mercoledì 20 settembre 2023

Grottaglie, trentesima edizione del Concorso di Ceramica Contemporanea 'Mediterraneo'

Simcha Even-Chen-Entrapped

Fino all’8 ottobre la XXX edizione del Concorso di Ceramica Contemporanea “Mediterraneo”.
38 opere internazionali. 
Un evento di rilievo internazionale che ogni anno attira artisti provenienti da tutto il mondo.

Grottaglie, in provincia di Taranto, è la città unica al mondo per il suo quartiere interamente dedicato alla produzione di oggetti d’arte in ceramica. Elemento, questo, “essenziale della storia identitaria della città che da secoli riesce a trasformare la terra in creazioni artistiche”. Con le sue oltre settanta botteghe in attività, sorge su una gravina dove, in tempi remoti, si è sviluppato il mondo sotterraneo di una civiltà rupestre. Grottaglie rende omaggio all’artigianato locale con la trentesima edizione del Concorso di Ceramica Contemporanea Mediterraneo. Una giuria di esperti nel campo dell’arte ceramica contemporanea ha valutato le 38 opere in concorso internazionali, premiando quelle che spiccano per innovazione e contemporaneità. Golden Rock organic 4 di Karima Duchamp (Francia) si è aggiudica il primo premio della ceramica. 

“Il manufatto riassume perfettamente la struttura concettuale di una scultura ceramica con richiami organici, materici, decorativi e tecnici in un’armonica lettura d’insieme”.

Questo il giudizio espresso dalla giuria composta da Claudia Casali, direttrice del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza; Vasi Hirdo, redattore capo della rivista indipendente Ceramics Now che dal 2010 promuove l’arte ceramica contemporanea nel mondo, Marco Maria Polloniato, curatore della XXX edizione del Concorso di Ceramica Contemporanea “Mediterraneo” e storico dell'arte, Ciro D’alò sindaco di Grottaglie e Emanuele di Palma, presidente della Bcc San Marzano. 

Il premio mostra personale è andato invece a On relations: On adjusting, on mismatching and the difficult art of maintaining a balance di Monika Patuszyńska (Polonia), “un’opera che verte sul complesso principio di equilibrio delle parti, difficile da mantenere in una composizione scultore”.

L’esposizione, inaugurata il 2 luglio, sarà visitabile fino all’8 ottobre 2023 nelle sale del Castello Episcopio. Sono 38 le opere internazionali provenienti dalla Polonia, dal Giappone, dall’Inghilterra, dalla Lituania, dagli Emirati Arabi, dalla Germania, dalla Romania e dall’Italia che potranno essere ammirate. 

Il Concorso, nato nel 1971 nella cittadina jonica è ormai un evento di rilievo internazionale che ogni anno attira artisti e ceramisti provenienti da tutto il mondo. Attraverso la ceramica, gli artisti “esprimono la loro visione di Mediterraneo, intrecciando elementi storici, culturali, naturalistici e sociali”, è scritto in una nota. Una vetrina unica per ceramisti emergenti e affermati, che offre loro la possibilità di esporre le proprie opere e di entrare a far parte di una prestigiosa comunità artistica.

La trentesima edizione del Concorso di Ceramica Contemporanea Mediterraneo, che si svolge dal 2 luglio fino all’8 ottobre 2023, è promosso ed organizzato dal Comune di Grottaglie. 



Luogo
Castello Episcopio, Piazza Immacolata

Orario di apertura e prezzi:
Lunedì 15:30 - 20:30;
Dal martedì al venerdì 10:30 - 20:30;
Sabato e Domenica 10:30 - 22:00.

INTERO: 4€
RIDOTTO: 2 euro (dai 15 ai 25 anni e per gruppi a partire da 15 persone);
RIDOTTO B: 1 euro (dai 6 ai 14 anni);
GRATUITO: fino a 5 anni, guide turistiche abilitate, giornalisti accreditati, soci ICOM, disabili con accompagnatori, possessori tessera ARTSUPP

Prenotazioni e Informazioni 
Castello Episcopio, Piazza Immacolata
099 5620427


Il Concorso di Ceramica Contemporanea Mediterraneo
Grottaglie è nota a livello internazionale come “Città della Ceramica” per la sua storia figulina, ossia l’arte del vasaio e per l’unicità del suo “Quartiere delle Ceramiche”. Dal 1971 ospita il “Concorso di Ceramica Contemporanea Mediterraneo”, la cui prima edizione fu inserita nell’ambito della XII Mostra della Ceramica. Dal 2004 ad oggi l’evento è stato organizzato ininterrottamente. Con gli anni il Concorso di Ceramica Contemporanea Mediterraneo “ha rafforzato la sua funzione di strumento di ricerca e di approfondimento delle espressioni artistiche della cultura delle genti mediterranea”. Negli anni ha ottenuto importanti riconoscimenti nazionali e collaborazioni con realtà museali nazionali e internazionali. Tutte le opere vincitrici, realizzate negli anni da artisti di fama nazionale e internazionale, sono confluite nella Sezione Contemporanea del Museo della Ceramica di Grottaglie. L’esposizione visitabile nell’ex Convento dei Cappuccini, oggi rappresenta un significativo patrimonio artistico, di proprietà comunale, visitato da migliaia di turisti, studiosi, artisti e amanti dell’arte ceramica.

“Il Concorso negli anni ha continuato ad essere oggetto di rivisitazioni, concettuali e organizzative, approdando così ad un nuovo modello espositivo e concorsuale imperniato sulla lettura oggettiva e innovativa della proposta formale artistica, assumendo una dimensione internazionale, proiettata su ampi confini”.

Grottaglie, città della ceramica d’autore
Il nome Grottaglie deriva dal latino Kriptalys e dal greco Κρυπταλύς, per la presenza di grotte (krypta, κρύπτα), infatti, in gran parte del suo territorio, che risalgono al Paleolitico. È l’unica città della ceramica con un rione interamente dedicato alla produzione di questo tipo artigianato: il “Quartiere delle Ceramiche”. Questo sorge lungo la gravina di San Giorgio dove, nel corso dei secoli, esperti ceramisti hanno ricavato laboratori e forni di cottura nella roccia di ambienti ipogei utilizzati in passato anche come frantoi. Grottaglie con le sue oltre settanta botteghe artigianali di ceramisti è inserita nel ristretto elenco delle quarantacinque Città della Ceramica italiana. E la sua fiorente attività artigianale è riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo.

Ufficio stampa 
Concorso di Ceramica Contemporanea Mediterraneo

Daniela Fabietti 
335.1979415


martedì 19 settembre 2023

Alberto Maggini | Le origini delle buone maniere a tavola

Alberto Maggini, Le Virtù - Vanità e Abbondanza, 2023, ceramica smaltata, 48 x 38 x 67 cm (ognuna)

Il corpo dell’artista si smembra e si fa cibo, fra seduzione e cosmesi, per apparecchiare un ironico banchetto capace di scardinare la separazione tra natura e cultura, ambientando le trasgressioni rispetto alle regole imposte nel luogo in cui esse sono codificate e tramandate: un appartamento borghese. L’appartamento è Casa Vuota, lo spazio espositivo indipendente in via Maia 12 a Roma, che allestisce dal 21 settembre al 5 novembre 2023 Le origini delle buone maniere a tavola, una personale di Alberto Maggini. La mostra si inaugura giovedì 21 settembre dalle ore 18:30 alle 21 e, dopo l’inaugurazione, è fruibile dai visitatori su appuntamento, prenotando ai numeri 3928918793 o 3284615638 oppure all’email vuotacasa@gmail.com

Spiegano Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, ideatori del progetto curatoriale di Casa Vuota: “Costruita su misura con un approccio versatile e multilinguistico, utilizzando la struttura dell’ambiente domestico come traccia per ordinare uno spazio che rievoca i modi propri dell’abitare e le abitudini che si hanno al suo interno, Le origini delle buone maniere a tavola si presenta come una grande installazione che si disloca nei vari ambienti espositivi dell’appartamento e si compone di elementi scultorei in ceramica, di dipinti, di ricami e di un video che documenta una performance. Questi artifici concorrono, tutti insieme, a portare gli spettatori al centro di un sontuoso banchetto cannibale, vegliato da due nasute allegorie arcimboldiane dell’Abbondanza e della Vanità. Alla pienezza della stanza conviviale, si contrappone uno spazio più vuoto e intimo. Qui si viene invitati a spiare nella penombra di una camera da letto, abitata da due enigmatiche figure dotate di elmi e pantofole, intente a loro volta a guardare uno spot pubblicitario sulla cura del corpo, che rende esplicito il discorso su consumismo, capitalismo e merce”.

La ricerca artistica di Alberto Maggini riflette la sua formazione in biologia e botanica e il suo interesse per le ecologie queer, per la mitologia e più in generale per la reinterpretazione degli archetipi visivi che definiscono le culture dominanti ed egemoniche del nostro tempo. In questa mostra, nello specifico, l’artista si sofferma sul continuo gioco di rispecchiamento dell’uomo nella natura, sulla sua passione per la classificazione biologica che attribuisce “nomi e cognomi” a piante e animali e sulla separazione tra natura e cultura che giustifica il dominio esercitato dall’uomo sulle altre forme di vita.

L’artista parte da una riflessione sull’idea di natura e sui suoi significati culturali. Il principio ordinatore che da essa si fa discendere viene usato, nel mondo occidentale, per separare e distinguere ciò che è considerato innato, selvaggio, spontaneo da quanto è coltivato, civilizzato, artificiale, il crudo dal cotto. Ciò che non è naturale è perciò innaturale, secondo un senso morale che vede l’ordine minato dalla presenza dell’errore, del mostro che trasgredisce i confini delle specie. “Tali aberrazioni di natura – annota Alberto Maggini – sono state meravigliosamente rappresentate nei bestiari medievali, in cui a ogni bestialità veniva associato un traviamento della norma”. Vizi e virtù si ritrovano dunque rispecchiati nelle forme della natura, che diventa una gigantesca camera di risonanza per gli ordini morali che l’uomo crea.

L’esaltazione dell’errore, in chiave queer, ispira nella pratica artistica di Alberto Maggini l’utilizzo del corpo umano come strumento per ridurre la frattura tra natura e cultura: se da una parte infatti, in quanto elemento biologico, esprime la sua naturalezza, dall’altra è un mezzo di espressione della cultura di una società. Rievocando in maniera archetipica fertilità e resurrezione, l’artista prende in prestito i miti sullo smembramento disseminati tra le culture di popoli molto distanti fra loro e smembra il suo stesso corpo per offrirlo allo sguardo di un pubblico antropofago.

“Il corpo dell’artista – argomenta – si smembra diventando cibo. Si fa bello per sedurci, come alimento afrodisiaco, ci confonde tra le sue decorazioni e guarnizioni, mascheramenti e trattamenti di bellezza. Attraverso il suo smembramento indago la transitorietà, il cambiamento, la mutevolezza della vita sociale, delle regole che reggono i comportamenti individuali e collettivi, sfidando l’ideologia capitalista patriarcale. Lo smembramento seduttivo che metto in scena asseconda con ironia le regole del capitale, secondo le quali soltanto decorazioni e accessori sono oggetto di una perpetua e superficiale trasformazione”.

Scrivono Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo: “Con il suo progetto installativo ipercolorato e saturo di elementi formali, culturali e simbolici, metabolizzati dal ventre-casa nell’itinerario di una fantasmagoria abitabile, Alberto Maggini ci conduce direttamente al cuore delle metamorfosi, dove il già scritto si svela nella possibilità di un errore vivificante, in un cortocircuito tra mito e cibo che fonda il nostro essere mutanti. Per il suo ritorno a Roma dopo una lunga stagione di studio e di ricerca a Londra, Alberto Maggini si confronta con le memorie di una romanità monumentale fatta di marmi, mascheroni e sculture che, incontrandosi con paillettes, resine, acquerelli, ricami e con gli smalti della ceramica lavorata con una minuziosa preziosità, vengono ripensati come cifre di un linguaggio queer, donando leggerezza a quello che sembra inamovibile e immutabile. Il volto dell’artista, le sue dita, il naso, la bocca e persino i glutei vengono riprodotti e, graziosamente, imbanditi come se fossero insalata russa o tacchino, in un’ipotesi di commestibilità non commestibile che, nel titolo della mostra, cita esplicitamente gli studi dell’antropologo Claude Lévi-Strauss. Il corpo è misura dell’esperienza, il cibo è veicolo della trasformazione e la tavola, con il suo affastellarsi di miti, credenze, comportamenti, è il teatro per inscenare le strutture sociali più profonde, gli stereotipi, la nevrosi umana del classificare ed etichettare che si fa pregiudizio, mettendone a nudo l’innaturalezza naturalizzata e la smania cannibale mai si sazia”.

“Nel ricreare l’interno di un appartamento borghese – conclude Alberto Maggini – genero un linguaggio fatto di miti, modi di stare a tavola e ricette per cuocere i cibi. Tali usanze infatti dicono in realtà molto di più: per quanto appaiano casuali, sono il mezzo attraverso cui una società traduce inconsciamente la propria struttura mentale o addirittura rivela, sempre senza saperlo, le proprie contraddizioni”.

Alberto Maggini (Roma, 1983) ha conseguito una laurea in biologia e un master in botanica ed ecobiologia presso l’Università Sapienza di Roma e un master in arti visuali presso il Chelsea College of Arts di Londra. Tra principali mostre alle quali è stato invitato, si segnalano a Londra nel 2022 A celebration of LGBTQIA+ artists and creative communities alla Tate Late della Tate Modern, They/Them/Their: Naturally Not Binary alla IMT Gallery e Crafting Ourselves all’Ugly Duck and Courtauld Institute of Art, nel 2021 A Lost World al Sotheby’s Institute, Diva’s Boudoiralla Deptford Does Art Gallery, la performance Make Utopia Great Again all’interno di Qw’ere London alla Matchstick Piehouse Gallery e Why do you tear my from myself? alla Cookhouse Gallery e in Austria nel 2018 Animism alla Fortezza di Salisburgo. Ha esposto inoltre in Grecia ad Atene e a Tessalonica e in Italia a Milano e a Roma ed è stato in residenza nei Pesi Bassi, in Belgio e in Portogallo. Nel 2023 è fra gli artisti vincitori del bando Italian Council 12indetto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.


INFORMAZIONI TECNICHE:
TITOLO DELLA MOSTRA: Le origini delle buone maniere a tavola
ARTISTA: Alberto Maggini
LUOGO: Casa Vuota – Roma, via Maia 12, int. 4A
QUANDO: dal 21 settembre al 5 novembre 2023
ORARI: visitabile su appuntamento
VERNISSAGE: 21 settembre 2023 (orari: 18:30-21)
INFORMAZIONI: cell. 392.8918793 – 328.4615638 | email vuotacasa@gmail.com | INGRESSO GRATUITO

pubblica: 

lunedì 18 settembre 2023

Lingua morta, la prima collettiva promossa dalla galleria Divario


Divario inaugura, mercoledì 20 settembre 2023 ore 18:30 - 21:30 (Via Famagosta 33, Roma), Lingua morta, la prima collettiva promossa dalla galleria, a cura di Davide Silvioli, con le opere più recenti di quattro giovani artisti: Alessandro Costanzo (Catania 1991), Jacopo Naccarato (Arezzo, 1995), Francesco Pacelli (Perugia 1988) e Bernardo Tirabosco (Arezzo 1991).

____Lingua morta riunisce lavori che dimostrano spontaneamente di condividere una sensibilità, anziché una tematica o una tecnica. Senza prevedere opere di pittura, la mostra è pensata per raccordare realizzazioni differenti per soluzioni, metodi, contenuti e linguaggio ma che manifestano unitamente, nella resa estetica, la sussistenza di proprietà riferibili per tradizione alla categoria della pittura: gesto, luce, trama, incarnato, profondità, etc.
____La tesi alla base del progetto vuole porre in evidenza come una certa dimensione pittorica sopravviva implicitamente nella contemporaneità artistica, anche mimetizzandosi in maniera magmatica in tecniche e operazioni quantomai diversificate tra loro ed estranee alla nozione più ordinaria di pratica pittorica. L’esposizione, così tratteggiata, ragiona su una cerchia di risultati offerti dalla ricerca artistica recente, in cui, pur rispettando le individualità, si rintracciano unanimemente caratteri estetici di discendenza pittorica, coniugando la sperimentazione artistica del presente con una delle radici storiche della cultura visiva dell’attualità.

 

Divario presents, Wednesday 20 September 2023, from 6.30 pm to 9.30 pm (Via Famagosta 33, Rome) Lingua morta (Dead language), the first group show promoted by the gallery, curated by Davide Silvioli, featuring the most recent works of four young artists: Alessandro Costanzo (Catania 1991), Jacopo Naccarato (Arezzo, 1994), Francesco Pacelli (Perugia 1988) e Bernardo Tirabosco (Arezzo 1991).

____Lingua morta brings together a set of works demonstrating spontaneously to share a sensibility, rather than a topic or a technique. Without including paintings, the show is conceived to connect a group of works different in terms of solutions, methods, contents and language but which unanimously express, in the aesthetic result, the existence of properties traditionally referable to the category of painting: gesture, light, texture, shape, depth, etc.
____The idea at the basis of the project wants to highlight how a pictorial dimension implicitly survives in the artistic contemporaneity, even by camouflaging itself, in a magmatic way, inside techniques and operations being very diversified from each other and distant to classic idea of painting practice. The exhibition, so outlined, reflects on a group of achievements offered by recent artistic research, in which, respecting individual aspects, aesthetic characteristics of pictorial origin are jointly traced, combining the artistic experimentation of the present with one of the historical roots of current visual culture.

Lingua morta
la prima collettiva promossa dalla galleria Divario
Alessandro CostanzoJacopo Naccarato, Francesco Pacelli Bernardo Tirabosco
a cura di Davide Silvioli
dal 20 settembre al 17 novembre 2023

Divario
Via Famagosta 33
00192 Roma 
T +39065780855

pubblica: 

Evocations | A Nomadic Exhibition Project

FABIEN VERSCHAERE_ AQUARELLE (70x50cm)

Ruth Barabash (Israele/Francia) Anya Belyat-Giunta (Russia/Francia) Elzevir (Francia) Aron Gabor (Ungheria) Ugo Giletta (Italia) Marine Joatton (Francia) Allison Hawkins (USA) Danica Lehocká (Slovakia) Lello Lopez (Italia) Christoph Mayer (Austria) Fabien Verschaere (Francia).

Da sabato 23 settembre dalle ore 17.00, la Shazar Gallery presenta “Evocations - A Nomadic Exhibition Project”, a cura di Lorand Hegyi. Undici artisti internazionali mettono in mostra negli spazi di via Pasquale Scura il proprio universo immaginifico usando il linguaggio del disegno contemporaneo, una narrativa guidata dall’empatia, dalla fantasia radicale, dalla interiorità, che rivela le risorse umane di un’epoca del disorientamento intellettuale e morale profondo. Il linguaggio del disegno, con la sua spontaneità e sensibilità, con la libera e immediata espressione di fantasmi e visioni, con la offensiva sensualità, manifesta una possibilità di vero dialogo dall’interno e dall’esterno, del personale e del collettivo. 

Il progetto espositivo itinerante ospitato dalla Shazar Gallery, unica galleria del Sud Italia insieme ad altre nove istituzione internazionali (Shazar Gallery, Napoli - Faur Zsófi Galéria, Budapest - Galerie Petra Seiser, Attersee / Wien - Otto Gallery, Bologna - Galerie Brugier-Rigail, Paris - Hopstreet Gallery, Brussels - Villa Tornaforte, Cuneo - Chelouche Gallery, Tel Aviv - DOX Centre for Contemporary Art, Prague - Museum f Contemporary Art, Belgrade - Galerie Sommer, Graz), promuove e vitalizza le relazioni dirette tra artisti (38 per tutto il programma), gallerie, fondazioni, musei ed istituti culturali in differenti paesi d’Europa e del Mediterraneo nell’arco di un biennio 2023/2024

Le opere sono frutto di “intense e appassionate discussioni tra artisti, galleristi, curatori, scrittori e appassionati d’arte. Lunghe riflessioni sui nostri giorni, dopo la pandemia e le attuali vicende belliche e di crisi politiche, economiche e umanitarie, osservando gli avvenimenti in tutto il mondo e condividendo sentimenti, dubbi, speranze, panico e angoscia provocati dagli eventi” spiega il curatore Lóránd Hegyi.

Il progetto è stato ideato a Cuneo ed è parte dell’attività culturale di “Aragno Humanities Forum”, che vuole contribuire al processo di fondazione di nuove piattaforme di confronto e scambio di idee sulla realtà contemporanea.

Evocations rimarrà aperta fino al 31 ottobre 2023 dal martedì al sabato dalle 14.30 alle 19.30 e su appuntamento. 

Shazar Gallery
Evocations A Nomadic Exhibition Project
A cura di Lòrànd Hegyi
Opening: sabato 23 settembre 2023 dalle 17,00 alle 20,00
Dal 23 settembre al 31 ottobre 2023

Press officer: Graziella Melania Geraci 

Shazar Gallery
Via Pasquale Scura 8, 80134 Napoli Tel. 081 1812 6773 www.shazargallery.cominfo@shazargallery.com
Instagram: shazargallery – FB: shazargallery

pubblica: 

martedì 12 settembre 2023

In Pardis ❀ per FARE tutto ci vuole un FIORE...


In occasione del finissage del secondo progetto quadrimestrale 


In Pardis ❀
Il sensibile nel design e nell’opera di Leila Mirzakhani e Dylan Tripp


SUBSTRATUM 𝗚 𝗔 𝗟 𝗟 𝗘 𝗥 𝗜 𝗔 
invita 𝘃𝗲𝗻𝗲𝗿𝗱𝗶 𝟭𝟱 𝘀𝗲𝘁𝘁𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯 𝗮𝗹𝗹𝗲 𝗼𝗿𝗲 𝟭𝟴.𝟯𝟬 a una nuova esperienza nel giardino paradisiaco sempre nell'ottica esplorativa di un universo umano sensibile e sostenibile.


Per FARE tutto ci vuole un FIORE ❀
Seguendo la poesia il floral designer Dylan Tripp ci farà vivere la sua pratica artistica attraverso una creazione floreale simbolica che riunirà in un unicum l'installazione stabilizzata realizzata In Pardis ❀ con una nuova e vitale composizione. Un immaginario axis mundi naturale, un filo di congiunzione tra sopra e sotto, permanente e temporaneo, vita e morte e ancora vita.


Vi aspettiamo numerosi per vivere e godere insieme di fiori e delizie...In Pardis ❀ 

𝗦𝘂𝗯𝘀𝘁𝗿𝗮𝘁𝘂𝗺 è uno studio di architettura con sede a Roma dal 2017, costituito da Giorgia Castellani e Giovanni Tamburro. Il principale oggetto di interesse dello studio è la materia storica, antica o più recente, che si traduce in lavori di restauro di beni storico-artistici, ristrutturazioni di edifici residenziali, disegno di arredi e allestimenti. Si relazionano con l’esistente urbano anche attraverso la progettazione di nuovi edifici. In un senso arcaico Substratum è ciò che sta sotto, talora nascosto, ma pur sempre ciò che tiene, materia fatta di relazioni solide, connessioni costanti, collegamenti persistenti. Esige uno sguardo acuto, dinamico, capace di leggere dal basso verso l’alto e ritorno, di lato e di traverso, fuori e dentro. Un’indagine attenta non solo alle luci ma soprattutto alle ombre, perché sono queste a dare spessore e sostanza, capace di rintracciare segni e disegni, di ricostruire tessuti e trame, di connettere idee ad altre idee, colori a forme, gesti a corpi, sensi a sogni, suoni a forme, forme a idee, e da capo. La filosofia di SUBSTRATUM può essere sintetizzata nelle loro parole: osserviamo il basso per guardare l’alto, ricuciamo il sotto per tessere un sopra.

𝗟𝗲𝗶𝗹𝗮 𝗠𝗶𝗿𝘇𝗮𝗸𝗵𝗮𝗻𝗶 nata a Tehran. Attualmente vive e lavora a Milano. Si è laureata nel 2004 in Comunicazione Visiva all’Università d’Arte di Tehran, prosegue i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Roma dove si è diplomata in pittura e grafica d’arte. La sua ricerca artistica parte dallo studio di metafore e collegamenti tra la natura stessa e il mondo interiore. Nei suoi disegni il segno diventa l’alfabeto visivo usato per far emergere l’aspetto poetico da ciò che ci circonda. Nel 2008 vince la sesta edizione del “Premio per l’incisione al Centro per l’incisione e grafica d’arte” a Formello e nel 2018 le viene assegnato il “Premio Pavoncella per la creatività femminile” a Sabaudia. I suoi lavori sono stati esposti in mostre personali e collettive, in istituzioni pubbliche e gallerie nazionali ed internazionali.

𝗗𝘆𝗹𝗮𝗻 𝗧𝗿𝗶𝗽𝗽 è un floral designer americano trasferitosi a Roma nel 2004, città dove vive, lavora e ha sede il suo atelier. Tripp inizia la sua carriera inizialmente nella Moda, lavorando per diversi anni come fashion designer per diversi uffici stile, come Valentino e Fendi. Parallelamente al lavoro nella Moda, Dylan Tripp sviluppa la sua passione per la natura e il mondo floreale che dal 2012 diventa la sua unica strada. Con un occhio speciale per forma, colore e movimento, Dylan dà vita a piccoli mondi botanici che riflettono uno stile dove spontaneità, eleganza e poesia si incontrano, creando un'estetica floreale contemporanea. Questa sua visione "floreale" del mondo, lo porta a lavorare per importanti realtà aziendali che richiedono le sue composizioni per eventi, set design, flower services per boutiques, showroom e hotel.


SUBSTRATUM
𝗚 𝗔 𝗟 𝗟 𝗘 𝗥 𝗜 𝗔

In Pardis
Il sensibile nel design e nell’opera di Leila Mirzakhani e Dylan Tripp

FINISSAGE 𝘃𝗲𝗻𝗲𝗿𝗱𝗶 𝟭𝟱 𝘀𝗲𝘁𝘁𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯 𝗮𝗹𝗹𝗲 𝗼𝗿𝗲 𝟭𝟴.𝟯𝟬

SUBSTRATUM
Via in Selci, 84b, 00184 – Roma
T. 064823658 www.substratum.it
g.tamburro@substratum.it - g.castellani@substratum.it

Communication Manager
Amalia Di Lanno
www.amaliadilanno.com - info@amaliadilanno.com

Si ringrazia Mobilia Scatena s.n.c. di Battaglini Gabriele & c. Via Montello, 17 – 06024 Gubbio (PG)







Estinzione di Sabino de Nichilo


Lo spazio indipendente 16 Civico di Pescara è lieto di presentare la mostra Estinzione di Sabino de Nichilo, a cura di Nicoletta Provenzano. 

Un climax incalzante, schietto e anti-utopico accoglie radicalmente il groviglio di distruzione e creazione proprio del farsi del mondo, come condizione immanente, irreversibile quanto inquieta, metamorfica e mutante.

Sabino de Nichilo, in un progetto site specific che unisce opere ceramiche e dipinti, ci trasporta in trasformazioni ibride, nate oltre lo scenario della sesta estinzione di massa, dove la materialità di corpi compositi si staglia nei luoghi del quotidiano: in un passato abitativo che appare superstite e lascia emergere il passaggio del tempo, la genesi di nuove forme in materia duttile e lucida, tentacolare, affiorata e assommata in superfetazioni verticali promiscue o alterità parassitali, invade e si appropria degli spazi, ripopolando un habitat di rovine e macerie, lungo i resti di un collasso antropico, sovrascrivendo entità ecologiche tra simbiogenesipluralistiche.

Come scrive la curatrice: «Le sculture ceramiche, articolate come vite silenti e rizomorfe appartenenti alle zone d’ombra, alle profondità dell’humus, si evidenziano come conformazioni intricate e sinuose che dominano e colonizzano prepotentemente anche lo sguardo in diramazioni anarchiche, ma ritmiche, trattenendo il loro enigma, la loro mutualistica esistenza unita al dissimile, formante un ecosistema autonomo e dinamico. L’artista, nella sapienza e padronanza tecnica, approda ad una libertà formale virtuosa e intrigante, esteticamente barocca, che coglie le fragilità e caducità della physisinsieme all’audacia e determinazione concreta con cui si violano i confini dell’equilibrio, dove la distruzione della simmetria e proporzione armonica conduce a nuove cognizioni e congiunzioni d’insieme, tra mirabilia e dramma. Le opere pittoriche nel turbine di cromie e nel tratto fluido di viluppi miceliari appaiono come sistemi radicanti vegetativi trasposti dall’universo ctonio in esuberanze coloristiche vivide, un ordine nascosto di fitte reti intercomunicanti che procedono e prolificano rimescolandosi in turbolenze e connessioni vivifiche imprevedibili. Sabino de Nichilo porta in luce un mondo ignoto e stupefacente in espansioni cromatiche veloci, interludi alla pratica scultorea che raggiungono un’acme linguistica fantasmagorica intrinseca alla ricerca».

La mostra Estinzione si situa nel processo dell’esistere e del divenire, senza soccombere all’astrazione futuribile, ma percorrendo l’inarrestabile continuità della vita, di una natura in perpetua evoluzione. 


Sabino de Nichilo nasce a Molfetta (BA) nel 1972. Si diploma in scultura all’Accademia di belle arti di Roma, la città in cui vive e lavora. Dopo un esordio espositivo nel 2009, si dedica all’organizzazione di mostre (è tra i fondatori nel 2017 del progetto curatoriale Casa Vuota) e si avvicina alla pratica scultorea, all’installazione, alla pittura e alla performance. Metabolizzando le istanze culturali del Post Umano, le sue ultime sperimentazioni sono Esperimenti di estinzione volti a osservare i limiti dei processi evolutivi. Per le sue sculture utilizza la ceramica, a volte assemblata con elementi naturali e sintetici, come medium principale di una ricerca che esplora il confine tra organico e inorganico. Privando l’umano della sua unità e degli attributi che lo definiscono e lo decodificano culturalmente, Sabino de Nichilo modella oggetti carnali che sembrano lacerti di una macellazione o di un’autopsia, osservati però con un distacco ironico e incruento. Attraverso essi, porta alla luce una visceralità sentimentale che addomestica l’alienità di un’anatomia mutante con le cromie spesso sgargianti degli smalti, su cui aggiunge accenti metallici, grazie alla cottura a terzo fuoco. Nel 2018 nelle sale del Museo Archeologico Fondazione “De Palo-Ungaro” di Bitonto (Bari) viene allestita Viscere, la sua prima mostra personale. È del 2019 la sua seconda personale, Organi da asporto, ospitata da L29 Art Studio a Roma, con un testo critico di Lorenzo Madaro. Nel 2023 si tiene Innen und aussen, doppia personale di Sabino de Nichilo e Dario Molinaro alla MoMart Gallery di Matera a cura di Antonello Tolve. Tra le mostre collettive più recenti si segnalano nel 2019 Miradas cruza das alla Fondazione “Horcynus Orca” di Messina a cura di Andrea Iezzi, nell’ambito del progetto La Cultura è Capitale dell’Ambasciata di Spagna in Italia, e Mediterraneo Keramikòs 2020 al Museo Nazionale della Ceramica “Duca di Martina” in Villa Floridiana a Napoli a cura di Lorenzo Fiorucci, nel 2020 Basic Necessities, un progetto di SpazioY e ABC Collective, a Roma e Pezzi Unici alla Galleria Gallerati di Roma a cura di Noemi Pittaluga, nel 2021 40 days a Quasi Quadro a Torino a cura di Mattia Lapperier e BACC. La forma del vino - Premio internazionale di Ceramicaalle Scuderie Aldobrandini di Frascati (Roma), nel 2022 Points of departurealle Officine Brandimarte di Ascoli Piceno a cura di Linda Sironi e la mostra dei finalisti del Premio Arteam Cupnella Fortezza del Priammar di Savona a cura di Matteo Galbiati e Livia Savorelli, nel 2023 La potenza del pensieroalla Residenza delle arti dell’Ambasciata d’Italia a Berna a cura di Antonello Tolve e Silvio Mignano e Antropomachie al Palazzo dei Capitani del Popolo di Ascoli Piceno a cura di Ado Brandimarte. Nel 2021 riceve la Menzione d’onore al XXVIII Concorso di Ceramica Contemporanea di Grottaglie (Taranto). Nel 2023 vince come Migliore Artista il Premio Sparti 2023 ad Ascoli Piceno.


INFORMAZIONI TECNICHE
ESTINZIONE
Sabino de Nichilo 
a cura di Nicoletta Provenzano 
16 settembre – 14 ottobre 2023
Inaugurazione: sabato 16 settembre, ore 18.30

16 Civico
Spazio per l'arte contemporanea
Strada Provinciale S. Silvestro, 16 - 65129 PESCARA
www.16civico.wordpress.com
16civico@gmail.com
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lunedì 4 settembre 2023

Fabio Ricciardiello | I codici della trasparenza

Fabio Ricciardiello, Pink Resurrection

Ciò che non vediamo è, talvolta,
più prezioso di quanto la superficie manifesti.

Fabio Ricciardiello, fotografo e scultore, indaga ne I CODICI DELLA TRASPARENZA, site specific per Adiacenze, la dimensione reale e surreale d’un dialogo paradossale e ontologico tra visibile ed invisibile, pieno e vuoto, relazioni e sintonie stupenti e stranianti interpellando energie ancestrali, percezioni speculari, esoterismi di matrice classica e mediterranea, ove persino l’eco di Artemide Efesia si intravvede e guida l’incertezza del sogno, della realtà, dell’azione e della stasi, fenomeni appartenenti alle profondità del nostro ego senza che essi siano palesi.
Forma. Apparenza. Ingegno. Cre_Azione. Ricciardiello delinea quel processo indagatore di verità assopite assunte nella sfera della memoria collettiva e primigenia, sollecitando la riscrittura ideale di un abbecedario capace di rileggere quanto non più nitido. Cosa vediamo quando osserviamo? Cosa immaginiamo? Ogni opera d’arte dovrebbe avere il compito di interrogare, svelare, indicare una nuova strada interpretativa, per essere estetica priva di cosmetica, oltrepassando il luccichio della superficie ed agguantare qualcosa d’altro. La cre_Azione ideale dell’artista ha subìto il fascino umano della materia, della luce, dell’acqua, dei simboli, tale da rendere tangibile e replicabile l’agire mediante una convers_Azione corale, sentenza di nuova nascita. Egli afferma:

I codici della trasparenza sono quegli elementi che sommati, formulati,
generano l’intuizione che diventa poi, opera fisica. Un codice che mi permette di vedere
quanto a molti non appare e di maturarlo, tradurlo, a volte, in esperienza fisica.
Una ricetta segreta che si svela per essere tramandata, trasmutata e profondamente percepita.

I CODICI DELLA TRASPARENZA sono la chiave di volta per fa sì che quanto è invisibile possa trovare salvifico modo d’esser svelato ad ognuno di noi? Cosa vediamo quando nulla appare? La personale di Fabio Ricciardiello per Adiacenze è una storia di immagini, materia, presenza, assenza ed immaginazione quella umana. Non resta che mettere alla prova la propria visione, la propria immaginazione, persino la cieca certezza dell’invisibile per poter toccare con mano tutto ciò che non saremmo capaci di far apparire nella realtà.

Qui! Ora!
È giunto il tempo di decifrare il desiderio della creazione.


BIO
Fabio Ricciardiello (1979), artista e fotografo napoletano, da circa 20 anni vive e lavora a Milano. La sua ricerca artistica si concretizza in diversi ambiti disciplinari: sperimenta la scultura ceramica, tesa verso una nuova forma espressiva della materia, mentre la sua produzione fotografica è proiettata verso la traduzione dell’irreale che, attraverso la finzione fotografica, diviene reale. Accanto a questi due linguaggi, Ricciardiello affianca il disegno e la grafica. Quest’ultima derivazione della sua esperienza nella moda con lo pseudonimo di Fabio Costì, il disegno invece nasce in una sorta di diario segreto, come schizzi e bozzetti, fatti di inchiostro, grafite e pastelli acquerellati.

Corazza

I codici della trasparenza
Fabio Ricciardiello
INAUGURAZIONE: mercoledì 6 settembre 2023 dalle 18
ARTISTA: Fabio Ricciardiello
A CURA DI: Azzurra Immediato
SEDE:Adiacenze, Vicolo Spirito Santo 1/B, Bologna
PERIODO: 6-17/09/2023
ORARI: 16.00-20.00
INFO:+39 3473626448 / + 39 3661194487 - info@adiacenze.it - www.adiacenze.it

1m2 presenta Cinque minuti di celebrità di Barbara Ippedico


Riparte la stagione espositiva di 1m2(Un Metro Quadro), lo spazio che porta l’arte contemporanea nelle vetrine ad oblò, aperte su strada 24 ora su 24. 
Da venerdì 8 settembre alle ore 19.30 presso 1M2_Locorotodo, in via Dura 4, Barbara Ippedico presenta il progetto “Cinque minuti di celebrità”, un viaggio introspettivo che rivela, attraverso un lavoro installativo-fotografico, il susseguirsi e il riaffiorare di ricordi come tappe fondamentali di una crescita interiore. Le superfici che l’artista milanese manipola appaiono ruvide e mosse, la staticità dei volti, tratti da archivi datati, si agita grazie ai differenti livelli, alle altezze difformi, agli sguardi che si infrangono e si disperdono nei protagonisti della storia, i famosi interpreti per un breve lasso di tempo, i fondamentali Cinque minuti nella vita di Barbara Ippedico.
Insieme alla mostra, 1M2 lancia una call per replicare il proprio format e il modulo di successo della vetrina aperta su strada cercando nuovi spazi. 1M2 chiama alla partecipazione gli amanti dell'arte o semplicemente coloro i quali abbiano a disposizione uno spazio utile alla trasformazione nel contenitore d'arte che entrerà a far parte del circuito 1M2. La call prevede l'adesione non solo da tutta la Puglia, compresa la stessa Martina Franca per un cambio sede, ma ha l'obiettivo di allargarsi in tutta Italia e anche all'estero (info@1m2.it).
Dall’8 al 24 settembre gli spazi sperimentali di Martino Pezzolla, Giordano Santoroe Michele D’Amico, 1M2 nei centri storici di Martina Franca e di Locorotondo, mostreranno contemporaneamente i lavori di Barbara Ippedico portando l’arte contemporanea nel quotidiano andirivieni cittadino. 
L’opening si terrà in presenza dell’artista presso 1m2 a Locorotondo in Via Dura 4, venerdì 8 settembre dalle ore 19.30 con brindisi offerti dalla cantina Giustini.

 

                                                                  

1m2
Cinque minuti di celebrità
di Barbara Ippedico

Opening: Venerdì 8 settembre dalle ore 19.30

in Via Dura 4, Locorotondo, BA
Dall’8 al 24 settembre 2023 (in contemporanea 1M2 Locorotondo e 1M2 Martina Franca)

- Via Gian Battista Vico 26, Martina Franca, TA
- Via Dura 4, Locorotondo, BA
info@1m2.it
https://www.1m2.it/
3450853037

giovedì 31 agosto 2023

Quarta operazione del programma OMAR

 


OMAR è un programma estetico fondato sulla coesione di artistə che vogliono sperimentare una pratica basata sull’ibridazione e l'alterità, mantenendo l’eterogeneità delle singole ricerche. Nasce nel 2021 durante la residenza artistica RAMO di Giulianova (TE). La prima operazione nel 2022 "OMAR da Mauro" è stato un instant show a cura di Elisa Cescon Tedesco nell'iconica trattoria di Roma, a cui sono seguiti "OMAR al Trullo" a cura di MIXTA, residenza e mostra collettiva in un trullo di Francavilla Fontana (BR) e “PRIVATE DANCE” a cura di Francesca Rossi Minelli, una viewing room direttamente sul profilo di Onlyfans.

Oggi, la presentazione della quarta operazione. Una nuova residenza artistica con mostra collettiva presso il Victor Country Hotel di Alberobello (BA). Il programma OMAR è lieto di accettare l’invito da parte dei soci della struttura ospitante per tornare in Puglia, rinnovando un'esperienza positiva con il territorio e i suoi abitanti.

Confermando la sua natura partecipativa, OMAR attraverso una nuova OPENCALL, ha selezionato per questa operazione il curatore Francesco Buonerba (Poggiardo,1984) e glə artistə Alessandra Cecchini (Rieti,1990) Serena Grassi (Lecce,1993) Roberto Orlando (Palermo,1996) che vanno ad unirsi ai fondatori del programma: Sebastian Contreras (Buenos Aires,1972), Matteo Costanzo (Roma,1985), Devin Kovach (Arizona,1987), Flavia Carolina D'Alessandro (Caracas,1977), Tamara Marino (Ragusa,1983), Giorgia Mascitti (San Benedetto del Tronto,1995), Giuseppe Mongiello (Vallo della Lucania,1981).

La residenza artistica avrà luogo dal 02 al 11 Settembre 2023 con la seguente mostra collettiva che inaugurerà il 09 Settembre e resterà fruibile al pubblico fino al 30 Settembre 2023.

 

mercoledì 30 agosto 2023

A Ostuni la bipersonale di Rossana Borzelli e Vania Elettra Tam


L’ultima mostra della stagione estiva che la Galleria Orizzonti Arte Contemporanea di Ostuni presenta all’interno della Project Room, sabato 9 settembre 2023 alle ore 19,00, è una bipersonale al femminile dal titolo Silenzi. L’esposizione, a cura di Francesca Romana Marino, pone in dialogo le opere di Rossana Borzelli e Vania Elettra Tam che indagano differentemente tematiche intime inerenti profondità e stati emozionali. Silenzi ovattati in cui la bellezza della fragilità umana viene immediatamente recepita. 

"Only in the silence you can hear the whisper of my soul" è il nome dell'opera che ha dato il via a questa ultima serie di Rossana Borzelli in un silenzioso dialogo con le opere di Vania Elettra Tam.

Da sempre Rossana Borzelli realizza "ritratti" sui più diversi supporti, il legno, le porte antiche, il ferro, la tela, la carta; ritrae volti, mani, persone, che con i loro sguardi e le loro espressioni così intensi, la gestualità, le movenze, gli abbracci, l'interazione, a volte anche solo accennati con un tratto, oscillando tra verismo e astrazione, accolgono lo spettatore, che inizia a interrogarsi in silenzio su quelle persone, sulla loro interiorità, sulle emozioni e i sentimenti che hanno portato l'artista a dipingere quell'opera; in silenzio perché è nel silenzio che prendono vita i pensieri. 


Una pausa di silenzio, un filo che riannoda i frammenti scomposti.
Ritrovo me stessa nel blu solitario della notte
o alla luce di una lampada
che mi protegge come un nido dal buio circostante
a volte assorta nel fumo di una sigaretta.
Come la pausa è lo sfondo vitale dell'azione,
così il silenzio è il vuoto fecondo da cui emerge il suono.
Ho bisogno di pause per assaporare i miei giorni,
come del sogno per dare voce alla notte.
R. Borzelli

La ricerca dell'artista Vania Elettra Tam invece, verte come sempre intorno al mondo femminile mettendo a nudo alcune tematiche ormai a lei tanto care, come il disagio e la difficoltà di inserimento delle donne in un mondo che non è concepito per loro. Questa volta però l'artista rinuncia parzialmente all’ironia giocosa che contraddistingue la sua cifra pittorica e ci regala opere ritraenti donne silenti immerse in bocce di vetro che, circondate da pesci e isolate dal mondo, fluttuano in una loro realtà interna, protetta da quella esterna. Queste donne infatti vivono vite parallele, surreali, in compagnia di effimeri surrogati, compensativi di una vita che soddisfacente non è. Ma la propensione è quella dell'evoluzione per cui queste donne, fluide e silenti come pesci, trovano il coraggio di ascoltarsi, di mettersi in discussione e di affrontare se stesse, percorrendo il difficile cammino dell'autenticità e diventano, attraverso delicate e vitree nuances dai toni marini, un tutt'uno con i pesci stessi. E così quei pesci, da spettatori, risultano co-protagonisti dell’opera, simboli di un percorso evolutivo unico. Imperanti sono i Silenzi, da cui il titolo della mostra e la via d'uscita è l'Evasione come suggerisce il titolo dell'opera che chiude l'esposizione. Pittoricamente la Tam in questi lavori finemente dipinti, raggiunge una leggerezza cromatica che conferma la sua maturità pittorica e segnica.

Rossana Borzelli e Vania Elettra Tam
Silenzi
a cura di Francesca Romana Marino

Inaugurazione 9 settembre ore 19,00

Dal 9 al 30 settembre 2023


GALLERIA ORIZZONTI ARTE CONTEMPORANEA
Piazzetta Cattedrale (centro storico)
72017 Ostuni (Br)
Tel. 0831.335373 – Cell. 348.8032506
info@orizzontiarte.it- www.orizzontiarte.it
F: Orizzontiartecontemporanea

Communication Manager
Amalia Di Lanno
www.amaliadilanno.com- info@amaliadilanno.com

martedì 29 agosto 2023

Angolo Cottura: Nell’impalpabile abdico di Veronica Neri

Veronica Neri


La finitezza umana abita il castello kafkiano. Come insorti in cammino ci avvalliamo a un progresso che non è divenire, bensì mortificazione che allontana l’essere da sé stesso e da un suo naturale suono del respiro. Così, in una possibile voce dell’esistenza che cerca la sua identificazione nell’argine del limitato, si riscopre lo stato naturale che ci avvicina, tramite una ritualità tutta umana, alla gracile imperturbabilità delle altre specie. Nel desiderio di una protesi di un’esistenza, l’uomo rivendica un altro da sé che lo allontana dalle radici viscerali con la terra, membrana della sua stessa linfa. Nel velo di inconoscibilità incondizionata del tangibile, si insinua lo spasimo umano. Condannati a un riciclo di un nonnulla, la nostra oppone una lirica e respinta confutazione: Nell’impalpabile abdico. Una zona di intimità in contrasto all’artificio e alla sproporzione del soffio del creato. Nel quotidiano si apre una zona sacra. Il sacro è condizione mai languidamente fioca ma inflessibilmente possente. In una materia che richiama la penombra e il finire è conservata la natura delle entità nella loro consistenza, al di là dello scorrere terreno. Inoltrandoci idealmente nell’aurea di un soffio disincantato, scopriamo un’ammissione volontaria dell’artista che riconosce un distaccamento parziale di ciò che era, per ammettere il proprio ionell’oggi. Come un perno, le espressioni denunciate dall’io si dilatano invisibili, dense nella loro estetica visiva, lateralmente nel dittico che aggiunge, alla ferita, la sua autorialità fino ad arrivare agli antipodi di una stretta che accoglie l’osservatore, revocando la possibilità di riappropriarsi del proprio danno originario, sedimentazione più pura e tutelare dell’essere, non intaccata dalla conoscenza del mondo fenomenico e dalla scienza che vaglia il susseguirsi indomabile di accadimenti. Emergono, tra le trasparenze del materiale che ha tratto origine dal processo di riesumazione e logoro per avere assorbito il prima e il dopo di una presenza, fronde vegetali, come piccole geografie di resistenza. Il contenuto si salda, severamente leggiadro, con il suo carico seducente, nel contenitore. Nella quiete di un luogo domestico si attua un ritorno al sensibile, al proprio vissuto e alle relazioni essenziali. Rileggere la scrittura del passato è atto di un trasporto condiviso, in cui il microcosmo e la sua appropriazione temporale dialogano con le profondità raggiunte da uno scorrere subterrestre della sostanza acquosa e con una materialità eterea da stringere nel flusso sanguigno. Il moto si distende da un concluso andamento orizzontale a una verticalità che veste una richiesta di apertura e di iniziazione. Il simulacro dell’essere è liberato. L’essere si pone in un presente e autonomo divenire. 

Laura Catini



Angolo Cottura - Un lavoro per una sera
Nell’impalpabile abdico di Veronica Neri
a cura e con testo critico di Laura Catini
giovedì 7 settembre 2023, ore 18.00

Studio di Iginio De Luca
via Giuseppe Ravizza, 22/a, 00149-Roma
tel. 3428076850

venerdì 25 agosto 2023

A Bari IL MATTINO HA LORY IN BOCCA. Successo bis

Il Mattino ha Lory in bocca, installation view, Bari, 2023


Conferma il suo potenziale di festa e di pubblico la mostra da balcone curata da Francesco Paolo Del Re, visitabile fino a domenica 27 agosto. E gli abitanti del quartiere Madonnella a Bari mettono già a disposizione altri balconi per l’anno prossimo.

Non passano inosservate le opere d’arte appese dal 19 al 27 agosto 2023 ai quattro cantoni di un incrocio di Bari, tra via Dalmazia e via Spalato, nel popolare e vivace quartiere di Madonnella, a due passi dalla casa natale di Pino Pascali e dalla pinacoteca metropolitana intitolata a Corrado Giaquinto. Anzi sono numerosi i visitatori accorsi, sia in occasione dell’inaugurazione che nei giorni successivi, a vedere la seconda edizione della mostra-evento “Il mattino ha Lory in bocca”, nata da un’idea del curatore Francesco Paolo Del Re e da lui organizzata insieme ai collezionisti Loredana Savino e Matteo De Napoli, che abitano proprio in via Dalmazia.

“Centinaia di persone – commenta Francesco Paolo Del Re – vengono a trovarci, attratte dalla curiosità dell’iniziativa. Senza contare gli innumerevoli passanti che, anche senza volerlo, diventano attori di un’operazione artistica che non si limita a essere un’esposizione di opere, ma diventa un più elaborato dispositivo di comunicazione. È il quartiere stesso a mostrarsi ed è proprio l’interazione con gli abitanti del luogo ad attivare e vivificare gli interventi degli artisti. La popolazione di Madonnella non si trova a essere un soggetto passivo, ma il vero motore dell’evento, che è allo stesso tempo una festa di quartiere e un’occupazione giocosa e insurrezionale che risignifica gli spazi e mette in subbuglio abitudini, aspettative, desideri, immaginario e sogni”.

“Amplificando tutto il suo potenziale fantasmagorico e persino sovversivo – prosegue il curatore – l’arte dunque si ritrova in mezzo alla strada e qui si mostra, fuori dai tradizionali contesti espositivi che segnano inevitabilmente barriere e limiti. ‘Stare fuori come un balcone’ è il motto ironico che accompagna la mostra: non solo un invito a rompere le regole, ma anche un modo concreto di dimostrare agli artisti che non bisogna aspettare che qualcuno dall’alto dica loro cosa fare. In assenza di spazi e di progettualità specifiche per l’arte contemporanea, gli artisti hanno il compito di organizzarsi e appropriarsi di spazi non convenzionalmente attribuiti all’arte, trasformandoli per il tempo necessario in inusitati territori di liberazione e aggregazione e ripensando, nell’esperienza di una condivisione, il modo di essere parte di una comunità”.

“È stata una bellissima festa!”, dichiara Loredana Savino, organizzatrice dell’evento. “Mi rende felice – spiega – la curiosità degli abitanti del quartiere, il loro interesse per le opere esposte e la volontà di essere protagonisti nelle prossime edizioni”. A fare un bilancio della manifestazione e un confronto con la prima edizione è Matteo De Napoli. “È un’esperienza – dice – che diventa sempre più intensa con persone sempre più amiche e con artisti sempre più bravi a cui offrire piacevolmente la nostra ospitalità”.

Se l’anno scorso il balcone era uno, quest’anno sono stati una decina gli appartamenti “abitati” dagli artisti, con balconi “parlanti”. Sono stati gli stessi abitanti delle palazzine affacciate sull’incrocio a proporsi e offrire le loro ringhiere. La voglia di prendere parte all’iniziativa e di far crescere la mostra, nella prospettiva di un terzo appuntamento espositivo da organizzare nel 2024, è contagiosa e stanno arrivando numerose nuove adesioni da parte della popolazione di Madonnella, che si riconosce in questa festa d’arte e vuole sostenerla e promuoverla. Accessibile liberamente da chiunque passi per strada e in qualunque momento della giornata, la mostra presenta le opere di diciannove artisti, che si mostrano con la leggerezza del bucato steso al sole. Non ci sono solo dipinti, ma anche sculture, fotografie, video, installazioni: tutti interventi costruiti su misura o ripensati per l’occasione da Natascia Abbattista, Mariantonietta Bagliato, Pierluca Cetera, Guido Corazziari, Marika D’Ernest, Sabino de Nichilo, Elisa Filomena, Nunzio Fucci, Simona Anna Gentile, Iginio Iurilli, Pierpaolo Miccolis, Ezia Mitolo, Mario Nardulli, Patrizia Piarulli, Stefania Pellegrini, Fabrizio Provinciali e Fabrizio Riccardi. Accanto alle loro opere, due citazioni di Cristiano De Gaetano e Jolanda Spagno, due bravissimi artisti pugliesi che non ci sono più.

LE OPERE DELLA SECONDA EDIZIONE DELLA MOSTRA DA BALCONE
Passando in rassegna le opere della seconda edizione mostra, è dall’imbrunire in poi che si può apprezzare “Morbus sacer” (2014-2023), la videoinstallazione Natascia Abbattista che proietta una grande figura ieratica e dolente sul margine destro della parete di via Dalmazia, con il mare e la torre del palazzo della provincia a fare da sfondo. Si interroga Abbattista (facendo sue le parole di Roberto Lacarbonara che aveva presentato per la prima volta il video in mostra): “Chi è che decide del buon senso, del giusto e dell'inopportuno, del folle e del santo? Se occorre individuare un grado zero della follia bisogna rintracciare il momento in cui essa viene separata dalla non-follia, mettendo in discussione le unità interamente date: date dalla storia come oggetto di verità conoscitiva, date come assolute. Operando un’aggressiva decostruzione della mia immagine e agendo tra ironica stravaganza e drammatica deformazione, rievoco il percorso analitico tracciato da Jean-Martin Charcot nel trattamento delle malattie mentali. Charcot, uno tra i maggiori neuropsichiatri del XIX secolo, operò nell'istituto parigino Salpêtrière dove condusse i suoi studi sull’isteria epilettiforme, definendola come una nevrosi che si manifesta con attacchi di estremo parossismo. Attraverso una accuratissima ricerca fotografica il medico documentò fasi e anatomie isteriche, soffermandosi in particolare sulle impressionanti forme di ‘attitudes passionelles’ legata alle strazianti fasi allucinatorie”. Proprio queste fotografie sono il punto di partenza delle deformazioni che Abbattista imprime sul suo viso e sul suo corpo.

Sono sculture morbide e imbottite, realizzate con stoffe, scampoli di pizzi e paillettes, i quattro “Colombi” di Mariantonietta Bagliato, realizzati appositamente per la mostra e collocate in bilico su una ringhiera in modo da comporre un’installazione. “L’idea di ‘Colombi’ – spiega la scultrice barese – nasce dall’invito alla partecipazione alla mostra dai balconi ‘Il mattino ha Lory in bocca’. L’installazione site specific riprende la funzionalità del balcone come riparo cittadino per i piccioni, colombi e vari uccelli. La lotta tra gli abitanti delle case e questi volatili che occupano gli spazi umani avviene spesso con strambi rimedi da parte dell’uomo”.

Pierluca Cetera occupa interamente il primo piano affacciato su via Spalato di una palazzina ad angolo, con un’imponente e suggestiva tela di sei metri di lunghezza e quattro di altezza: è l’intervento più grande dell’intera mostra. “Date il pane al pazzo cane, date il pane al cane pazzo”, questo è il titolo dell’opera, è un dipinto a olio e acrilico su tela del 2010, ripensato nel 2023 nella forma di un’installazione ambientale. “La scena si divide in due parti”, racconta Cetera. “A sinistra un gruppo di figure nude, con un uomo di spalle, una donna seduta con in grembo un cane e una ragazza inginocchiata. Queste figure appaiono illuminate come da un riflettore ad “occhio di bue” teatrale e guardano lateralmente nel vuoto della tela. A destra, in piedi, vi è un’altra figura nuda di un uomo albino che guarda in avanti. Il soggetto vuol rappresentare un gruppo familiare in cui sono messe a nudo comportamenti sconvenienti e bestiali. Il personaggio a destra è come un voyeur che spia i comportamenti peccaminosi e li censura, infatti è rappresentato impassibile mentre guarda in avanti, mentre i personaggi del gruppo familiare guardano lateralmente nel vuoto capendo di essere stati spiati. L’intera scena è concepita con un intento narrativo che invita gli spettatori a ricomporre la vicenda. Come uno scioglilingua ci ripete che tra le mura domestiche possono nascondersi bestialità”.

Proprio accanto all’opera di Cetera trova posto sulla ringhiera di un balcone un trittico pittorico di Guido Corazziari, un artista residente proprio a Madonnella, che presenta la serie “Porn Food” del 2021, tre acrilici su tele misuranti rispettivamente di centimetri 80 per 80. Ecco come Corazziari racconta dal suo punto di vista l’opera e la ricerca all’interno della quale essa si inserisce: “‘Porn Food’ è il dettaglio, il particolare, che diventa feticcio. Il cibo, come il sesso, vivono la dimensione del ‘troppo’, propria del piacere mai del tutto soddisfatto. La ‘gola profonda’ scambia e confonde il cibo con la vita stessa”.

Di grande impatto sul pubblico è l’installazione di Marika D’Ernest “Un’altra cena rovinata”, da lei pensata appositamente per la mostra sui balconi. Su una ringhiera vengono stesi tovaglioli ricamati del corredo della nonna, su ciascuno dei quali l’artista scrive con colore per serigrafia una lettera per comporre un messaggio che colpisce per il suo messaggio politico e sociale. “La mia installazione – argomenta – prende il nome dal libro di Sara Ahmed ‘Un’altra cena rovinata’. La frase dipinta con colore da serigrafia è presa da ‘Parole d’amore’ di quel simpaticone misogino di Guy de Maupassant. Dipinta sui tovaglioli da tavola del corredo che mia nonna ha destinato a mia madre, mia sorella e a me: la dote. Crescere in un contesto patriarcale significa (tra le altre cose) tenere la bocca chiusa soprattutto a tavola, zittite in continuazione per non rovinare la cena con le nostre idee di libertà e autodeterminazione. Interiorizza il limite. È davvero un guaio il fatto che noi finalmente parliamo: un guaio per voi! È un invito a parlare, a denunciare, a disordinare”.

Nel decennale della sua prematura dipartita all’età di 37 anni, viene omaggiato l’artista Cristiano De Gaetano con la proiezione su un muro del video “Incubo” del 2003, da lui realizzato in occasione di una mostra dedicata a Erik Satie e allestita nella casa natale del compositore Niccolò Piccinni a Bari. È lo stesso artista tarantino il protagonista della visione onirico-musicale raccolta nel video, nel quale si incontra appunto con Satie, Adolf Hitler e Pablo Picasso.

Una installazione al centro del crocevia, leggera e surreale, è stata pensata da Sabino de Nichilo, che la realizza assembla dei coloratissimi scovoli per le pulizie, facendo assumere a essi la forma di una freccia vagamente zoomorfa, che intitola “Via Dalmazia 58”. Cos’è questo indirizzo? Spiega de Nichilo: “Il mio è un omaggio a Pino Pascali, collocato al centro dell’incrocio tra via Dalmazia e via Spalato a cinquanta metri dalla casa natale dell’artista. Una freccia, realizzata con i materiali da lui impiegati per i celebri ‘Bachi da setola’, indica la direzione precisa della sua abitazione, dove una targa ricorda ai passanti l’importanza del luogo. Sospesa in aria e ancorata ai cavi elettrici mai dismessi del vecchio filobus, è un monito ironico a non dimenticare e insieme una decorazione temporanea per una festa di quartiere, che oscilla al vento come uno strano pesce volante, fluttuante contro il cielo azzurro di agosto”.

È una grande tela dipinta nel 2022 con pennellate leggere e ritmiche il “Satiro” di Elisa Filomena, un’artista che vive e opera a Torino. “L’opera – racconta Filomena – è stata dipinta dopo una resistenza tenuta presso la Fondazione Lac o Le Mon a San Cesario di Lecce. Le forze telluriche e lo spirito ancestrale della terra si sono rivelate in me in una interpretazione della figura mitologica greca. La Puglia è la mia terra d’origine, viverla e dipingere un omaggio alla sua natura e alla sua storia è stato un atto spontaneo. Probabilmente, in modo inconscio, ho elaborato le mie origini più profonde, confrontandomi con il mondo e con la cultura da cui deriva il sangue che mi scorre, di generazione in generazione, nelle vene e nella pittura”.

Pugliese di nascita ma residente in Piemonte è Nunzio Fucci, che sceglie di dipingere su un lenzuolo della nonna un’opera “Senza titolo”. “Chi di noi non ha mai inseguito una faraona?”, si domanda. “Questo uccello galliforme con una livrea di un grigio ipnotico e una testa azzurrognola e glabra, mia nonna con rispetto lo chiamava ‘la jaddina faraon’. La simbologia qui non c’entra e nemmeno l’allegoria: quest’opera è un fermo-immagine ripescato dai cassetti della mia memoria, delle giornate passate a inseguire il pennuto, quando da bambini ‘si andava a caccia’ della faraona scappata dal pollaio. Nel mio bestiario personale, la faraona ha un posto di eccellenza e non perché simboleggia la resilienza dell’essere vivente o la sua adattabilità all’ambiente ma perché, quando corre, sembra avere le ruote”.

Si presenta stesa su una ringhiera anche “Babushka’s Dream”, l’opera di Simona Anna Gentile, datata 2019, che mette insieme pittura e collage di tessuti. “La base del mio lavoro – spiega la giovane artista tarantina – è l’utilizzo dei tessuti, siano scampoli o lunghi rotoli, che accolgono racconti e suggestioni visive”. L’opera è presa da un ciclo più ampio di lavori. “In ‘Babushka’s Dream’ – prosegue – riprendo la funzione di un polittico rinascimentale”. L’intervento si caratterizza, secondo l’artista “per i suoi contenuti onirici e altamente significativi per il luogo in cui sono allestite queste opere”. “La sfida– conclude – è focalizzarsi sul linguaggio non verbale, prestare l’attenzione a ciò che non è esplicito visivamente e concedersi per pochi istanti all'analisi necessaria per controbattere la velocità delle informazioni, delle relazioni, delle esperienze che la contemporaneità continua ansiosamente a imporci”.

Ha festeggiato il suo ottantesimo compleanno proprio nei giorni della mostra l’artista Iginio Iurilli, che su uno dei balconi presenta il dipinto “Senza luce”, una variazione sull’idea della cerbottana e dei giochi infantili, temi sui quali da tempo la sua ricerca si concentra. “Il mio mare bianco alla finestra – racconta Iurilli – sciorina il colore e la forma conica dei tanti cartocci scaturiti dalla memoria di un'infanzia felice fatta di semplici giochi e di pure emozioni”.

Pierpaolo Miccolis riprende un’antica coperta di lana e su di essa sembrano manifestarsi due figure in tela di cotone nell’opera “Revealed (talk to me)”, realizzata appositamente per la mostra e fatta sciorinare dal secondo piano di via Dalmazia dall’artista, che racconta: “Una vecchia coperta realizzata a telaio intorno agli anni 50/60 fa da sfondo a due sagome che sembrano riposare poggiate sopra di essa. Le due figure teriomorfe, come suggerisce il titolo dell’opera, sono riprese nell’atto intimo del confidarsi (rivelati, parlami), rappresentate prive di caratteri distintivi, come ombre del passato o spiriti. Rifletto spesso su quanto gli oggetti di uso comune siano coprotagonisti di tanta vita. Immagino questa coperta ascoltare pensieri, confidenze, litigi e vivere l’amore per mezzo di chi l’ha vissuto sotto di essa, i maltrattamenti della cenere nel bucato e delle striglie dalle setole dure. La nostra idea di affezione ad un oggetto si traduce in molte religioni, tra cui lo shintoismo, nella creazione di un’anima all’interno di esso. Appropriandomi liberamente di questo concetto, mediante l’idea di spiritualità libera, mi piace affermare che ‘Revealed’ sia non solo un’opera, ma un oggetto che reca in sé un’anima”.

Una serie di singoli elementi scultorei, solidi eppure leggerissimi perché ricavati lavorando vecchie lenzuola con la resina, compongono l’articolato andamento site specific dell’installazione “Forse c'è scampo” della tarantina Ezia Mitolo. “L’installazione – spiega l’artista – è composta da un insieme di sculture bianche di diverse dimensioni realizzate con lenzuoli irrigiditi dalla resina che fuoriescono dalla finestra della casa dirigendosi verso l’esterno come nell’atto di voler volare liberi. Lenzuola come metafora di intimità, di sogno, di libertà e leggerezza. Ogni scultura è diversa dall’altra ed ha una sua plasticità, un suo movimento. Sono come vive, hanno bocche come a voler respirare, comunicare. Alcune sono forme leggere pronte a liberarsi nell’aria, altre tendono a restare incastrate tra le sbarre. Un progetto sul tema della difficile ma possibile (e a volte necessaria) evasione dalle dinamiche ‘domestiche, da condizionamenti e legami con le proprie radici”. 

“Gonfalone” è il titolo di un grande stendardo verticale, lungo tre metri e mezzo, dipinto con colori acrilici su cotone da Mario Nardulli nel 2017 per decorare originariamente il Castello di Copertino e ricollocato in via Dalmazia per questa mostra. “Considerato il mio background nel graffitismo e nell’arte urbana – afferma Nardulli – ho impostato il lavoro come se fosse un murales destinato ad essere visibile da grande distanza. In questi casi abbandono sia le lettere, che ogni riferimento figurativo, puntando ad una ricerca cromatica fra spazio e forme che subisce il fascino dell’arte visiva degli anni ’70, dell’estetica Ultras italiana e della vivacità del mondo del fumetto Disney”.

Su un piccolo balcone che guarda il mare, Patrizia Piarulli ripensa la sua installazione del 2008 intitolata “Misspia”, preziosa nella minuziosità dei suoi interventi costituiti da cuciture, ricami e concrezioni di paillettes, che vanno a impreziosire un corredo di indumenti intimi femminili carichi di erotismo e non privi di ironia nella loro sfacciata esibizione. Spiega Piarulli: “I miei sono feticci appartenenti a un mondo che oscilla tra trasgressioni soft e qualcosa che ricorda l’infanzia”.

Un po’ supereroina e un po’ evocazione di un tempo ancestrale, la “Vitruvian Arachne” di Stefania Pellegrini, del 2023, è stata realizzata lavorando all’uncinetto fili colorati di lana e cotone, per ottenere una sorta di enorme centrino circolare nel quale si iscrive una figura femminile dai molti arti. L’artista spiega che la sua “Vitruvian Arachne” “è un ibrido che mette in contatto l’Uomo di Vitruvio con il mito greco di Aracne, una trasformazione del maschile in femminile e poi, con la moltiplicazione degli arti, dell’umano in animale; un cocktail tra Leonardo da Vinci, Louise Bourgeois e Spider Woman”.

Fabrizio Provinciali presenta invece una sua fotografia scattata a Bari nel 2022 e intitolata “La famiglia felice”. “È un’anticipazione – racconta Provinciali – della serie fotografica “La bella stagione”. La nascita del progetto, ancora inedito, coincide con la mia scoperta della città di Bari. Durante le passeggiate nella spiaggia di Pane e Pomodoro sono stato attratto dalla spensieratezza emanata dai corpi al sole di persone intente in attività ricreative. Ma in questi scatti di vita quotidiana non cerco di ritrarre tanto il folklore, quanto sensazioni universali come la leggerezza, ricorrendo spesso ad una composizione di tipo teatrale, senza interazione con i soggetti né manipolazione della scena fotografata, perché quello che mi affascina maggiormente è la messa in scena che offre la realtà”.

Sono figure delineate con l’utilizzo della fiamma ossidrica su un multistrato di legno sagomato le “Testacce” di Fabrizio Riccardi, create appositamente per la mostra come altre opere sposte. Con particolari equilibrismi di allestimento, l’artista le sospende a dei vecchi ganci già presenti sul muro dell’angolo fra le due strade, lasciando a questa preesistenza il compito di combinarle fra loro in una sorta di dialogo intrecciato. “Il mio intervento – spiega Riccardi – si propone di raccontare le voci di quartiere su alcuni fantomatici abitanti dei luoghi, i quartieri che diventano accumulo di personalità diverse che diventano autoctone dello stesso. Il matto, chi pensa alla morte come sollievo, chi guarda con diffidenza tutti i passanti, il curioso, il pettegolo. Abitanti che contribuiscono a rendere questo luogo unico”.

Ultima artista presente in mostra è Jolanda Spagno. Venuta a mancare a 51 anni nel 2018, è stata citata con l’esposizione di “Heima”, una sua opera del 2014: si tratta di un delicato disegno a grafite su carta che viene animato, nel modo tipico dell’artista, dall’apposizione di una lente Olof in grado di modificarne la visione. L’opera è statacollocata nell’enoteca affacciata sull’incrocio ed è stata visibile soltanto il giorno dell’inaugurazione.

LA PERFORMANCE DI NATASCIA ABBATTISTA PER L’INAUGURAZIONE
Replicando la fortunata formula del 2022, anche nella serata di inaugurazione della seconda edizione di “Il mattino ha Lory in bocca” Natascia Abbattista ha presentato una sua performance intitolata “Amami”. Se quella dello scorso anno si era svolta sul balcone, quest’anno l’artista la lavorato direttamente in strada, interagendo con il pubblico e fermando le macchine che passavano. “La mia performance parla di amore”, racconta Abbattista. “Sulle note di una scanzonata ‘24.000 baci’ di Adriano Celentano, corro tra la gente per strada marchiandola di baci, colorati dal mio rossetto rosso. Il mio amore è libero e vuole raggiungere non solo i passanti ma anche i muri, i palazzi, le macchine: ogni cosa. Il mio gesto simboleggia la voglia di invadere l’altro e di rompere i limiti imposti. I miei baci sono liberi, emancipati e arrivano a tutti, indiscriminatamente. Durano però il tempo di una canzone e, alla fine del brano, restano solo impronte rosse delle labbra su facce, macchine e palazzi. Nella fase finale della performance, che il mio gesto diventa anche una richiesta. Prendo del sale, tanto sale e spargendolo per strada scrivo AMAMI sull’asfalto, al centro dell’incrocio che un attimo prima mi ha vista protagonista ironica e spregiudicata. Non mi interessa se le macchine si fermano, suonano o mi schivano. Il mio corpo diventa penna e il sale diventa inchiostro. AMAMI è la necessità, in quanto donna, di essere amata e rispettata. AMAMI è l’amore ridotto alla sua essenza, è l’amore inteso nelle sue mille sfumature. L’amore, come il sale, deve anche saper curare. I miei baci ora assumono un significato diverso: sono baci salati, salati come il mare, come Bari, come l’amore, come le ferite che portiamo dentro. Prima di andarmene mi butto alle spalle tre manciate di sale, un gesto scaramantico ereditato dalla mia terra, con l’auspicio che il mio messaggio sia arrivato”.



IL MATTINO HA LORY IN BOCCA
a cura di Francesco Paolo Del Re 
Bari, balconi al primo piano di via Dalmazia angolo via Spalato
19 – 27 agosto 2023