della stanza. Solo la temperatura rimane la stessa, 21.3°C.
Sede
Muratcentoventidue-Artecontemporanea
Via G. Murat 122/b – Bari
Inaugurazione
Sabato 14 Aprile, 2018, ore 19.00

Periodo
14 Aprile – 30 maggio 2018

Orario di apertura
Lunedì ,martedì e mercoledì solo su appuntamento
Dal giovedì al sabato, dalle 17.30 alle 20.30
Info
3348714094 – 392.5985840
http://info@muratcentoventidue.com

Giulia Caira was born in Cosenza in 1970, she moved to Turin in the late '70s. After graduating from the technical institute "GBBodoni" in photographic arts at the end of the 90s, she made her debut in 1994 with the Biennial of Young Artists of Europe and the Mediterranean, continuing with expositive experiences in Italy and abroad, between including: Evil Sisters, Muratcentoventidue, Bari; The rooms of the fragments, MARCA Museum, Catanzaro, Self-Portrait in the absence, CIFA - Italian Center of Author Photography, Bibbiena, Arezzo; Clueless. Geometry of misunderstanding, HDlU Zagreb; Isaofestival, San Pietro in Vincoli - Theater area in Turin; The Gothic Line, MIAAO, Turin; VAF Award Foundation Italienische Kunst Heute: Stadt Galerie, Kiel; Museum Biedermann, Donaueschingen; CIAC Genazzano, Rome; Premio Fabbri 2012, Academy of Fine Arts, Bologna, Italy; The One Minutes, Shanghai, IGAV; Feminine 0.1, Maison Particulière Art Center, The art collector, Brussel; Wo_Men, points of view, 91mQ Art Project Space, Berlin; Home sweet home, Religare arts initiative, New Delhi - Dorsky gallery, Long Island City, New York; Il Velo, CeSAC Caraglio; Museum Museum Museum 1998 - 2006, Torino Esposizioni, 8 years of acquisitions, GAM, Turin; Gemine muse, Pera Museum, Istanbul.
In 2012 she obtained the Fabbri prize, in the photography section, and the Vaf prize.

Lydia Dambassina was born in 1951 in Thessaloniki. At the age of 15 she moved to Paris to finish school. She studied Psychopathology and Pedagogy and at the School of Fine Arts of Grenoble. Since 1976, Lydia Dambassina has been working with different mediums such as painting, photography, installations and video projections. In 2004, Lydia Dambassina started working on a series of staged photographs in which the image co-exists with texts -mainly excerpts- from the greek and french daily newspapers. Her last work named Party’s over- Starts over is regarding the subject of debt. Amplifying news fragments into weighty ontological or existential gestures seems an efficient way to deal with all this tragic absurdity. Lydia Dambassina has participated in group exhibitions, having exhibited at the Museum of Contemporary Art (Thessaloniki), the Macedonian Museum of Contemporary Art (Thessaloniki), the Benaki Museum (Athens), the Hôpitaux Universitaires (Geneva), the Eglise de Saint-Eustache- Nuit Blanche (Paris), the Kunsthalle Athena (Athens), the Center of Contemporary Art (Thessaloniki), the Alex Mylona Museum (Athens) and the Mykonos Biennale 2013.

Georgie Friedman currently resides in Boston, MA and has lived, worked and exhibited throughout the U.S. She received her Masters of Fine Arts in 2008 from the School of the Museum of Fine Arts, Boston and Tufts University’s joint degree program, and her Bachelors of Art in 1996 from the University of California, Santa Cruz. Her current projects include several photographic series and experiential video installations that highlight our physical relationship to interior/exterior elements and uncontrollable natural forces.
She has exhibited her work in galleries, public art events, universities and museums, including: The Museum of Fine Arts, Boston, MA; Peabody Essex Museum, Salem, MA; DeCordova Museum & Sculpture Park, Lincoln, MA; Carroll & Sons in conjunction with Anthony Greaney, Boston, MA; Canal View, New York, NY; The Illuminated Corridor, Oakland, CA; The Newport Mill, Newport, NH; Boston CyberArts Festival; among others. She teaches a variety of Photography and Video Art classes at several institutions, including Boston College, School of the Museum of Fine Arts, Boston and Massachusetts College of
web sitehttp://www.georgiefriedman.com

Margarida Paiva was born in Coimbra, Portugal in 1975. In 2001 she moved to Norway and lives currently in Oslo. In 2007, she completed her Master degree at the Oslo National Academy of the Arts, and has earlier studied at the Faculty of Fine Arts in Porto and Art Academy in Trondheim. Among her solo shows: Untitled Stories, Lab.65 Contemporary Art Gallery, Porto, Portugal; Every Story Is Imperfect, Oslo Intercultural Museum, Norway; Erase, Muratcentoventidue Contemporary Art Gallery, Bari. Among her group shows and video festivals: Migrating Stories, Screen City Biennial, Stavanger, Norway; Stereo. Not Mono, F15 Contemporary Art Gallery, Moss, Norway; Stories and Desires From Who Sleeps, Camara Oscura Contemporary Art Gallery, Madrid, Spain; Debaixo da Película, Image Museum, Braga, Portugal; KINO DER KUNST, International Art Film Festival, Munich, Germany; The 30th Documentary Film and Video Festival, Kassel, Germany; Videoformes, XXIIe Intern. Video Art and Media Festival, Clermont-Ferrand , France; COURTisane, Short Film, Video and New Media Festival, Ghent; Belgium; European Media Art Festival, Osnabrück, Germany; Under Surveillance, Oeiras Image Festival, Lisbon, Portugal.
Her short film Every Story Is Imperfect (2012) has been awarded at FOKUS 2014, Nikolaj Kunsthal, Copenhagen, Denmark.

Kristina Kvalvik (b.1980) is a Norwegian artist based in Oslo, Norway. She studied film and fine art in Norway, Sweden and Canada, and completed her MFA at Malmö Art Academy (SE) in 2008. Her work deals with matters relating to surveillance, the inexplicable and the threatening. She examines the limitations of sight and our ability to interpret what we see.
Kvalvik has exhibited her work internationally including Malmö Konsthall. Malmö, Sweden ,Göteborg International Biennial for Contemporary Art, Konstnärshuset. Stockholm.Overgaden Institute for Contemporary Art; Copenhagen, LOOP Film Festival; Barcelona, Center for Contemporary Art; Glasgow, GalleriBOX; Akureyri, Galeria Miroslav Kraljevic; Zagreb, Kunsthalle Exnergasse; Vienna, Parkingallery; Tehran, Västerås Konstmuseum, Høstutstillingen Kuntnernes Hus; Oslo, Center for photography; Stockholm, BABEL Gallery; Trondheim and The Vigeland Museum; Oslo, Muratcentoventidue Artecontemporanea Bari.
Simon Möller (born 1974 in Stockholm)Swedish artist, has lived and been active in Malmö since 1997. He works with video installation, video and sculpture. He studied film and art, and has a master's in fine arts from the Malmö Art Academy in 2008.

Helena Wittmann was born 1982 in Neuss, Germany . She lives and works in Hamburg, Germany.Originally studying Spanish and Media Studies at Friedrich-Alexander-University Erlangen and University of Hamburg she went on to attend the Academy of Fine Arts in Hamburg (HFBK) between 2007 – 2014.She is currently working as artistic research assistant at the Academy of Fine Arts in Hamburg (HFBK). Wittmann is the recipient of numerous grants between 2013 and 2015: Travel grant Neue Kunst in Hamburg, Hamburger Arbeitsstipendium für bildende Kunst (Working grant for Fine Arts, Hamburg), Karl H. Ditze Award, HFBK-Award Hamburgische Kulturstiftung for 21,3°C, Main Award Experiment (Int. Shortfilmfestival Flensburg) for WILDNIS (THE WILD), Scholarship Studienstiftung des deutschen Volkes (German National Academic Foundation), Project Funding for WILDNIS by Freundeskreis der HfbK Hamburg .Among her last exhibition/ screenings: International Film Festival Rotterdam, Netherlands ;New Directors/New Films, New York, USA; FICUNAM International Film Festival, Mexico; Jeonju International Film Festival, South Corea ;FilMADRID, Madrid,(Spain); Istanbul International Independent Film Festival, Turkey International Film Festival; Uruguay, Urugay IBAFF Film Festival; Murcia, Spain EYE Film Institute; Amsterdam / Dag van de Dwarse Film 2018, Netherlands ;Stranger Than Fiction, Cologne, Germany; Ton-Zeit-Bild, Kassel, Germany; Venice Film Festival, Settimana Internazionale della Critica, Venice, Italy ;Festival de Nouveau Cinema, Montreal, Canada;;Lacenodoro International Film Festival, Italy.


Addamiano. Una pittura che racconta la luce

In concomitanza con la mostra “Turner. Opere dalla Tate”, il Chiostro del Bramante di Roma accoglie anche la personale “Addamiano. Una pittura che racconta la luce”, negli ambienti dello Spazio Gallerie.

La mostra presenta, dal 29 marzo al 2 maggio 2018, due serie – per un totale di 25 opere – che hanno caratterizzato il pensiero dell’artista nel corso degli anni e che sono state oggetto di un’incessante revisione: i Cieli stellati e le Gravine.
Il progetto espositivo, a cura di Matteo Galbiati, si lega alla mostra del grande artista inglese in modo armonico e corrispondente, trovando nella pittura contemporanea di Natale Addamiano una naturale convergenza di sensibilità e di visione.
L’artista pugliese, infatti, lungo la sua attività di ricerca ha posto come fondamento del suo sguardo un colore poetico che si esprime attraverso un segno-materia capace di far vibrare l’immagine in una luce atmosferica e cangiante. Come avviene per la visionarietà del colore di Turner, maestro putativo per Addamiano che ne è interprete e lettore attento, anche la sua pittura riverbera un’intensa sensibilità lirica che seduce lo sguardo portando a recepire significati profondi, le cui radici intime affondano ben oltre il confine dell’immagine reale.
Nelle due serie in mostra, paradigma di tutta la sua pittura, Addamiano – come Turner, ma anche Constable e poi Monet – insegue la capricciosa mutabilità del fenomeno naturale che accalora, con infinite intonazioni, l’orizzonte del visibile.
Nel primo grande ambiente i visitatori sono accolti dalla suggestione dei Cieli stellati, alcuni dei quali volutamente proposti in grande formato, che grazie alle intensità minute dei colori che proliferano caleidoscopicamente sulla tela sono in grado di scatenare libere associazioni emotive. Ogni tanto, in basso, compare una striatura che allude ad un orizzonte terreno e riporta il nostro essere alla finitezza umana, allontanando la visione metafisica del cielo.
Nelle Gravine, esposte in sequenza come facessero parte di un’unica wunderkammer, si ritrova l’attitudine che da sempre ha definito l’anima artistica di Addamiano: l’essere pittore di paesaggio. L’artista ha scelto un tema complesso, suscettibile di critiche, di diffidenza, perché tanto consacrato dalla storia quanto dismesso da certi ambienti della contemporaneità.
Con la pratica pittorica Addamiano, pugliese di nascita e milanese d’adozione, ha potuto tollerare le costanti sollecitazioni che le sue terre d’origine, dal forte carattere mediterraneo, gli hanno imposto allo sguardo fin dall’infanzia: il calore del sole, il riverbero dell’aria salina, una natura talvolta aspra che in questi luoghi sa manifestarsi con potente variabilità.
I paesaggi di Addamiano trasfigurano nell’equilibrio delle loro impercettibili, evidenti, mutazioni da cui traspare il sentore di un sentimento libero e appassionato, capace di indagare la verità delle cose nel loro lento fluire temporale. La pittura di Addamiano coglie questa testimonianza, fissa la vibrazione di un’apparizione che si consuma svelta e che, in lui, sa rendersi persistente testimonianza fisica.
Completa la mostra un catalogo bilingue (italiano-inglese) edito da Skira, contenente un testo di Matteo Galbiati, la riproduzione di tutte le opere esposte e un’aggiornata nota bio-bibliografica.

Ufficio stampa 
NORA comunicazione | Tel. +39 339 89 59 372 | info@noracomunicazione.it



Spazio Gallerie – Addamiano
ADDAMIANO. UNA PITTURA CHE RACCONTA LA LUCE
a cura di Matteo Galbiati
29 marzo – 2 maggio 2018
Inaugurazione mercoledì 28 marzo, ore 18.00

lunedì 26 marzo 2018

Love In A Dying World di e con Nero Kane | Samantha Stella


Per la seconda edizione della rassegna culturale PASSAGGI - sguardi sulla morte del Teatro della Tosse di Genova, il duo artistico nato dalla collaborazione tra il musicista Nero Kane e l’artista visiva e performer Samantha Stella presenta negli spazi della Claque venerdì 30 marzo 2018 alle h. 22.30 Love In A Dying World, voce e visione di un amore in un mondo che sta morendo.


Love In A Dying World è un progetto di ampio respiro che include un album in prossima uscita registrato da Nero Kane a Los Angeles con il produttore Joe Cardamone dove atmosfere folk-rock-blues uniscono radici europee a sonorità desertiche americane, un film sperimentale con regia di Samantha Stella girato durante il viaggio con Nero Kane attraverso i paesaggi desertici e solitari della California, e una declinazione performativo/installativa presentata in contesti museali/galleristici. Il film, un road movie atipico di cui i due artisti sono protagonisti girato da Stella con una piccola camera a mano, è strutturato in diversi capitoli, ogni capitolo montato su un brano di Nero Kane. Amore, morte, decadenza, solitudine.


Dopo un debutto negli spazi dell’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles, per la serata a LaClaque gli artisti proporranno il live musicale di Nero Kane voce/chitarra, affiancato sul palco da Samantha Stella tastiere/seconda voce, e la proiezione in anteprima mondiale di una parte del film. Il duo aveva debuttato a Milano e a Los Angeles nel 2016 con la precedente performance intitolata Hell23. Dopo numerosi progetti presentati con la firma Corpicrudi, si tratta per l’artista genovese Samantha Stella del primo progetto presentato nella sua città natale dopo molti anni.


Nero Kane, nome d’arte di Marco Mezzadri, è un musicista attivo nel panorama underground italiano. Dopo l’uscita nel 2016 del suo album rock-wave Lust Soul con la firma NERO (“Un concentrato di sonorità viscerali e atmosfere oscure che crescono come cattedrali di rami intricati.” - Rockerilla), percorre una nuova ricerca intimistica, minimale e decadente. Nasce Love In A Dying World in collaborazione con il produttore americano Joe Cardamone (The Icarus Line), un progetto dalle tinte scure ed emozionali, vicine al songwriting e al folk/acustico. Samantha Stella, genovese, co-fondatrice nel 2005 insieme a Sergio Frazzingaro del duo di artisti visivi Corpicrudi per poi intrapprendere una carriera solista, è artista visiva, performer, set&costume designer, art director per eventi artistici e di moda. Sviluppa principalmente progetti focalizzati sul corpo e pratiche di discipline live utilizzando differenti linguaggi, installazioni con elementi strutturali e corporei, fotografia, video, musica. New York, Los Angeles, Miami, Belgrado, Berlino, nonché numerosi spazi di diversa natura in Italia, hanno accolto i suoi progetti definiti dalla critica e curatrice Francesca Alfano Miglietti con cui ha più volte collaborato, una “rappresentazione affascinata di una diversa visione come controcultura, per un romanticismo-decadente, fascino della sottrazione e della sobrietà.” 





Programma a seguire---


29 - 30 - 31 marzo 2018 

Teatro della Tosse 

PASSAGGI 
Sguardi sulla morte 
Seconda edizione 



Questa non è una poesia di morte: 
non c'è un lentamente muore, 
non ci sono foglie su rami d'autunno, 
non c'è un pianto antico. 

Questi sono sguardi sulla morte:
c'è un clown che tenta il suicidio, 
c'è una vecchia zia che danza, 
c'è una donna che ride della malattia. 

Tre spettacoli costruiranno il dialogo: 
un telefono senza fili tra pubblico, palcoscenico e morte. 
Tutti invitati, nessuno escluso. 


Ritorna dal 29 al 31 marzo la seconda edizione di PASSAGGI - sguardi sulla morte la rassegna culturale del Teatro della Tosse in collaborazione con Braccialetti Bianchi, un’associazione di volontariato di Genova che offre accompagnamento e sostegno interiore alle persone con una malattia in fase avanzata e alle loro famiglie. L’Associazione, che affianca il personale dell’Hospice Maria Chighine dell’Ospedale San Martino – IST di Genova, promuove una cultura della morte consapevole e amorevole, attenta al periodo del fine vita e alle cure palliative, senza distinzioni sociali, culturali e religiose. 

PASSAGGI è una rassegna culturale che offre diverse prospettive sul tema della morte attraverso la contaminazione di molteplici linguaggi artistici: dal teatro alla musica, dalla danza alla visual art. 
La rassegna nasce dall’esigenza di parlare di morte in un’epoca in cui la naturale conclusione dell’esistenza è diventata innaturale. In un mondo in cui si pretende una cura per ogni malattia, la morte stessa viene trattata come un’opzione non contemplabile, un incidente di percorso, un errore, una colpa. Restare in vita è diventato un dovere e il morire, come un atto criminale, turba l’odierna presunzione di immortalità. 
La morte è stata medicalizzata, colpevolizzata e messa ai margini, ma quanto più viene allontanata dall’esperienza quotidiana, tanto più questa ritorna nella spettacolarizzazione dei media. 
Passaggi parla di morte, dal vivo. 

Nel cartellone di questa nuova edizione lo spettacolo internazionale in Prima nazionale ErictheFred dell’irriverente clown britannico Chris Lynam, sul tema tabù per eccellenza: il suicidio. Il “Re dei Clown”, come è stato definito dal New York Times, si muove sul palco con leggerezza e poesia raccontando una meravigliosa storia di sogni ed emozioni con la sua sferzante comicità. 

Saverio Soldani dirige Mariella Speranza interprete di Dove va la vita scritto e interpretato in Francia da Michèle Guignon, che racconta la reazione di una donna, la stessa Guignon deceduta nel 2014, che scopre di avere un tumore al seno. Una notizia drammatica che mette la protagonista di fronte a una serie di importanti riflessioni sulla vita, senza rinunciare a una certa dose di ironia. Cristiano Fabbri porta in scena Tracciati che attraverso la danza indaga il tema della memoria. Il corpo e i suoi cambiamenti sono al centro di questo lavoro che usa il movimento per raccontare la vita stessa. 

Love in a dying world di Nero Kane e Samantha Stella è un live set che mischia varie forme d’arte sia visive che sonore. Love in a dying world è anche il nome dell’ultimo album registrato da Nero Kane con sonorità scure ed emozionali. Stella per l’occasione presenterà in anteprima mondiale una parte dell’omonimo film girato nel deserto della California. 

Quattro gli incontri – eventi a latere: 
Play this at my funeral che inaugura l’edizione 2018 della rassegna, è il tradizionale concerto “prima della prima” nel foyer della Tosse. Il live avrà una scaletta particolare scelta direttamente dal pubblico attraverso una challenge lanciata su facebook e pubblicata sulla piattaforma Spotify nella playlist “#PASSAGGI Play this at my funeral” 
Death Cafè, incontro condotto dallo psicoterapeuta Arturo Sica, che si pone l’obiettivo di parlare delicatamente e consapevolmente della morte e Meditazione: leggerezza nella profondità incontro di meditazione condotto da Elena Cosulich e Daniela Mambelli, entrambi gli eventi a cura di Braccialetti Bianchi sono su prenotazione per un numero limitato di partecipanti. 
Ma come fai? Narrazione teatrale di Daniela Basso, infermiera di oncologia pediatrica all’Ospedale Gaslini di Genova, in collaborazione con i Dottor Sogni di Fondazione Theodora Onlus. Vita e morte. Morte e infanzia. Parole che si contraddicono, ma che nella realtà convivono. Un viaggio poetico per cercare di condividere non tanto delle risposte quanto delle domande. Una delle quali è: Come camminare sul leggero filo che unisce vita e morte? 

La comunicazione della rassegna è curata e realizzata dal gruppo di T.A.S.K. (Theatre Audience Specific Keys) progetto di Audience Development ideato e promosso dalla Fondazione Luzzati Teatro della Tosse e sostenuto dalla Compagnia di San Paolo nell’ambito di “Open 2017 – nuovi pubblici per la cultura”. 


PASSAGGI 
SCHEDE 

29 marzo 2018 ore 19.30 Foyer sala Aldo Trionfo 
PLAY THIS AT MY FUNERAL 
Il concerto “prima della Prima” 

Apre la seconda edizione di Passaggi l’esecuzione dal vivo di una selezione di brani dalla playlist “#PASSAGGI PLAY THIS AT MY FUNERAL” creata su Spotify in occasione della rassegna, che comprenderà tutte le tracce proposte da chi avrà partecipato al contest lanciato sui social. 

Dal 29 al 31 marzo 2018 ore 20.30 Sala Aldo Trionfo 
ERICTHEFRED 
Chris Lynam 
Interpretato da Chris Lynam, creato e diretto da Clive Howard, Chris Lynam, Zoot Lynam, Kate McKenzie e Sarah Richards, musiche originali Kevin Sargent, luci e contributo tecnico Mishi Bekesi, film di Clive Howard, foto di Michael Wharley, Clive Howard, con i contributi di Tomas Kubinek, John Wright, EtF Productions 
Un antidoto piacevolmente bizzarro all'aggressiva società di oggi- New York Times 
Una meravigliosa storia di sogni ed emozioni: uno spettacolo che combina la classica comicità clownesca a proiezioni olografiche e a una colonna sonora mozzafiato. 
Eric, infuriato e umiliato, getta gli abiti di scena per non esibirsi mai più. Sull'orlo della depressione, si muove sullo scivoloso confine tra vita e morte. Nel rocambolesco tentativo di togliersi la vita, l'artista crea sulla scena uno strano e inquietante mondo popolato dai suoi pensieri più intimi. Sogni infranti e delusioni che appaiono dal nulla: sono farfalle inafferrabili, cappi, coltelli e fucili. 
Dopo il successo di Slava’s Snow Show, torna a Genova l'irriverente Chris Lynam, “King of Clowns” secondo il New York Times, supporter di artisti di fama mondiale come Bob Dylan e i Rolling Stones. 
durata 55 minuti 

30 marzo 2018 ore 18.00 foyer sala Aldo Trionfo 
DEATH CAFÈ 
A cura di Braccialetti Bianchi incontro condotto da Arturo Sica 
Tra una tazza di tè e un pasticcino si apre un dialogo per condividere esperienze ed emozioni; un modo per rompere delicatamente il tabù e cominciare a costruire una comune consapevolezza della morte. L’incontro è condotto da Arturo Sica, psicoterapeuta. 
Massimo 20 persone. Prenotazione e consumazione obbligatoria euro 5. 
Il ricavato sarà devoluto all’Associazione di Volontariato Braccialetti Bianchi, che offre accompagnamento e sostegno interiore alle persone con una malattia in fase avanzata, e alle loro famiglie. 
Info e prenotazione 345 8363973 o info@braccialettibianchi.org 


30 marzo 2018 ore 19.30 foyer Sala Aldo Trionfo 
MA COME FAI? 
di Daniela Basso in collaborazione con i Dottor Sogni di Fondazione Theodora Onlus 
La narrazione teatral-musicale di Daniela Basso, infermiera di oncologia pediatrica dell’Ospedale Gaslini di Genova e collaboratrice nel suo lavoro dei Dottor Sogni di Fondazione Theodora Onlus, è un viaggio poetico per cercare di condividere non tanto delle risposte quanto delle domande. Una delle quali è: Come camminare sul leggero filo che unisce vita e morte? Come trasformare questa domanda in azioni concrete nel lavoro in ospedale e nel lavoro con i bambini? 
Questo racconto parte da un’esperienza personale come diario intimo dell’infermiera che attraverso storie e canzoni ci accompagna a risvegliare le domande che appartengono a ognuno di noi sulla vita e sulla morte, un esempio di come medicina e arte possano allearsi per migliorare la qualità della cura che in un reparto oncologico non è solo portare la persona a guarire, ma anche in alcuni casi accompagnarla a morire. Vita e morte. Morte e infanzia. Parole che si contraddicono, ma che nella realtà convivono. 
durata 30 minuti 


30 marzo 2018 ore 21.30 e 31 marzo 2018 ore 19.00 Sala Dino Campana 
DOVE VA LA VITA 
di Michèle Guigon regia Saverio Soldani con Mariella Speranza 
produzione La Compagnia Italiana di Prosa-Teatro della Tosse 
Cosa c’è di più sacro della vita? 
Una donna qualunque, in un giorno qualunque, scopre di avere un tumore al seno. Il pensiero della morte inizia ad accompagnarla in ogni istante, ma anche il valore della vita torna a scaturire da ogni piccola cosa. 
Dove va la vita è un monologo inedito in Italia, nato dall’esperienza autobiografica di Michèle Guigon, attrice francese capace di trasformare il dramma di una mastectomia in una pièce priva di autocompiangimento e ricca, invece, di ironia. 
durata 70 minuti 


30 marzo 2018 ore 22.30 LaClaque 
LOVE IN DYING WORLD 
di e con Nero Kane e Samantha Stella 
produzione Joe Cardamone e Samantha Stella 
Love in a dying world è il live set dell’ultima collaborazione tra Samantha Stella, performer e artista visiva e Marco Mezzadri, in arte Nero Kane. L‘album omonimo registrato e prodotto a Los Angeles unisce radici europee a sonorità americane in un progetto dalle tinte scure ed emozionali. 
L’esibizione a LaClaque include la proiezione in anteprima mondiale del road movie girato da Samantha Stella, durante il loro viaggio attraverso i desertici e solitari paesaggi della California, sonorizzato dalle note malinconiche del sound folk -rock di Nero Kane. 


31 marzo 2018 ore 11.00 Luzzati Lab 

MEDITAZIONE: leggerezza nella profondità 
A cura di Braccialetti Bianchi 
Incontro di meditazione condotto da Elena Cosulich e Daniela Mambelli 
durata 120 minuti ca. – ingresso gratuito previa prenotazione a 345 8363973 o info@braccialettibianchi.org 
massimo 25 persone 

31 marzo 2018 ore 21.30 sala Agorà (LaClaque) 

TRACCIATI 
di Cristiano Fabbri, con Cristiano Fabbri e Marco Laganà realizzazione pupazzo Marco Laganà scenografia Cristiano Fabbri |musiche originali EDIL B (Luca Ravaioli) |organizzazione e distribuzione ARBALETE Coproduzione ARBALETE-Spaziodanza (Genova) 
Un dialogo in movimento, in cui è il corpo a raccontare le memorie del proprio vissuto. Tracciati nasce dall’improvvisazione e dalla composizione istantanea, dove la danza è espressione delle vie intraprese e delle infinite alternative possibili e mai vissute. Una morbida struttura compositiva gioca con i ricordi dell’autore, evocando temi quali la gravità dell’esistere e la tensione creativa del fare. 

BIGLIETTI E PROMOZIONI 
ErictheFred euro 14 
Dove va la vita euro 14 
Tracciati euro 14 
Love in a dying world euro 10 
Biglietto giornaliero euro 20 

Sono previste riduzioni per gruppi di almeno quindici persone previo accordo con l’ufficio promozione scrivendo a promozione@teatrodellatosse.it o telefonando al n. 010 2487011 

UNDER 28 
Maratona 30 marzo: biglietto giornaliero con aperitivo a euro 20 (due spettacoli + concerto). 
Biglietto ridotto a 10 euro la sera della prima di ogni spettacolo. 
La biglietteria è aperta da martedì a venerdì dalle ore 9.30 alle 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 19.00; sabato dalle ore 15.00 alle ore 19.00; la domenica, in caso di spettacolo pomeridiano, dalle ore 15.00 a inizio spettacolo. 
È possibile prenotare gli spettacoli gratuitamente dalle ore 15.00 alle ore 19.00. I biglietti prenotati devono essere ritirati entro un’ora dall’inizio dello spettacolo. 

Fondazione Luzzati -Teatro della Tosse 
Piazza Renato Negri 4 -16123 Genova 
botteghino tel. 010 2470793 – www.teatrodellatosse.it 


Claudia Maina. Vedute multiple



Claudia Maina
Trasparenza: fantasma e materia
di Anna d’Ambrosio

Byung-Chul Han mette in esergo al suo testo una bella frase di Peter Handke: “Io vivo di ciò che gli altri ignorano di me”.

Architetture ermetiche di vetro, miniature lignee di omini/cimice a cui l’artista ha inserito ultimamente delle piume (per dare respiro, dice), assemblaggio per installazioni secondo un movimento verticale, realizzate da moduli diversi per tipologia e dimensione, componente estetica molto potente.
Quello della trasparenza è per Claudia Maina un copione interpretativo. La riduzione di ciò che sono a ciò che di me si vede è uno degli aspetti più sconvolgenti di questo principio di trasparenza adottato nella sua ricerca e presente in tutti i suoi lavori. Soggetto e oggetto allo stesso tempo, le sue rappresentazioni sono come tante wunderkammer stranianti con rimandi potenti agli ex-voto nelle campane di vetro. Come un’analista stringe il campo chiedendo attenzione e vicinanza riducendo la visione da grande piazza a finestra del fantasma e, oltre la sua opacità, l’oscuro che è non-visibile ma reale.
La trasparenza, l’estroflessione integrale del dentro in un fuori espositivo, rappresenta per la Maina, il mezzo privilegiato di questo processo di espropriazione intima di ogni specificità, di ogni alterità, di ogni negativo. In nome della trasparenza ogni privatezza, il proprio spazio intimo di riservatezza, pudore e dignità, assume in questa maniera un livellamento formale, una uniformazione omologatrice la quale è l’analogo stesso della trasparenza. L’uomo diventa un elemento funzionale del sistema. Il vetro*, scelto dall’artista come medium materico, serve a costruire pareti senza pareti, muri senza muri, solidi e volumi che danno l’impressione di non essere tali dove il mito della trasparenza architettonica risulta dunque il concetto di pura visibilità, l’idea che ciò che è trasparente non offre alcuna barriera allo sguardo. All’illusione di contiguità e illimitatezza, si accompagnano due fenomeni particolarmente significativi: la tendenza alla smaterializzazione e l’imperativo della levigatezza, entrambi legati alle caratteristiche fisiche del vetro e in generale della maggior parte dei materiali trasparenti. Ogni lastra, ogni parete diafana lasciando trapelare la luce crea un’illusione di immaterialità, un effetto di incorporeità; parimenti la sua natura di lastra, di parete, la rende liscia al tatto, piana e uniforme, priva di asperità e increspature.
Ci si accorge così, che gli ultimi centocinquanta anni dell’Occidente sono stati segnati da profonde, persistenti e spesso interdipendenti contraddizioni ovvero che la nostra è un’epoca bipolare. Trasparenza e verità non sono identiche e non è nemmeno vero che il panottico, ossia la struttura del controllo in cui siamo immersi, sia a-prospettico cioè priva di un centro e fatta solamente del controllo diffuso, della sousveillance, immaginata da Brin*.
Quello che l’arte di Claudia Maina porta alla superficie e rende trasparente è il problema della trasmissione del senso dell’impossibile passaggio dal fruitore all’artista. Il paradosso della trasparenza visibile in tutta la produzione dell’artista è nella costruzione di una cinematica idealizzata dotata della virtù di non mostrare altro che l’assenza. Converte il soggetto in un oggetto di scambio, sotto l’ombra opaca del godimento dell’Altro, disseminato ora in un’ubiquità virtuale.Interrogare l’idea stessa di visione che la trasparenza vorrebbe sostenere. Cosa si tratta di vedere? Cosa si vuole vedere? Cosa c’è di reale in gioco?
Solo forme sospese e stranianti come fantasmi; omini/cimice ormai alieni. Come fare perché l’ideale della trasparenza non si trasformi per l’uomo contemporaneo, nell’incubo persecutorio contemporaneo, come quello prefigurato nella realizzazione del Panopticon di Bentham come principio di controllo sociale, dove l’Altro vede tutto senza essere visto?
Byung-Chul Han, nel saggio Transparenzgesellschaft (La società della trasparenza) individua nell’ossessione delle società liberali per la trasparenza una potente forza omeostatica, una coercizione sistemica che coinvolge tutti i processi sociali e li sottopone a una profonda mutazione.

Il progetto espositivo Vedute multiple di Claudia Maina è nato da un incontro aperto, vero e proprio brainstorming ideas , tra l’artista, lo studio Lombard DCA, la galleria AMY D Arte Spazio.


* Come ricordava uno dei maggiori architetti italiani del Novecento, Vittorio Gregotti, il vetro «[...] non è un’assenza, è comunque materia. Non è di per sé trasparente, lo si può programmare per creare un continuum spaziale apparentemente unico [...]» (citato in Rinaldi 2004, p.74)

** David Brin, The Crystal Spheres, The Transparent Society di David Brin (1998)

Mostra aperta fino al 15 giugno
per info:




mercoledì 21 marzo 2018

Giacomo Cossio. Stati di Natura


La percezione della natura contemporanea nelle potenti pitto-sculture di Giacomo Cossio, sospesa tra esaltazione e mistificazione dell’idea di “naturale”.

CORTE ZAVATTINI 31 (Cesena) ospita fino al 12 aprile 2018 la mostra GIACOMO COSSIO - STATI DI NATURA a cura di Roberta Bertozzi. Secondo grande progetto espositivo dei CANTIERI CRISTALLINO che indaga la nostra percezione della natura nel contemporaneo, sospesa tra esaltazione e mistificazione dell’idea di “naturale”.

La mostra STATI DI NATURA raccoglie gli esiti dell'ultima produzione di Giacomo Cossio, indirizzata a un preciso focus sul concetto di naturale, non senza una messa in dubbio del modo, sommariamente contraddittorio, con cui le società contemporanee ne danno interpretazione.
Il “naturale” è infatti qui ripreso inscenando un perfetto controcanto rispetto a tutta quella gamma di significati che esso generalmente evoca (ciò che è primigenio, genuino, incontaminato…). Se il nesso politico da intravedersi in questi lavori riguarda la parzialità della nostra visione, i suoi limiti ideologici, d’altra parte il senso profondo della sua operazione ci invia di rimando ad altri, più arcani spessori.
Tramite l’installazione di piante in vaso ricoperte di vernice, e dunque, a prima vista, “snaturate”, ciò che qui si intende sottolineare è in effetti la pura e semplice datità della natura – quel suo sottrarsi a ogni determinazione storica e contingente, il suo ineluttabile stagliarsi davanti al nostro sguardo sotto forma di archetipo. L’esito sono delle potenti pitto-sculture, perché nel suo caso pittura e scultura agiscono all’unisono – dei conglomerati, in cui risalta soprattutto la sua personale fascinazione per i valori cromatici e insieme plastici della materia.
La personale di Giacomo Cossio si inserisce nelle attività dei CANTIERI CRISTALLINO che ha per comun denominatore una indagine tesa a rinvenire i simboli politici del presente. In che misura possiamo identificare come “politici” certi paradigmi del contemporaneo che sembrano simulare tutt’altra evidenza? La prassi politica che tipo di dimensione culturale e umana ha nel tempo istituito, quali le forme, esplicite o implicite, del suo esercizio? Questi gli interrogativi a cui si cercherà di dare risposta durante la programmazione dei Cantieri Cristallino e che troveranno sintesi nel prossimo numero del semestrale di arti e letterature contemporanee EDEL, la cui uscita è prevista ad aprile 2018.



Giacomo Cossio
Parmense, classe 1974, il suo esercizio artistico risulta da sempre caratterizzato dalla volontà di ristrutturare la realtà attraverso stratificazioni, sovrapposizioni, assemblaggi di elementi e materiali diversi. Fotografie, fotocopie, schiume, fiori sintetici sono gli elementi che compongono i collage oggettuali che spaziano dai “paesaggi artificiali”, rivisitazioni del tema della natura morta, alla ricostruzione di macchine, ruspe, scavatrici, scomposte e ricomposte. Questo lavoro viene spinto anche alla destrutturazione e ristrutturazione della figura umana, del paesaggio, di oggetti di uso quotidiano, riprendendo un tema caro alla Pop Art. Il lavoro si spinge dunque verso una soluzione scultorea e architettonica, mediante un uso tridimensionale dello spazio che lo porta a realizzare opere aggettanti e sporgenti.

Tra le mostre personali: Contronatura, Teatro Ferrara Off 2017, Giacomo Cossio a cura di Chiara Canali, Galleria San Ludovico, Parma; L’ultima ruota del carro, Galleria Bonioni, Reggio Emilia, a cura e testi in catalogo di Chiara Canali e di Nicolò Bonechi, 2014; Corpi Macchine Piante. Tentativi di realtà, Le Torri dell’Acqua, Budrio (Bologna) a cura e testo in catalogo di Martina Cavallarin, Giulio Costa, 2012 (nell’ambito di Arte Fiera Off, Arte Fiera Bologna 2012).
Tra le mostre collettive: Step Art Fair con Galleria Bonioni, La Fabbrica del Vapore, Milano; Ricostruire il mondo, Museo Storico Archeologico, Santarcangelo, a cura di Francesco Bocchini, 2014, Germinal, Palazzo Don Baronio, Savignano sul Rubicone, a cura di Roberta Bertozzi, 2015; L'erbario mancante. Giacomo Cossio e Luca Moscariello a cura di Simona Gavioli, Museo Civico Mu.Vi di Viadana.

Giacomo Cossio. Stati di Natura
CORTE ZAVATTINI 31
ia Manara Valgimigli. 47521 - Cesena - Emilia-Romagna
fino al 15 aprile 2018
a cura di Roberta Bertozzi

martedì 20 marzo 2018

Mishka Henner - Davide Tranchina: Free Fall


Si inaugura venerdì 23 marzo alle ore 18 alla Galleria Bianconi di Milano la mostra “Mishka Henner – Davide Tranchina: Free Fall”, doppia personale dedicata a due protagonisti della fotografia contemporanea.

Curata da Walter Guadagnini, la mostra presenta lavori inediti dei due autori, in dialogo tra loro: Mishka Henner espone la serie chiamata "Turbines", dedicata alla presenza e reinterpretazione di nuovi elementi nel panorama contemporaneo come i parchi eolici. "Turbines" continua l'esplorazione di Henner su come l'industria abbia modellato il paesaggio americano: "Solo dallo spazio", ha detto Henner, "si può davvero apprezzare l'enorme portata di queste operazioni. Viviamo in un'epoca in cui invece di inviare sonde ad altri pianeti, le abbiamo dirette verso la Terra, i risultati offrono prospettive uniche sui nostri desideri collettivi, i comportamenti e le loro conseguenze sulla terra ". In questa ultima serie, l'attenzione di Henner si rivolge ai parchi eolici negli Stati Uniti. Queste strutture, posizionate in base ai modelli di vento prevalenti, rappresentano solo il 5% di tutta l'elettricità prodotta negli Stati Uniti. Tuttavia, le aree di superficie di cui hanno bisogno sono vaste, spesso finiscono per violare i diritti sul territorio delle popolazioni locali o colpendo gli habitat delle specie locali di uccelli e pipistrelli. "Nonostante tutti i problemi e le denunce contro i parchi eolici", afferma Henner, "considero che la turbina e la sua elica siano un bel panorama, un pinnacolo di ingegneria del design che sfrutta una risorsa invisibile ma costante. "

Al contrario nel ciclo “The Persistent Gaze” esposto da Davide Tranchina il tentativo è quello di annullare ogni movimento dello sguardo, affinché la ripetizione ossessiva dell'inquadratura induca l'osservatore a concentrarsi sugli innumerevoli cambiamenti di un soggetto in continuo divenire come l'orizzonte. La finestra diviene un dispositivo per riflettere sulla luce, e quindi sulla molecola stessa della fotografia, come dice Tranchina “La fotografia stessa è una finestra sulla realtà. Immortalare una finestra è riflettere sulla fotografia”. Accanto a questo lavoro Tranchina espone, in gioco di rimandi fra realtà ed illusione, le polaroid del ciclo “Apparent Horizons” in cui gli orizzonti percebili e percepiti sono in realtà orizzonti simulati. L'orizzonte fisso tipico della cultura rinascimentale, la cui espressione è la prospettiva, si rivela dunque essere un'illusione del controllo dell'uomo sul mondo: l'orizzonte contemporaneo scompare, o meglio si trasforma in un orizzonte irraggiungibile, mobile, in continuo mutamento.


“La caduta libera” evocata dal titolo della mostra è quella dello sguardo contemporaneo, che nell’epoca dei satelliti e delle seeing machines non ha più una linea, un orizzonte appunto, sul quale poggiare. E con esso scompaiono le certezze anche sul cosa si vede e sul senso stesso del vedere e del fotografare: le fotografie di Henner sono elaborazioni di altre immagini e mostrano un mondo diverso da quello visto dall’occhio umano, mentre quelle di Tranchina rappresentano una sfida continua alla credibilità della fotografia, e alla stessa natura dell’immagine fotografica. Su queste basi il dialogo che si instaura tra i due artisti è ricco di fascino, non solo per le sue implicazioni filosofiche, ma anche per la qualità estetica delle opere esposte: il risultato delle riflessioni di Henner e Tranchina è infatti di straordinaria intensità visiva, come si conviene a immagini che ancora vogliono dirsi come opere d’arte. La mostra si rivela dunque come un viaggio tra il vero e il falso, tra cieli e mari, tra orizzonti negati e orizzonti inventati, alla ricerca delle potenzialità e dei limiti della odierna visione fotografica. 


Mishka Henner, nato in Belgio da madre polacca con passaporto francese e padre inglese, è una delle figure di maggior rilievo della scena fotografica internazionale contemporanea: nel 2013 ha ricevuto l'ICP Infinity Award for Art a New York. Tra le sue mostre recenti, si segnalano le personali da Bruce Silverstein a New York nel 2015 e nel 2016 e le collettive come “Ocean of Images – New Photography” al MoMA di New York e “Watched! Sureveillance, Art and Photography” all’Hasseblad Foundation a Goteborg nel 2016, “Watching you Watching me” al Museum fur Fotografie a Berlino e “Les Nouveaux Encyclopedistes” ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia nel 2017. Nella stessa città emiliana sta realizzando un intervento site specific, commissionato dal Festival Fotografia Europea, che aprirà il 20 aprile. 



Davide Tranchina è tra i protagonisti della penultima generazione della fotografia italiana, giunta ormai a una piena maturità. Attivo sin dalla fine degli anni’90, nelle ultime stagioni ha esposto in mostre personali a Copenhagen, Bergamo, Modena, Milano, e partecipato a prestigiose collettive come “Facts and Fictions: Contemporary Photography from the UniCredit Collection” al MAMM di Mosca e "Perduti nel paesaggio" al MART di Trento e Rovereto nel 2014, e “Nuove Esplorazioni sulla Via Emilia” ai Chiostri si San Pietro di Reggio Emilia nel 2016. 


E’ stato uno dei vincitori dell’edizione 2010 del Premio Terna 03 per l’arte contemporanea, ed il vincitore dell’edizione del Premio Francesco Fabbri 2015, nella sezione Fotografia Contemporanea.

Nel corso della mostra verrà pubblicato un catalogo, introdotto da un testo di Walter Guadagnini, con la riproduzione delle opere in mostra e la documentazione dell’installazione. 

Titolo mostra: "Mishka Henner - Davide Tranchina: Free Fall"
A cura di: Walter Guadagnini
Indirizzo Galleria Bianconi: via Lecco 20, Milano
Opening: 23 marzo, ore 18
Orari d’apertura: fino al 14 aprile 2018
Lunedì - Venerdì h. 10:30–13:00, 14:30–18:30
Sabato su appuntamento


Via Lecco 20, 20124 Milano - ITALIA
Tel. +39 02 22228336
Lunedì - Venerdì 10.30-13.00/14.30-18.30
sabato su appuntamento




pubblica: 
amalia di Lanno 

STEFANO CANTO. Sotto l’influenza del Fiume. Sedimento


Matèria è lieta di presentare la seconda personale in galleria di Stefano Canto, dal titolo Sotto l’influenza del Fiume. Sedimento – accompagnata da un testo critico di Lorenzo Madaro – in cui l’artista prosegue la sua ricerca sulla scultura e su Roma, intesa come città “liquida”.
“Il fiume Tevere diventa il punto di osservazione e riflessione sulla metropoli – dichiara Canto – il suo fondo il luogo in cui si configura la città nella sua vera forma in costante mutamento. Materie organiche e inorganiche di diverso genere e frammenti architettonici di ogni epoca si accumulano e confondono in una unica omogenea massa grigia fatta di infiniti strati e sedimentazioni in continuo movimento e rimodellamento”.
Entrare nella Galleria Matèria vuol dire immergersi nell’opera di Canto e nel suo stesso farsi, mediante un allestimento in progress che prevede un vero e proprio dialogo tra l’aspetto contemplativo dell’opera e l’osservazione – processuale e in diretta – della sua stessa realizzazione. Il perimetro del primo ambiente è stato rivestito da impalcature di tubi innocenti: queste strutture, provenienti da un cantiere edile, si sviluppano verticalmente per rivestire quasi del tutto lo spazio, invitando lo spettatore ad introdursi in questa fabbrica temporanea in cui tutto si riferisce al concepimento della scultura, da intendere come stadio finale di un processo di rigenerazione, osservazione e teorizzazione di alcuni concetti che sono alla base della ricerca dell’artista.
Per Stefano Canto, “In questa mostra la galleria sita all’interno della città Universitaria diviene una sorta di distaccamento del Dipartimento di Scienze della Terra che dista a poche centinaia di metri, lo spazio espositivo si trasforma cosi in un piccolo Museo di paleontologia della città contemporanea”.
La scultura di Canto rivela l’esito di un doppio e parallelo processo, legato all’accumulazione della materia, al suo farsi, a specifiche relazioni con l’architettura e a una meditazione ininterrotta sul medium, che negli ultimi anni l’ha spinto ad interrogarsi sulla forma della scultura e sulle sue trasformazioni all’interno dello spazio stesso in cui agisce. Così le scaffalature accolgono, giorno dopo giorno, nuove sculture-sedimenti e la mostra muta costantemente; lo spazio che custodisce le opere diviene opera anch’esso, entra a far parte della dinamica di costruzione del lavoro di Canto, accoglie e formalizza, genera senso e invita il pubblico ad una vera e propria esperienza diretta, che nel secondo spazio della galleria si rivela fino in fondo.
Qui l’artista ha installato la fucina in cui tutto nasce, un cono meccanico – una sorta di betoniera – produce costantemente cumuli di materia, mescolando cemento ad altri materiali rintracciati durante una serie di perlustrazioni dell’artista lungo le rive del Tevere. È ancora una volta l’acqua a favorire la genesi primigenia dell’opera, grazie ad essa la polvere di cemento diviene scultura e gli strati di materia, comprese le foglie e altri residuali di natura, divengono parte integrante di un organismo vivente.


Profilo biografico dell’artista
Stefano Canto è nato a Roma nel 1974, dove si è laureato in Architettura nel 2003 e dove attualmente vive e lavora. Le sue produzioni artistiche si esprimono attraverso la poetica del luogo, passando attraverso le implicazioni sociali insite nel rapporto tra uomo e architettura. «La mia ricerca artistica – afferma Canto – ha avuto inizio dall’osservazione dell’ambiente circostante, inteso come una realtà complessa, polimorfa e polisemantica, costituita da molteplici elementi, in continuo dialogo gli uni con gli altri, dotati di una propria identità e di proprie valenze simboliche, evocative e comunicative». I suoi lavori sono stati esposti in diverse gallerie e istituzioni, tra le quali Viafarini Milano (2016); Museo dell’IFAN Biennale Dakar, Senegal (2016); Galleria Matèria Roma (2016); American Academy in Rome (2015); Biennale Di Kochi Muziris, India (2015); Museo RISO Palermo (2014); Museo della Triennale Milano (2013); Museo Civico del Marmo Carrara (2013); MACRO, Roma (2012); Corpo 6 Gallery, Berlino (2012); Museo Carandente, Spoleto (2010-11). Nel 2005 è stato vincitore del Premio Roma, Tempio di Adriano e nel 2009 del Premio Terna 02, Museo MAXXI, Roma.


STEFANO CANTO
Sotto l’influenza del Fiume. Sedimento
testo critico di Lorenzo Madaro
28.03 – 18.05.2018
Opening: Mercoledì 28 marzo, ore 19


Artista: Stefano Canto
Titolo: Sotto l’influenza del Fiume. Sedimento
Testo critico: Lorenzo Madaro
Galleria Matèria, via Tiburtina 149, 00185 Roma
Orari d’apertura: Martedì - Sabato (ore 11-19) e su appuntamento

lunedì 19 marzo 2018

Simone Pellegrini. Ostrakon


Per la sua nuova personale Simone Pellegrini presenta cinque grandi opere su carta, composizioni minuziose e possenti in continuità con la sua ricerca sul senso arcaico dell’immagine. L’iconografia di Pellegrini, come scrive Pietro Gaglianò nel testo redatto per questa occasione, attinge a “immagini, segni e simboli addensati in una processione mitologica che raduna archetipi tratti da una antichità non collocabile in modo preciso nella storia”.  In mostra sono presenti anche alcuni libri, volumi posseduti dall’artista, che vengono gradualmente trasformati in diario di viaggio; Pellegrini è solito accompagnare la lettura al disegno che riempie le pagine bianche trasformando il libro in un portolano della mente, dove le immagini contengono le ispirazioni e gli accostamenti, non sempre immediatamente comprensibili e a volte nemmeno diretti, scaturiti dalle parole. I libri costituiscono un tratto di congiunzione con le carte, rivelando una ideale continuità del lavoro dell’artista che non si interrompe oltre le cornici dell’opera.


Il sintomo del tempo


“Mi sembra che la mia missione sia di funzionare come un sismografo dell’anima sulla linea di fratture delle culture” Aby Warburg


Nel 1928 Aby Warburg tracciò un disegno per dare forma allo Schema di una geografia personale: i tratti marcati, le incertezze rivelate da alcune cancellature, la grafia rapida compongono un piano della rappresentazione che Georges Didi-Huberman definisce ‘anacronico’ perché coniuga il tempo della vicenda personale con quello della storia, restituendo una cartografia culturale che trascende l’individuo1. La percezione che Warburg aveva di sé, e del suo impegno di storico dell’arte, come “sismografo dell’anima” vocato a tracciare omologie e traiettorie tra territori culturali fra loro remoti nello spazio e nel tempo, si nutre tanto di una aspirazione sciamanica quanto di quella imprudenza scandalosa e visionaria propria del lavoro dell’artista, capace di costeggiare l’indicibile e l’impensabile, e mantenerlo tale anche nella sua traduzione in dicibile e pensabile (sempre parziale e allegorico), e cioè la conversione che descrive il processo dell’arte. Questo camminare lungo il limite si dispiega nelle carte di Simone Pellegrini dove immagini, segni e simboli si addensano in una processione mitologica che raduna archetipi tratti da una antichità non collocabile in modo preciso nella storia (anche se lo sguardo suggerisce il Medio Evo più misterioso dei bassorilievi romanici, in cui si intrecciano ascendenze mediorientali e pagane, e può richiamare la miniatura Moghul, o anche la scultura dei Maya); ognuno dei personaggi, ogni forma sembra in procinto di scoprirsi ma rimane ferma sulla soglia della propria rivelazione non pronunciata. Le figure appaiono avvinte per sempre alla loro condizione di elementi caduti nella sfera del percepibile, e raccontano l’incidente che le rende visibili ma non del tutto conoscibili. In questo scenario sospeso nulla si compie: parusie e catastrofi, migrazioni di corpi e metamorfosi sono i lemmi di un codice che non si esplicita ma richiede un’azione interpretativa.
Come al cospetto di ogni codice nasce anche qui l’interrogativo su quali siano le sfere a cui permette di accedere, quali i mondi che mette in connessione e in che modo questo codice, reso penetrabile, decodificato, possa essere utilizzato. Per il lavoro di Pellegrini si può individuare una risposta (una possibile, tra le molte che la libertà dell’arte detiene nel suo primato di non univocità) nel costrutto della forma, vale a dire in quello che possiamo definire come il continuo scioglimento dell’idea dell’artista nella figurazione: un orizzonte che contiene l’icona, nel suo originario significato di immagine, e la colloca nella rete di legami culturali ed emotivi presenti all’autore e da lui intenzionalmente introdotti nell’opera (o a volte, come si vedrà, emersi quasi autonomamente, in forza di una vitalità propria e nascostamente ramificata di cui le immagini sono provviste).
L’iconografia di Simone Pellegrini contiene un catalogo di riferimenti a diversi ambiti della spiritualità, ma la sintassi che istruisce la composizione è del tutto laica e tende enunciare la corporeità delle cose e non la loro idealità. È infatti il corpo il soggetto di tutte le opere, moltiplicato e smembrato, rarefatto nel contorno di un simbolo e riportato alla sua natura di materia morbida e di umori. La corrispondenza delle regioni del corpo umano con quelle dell’universo, investite di un significato invisibile che enuncia se stesso nel dominio del visibile, appartiene alle civiltà dell’umanità, dalle più antiche pratiche divinatorie alla tradizione cristiana che della fisicità mortale di un dio ha fatto un indispensabile strumento per l’immortalità (chiamando l’uomo a esserne la rappresentazione e trasferendolo addirittura nella morfologia dei propri luoghi di culto). Le espressioni dell’arte contemporanea hanno mutuato in innumerevoli declinazioni questa reciprocità tra il celeste e il terreno, spogliandola ogni volta di trascendenza e riportandola all’esperienza della vita. Pellegrini compie questo discorso inverso raffinando i termini di una ricerca estetica che è difficilmente inquadrabile nell’universo del contemporaneo, se non utilizzando i metodi della similarità formale che lo accostano al sincretismo delle anatomie di Chen Zen, o rivolgendosi al senso per le simbologie ancestrali di artiste statunitensi come Nancy Spero, Mary Beth Edelson e altre ancora, mentre in Italia il solo possibile, quanto ardito, riferimento è ai personaggi organici e sensuali dipinti da Carol Rama.
È infatti eminentemente organica la forma visibile di questa relazione messa in opera da Pellegrini, e coerentemente antropocentrica. E anche se non cerca un pubblico, non comunica, insomma, come i cicli medioevali con una comunità precisa che ne condivida il linguaggio né, tanto meno, si rivolge alla collettività astratta che popola il sistema dell’arte in nome di una adesione a modelli formali riconoscibili con facilità, ha una volontà eloquente fortissima, che parla dall’interno del suo tempo storico ma idealmente lo dilata. Il lavoro di Pellegrini si svolge in una dimensione che solo per la necessità della propria epifania riguarda lo spazio, ma che interessa in modo quasi esclusivo la memoria. Siamo di fronte a un tempo non lineare, fatto di fibre sfilacciate e nodi plurali, lo stesso tempo nel quale si è smarrita e ritrovata l’allucinazione di Warburg, e che ci porta fino al chiarimento di un punto cruciale della ricerca dell’artista. Quella di Pellegrini è l’opera d’arte come ‘sintomo’, per usare ancora un concetto dell’universo warburghiano: il sintomo del tempo che si manifesta come emersione di una memoria sotterranea, qualcosa che sgorga tortuosamente, in un viaggio di ritorno dalle plaghe del rimosso della storia e disegna una dimensione psichica individuale e collettiva. Più della relazione di ‘sintomo’ con la terminologia freudiana, sembra qui importante riprendere l’etimologia della parola che deriva dal greco, dove ‘σύμπτωμα’ vuol dire ‘avvenimento fortuito’, provenendo dalla forma verbale ‘συμπίπτω’ che si compone ‘di σύν’, ‘con’, e ‘πίπτω’, ‘cadere’: cadere assieme. Il sintomo è una caduta congiunta e accidentale (e non sorprende che in alcune lingue dell’Italia meridionale, che conservano rapporti non mediati con il greco antico, ‘sintomo’ abbia mantenuto anche il significato di ‘incidente’), la caduta di qualcosa che nel suo precipitare manifesta qualcos’altro a esso legato eppure invisibile. Ed è quanto succede alle figure di Simone Pellegrini mentre si depositano dentro i margini dell’opera, quando cadono insieme, letteralmente possiamo dire, da un qualsiasi altrove, e producono un incidente, un incontro non previsto nella logica del tempo.


1 Cfr. Georges Didi-Huberman, L’image survivante. Histoire de l’art et temps des fantômes selon Aby Warburg, Editions de Minuit, Parigi 2002 [trad. it. L’immagine insepolta. Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell’arte, Bollati Boringhieri, Torino 2006, pp. 126 e ss.]; il disegno di cui si parla, riprodotto nel volume, è conservato al The Warburg Institute Archive a Londra.


Pietro Gaglianò 



Simone Pellegrini. Ostrakon
Cardelli & Fontana arte contemporanea 
24 marzo – 5 maggio 2018
Inaugurazione sabato 24 marzo, ore 18.00


Cardelli&Fontana artecontemporanea
via Torrione Stella Nord 5. 19038 Sarzana (SP) ITALIA
T/F (+39) 0187.626374