giovedì 31 gennaio 2013

Sabato 02 Febbraio alle ore 19.30 inaugurazione della personale del maestro Ernesto Gennaro Solferino dal titolo "FRAMMENTI DI CLASSICITA'".


Massimo Nardi

Domenica 10 feb > URBINO RESORT > CONFERENZA La scoperta del paesaggio della Gioconda nei territori dell’antico Ducato di Urbino


Rosetta Borchia e Olivia Nesci, autrici del  volume Codice P. atlante illustrato del reale paesaggio della Gioconda, edito da Electa, presentano la conferenza di approfondimento “La scoperta del paesaggio della Gioconda nei territori dell’antico Ducato di Urbino”.
L’incontro si terrà proprio tra le colline del Montefeltro, presso URBINO Resort (sala conferenze) nella Tenuta Ss. Giacomo e Filippo, domenica 10 febbraio 2013 alle ore 17 (segue aperitivo) ed illustrerà i luoghi reali dell’antico Ducato di Urbino, ripresi da Leonardo da Vinci nel suo celebre capolavoro.

La conferenza si inserisce nell’ambito degli eventi sul tema CONSERVA IL PAESAGGIO, promossi da URBINO Resort al fine di contribuire alla valorizzazione del territorio nel rispetto dell’ambiente e delle sue radici storiche. La Tenuta  Ss. Giacomo e Filippo nel bacino idrografico del fiume Foglia è infatti sito di Importanza Comunitaria (SIC) della Provincia di Pesaro e Urbino, sottoposto a costante salvaguardia, conservazione e recupero, ed è caratterizzato da colline marnoso-argillose, boschi, pianure fluviali e maestose querce secolari. Un area di 360 ettari, di proprietà della famiglia Bruscoli, che è la consacrazione di un culto agricolo reiterato da generazioni e grazie al quale la tradizione rinascimentale delle colture si tramanda e si rinnova nella terra vineata, nel viridarium e nelle ricche piantagioni.
Una parte di queste terre apparteneva per altro alla nonna paterna di Raffaello Sanzio, Isabecta De Lominis, madre di Giovanni Santi, ed è certa la frequentazione di questi luoghi da parte del Duca di Montefeltro, che qui aveva il suo casino di Caccia.

Le due “cacciatrici di paesaggi” Rosetta Borchia, pittrice-fotografa di paesaggi e Olivia Nesci, geomorfologa dell’Università di Urbino, da tempo indagano sui luoghi che ispirarono alcuni pittori rinascimentali, riconoscibili nel territorio del Montefeltro. Mentre gran parte degli storici dell’arte riteneva che si trattasse di vedute immaginarie, le loro ricerche dedicate prima a Piero della Francesca e poi a Leonardo da Vinci, dimostrano di poter collocare geograficamente i paesaggi dipinti dai maestri. Le studiose hanno iniziato anche l’indagine su Raffaello e ne daranno alcune anticipazioni in occasione della conferenza, non a caso ad URBINO Resort, frutto della ristrutturazione di un antico borgo rurale su territori che certamente dovevano essere familiari al pittore nostrano.

La conferenza sarà l’occasione per raccontare le scoperte, documentate nell’atlante Codice P, riguardanti i particolari dello sfondo della Gioconda messi a confronto con le foto del paesaggio reale del Ducato di Urbino. Attraverso una metodologia scientifica, le studiose mostrano come Leonardo abbia utilizzato il metodo della compressione sopra un’estesa veduta aerea del Montefeltro per poterla contenere tutta in una tela ridotta.
Grazie alle moderne tecnologie, tale metodo d’indagine, impiegato per la prima volta per l’analisi dei “luoghi d’arte”, rappresenta un settore innovativo nelle ricerche di Geomorfologia Culturale e Archeologia del paesaggio e pone le basi scientifiche per indagini future non solo limitate ai territori del Montefeltro. 

URBINO RESORT Ss. Giacomo e Filippo
 
Via San Giacomo in Foglia 7
Loc. Pantiere - 61029 Urbino
T +39 0722 580305 - F +39 0722 580798
www. urbinoresort.it - info@urbinoresort. it
UFFICIO STAMPA
 
Alessandra Zanchi
M +39 328 2128748
press.zanchi@gmail.com
 


segnalato a :
Massimo Nardi

Elisabetta Di Maggio_I change but I cannot die



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Laura Bulian Gallery è lieta di annuciare la mostra personale dell’artista italiana Elisabetta Di Maggio I change but I cannot die, che si inaugura mercoledì 6 Febbraio 2013 .


La scelta del titolo della mostra, I change but I cannot die, proveniente dalla lirica di Percy Bysshe Shelley, "The Cloud", ha una intuitiva assonanza con l'idea dell'arte e in particolare con l'opera dell’artista.


Il cambiamento nelle sue opere proviene da un doppio processo, i materiali che usa mutano proprietà, mentre l'immagine cambia in base alla luce, al luogo, all'orientamento.

Nelle opere di Elisabetta Di Maggio la carta velina diventa una imprevista forza portante, le foglie assecondano il loro rinsecchimento, ma non si sbriciolano, i saponi assumono una parentela con la cera usata nelle fusioni, la porcellana mantiene il traforo della carta che sparisce nella combustione del caolino.
In questa mostra ci sono due grandi traiettorie da un lato la trasposizione della figura nella composizione chirurgica dei suoi intagli; dall'altro l'interpretazione di figure che provengono dallo studio scientifico dell'ambiente naturale, come il volo delle farfalle.
In “Tappezzeria, 2012”, metri e metri di carta velina intagliati, seguendo un pattern che ricorda i ricami e la fluorescenza di un giardino selvatico, avvolgono a tutto tondo la parete-pilastro che unisce la prima e la seconda stanza della galleria. Ricordano il "fragile traliccio" (woof) delle nuvole in cielo, di cui parla Shelley, ma nelle mani di Elisabetta Di Maggio diventa un vortice che si addensa tra le mura degli edifici, che tanto spesso racchiudono cambiamenti e immutabilità. Questa specie di bambagia, fa sparire il muro, al suo posto, strati di ricami uno sull'altro diventano una fantastica struttura portante, che trattiene la trama (traliccio) del magma quotidiano, delle sue ripetizioni e delle sue imprevedibili sorprese.
La relazione tra natura e fibra interna, reticolare, emerge in “Victoria, 2012”, tre grandi foglie di ninfee della famiglia Victoria Regia. Tra le vene dorsali del loro corpo ( la loro materia è quasi una carne vegetale) Di Maggio interviene col bisturi, creando esili, ma decisivi sfondamenti d'aria. Una specie di alleanza di reciproca resistenza per dare forma alla fragilità come fonte di trasformazione e non di debolezza. Ancora un traliccio.
Recenti studi sui voli delle farfalle hanno chiarito lo speciale movimento di questi insetti impollinatori. Quell' andamento svagato che attribuiva loro, e per metafora agli umani, un'estrosa ed incalcolabile traiettoria tra un punto e l'altro, è in realtà legato alla struttura delle ali che trovano la loro estensione attraverso movimenti che non sono compatibili con una direzione lineare tra un punto e l'altro. La simbologia dell'aleatorietà legata a quest'insetto multiforme e multicolore, potrebbe essere in realtà virata nella metafora del procedere dell'esperienza sentimentale e intellettuale, che raramente può sottovalutare le divergenze di rotta.
In “Traiettoria di volo di farfalla #05, 2012”, l’artista traduce il disegno di questo volo pluridirezionale, in una specie di bosco di spilli, che spunta da un pannello bianco, puro, astratto. Pannello e spilli sono gli stessi che usano gli entomologi nella loro ricerca. L'andamento sinuoso ci fa venire in mente una selva, mentre il brillio degli spilli evidenzia il colore oro delle loro capocchie. C'è un che di fiabesco, ma anche di enigmatico. Avvince la bellezza di questo tragitto.
Le farfalle sono un ponte tra le vite, impollinano, predispongono le nascite. C'è dunque qualcosa di molto forte nella somiglianza con gli umani, eppure sono insetti, eppure hanno un corpo diverso, eppure sono state spesso usate come sinonimo dell'eterno femminino.
A questo punto la mostra compie una diversione, il traliccio della realtà prende un'altra strada e un'altra visione, appare nell'interrato della galleria una sua opera storica “Stupro, 2001” che interpreta un dramma tuttora attuale. La ripetizione dei gesti che compongono le figure di ogni lavoro di Elisabetta Di Maggio, si allea con quella di una violenza che non mostra stanchezza nella propria ripetizione. Alcune decine di saponi da bucato di marca Sole sono accostati gli uni agli altri come in un puzzle, su alcuni Di Maggio ha inciso i nomi dei liquidi che si liberano durante uno stupro: Saliva, Sangue, Sudore, Sperma, Urina, Lacrime. Ad ognuno si alterna quello con la parola Sole della marca del sapone.
Quale sapone può lavare questo evento, quale rimozione è possibile? Nessuna. La materia che pulendo la pelle, dovrebbe ripulire l'anima, non esiste. Mentre, l'incisione con il bisturi è quasi didascalica.
Di Maggio ha realizzato questo lavoro nel 2001, lo ripresenta oggi, circa due mesi dopo lo stupro che ha incendiato le piazze in India, ma quanti sono quelli che restano nascosti? Quanti voli di farfalle le donne dovranno compiere perché possano muoversi senza subire la linearità sesso-violenza? Di Maggio ha inserito questo monito all'interno di un verso preso in prestito, Cambio, ma non posso morire. Se, invece che alle nuvole, lo applichiamo alle esperienze emotive, storiche, cultuali degli umani, dobbiamo munirci di un bisturi per estirpare chirurgicamente il negativo dall'opposizione pace/guerra, amore/violenza, ricchezza/povertà. Anche noi, come le farfalle, ci muoviamo in modo complesso, contraddittorio. Non si possono, quindi, fare tagli netti, grossolani. Bisogna scavare al proprio interno, capire dove e quando incidere, come far spazio all'aria per respirare in un altro modo.
Francesca Pasini
Elisabetta Di Maggio was born in Milan, Italy, in 1964. She works and lives in Venice, Italy. / Nasce a Milano nel 1964. Vive e lavora a Venezia
Selected shows since 2005
2012: Dis-Nascere, curated by Angela Vettese, Fondazione Bevilacqua La Masa, Palazzetto Tito, Venice, Italy;
2011: Officina Italia 2 nuova creatività italiana, curated by Renato Barilli, Sala del Baraccano Bologna, ALT Arte Contemporanea Bergamo, Italy; 2010:
Terre Vulnerabili, curated by Chiara Bertola and Andrea Lissoni, Hangar Bicocca, Milan, Italy; Cosa fa la mia anima mentre sto lavorando, curated by Francesca Pasini and Angela Vettese, Museo MAGA Gallarate, Milan, Italy;
2009: Hopes and Doubts, curated by Costantino D’Orazio, the Dome Martyrs Sqare Beirut and Fondazione Merz Torino, Italy;
2008: XV Quadriennale d’ Arte Palazzo delle Esposizioni Roma, Rome, Italy;
2007: Space for your future, curated by Yuko Hasegawa , MOT museum of contemporary art, Tokyo, Japan; Apocalittici e integrati. Ventiquattro artisti italiani, curated by Paolo Colombo, MAXXI, Rome, Italy;
2006: Opere in giardino, curated by Francesca Pasini, Fondazione Remotti, Santa Margherita Ligure;
Il potere delle donne, curated by Luca Beatrice, Caroline Bourgeois, Francesca Pasini, Galleria Civica di Arte Contemporanea, Trento, Italy;
2005: Elisabetta Di Maggio, Viafarini, Milan, Italy, curated by F. Pasini;
Aperto per lavori in corso, curated by Francesca Pasini, PAC Milan, Italy;
Donna Donne, curated by Adelina von Furstemberg, Palazzo Strozzi, Florence, Italy;
Trasparenz, curated by Agnes Kohlmayer, Frauen Museum, Bonn, Germany;
Femme(s), curated by Adelina von Furstenberg, Musee de Carouge, Geneve, Swizerland
The Laura Bulian Gallery is pleased to announce I change but I cannot die, a solo exhibition by Italian artist Elisabetta Di Maggio, which will be inaugurated on Wednesday 6 February.
The title of this exhibition, I change but I cannot die, is taken from "The Cloud", a poem by Percy Bysshe Shelley, and blends intuitively with the idea of art and this artist's work in particular.
The change occurring in her works is brought about by a twin-fold process, the materials used change their properties while the image changes according to light, place and orientation.
In Elisabetta Di Maggio's artworks tissue paper unexpectedly becomes a fundamental strength, the strips adapt to being dried out without crumbling, soaps take on a similarity to wax used in casting, porcelain maintains the same texture as the tissue which vanishes when the kaolin is fired.
In this exhibition there are two great trajectories: on the one hard we have the transposition of the figure in the surgical composition of its sections; on the other the interpretation of figures drawn from the scientific study of the natural environment, such as the flight of butterflies.
In “Wallpaper, 2012”, metres and metres of cut paper tissue, following a pattern that recalls the embroidery and fluorescence of a wild garden, are completely wrapped around the pillar/wall that unites the first and second rooms of the gallery. They recall Shelly's “woof”, the fragile texture of the clouds in the sky mentioned in the poem, but in Elisabetta Di Maggio's hands they become a vortex that thickens within the walls of buildings, very often embodying both change and immutability. This sort of padding makes walls vanish and in their place layers upon layers of embroidery become a fantastic fundamental framework, holding back the texture (trellis) of the day-to-day magma, its repetitions and unforeseeable surprises.
The relationship between nature and internal fibre or network emerges in “Victoria, 2012”, three large waterlily leaves of the Victoria Regia variety. Using a scalpel Di Maggio intervenes amid their dorsal veins (their material is almost a vegetable form of flesh), creating slender yet decisive lacerations for air. It is a sort of alliance of mutual resistance, giving shape to fragility as a source of transformation rather than weakness. A trellis once again.
Recent research into butterfly flight has shed light on the unique movement of these pollinating insects. The apparently aimless motion attributed to them, and metaphorically to humans, described as a whimsical and undefinable path from one point to another, is actually determined by the structure of their wings which are spread through movements that are incompatible with a linear route between any two points. The symbology of uncertainty attributed to this multiform and multicoloured insect could indeed be redirected towards the processes of sentimental and intellectual experience, where changes of direction can rarely be underestimated.
In “Butterfly flight trajectory #05, 2012”, the artist translates this multidirectional flight into a sort of forest of pins protruding from a white, purely abstract panel. Pins and panels are the same instruments used by entomologists in their research. The sinuous flow reminds us of a wood while the sparkle of the pins highlights the golden sheen of their heads. It is something akin to a fairytale, yet it remains enigmatic. We are won over by the beauty of this itinerary.
Butterflies are a bridge between lives; through pollination they are instrumental in births. There is something very strong therefore in this affinity with humans, and yet they are insects, their bodies are different; nevertheless they have often been used as a synonym for the eternal feminine.
At this point the exhibition makes a diversion, the framework of reality shifts to another direction and another vision: one of the artist's historical works, “Rape, 2001”, is exhibited in the basement. It is the interpretation of a drama that remains topical even today. The repetition of gestures, which make up the figures in each work by Elisabetta Di Maggio, make an alliance with a form of violence that shows no signs of tiring in its own repetition. Several dozen bars of laundry soap carrying the brand name Sole (Eng. Sun) are set side by side like a sort of puzzle. On some of these Di Maggio has carved out the names of liquids that are spilled during during an act of rape: Saliva, Blood, Sweat, Sperm, Urine, Tears. Each one alternates with a bar carrying the word Sole: the brand name.
What soap can wash away such an act? What removal would be possible? None. A material that can clean the soul while it cleans the skin does not exist. On the other hand, excision, by means of a scalpel, is almost didactic.
Di Maggio created this work in 2001, she exhibits it again today about two months after a case of rape fired public protests in India. But how many rapes go unreported? How many butterfly flights do women have to undertake until they can move freely without falling victim to the linearity of sexual violence? Di Maggio has inserted this message within the borrowed line I change but I cannot die. If, instead of applying this to a cloud, we apply it to the emotional, historical and cultural experience of humanity, we would need a scalpel to surgically remove the negative connotations from contrasts such as war/peace, love/violence, wealth/poverty. Like butterflies, we too move in a complex and contradictory manner. It is not possible therefore, to make clean, sweeping incisions. We need to dig deep inside, understand where and when to cut, how to make room for the air we need so as to breath in different way.
Francesca Pasini
Elisabetta Di Maggio was born in Milan, Italy, in 1964. She lives and works in Venice, Italy.
Selected shows since 2005
2012: Dis-Nascere, curated by Angela Vettese, Fondazione Bevilacqua La Masa, Palazzetto Tito, Venice, Italy;
2011: Officina Italia 2 nuova creatività italiana, curated by Renato Barilli, Sala del Baraccano Bologna, ALT Arte Contemporanea Bergamo, Italy; 2010:
Terre Vulnerabili, curated by Chiara Bertola and Andrea Lissoni, Hangar Bicocca, Milan, Italy; Cosa fa la mia anima mentre sto lavorando, curated by Francesca Pasini and Angela Vettese, Museo MAGA Gallarate, Milan, Italy;
2009: Hopes and Doubts, curated by Costantino D’Orazio, the Dome, Martyrs Square, Beirut, Lebanon and Fondazione Merz Turin, Italy;
2008: XV Quadriennale d’ Arte Palazzo delle Esposizioni Roma, Rome, Italy;
2007: Space for your future, curated by Yuko Hasegawa , MOT museum of contemporary art, Tokyo, Japan; Apocalittici e integrati. Ventiquattro artisti italiani, curated by Paolo Colombo, MAXXI, Rome, Italy;
2006: Opere in giardino, curated by Francesca Pasini, Fondazione Remotti, Santa Margherita Ligure, Italy;
Il potere delle donne, curated by Luca Beatrice, Caroline Bourgeois, Francesca Pasini, Galleria Civica di Arte Contemporanea, Trento, Italy;
2005: Elisabetta Di Maggio, curated by F. Pasini, Viafarini, Milan, Italy;
Aperto per lavori in corso, curated by Francesca Pasini, PAC Milan, Italy;
Donna Donne, curated by Adelina von Furstemberg, Palazzo Strozzi, Florence, Italy;
Trasparenz, curated by Agnes Kohlmayer, Frauen Museum, Bonn, Germany;
Femme(s), curated by Adelina von Furstenberg, Musee de Carouge, Geneva, Switzerland.
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Amalia di Lanno


STUDIO LA CITTA' presenta la mostra curata da Marco Meneguzzo "rosa piero, rosa tiepolo, rosa spalletti......."



studio la città

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Massimo Nardi

SAN GIROLAMO




Sabato 2 febbraio 2013 alle 18.30 presso la Galleria Comunale Spazio Giovani (Via Venezia, 41 Bari) si inaugura la mostra fotografica “San Girolamo", evento conclusivo del Laboratorio di Fotografia 2012 organizzato dall’Associazione culturale LAB – Laboratorio di Fotografia di Architettura e Paesaggio.
La mostra è il frutto di una campagna fotografica sui quartieri baresi di San Girolamo e Fesca, luoghi strategici nelle politiche di rigenerazione urbana in atto nella città di Bari.
L’Associazione LAB promuove la cultura fotografica attraverso attività didattiche, eventi, esposizioni e progetti fotografici riguardanti il territorio.

Fotografie di:

Annalisa Albrizio
Paolo Anaclerio
Alessandro Buzzerio
Emanuele Clarizio
Gianni D’Amico
Mario De Marco
Andrea Dammacco
Pierangelo Del Mastro
Giovanbattista Dipierro
Filippo Ludovico
Angelo Marzella
Maria Giovanna Papadopoulous
Mariangela Ranieri
 Ricevo e pubblico:
Amalia di Lanno



Berengo Gardin_STORIE DI UN FOTOGRAFO

STORIE DI UN FOTOGRAFO

Casa dei Tre Oci, 1 febbraio – 12 maggio 2013
Giudecca 43, Venezia

Dal 1 Febbraio al 12 Maggio 2013

Orari
Tutti i giorni 10.00 - 19.00
chiuso martedì

Dopo il grande successo della mostra PERSONAL BEST di Elliott Erwitt, la Casa dei Tre Oci presenta, in anteprima internazionale, la retrospettiva di uno dei più grandi fotografi italiani: Gianni Berengo Gardin.
La più completa antologica del maestro. Mostra unica e imperdibile di 130 fotografie, curata da Denis Curti, direttore artistico della casa dei Tre Oci , che lo ha accompagnato attraverso un lungo lavoro tra centinaia di stampe in bianco e nero dell' immenso archivio privato, per rileggere tutti i suoi scatti, compresi quelli inediti o ritrovati.
La mostra è prodotta da Civita Tre Venezie e da Contrasto con il sostegno di Veneto Banca e della Regione Veneto .

Gianni Berengo Gardin considera questa mostra come la più rappresentativa della sua carriera: in parete oltre 130 stampe analogiche che ripercorrono il suo lavoro di reporter e che sono lo speccchio di un autore che ha fatto dell'etica la sua bandiera.
Berengo Gardin ha voluto rivedere tutta la sua produzione, le mostre passate, i libri (oltre 200), le pubblicazioni editoriali (giornali e magazines) per rileggere il tutto con lo sguardo di oggi, per scegliere le immagini che meglio di altre raccontassero la sua storia, una sintesi del suo viaggio da fotografo, dagli esordi all'ultima immagine che ha scattato in digitale, due ragazzi che si baciano per strada.

130 fotografie, che ripercorrono la carriera del grande maestro italiano che più di altri, ha saputo restituire e rinnovare il linguaggio visivo del nostro Paese: Venezia e Milano, i manicomi e la legge Basaglia, la Biennale d'arte di Venezia e gli zingari, il fondamentale reportage intitolato Dentro le case e New York, Vienna, la Gran Bretagna per finire con la straordinaria esperienza con il Touring Club che lo spinge a scoprire gli angoli più reconditi del nostro paese, fino alle fotografie finora rimaste inedite e qui presentate per la prima volta.
Narratore attento alla vita di tutti i giorni, in tutti i suoi molteplici aspetti e nella sua evoluzione, è un autore che ha immortalato la storia d'Italia in oltre un milione di scatti.
Nato negli anni 40, predilige il bianco e nero, non solo per una questione generazionale, ma perché "il colore distrae il fotografo e chi guarda".

Considerato da molti il più rappresentativo fra i fotografi italiani, da quasi cinquant'anni porta avanti, sempre coerente con sé stesso, un importante lavoro d'indagine sociale nella continua ricerca dell'obiettività della comunicazione e della qualità dell'immagine. "E le immagini sono ciò che conta".
La passione per le strade, la gente qualunque incontrata per caso, sorprendenti abbracci rubati al quotidiano: in ogni foto, ciascuno di noi ritrova un po' di se stesso, della sua storia, dei suoi ricordi. Fotografie capaci di evocare vite semplici e preziose, che attraversano campi e piazze, raccontano la storia ed i sentieri sinuosi della vita, sono come archetipi dell'immaginario italiano, ci entra sottopelle e ci diventa subito familiare.
Persone, oggetti, primi piani, monumenti storici. Immagini concrete, mai astratte, ma soprattutto, immagini reali.
Nella fotografia di Gianni Berengo Gardin le figure umane, quando ci sono, raccontano attimi di una vita sospesa, senza tempo, in una tradizione di tranquilli gesti quotidiani che si susseguono giorno dopo giorno.

La Casa dei Tre Oci, splendida testimonianza dell'architettura veneziana di inizio '900 realizzata dall'artista Mario De Maria, è proprietà di Polymnia Venezia, società strumentale della Fondazione di Venezia.
La mostra che, si avvale della collaborazione di Caffé Florian, Molino Stucky, e COOP Adriatica, sarà accompagnata da un catalogo edito da Marsilio Editori, anch'esso curato da Denis Curti.

Fonte: 



Segnala:
Amalia Di Lanno