Margherita Levo Rosenberg
LA FATICA DELLA LUCE
Mostra d’arte contemporanea
a cura di Elio Carmi ed Elisabetta Rota
Dal 18 dicembre 2011
Museo Ebraico di Casale Monferrato
Vicolo Salomone Olper 44
Per info: Casalebraica tel 014271807 - Catalogo in mostra - Website: www.casalebraica.org
Rovistando in una soffitta ho trovato un documento con alcuni versi anonimi in endecasillabi e una miriade di versi della Divina Commedia, barbaramente sparpagliati.
Ho deciso di trasformare il ritrovamento in un’installazione d’arte contemporanea alla quale ho dato il titolo “Se Dante e il vento ed io” – mi piace giocare soprattutto sull’ambiguità di quell’”ed io” che, con un piccolo spostamento di spazio potrebbe diventare “e dio”, ovvero il riferimento ad una forza imponderabile…. – e di condividere con il Museo Ebraico di Casale Monferrato questa scoperta.
Ne è scaturita una mostra – LA FATICA DELLA LUCE - titolo mutuato dall’omonimo candelabro di Chanukkàh, creato per il museo, e che sintetizza sia il sentimento dominante che mi ispira la festa di Chanukkàh - che nella tradizione ebraica rievoca il miracolo della tenuta della luce dopo la minaccia della distruzione del tempio - sia il sentimento ispirato dalla scoperta del terribile scompiglio subito da un’antica e incredibile opera letteraria, talmente rigorosa nei contenuti e nella forma da essere diventata tradizionalmente un paradigma insuperato di struttura letteraria e compendio etico.
Per conferire un nuovo “ordine” allo scompiglio dell’opera dantesca ho trascritto i versi su sottili strisce di pellicole radiografiche trasparenti di colore azzurro grigiastro e li ho raccolti in trentatré fasci che ho progettato in un’installazione secondo la struttura di tre nuove costellazioni, non ancora scoperte al tempo di Dante; Orue, Lodràlo e Gràvia
Fa parte della mostra anche un’opera dal titolo “La selva oscura”, una sorta di cespuglio di pellicole radiografiche blu notte, impressionate di corpi umani,installata all’ingresso, sui due lati della porta, che costringe i visitatori a sfiorarla passandovi nel mezzo.
Penso che questo nostro tempo, minacciato dalla paura e dai suoi fantasmi, abbia bisogno di una riflessione su quanto possa essere facile, nelle difficoltà, perdersi nella “selva oscura”; “perdere il lume” della ragione.
.
Un video evoca l’evento raccontato nella poesia di questa donna sconosciuta che mi ha fatto dono di questi reperti e di questa storia.
Già era notte fonda quando Dante,
temendo quello vento forte scuro,
raggiunse me nel sogno qual viandante
pregandomi dell’ovra por sicuro.
Periglia l’arginar, ch’è sua tragedia,
e l’ordine trovar già fu sì duro,
che regge lo sonar di sua Commedia,
naufraga ‘n mare immenso d’i volgari,
tra tomi titolati contra tedia,
ove piccioli stan per grandi mali.
e l’omo per confuso più non vede
che nove Muse fann’i commensali,
e tutto que’ che legge eguali crede,
tanto li strali fondan dentro ‘l core
che l’omini d’uom cacciator son prede.
Ed io che son del sonno nel torpore
scatto come chi prende gran paura,
vedendo ‘l volto suo di gran dolore,
corro dove si giace in l’erba scura
ma ‘l vento mi precede con talento
tosto perch’io veda esta sciagura.
Ahi quanto dur’è dir dolor ch’i’ sento,
che tutto ‘ntorno vo’ cogliendo versi
e qua e là correndo serbar tento
ma pioggia bagna già tutti dispersi
che son perduti omai di lor sequenza
sperando che non sien per parte persi.
Accorta di servarne la semenza
n’accolgo tanti fasci presto, presto,
pur l’occhio non ne trovi conseguenza.
A voi convien trovar la somma e ‘l resto
While poking around in an attic, I found a document with some hendecasyllabic lines written by an anonymous author and lots of pages of the Divine Comedy, widely scattered all around.
I decided to turn this find into an installation of contemporary art, which I have entitled “Se Dante e il vento ed io” (If Dante, the wind, and I). Playing with the words in Italian, I enjoy an ambiguous transposition from ’”ed io” (meaning “and I”) to “e dio” ( meaning “and God”): a clear reference to an imponderable power….
I’m happy to share this discovery with the Jewish Museum of Casale Monferrato.
An exhibition – LA FATICA DELLA LUCE (THE TOIL OF LIGHT) - came out of it, named after the Chanukkàh lamp-holder carrying the same name and specially designed for the museum. It fuses together the prevailing feeling that Chanukkàh (the miracle of light - according to Jewish tradition - lasting eight days after the threatened destruction of the temple) generates in me, as well as the feeling produced by the horrible mess suffered by an ancient and astounding literary work, whose content and form are so rigorous that it has traditionally become an unrivalled paradigm of literary work and ethical compilation.
To reorganize Dante’s messed up work into a new “order”, I wrote again the lines on thin strips of transparent, light-blue/greysh radiographic films, and bundled them together into thirty-three sheaves. The designed installation follows the structure of three new constellations, not yet discovered at Dante’s time: Orue, Lodràlo, and Gràvia
Also the work entitled “The Dark Wood” is part of the exhibition: it is some sort of bush made of dark blue radiographic films, with human bodies printed on them, and installed right at the entrance, on both sides of the door, forcing visitors to brush past it while walking in.
I believe a reflection is necessary about our times, threatened by fear and its ghosts, on how easily can one get lost in the “dark wood” and “lose the light ” of reason.
A video narrates the event told in the poem by this unknown woman who has given me these finds and the whole story.
Il tempo contingente del “libro”
Elio Carmi
All'inizio dei tempi, Dio vuol discorrere con Adamo. Quando il primo uomo cerca di parlare, il suono che esce dalla sua bocca è un'invocazione: "El”, che in ebraico significa "Dio". La Bibbia, per la verità, non lo racconta, eppure dev'esser andata proprio in questo modo, perché "alla ragione pare assurdo e orrifico che qualcosa sia stato nominato dall'uomo prima di Dio".
Così, nel De vulgari eloquentia, Dante mette in scena il dialogo primordiale che ha dato origine al linguaggio. Con un misto d'invenzione e puntiglio filosofico, il poeta immagina una voce che rompe il silenzio ancora intatto della creazione. La sillaba "El" imprime il sigillo dell'ebraico sulla bocca di Adamo, cosicché Dante può concludere:
"Ebraico fu dunque quell'idea che formarono le labbra del primo parlante".
E’ noto che Dante tornò, nel XXVI canto del Paradiso, su questa sua teoria e ne diede un'altra versione: non più "El" sarebbe stata la prima parola di Adamo, ma una sibillina "I". Il significato dell'enigmatica lettera rimane oscuro, e non vi è prova che anche in questo caso il poeta avesse in mente un sintagma ebraico. Una cosa comunque è certa, e cioè che il rapporto di Dante con la lingua ebraica e il giudaismo è tema che ha inquietato generazioni di filologi.
Il breve brano sopra riportato è di Giulio Busi, straordinario commentatore del mondo ebraico e docente universitario stimato e apprezzato da molti.
C’è un altro testo che ritengo interessante mettere in relazione al lavoro di Margherita Levo Rosenberg. Si tratta di un verso che tutti ricordano e spesso pronunciano senza però conoscere alcuno dei molti tentativi d’interpretazione.
PAPE SATAN, PAPE SATAN ALEPPE
Le interpretazioni date finora al noto verso dantesco non possono soddisfare alcuno, perché nessuna è la vera. Chi dubitò che non avesse senso di sorta ammise implicitamente che l’Alighieri avesse potuto volere, in alcuna circostanza della sua vita, non esprimere niente. I più convennero che la lingua ivi adoperata fosse la cosidetta lingua sacra, l'ebraica; ma non avvalorarono la sana ipotesi con una interpretazione accettata dal comun consenso dei dotti. Ora, che sia ebraica la lingua ivi adoperata, e quale ne debba essere l’interpretazione, credo aver buono argomento per dimostrarlo. Chi entri nel sovrano tempio della cristianità, il San Pietro di Roma, che rappresenta in terra la soglia del Paradiso, sia egli credente o no, si vede accolto da queste profetiche e insieme minacciose parole, scritte ad enormi caratteri sulla circonferenza basilare interna della cupola:
PORTAE INFERI NON PRAEVALEBUNT ADVERSUS EAM.
Sono prese ad imprestito dal Vangelo di Matteo (capo XVI, V. 18): sono la promessa di Cristo, l'anima della indefettibilità della Chiesa. Ora domando io: alla soglia dell'Inferno, e sulla enfiata labbia di Plutone, che è spinto a fare maggiore sfoggio del suo potere dalla presenza del cristiano che s'avanzava, Dante, quali altre parole , se non il rovescio di quelle, avrebbe potuto mettere il poeta, per essere interprete vero e fedele della situazione creatasi nella sua mente? E per vero
Pape Satan, pape Satan aleppe sono, parola per parola, le ebraiche:
Bab e-sciatan, Bab e-sciatan alep; porta Inferi, Porta Inferi praevaluitla porta dell'Inferno, la porta dell'Inferno prevalse.
Pape è la voce caldaica Bab (בב ) cioè porta
Satan è la voce ebraica Sciatan ( שטן ) cioè diavolo.
Aleppe è la voce ebraica Aleb ( ץלב ) cioè prevalere, opprimere.
E-sciatan è il genitivo costrutto della voce ebraica Sciatan, e significa del diavolo.
Lo scrisse il 26 Novembre del 1888, Ernesto Manara sul periodico bimestrale diretto da Giosuè Carducci: Il Propugnatore.
Dante e l’ebraismo sono connessi; molti hanno cercato tra le parole, le interpretazioni, le traduzioni, le commistioni possibili di trovarne una via.
Lo fece anche il rabbino Flaminio Servi, casalese d’adozione, ma nato a Pitigliano nel 1841. Fu anche stimato direttore del ‘Vessillo Israelitico’, il giornale dell’ebraismo italiano, stampato in Casale in via Cavour, che per i curiosi è archiviato e disponibile alla biblioteca civica Giovanni Canna, per eventuali studi e ricerche. Il Servi scrisse anche un libretto dal titolo “Dante e gli Ebrei” e riporto qui un commento del professor Vincenzo Moretti.
La conclusione è che “Dante amava gli Ebrei, né di odiarli aveva ragione alcuna”. Una teoria che appoggiava anche la visione politica di un’epoca in cui gli ebrei cominciavano a far parte della classe dirigente italiana e si sentivano pervasi da autentico amore per una patria che sentivano finalmente propria. Per Flaminio Servi, Dante, libero pensatore (ostile al papato), che colloca in Paradiso anche figure vissute prima di Cristo, “è un patriota e diventa simbolo dell’Italia aperta alle religioni e alla tolleranza”. E' un peccato che la storia del novecento abbia preferito leggere altri libri.
Oggi in questa mostra l’interprete non è uno studioso, un letterato e non è neppure di genere maschile. Ma è una donna, artista, medico e psichiatra.
Come a dire che la scrittura non ha tempo, se non il tempo in cui si trova. Non hanno un tempo la Torah, il Tanach, le Dieci Parole. Ma non ha nessun tempo tutto ciò che noi con buon senso e buone intenzioni intendiamo mettere in relazione con il ‘Libro’, se non il tempo contingente, quello che viviamo.
Il lavoro d’interpretazione, se messo in pubblico, e quindi esposto ad ogni possibile critica, non può che essere positivo. Esporsi è mettersi in relazione con l’Altro e con Altri. Per questo ciò che propone Margherita Levo Rosenberg, è interessante. Perché nel suo esporsi lascia aperta la dimensione della parola e della critica, di chicchessia.
Ciò che l’artista dice di sè è che …produce un suo nesso alla nozione di "cultura" intesa come prodotto strutturato dell'identità (di un individuo e di un popolo nello stesso modo) che fa da nesso e collante tra le generazioni (tradizione) e può essere baluardo alla minaccia, sempre presente, della bestialità umana ma, destrutturabile e camaleontica, può prestarsi ad un impiego perverso, che fa perdere il lume.della ragione. In questo senso la tradizione di Chanukkàh - la luce riaccesa dopo la minaccia di annientamento del Tempio - è un esempio di Struttura Culturale che, indipendentemente dalla fede, aggrega un popolo, anche nelle condizioni più dure, intorno alla prorpia identità. Il lavoro di Dante aggrega intorno alla sua opera un popolo che vi trova, anche a distanza di secoli, un'identità linguistica e culturale.
Questa mostra che prende il titolo LA FATICA DELLA LUCE, richiede quindi anche a noi uno sforzo, ci interpella affinché non si resti passivi, ma si giochi con la luce, le parole i sensi e le sensazioni.
Poi c’è dell’altro, ma sta all’osservatore cercarlo.
Buona fatica.
The Contingent Time of the “book”
Elio Carmi
At the beginning of times, God wanted to speak with Adam. When the first man tried to speak, he uttered an invocation: "El”, which in Hebrew means "God". Although not mentioned in the Bible, it must have gone this way, because "It is manifestly absurd, and an offence against reason, to think that anything should have been named by a human being before God ".
This is how Dante, in his De vulgari eloquentia, stages the primordial dialogue that gave origin to language. With a mix of invention and philosophic determination, Dante imagined a voice breaking the still pristine silence of creation. The syllable "El" affixed the seal of Hebrew on Adam’s mouth, thus allowing Dante to conclude as follows:
"So the Hebrew language was that which the lips of the first speaker moulded".
Dante in his Paradise, Canto XXVI, has dealt with this theory again giving another version: the first word uttered by Adam would no longer be "El", but a sibylline "I". The meaning of this enigmatic letter is obscure, and there is no evidence that the Poet was thinking of a syntagma in Hebrew. One thing is sure, however: Dante’s relationship with Hebrew and Judaism has troubled generations of philologists.
This short excerpt was written by Giulio Busi, an outstanding commentator of the Jewish world and a distinguished university professor.
There is another interesting text I would like to correlate to the work of Margherita Levo Rosenberg. It is a line many remember and often pronounce without knowing any of its many attempted interpretations.
PAPE SATAN, PAPE SATAN ALEPPE
No interpretation given so far to Dante’s renowned line is satisfactory, because none of them is true. Those who suspected that the line had no meaning at all, implied that Alighieri, sometime in his life, might have liked to say nothing. The majority, conversely, thought that the language used in this verse was Hebrew, the holy language. Alas, they failed to support this fitting hypothesis with an interpretation that could be accepted by the common sense of scholars. However, I believe I have a good argument to prove that the language is indeed Hebrew and to rightly interpret it. When entering Saint Peter in Rome - the sovereign temple of Christianity - , which represents the Gates of Paradise on Earth, no matter if you are a believer or not, you will be welcome by prophetic as well as threatening words, written in huge characters along the internal circumference of the dome:
PORTAE INFERI NON PRAEVALEBUNT ADVERSUS EAM.
They quote the Gospel according to Matthew (XVI, V. 18): they are the promise of Christ, the basic tenet of indefectibility of the Church. Now I wonder: on the threshold of Hell, what words, other than the contrary of the above expression, could have Dante put in the bloated mouth of Pluto, who was flaunting his power before the approaching Christian, in order to faithfully interpret what was on his mind? Indeed, Pape Satan, pape Satan aleppe are, word by word, the Hebrew for:
Bab e-sciatan, Bab e-sciatan alep; porta Inferi, Porta Inferi praevaluit: the Gate of Hell, the Gate of Hell prevailed.
Pape is the Caldaic word for Bab (בב ) namely door
Satan is the Hebrew word for Sciatan ( שטן ) namely devil.
Aleppe is the Hebrew word for Aleb ( ץלב ) namely to prevail, to oppress.
E-sciatan is the genitive form of the Hebrew word Sciatan, meaning devil.
This was written by Ernesto Manara back in November 26, 1888, in Il Propugnatore, the periodic bimonthly magazine edited by Giosuè Carducci.
Dante and Judaism are connected; many have tried to identify these likely connections through interpretations, words, and translations.
Even Rabbi Flaminio Servi, a citizen of Casale by adoption, though born in Pitigliano in 1841, did so. He was also the esteemed editor of ‘Vessillo Israelitico’, the journal of Italian Judaism, printed in Casale, in via Cavour. For those who are interested to carry out further studies and investigations, they can still find this journal in the archives of the municipal library Giovanni Canna. Rabbi Servi also wrote a booklet entitled “Dante and the Jews”. A comment about it by Professor Vincenzo Moretti is reported below.
The conclusion is that “Dante loved the Jews, nor had he any reason to hate them”. Such a theory was also supported by the political view of an age when the Jews were just beginning to join the Italian leading class and felt genuine love for a country they were finally perceiving as their own. According to Flaminio Servi, Dante, a free thinker - and hostile to the papacy -, who placed in Paradise also figures who had lived before Christ, “is a patriot, becoming the symbol of a country – Italy - that is opening up to other religions and to tolerance”. It is a pity that the history of the 20th century has preferred to read other books.
In this exhibition today, the interpreter is not a scholar, nor a man of letters, and not even a male by gender: she is, instead, a woman, an artist, a physician, and a psychiatrist.
Which means that books have no time, except for the time when they were written. The Torah, the Tanach, the Ten Words have no time. Actually, what we want to relate to the ‘Book’, with our common sense and our good intentions, also has no time, except for its contingent time, the one we live in.
Any interpretation, when becomes public, hence subject to every sort of criticism, can only be a positive one. Venturing out means establishing a relationship with the Other and the Others. For this reason, Margherita Levo Rosenberg’s proposal is interesting. Because, with her venturing out, she leaves the dimension of words and criticism - no matter by whom - fully open.
What the artist says about herself is that …she produces her own link to the notion of "culture" intended as a structured product of one’s identity (applicable to both a single individual, as well as to an entire people), which functions as a connection and glue between generations (tradition), and can be erected as a barrier against the ever present threat of human brutality. However, culture is like a chameleon and liable to destructuring: it may also lend itself to perverse use, causing the loss of the “Light of Reason”. Hence, the tradition of Chanukkàh – the flame lit again after the threatened destruction of the Temple – is an example of Cultural Structure by which, irrespective of their faith, one people, even when in dire strait conditions, can be aggregated around their own identity. Dante aggregates one people around his work, one people who, even many centuries later, finds their linguistic and cultural identity in it.
Therefore, this exhibition entitled LA FATICA DELLA LUCE (THE TOIL OF LIGHT) demands some effort on our part too, calling on us not to remain passive bystanders, but to play with the light, words, senses, and feelings.
There is also something else to it, but it’s up to observers to find out.
I‘m sure your efforts won’t be lost!
Margherita Levo Rosenberg, La Fatica della Luce....
Elisabetta Rota
Margherita Levo Rosenberg, artista sensibilissima e complessa dietro a un'apparenza di levità giocosa, partecipa alle tradizionali celebrazioni della festa di Chanukkàh della Comunità Israelitica di Casale con una sua personalissima lampada e con una installazione, unite da un titolo di forte valenza simbolica quale è “La fatica della luce”, sintesi intima e profonda del significato della festività per l'autrice, ma carico di valenze polisemantiche e multiculturali. Non bisogna dimenticare infatti che, se Chanukkàh “nella tradizione ebraica rievoca il miracolo della tenuta della luce dopo la minaccia della distruzione del tempio, che è minaccia d’annientamento di un popolo e di un’identità, della luce di una civiltà”, per usare le parole della stessa artista, praticamente per tutti i popoli dell'emisfero settentrionale del nostro pianeta, sin dalla più remota antichità, il mese di dicembre è caratterizzato dalle feste della luce: Hanukka, Natale, Yule, solstizio, S. Lucia, comunque le chiamino le varie culture, in queste celebrazioni l'accensione delle luci prima sostiene e dà forza al sole sempre più debole, poi simboleggia l'ansia, la sorpresa, la felicità e la gratitudine dell'uomo per il graduale, faticoso, ritorno della luce che è prima di tutto vita, germinazione, essenza, un'intuizione inconscia e primordiale, anteriore a qualsiasi religione rivelata; in seguito le culture hanno concettualizzato l'istinto, colmandolo di significati storici e religiosi importantissimi e fondanti, quale è appunto Chanukkàh per la tradizione del popolo ebraico, ma il nucleo rimane, possente e indiviso, leggibile e capace di emozionare anche il laico e l'agnostico.
“La fatica della luce”, unisce poi idealmente la lampada votiva all'installazione “Se Dante e il vento ed io”, quasi come se un'improvvisa illuminazione avesse permesso a Margherita di scoprire il materiale che compone l'opera, ed in effetti come non definire illuminazione il guizzo di genio e di creatività che sottende l'operazione? A partire dall'escamotage letterario del ritrovamento fittizio in una soffitta di strisce di pellicole radiografiche ricoperte di versi della Divina Commedia in ordine sparso, accompagnati da una poesia di autrice sconosciuta, si snoda un percorso articolato e complesso che tocca temi sensibili quali il valore profondo, anche esoterico, della parola, la dialettica eterna tra l'ordine e il caos, la crescita personale e i riti di passaggio che costellano anche la nostra vita di uomini moderni, anche se in maniera molto più inconsapevole, e incontrollabile, rispetto alle società tradizionali. Riti di passaggio innanzitutto perché la Commedia dantesca è per eccellenza un'opera iniziatica e perché per accedere all'installazione bisogna varcare una soglia, frusciante e oscura come la selva e poi dialettica tra ordine e caos, perché le pellicole azzurro grigiastre contenenti i frammenti poetici scompigliati vengono ricomposte in una sorta di ordine, seguendo lo schema di alcune costellazioni non ancora scoperte ai tempi dell'Alighieri, Orue, Lodràlo e Gràvia, una sorta di rinnovato paesaggio mentale dove l'antico si riorganizza e rinasce in un diverso equilibrio e dove la parola, portata da un vento divino, ritrova nuovi significati e si riscopre, ancora una volta, creatrice. Qui entra in scena il gioco di parole del titolo, dove ed io può leggersi e Dio e il tutto rimanda a una tematica profondissima e complessa quale è quella del rapporto tra la parola e l'essere: dal libro della creazione, nero su bianco e bianco su nero dei cabalisti alle speculazioni dei nominalisti medioevali sull'identità di nomi e cose, da Platone a Heidegger, dalle lingue sacre delle varie religioni alla lingua degli uccelli degli alchimisti, dallo sciamanesimo al Cyberpunk sempre la parola ha avuto un rapporto stretto con il piano ontologico, ma non è questa la sede per approfondire ciò che generazioni di filosofi non sono riusciti a definire pienamente, qui ci troviamo di fronte all'arte, e l'arte ,semplicemente, “parla” da sola alla vista e all'anima, con immediatezza, celando tutte le speculazioni logiche e concettuali che la sostengono.
Un video silenzioso accompagna infine questa installazione evocando l'evento raccontato nella poesia ed i frammenti, scompigliati dal vento e salvati dalla pioggia, parlano ancora un linguaggio nuovo....soffermatevi ad ascoltarli e
A voi convien trovar la somma e ‘l resto
Margherita Levo Rosenberg, The Toil of Light....
Elisabetta Rota
Margherita Levo Rosenberg, a highly sensitive and complex artist behind her apparent playful levity, is joining in the celebrations of Chanukkàh with the Jewish Community of Casale with her much personal lamp-holder and with an installation, both of them linked together under a strongly symbolic title: “The Toil of Light”. This title is not only an intimate and deep synthesis of the meaning this festivity has for the author, but it is also charged with polysemantic and multicultural implications. Indeed, quoting the artist herself: “Chanukkàh, in the Jewish tradition, commemorates the miracle of light lasting eight days after the threatened destruction of the temple, which is also a threatened annihilation of one people, of an identity, and of the light of a civilization”. Actually, for all cultures of the Northern Hemisphere, since very ancient times, December has always been characterized by festivities of light: Chanukkàh, Christmas, Yule, the solstice, Santa Lucia. No matter how they are called in the various cultures, in all these celebrations, the kindling of light first of all fortifies and strengthens a weaker sun, but it also symbolizes the surprise, happiness, and gratitude of man for the gradual, weary return of the light, which, prior to any revealed religion, is above all life, germination, essence, unconscious and primordial intuition. Cultures would later conceptualize their instinct, loading it with very important and founding historic and religious implications, just like Chanukkàh in the Jewish tradition. Its powerful and indivisible core, however, is still clearly readable and capable of stirring emotions even in secular and agnostic people.
Further, “The Toil of Light” ideally joins the votive lamp-holder with the installation “If Dante, the wind, and I”. It is as if a sudden illumination had led Margherita to discover the material of which the work is composed. As a matter of fact, what else is the dash of genius and creativity informing the whole operation, other than illumination? A complex and articulated trajectory unravels from the very literary ploy of the fictitious find in an attic of scattered strips of X-ray films with lines from the Divine Comedy, accompanied by a poem by unknown author. It touches upon sensitive issues: the deep, even esoteric value of the word, the eternal dialectics between order and chaos, personal growth, and the rites of passage, which populate also our lives of modern men, although in a more unconscious and uncontrollable way than in traditional societies. First of all the rites of passage: Dante’s Comedy is an initiatory work par excellence, and also because, in order to get near the installation, one has to walk across a rustling and dark threshold, just like the dark wood mentioned by Dante. Dialectics between order and chaos: because the light blue/greysh strips of X-ray films carrying muddled poetic fragments are rearranged back into some sort of order, following the succession of some constellations, not yet discovered at the time of Dante, namely Orue, Lodràlo, and Gràvia. It is some sort of renewed mental passage, where the ancient is reorganized and born again with a different balance, and where the word, blown by a divine wind, comes up with new meanings and realizes, once again, its creative nature. Here, the artist plays with the title words: since ”ed io” (meaning “and I”) can be read as “e dio” (meaning “and God”). It all refers to the profound and complex issue of the relationship between word and Being: from the book of creation, from the Cabalists’ black on white and white on black, to the speculations of medieval nominalists about the identity of names and things, from Plato to Heidegger, from the sacred languages of the various religions to the language of the birds of the Alchemists, from shamanism to Cyberpunk, the word has always enjoyed a close relationship with the ontologic domain. But this is not the time to investigate what generations of philosophers have failed to define fully. Here we are facing art, and art, quite simply, “speaks” for itself to our eyes, our soul, with immediacy, while masking all underlying logic and conceptual speculations.
Finally, a silent video accompanies the installation evoking the event told by the poem, while the fragments scattered by the wind and rescued from the rain, speak a new language once again ...Take your time to listen and
A voi convien trovar la somma e ‘l resto
(Up to thou to find the sum and the rest)
Segnala
Amalia Di Lanno
LA FATICA DELLA LUCE
Mostra d’arte contemporanea
a cura di Elio Carmi ed Elisabetta Rota
Dal 18 dicembre 2011
Museo Ebraico di Casale Monferrato
Vicolo Salomone Olper 44
Per info: Casalebraica tel 014271807 - Catalogo in mostra - Website: www.casalebraica.org
Rovistando in una soffitta ho trovato un documento con alcuni versi anonimi in endecasillabi e una miriade di versi della Divina Commedia, barbaramente sparpagliati.
Ho deciso di trasformare il ritrovamento in un’installazione d’arte contemporanea alla quale ho dato il titolo “Se Dante e il vento ed io” – mi piace giocare soprattutto sull’ambiguità di quell’”ed io” che, con un piccolo spostamento di spazio potrebbe diventare “e dio”, ovvero il riferimento ad una forza imponderabile…. – e di condividere con il Museo Ebraico di Casale Monferrato questa scoperta.
Ne è scaturita una mostra – LA FATICA DELLA LUCE - titolo mutuato dall’omonimo candelabro di Chanukkàh, creato per il museo, e che sintetizza sia il sentimento dominante che mi ispira la festa di Chanukkàh - che nella tradizione ebraica rievoca il miracolo della tenuta della luce dopo la minaccia della distruzione del tempio - sia il sentimento ispirato dalla scoperta del terribile scompiglio subito da un’antica e incredibile opera letteraria, talmente rigorosa nei contenuti e nella forma da essere diventata tradizionalmente un paradigma insuperato di struttura letteraria e compendio etico.
Per conferire un nuovo “ordine” allo scompiglio dell’opera dantesca ho trascritto i versi su sottili strisce di pellicole radiografiche trasparenti di colore azzurro grigiastro e li ho raccolti in trentatré fasci che ho progettato in un’installazione secondo la struttura di tre nuove costellazioni, non ancora scoperte al tempo di Dante; Orue, Lodràlo e Gràvia
Fa parte della mostra anche un’opera dal titolo “La selva oscura”, una sorta di cespuglio di pellicole radiografiche blu notte, impressionate di corpi umani,installata all’ingresso, sui due lati della porta, che costringe i visitatori a sfiorarla passandovi nel mezzo.
Penso che questo nostro tempo, minacciato dalla paura e dai suoi fantasmi, abbia bisogno di una riflessione su quanto possa essere facile, nelle difficoltà, perdersi nella “selva oscura”; “perdere il lume” della ragione.
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Un video evoca l’evento raccontato nella poesia di questa donna sconosciuta che mi ha fatto dono di questi reperti e di questa storia.
Già era notte fonda quando Dante,
temendo quello vento forte scuro,
raggiunse me nel sogno qual viandante
pregandomi dell’ovra por sicuro.
Periglia l’arginar, ch’è sua tragedia,
e l’ordine trovar già fu sì duro,
che regge lo sonar di sua Commedia,
naufraga ‘n mare immenso d’i volgari,
tra tomi titolati contra tedia,
ove piccioli stan per grandi mali.
e l’omo per confuso più non vede
che nove Muse fann’i commensali,
e tutto que’ che legge eguali crede,
tanto li strali fondan dentro ‘l core
che l’omini d’uom cacciator son prede.
Ed io che son del sonno nel torpore
scatto come chi prende gran paura,
vedendo ‘l volto suo di gran dolore,
corro dove si giace in l’erba scura
ma ‘l vento mi precede con talento
tosto perch’io veda esta sciagura.
Ahi quanto dur’è dir dolor ch’i’ sento,
che tutto ‘ntorno vo’ cogliendo versi
e qua e là correndo serbar tento
ma pioggia bagna già tutti dispersi
che son perduti omai di lor sequenza
sperando che non sien per parte persi.
Accorta di servarne la semenza
n’accolgo tanti fasci presto, presto,
pur l’occhio non ne trovi conseguenza.
A voi convien trovar la somma e ‘l resto
While poking around in an attic, I found a document with some hendecasyllabic lines written by an anonymous author and lots of pages of the Divine Comedy, widely scattered all around.
I decided to turn this find into an installation of contemporary art, which I have entitled “Se Dante e il vento ed io” (If Dante, the wind, and I). Playing with the words in Italian, I enjoy an ambiguous transposition from ’”ed io” (meaning “and I”) to “e dio” ( meaning “and God”): a clear reference to an imponderable power….
I’m happy to share this discovery with the Jewish Museum of Casale Monferrato.
An exhibition – LA FATICA DELLA LUCE (THE TOIL OF LIGHT) - came out of it, named after the Chanukkàh lamp-holder carrying the same name and specially designed for the museum. It fuses together the prevailing feeling that Chanukkàh (the miracle of light - according to Jewish tradition - lasting eight days after the threatened destruction of the temple) generates in me, as well as the feeling produced by the horrible mess suffered by an ancient and astounding literary work, whose content and form are so rigorous that it has traditionally become an unrivalled paradigm of literary work and ethical compilation.
To reorganize Dante’s messed up work into a new “order”, I wrote again the lines on thin strips of transparent, light-blue/greysh radiographic films, and bundled them together into thirty-three sheaves. The designed installation follows the structure of three new constellations, not yet discovered at Dante’s time: Orue, Lodràlo, and Gràvia
Also the work entitled “The Dark Wood” is part of the exhibition: it is some sort of bush made of dark blue radiographic films, with human bodies printed on them, and installed right at the entrance, on both sides of the door, forcing visitors to brush past it while walking in.
I believe a reflection is necessary about our times, threatened by fear and its ghosts, on how easily can one get lost in the “dark wood” and “lose the light ” of reason.
A video narrates the event told in the poem by this unknown woman who has given me these finds and the whole story.
Il tempo contingente del “libro”
Elio Carmi
All'inizio dei tempi, Dio vuol discorrere con Adamo. Quando il primo uomo cerca di parlare, il suono che esce dalla sua bocca è un'invocazione: "El”, che in ebraico significa "Dio". La Bibbia, per la verità, non lo racconta, eppure dev'esser andata proprio in questo modo, perché "alla ragione pare assurdo e orrifico che qualcosa sia stato nominato dall'uomo prima di Dio".
Così, nel De vulgari eloquentia, Dante mette in scena il dialogo primordiale che ha dato origine al linguaggio. Con un misto d'invenzione e puntiglio filosofico, il poeta immagina una voce che rompe il silenzio ancora intatto della creazione. La sillaba "El" imprime il sigillo dell'ebraico sulla bocca di Adamo, cosicché Dante può concludere:
"Ebraico fu dunque quell'idea che formarono le labbra del primo parlante".
E’ noto che Dante tornò, nel XXVI canto del Paradiso, su questa sua teoria e ne diede un'altra versione: non più "El" sarebbe stata la prima parola di Adamo, ma una sibillina "I". Il significato dell'enigmatica lettera rimane oscuro, e non vi è prova che anche in questo caso il poeta avesse in mente un sintagma ebraico. Una cosa comunque è certa, e cioè che il rapporto di Dante con la lingua ebraica e il giudaismo è tema che ha inquietato generazioni di filologi.
Il breve brano sopra riportato è di Giulio Busi, straordinario commentatore del mondo ebraico e docente universitario stimato e apprezzato da molti.
C’è un altro testo che ritengo interessante mettere in relazione al lavoro di Margherita Levo Rosenberg. Si tratta di un verso che tutti ricordano e spesso pronunciano senza però conoscere alcuno dei molti tentativi d’interpretazione.
PAPE SATAN, PAPE SATAN ALEPPE
Le interpretazioni date finora al noto verso dantesco non possono soddisfare alcuno, perché nessuna è la vera. Chi dubitò che non avesse senso di sorta ammise implicitamente che l’Alighieri avesse potuto volere, in alcuna circostanza della sua vita, non esprimere niente. I più convennero che la lingua ivi adoperata fosse la cosidetta lingua sacra, l'ebraica; ma non avvalorarono la sana ipotesi con una interpretazione accettata dal comun consenso dei dotti. Ora, che sia ebraica la lingua ivi adoperata, e quale ne debba essere l’interpretazione, credo aver buono argomento per dimostrarlo. Chi entri nel sovrano tempio della cristianità, il San Pietro di Roma, che rappresenta in terra la soglia del Paradiso, sia egli credente o no, si vede accolto da queste profetiche e insieme minacciose parole, scritte ad enormi caratteri sulla circonferenza basilare interna della cupola:
PORTAE INFERI NON PRAEVALEBUNT ADVERSUS EAM.
Sono prese ad imprestito dal Vangelo di Matteo (capo XVI, V. 18): sono la promessa di Cristo, l'anima della indefettibilità della Chiesa. Ora domando io: alla soglia dell'Inferno, e sulla enfiata labbia di Plutone, che è spinto a fare maggiore sfoggio del suo potere dalla presenza del cristiano che s'avanzava, Dante, quali altre parole , se non il rovescio di quelle, avrebbe potuto mettere il poeta, per essere interprete vero e fedele della situazione creatasi nella sua mente? E per vero
Pape Satan, pape Satan aleppe sono, parola per parola, le ebraiche:
Bab e-sciatan, Bab e-sciatan alep; porta Inferi, Porta Inferi praevaluitla porta dell'Inferno, la porta dell'Inferno prevalse.
Pape è la voce caldaica Bab (בב ) cioè porta
Satan è la voce ebraica Sciatan ( שטן ) cioè diavolo.
Aleppe è la voce ebraica Aleb ( ץלב ) cioè prevalere, opprimere.
E-sciatan è il genitivo costrutto della voce ebraica Sciatan, e significa del diavolo.
Lo scrisse il 26 Novembre del 1888, Ernesto Manara sul periodico bimestrale diretto da Giosuè Carducci: Il Propugnatore.
Dante e l’ebraismo sono connessi; molti hanno cercato tra le parole, le interpretazioni, le traduzioni, le commistioni possibili di trovarne una via.
Lo fece anche il rabbino Flaminio Servi, casalese d’adozione, ma nato a Pitigliano nel 1841. Fu anche stimato direttore del ‘Vessillo Israelitico’, il giornale dell’ebraismo italiano, stampato in Casale in via Cavour, che per i curiosi è archiviato e disponibile alla biblioteca civica Giovanni Canna, per eventuali studi e ricerche. Il Servi scrisse anche un libretto dal titolo “Dante e gli Ebrei” e riporto qui un commento del professor Vincenzo Moretti.
La conclusione è che “Dante amava gli Ebrei, né di odiarli aveva ragione alcuna”. Una teoria che appoggiava anche la visione politica di un’epoca in cui gli ebrei cominciavano a far parte della classe dirigente italiana e si sentivano pervasi da autentico amore per una patria che sentivano finalmente propria. Per Flaminio Servi, Dante, libero pensatore (ostile al papato), che colloca in Paradiso anche figure vissute prima di Cristo, “è un patriota e diventa simbolo dell’Italia aperta alle religioni e alla tolleranza”. E' un peccato che la storia del novecento abbia preferito leggere altri libri.
Oggi in questa mostra l’interprete non è uno studioso, un letterato e non è neppure di genere maschile. Ma è una donna, artista, medico e psichiatra.
Come a dire che la scrittura non ha tempo, se non il tempo in cui si trova. Non hanno un tempo la Torah, il Tanach, le Dieci Parole. Ma non ha nessun tempo tutto ciò che noi con buon senso e buone intenzioni intendiamo mettere in relazione con il ‘Libro’, se non il tempo contingente, quello che viviamo.
Il lavoro d’interpretazione, se messo in pubblico, e quindi esposto ad ogni possibile critica, non può che essere positivo. Esporsi è mettersi in relazione con l’Altro e con Altri. Per questo ciò che propone Margherita Levo Rosenberg, è interessante. Perché nel suo esporsi lascia aperta la dimensione della parola e della critica, di chicchessia.
Ciò che l’artista dice di sè è che …produce un suo nesso alla nozione di "cultura" intesa come prodotto strutturato dell'identità (di un individuo e di un popolo nello stesso modo) che fa da nesso e collante tra le generazioni (tradizione) e può essere baluardo alla minaccia, sempre presente, della bestialità umana ma, destrutturabile e camaleontica, può prestarsi ad un impiego perverso, che fa perdere il lume.della ragione. In questo senso la tradizione di Chanukkàh - la luce riaccesa dopo la minaccia di annientamento del Tempio - è un esempio di Struttura Culturale che, indipendentemente dalla fede, aggrega un popolo, anche nelle condizioni più dure, intorno alla prorpia identità. Il lavoro di Dante aggrega intorno alla sua opera un popolo che vi trova, anche a distanza di secoli, un'identità linguistica e culturale.
Questa mostra che prende il titolo LA FATICA DELLA LUCE, richiede quindi anche a noi uno sforzo, ci interpella affinché non si resti passivi, ma si giochi con la luce, le parole i sensi e le sensazioni.
Poi c’è dell’altro, ma sta all’osservatore cercarlo.
Buona fatica.
The Contingent Time of the “book”
Elio Carmi
At the beginning of times, God wanted to speak with Adam. When the first man tried to speak, he uttered an invocation: "El”, which in Hebrew means "God". Although not mentioned in the Bible, it must have gone this way, because "It is manifestly absurd, and an offence against reason, to think that anything should have been named by a human being before God ".
This is how Dante, in his De vulgari eloquentia, stages the primordial dialogue that gave origin to language. With a mix of invention and philosophic determination, Dante imagined a voice breaking the still pristine silence of creation. The syllable "El" affixed the seal of Hebrew on Adam’s mouth, thus allowing Dante to conclude as follows:
"So the Hebrew language was that which the lips of the first speaker moulded".
Dante in his Paradise, Canto XXVI, has dealt with this theory again giving another version: the first word uttered by Adam would no longer be "El", but a sibylline "I". The meaning of this enigmatic letter is obscure, and there is no evidence that the Poet was thinking of a syntagma in Hebrew. One thing is sure, however: Dante’s relationship with Hebrew and Judaism has troubled generations of philologists.
This short excerpt was written by Giulio Busi, an outstanding commentator of the Jewish world and a distinguished university professor.
There is another interesting text I would like to correlate to the work of Margherita Levo Rosenberg. It is a line many remember and often pronounce without knowing any of its many attempted interpretations.
PAPE SATAN, PAPE SATAN ALEPPE
No interpretation given so far to Dante’s renowned line is satisfactory, because none of them is true. Those who suspected that the line had no meaning at all, implied that Alighieri, sometime in his life, might have liked to say nothing. The majority, conversely, thought that the language used in this verse was Hebrew, the holy language. Alas, they failed to support this fitting hypothesis with an interpretation that could be accepted by the common sense of scholars. However, I believe I have a good argument to prove that the language is indeed Hebrew and to rightly interpret it. When entering Saint Peter in Rome - the sovereign temple of Christianity - , which represents the Gates of Paradise on Earth, no matter if you are a believer or not, you will be welcome by prophetic as well as threatening words, written in huge characters along the internal circumference of the dome:
PORTAE INFERI NON PRAEVALEBUNT ADVERSUS EAM.
They quote the Gospel according to Matthew (XVI, V. 18): they are the promise of Christ, the basic tenet of indefectibility of the Church. Now I wonder: on the threshold of Hell, what words, other than the contrary of the above expression, could have Dante put in the bloated mouth of Pluto, who was flaunting his power before the approaching Christian, in order to faithfully interpret what was on his mind? Indeed, Pape Satan, pape Satan aleppe are, word by word, the Hebrew for:
Bab e-sciatan, Bab e-sciatan alep; porta Inferi, Porta Inferi praevaluit: the Gate of Hell, the Gate of Hell prevailed.
Pape is the Caldaic word for Bab (בב ) namely door
Satan is the Hebrew word for Sciatan ( שטן ) namely devil.
Aleppe is the Hebrew word for Aleb ( ץלב ) namely to prevail, to oppress.
E-sciatan is the genitive form of the Hebrew word Sciatan, meaning devil.
This was written by Ernesto Manara back in November 26, 1888, in Il Propugnatore, the periodic bimonthly magazine edited by Giosuè Carducci.
Dante and Judaism are connected; many have tried to identify these likely connections through interpretations, words, and translations.
Even Rabbi Flaminio Servi, a citizen of Casale by adoption, though born in Pitigliano in 1841, did so. He was also the esteemed editor of ‘Vessillo Israelitico’, the journal of Italian Judaism, printed in Casale, in via Cavour. For those who are interested to carry out further studies and investigations, they can still find this journal in the archives of the municipal library Giovanni Canna. Rabbi Servi also wrote a booklet entitled “Dante and the Jews”. A comment about it by Professor Vincenzo Moretti is reported below.
The conclusion is that “Dante loved the Jews, nor had he any reason to hate them”. Such a theory was also supported by the political view of an age when the Jews were just beginning to join the Italian leading class and felt genuine love for a country they were finally perceiving as their own. According to Flaminio Servi, Dante, a free thinker - and hostile to the papacy -, who placed in Paradise also figures who had lived before Christ, “is a patriot, becoming the symbol of a country – Italy - that is opening up to other religions and to tolerance”. It is a pity that the history of the 20th century has preferred to read other books.
In this exhibition today, the interpreter is not a scholar, nor a man of letters, and not even a male by gender: she is, instead, a woman, an artist, a physician, and a psychiatrist.
Which means that books have no time, except for the time when they were written. The Torah, the Tanach, the Ten Words have no time. Actually, what we want to relate to the ‘Book’, with our common sense and our good intentions, also has no time, except for its contingent time, the one we live in.
Any interpretation, when becomes public, hence subject to every sort of criticism, can only be a positive one. Venturing out means establishing a relationship with the Other and the Others. For this reason, Margherita Levo Rosenberg’s proposal is interesting. Because, with her venturing out, she leaves the dimension of words and criticism - no matter by whom - fully open.
What the artist says about herself is that …she produces her own link to the notion of "culture" intended as a structured product of one’s identity (applicable to both a single individual, as well as to an entire people), which functions as a connection and glue between generations (tradition), and can be erected as a barrier against the ever present threat of human brutality. However, culture is like a chameleon and liable to destructuring: it may also lend itself to perverse use, causing the loss of the “Light of Reason”. Hence, the tradition of Chanukkàh – the flame lit again after the threatened destruction of the Temple – is an example of Cultural Structure by which, irrespective of their faith, one people, even when in dire strait conditions, can be aggregated around their own identity. Dante aggregates one people around his work, one people who, even many centuries later, finds their linguistic and cultural identity in it.
Therefore, this exhibition entitled LA FATICA DELLA LUCE (THE TOIL OF LIGHT) demands some effort on our part too, calling on us not to remain passive bystanders, but to play with the light, words, senses, and feelings.
There is also something else to it, but it’s up to observers to find out.
I‘m sure your efforts won’t be lost!
Margherita Levo Rosenberg, La Fatica della Luce....
Elisabetta Rota
Margherita Levo Rosenberg, artista sensibilissima e complessa dietro a un'apparenza di levità giocosa, partecipa alle tradizionali celebrazioni della festa di Chanukkàh della Comunità Israelitica di Casale con una sua personalissima lampada e con una installazione, unite da un titolo di forte valenza simbolica quale è “La fatica della luce”, sintesi intima e profonda del significato della festività per l'autrice, ma carico di valenze polisemantiche e multiculturali. Non bisogna dimenticare infatti che, se Chanukkàh “nella tradizione ebraica rievoca il miracolo della tenuta della luce dopo la minaccia della distruzione del tempio, che è minaccia d’annientamento di un popolo e di un’identità, della luce di una civiltà”, per usare le parole della stessa artista, praticamente per tutti i popoli dell'emisfero settentrionale del nostro pianeta, sin dalla più remota antichità, il mese di dicembre è caratterizzato dalle feste della luce: Hanukka, Natale, Yule, solstizio, S. Lucia, comunque le chiamino le varie culture, in queste celebrazioni l'accensione delle luci prima sostiene e dà forza al sole sempre più debole, poi simboleggia l'ansia, la sorpresa, la felicità e la gratitudine dell'uomo per il graduale, faticoso, ritorno della luce che è prima di tutto vita, germinazione, essenza, un'intuizione inconscia e primordiale, anteriore a qualsiasi religione rivelata; in seguito le culture hanno concettualizzato l'istinto, colmandolo di significati storici e religiosi importantissimi e fondanti, quale è appunto Chanukkàh per la tradizione del popolo ebraico, ma il nucleo rimane, possente e indiviso, leggibile e capace di emozionare anche il laico e l'agnostico.
“La fatica della luce”, unisce poi idealmente la lampada votiva all'installazione “Se Dante e il vento ed io”, quasi come se un'improvvisa illuminazione avesse permesso a Margherita di scoprire il materiale che compone l'opera, ed in effetti come non definire illuminazione il guizzo di genio e di creatività che sottende l'operazione? A partire dall'escamotage letterario del ritrovamento fittizio in una soffitta di strisce di pellicole radiografiche ricoperte di versi della Divina Commedia in ordine sparso, accompagnati da una poesia di autrice sconosciuta, si snoda un percorso articolato e complesso che tocca temi sensibili quali il valore profondo, anche esoterico, della parola, la dialettica eterna tra l'ordine e il caos, la crescita personale e i riti di passaggio che costellano anche la nostra vita di uomini moderni, anche se in maniera molto più inconsapevole, e incontrollabile, rispetto alle società tradizionali. Riti di passaggio innanzitutto perché la Commedia dantesca è per eccellenza un'opera iniziatica e perché per accedere all'installazione bisogna varcare una soglia, frusciante e oscura come la selva e poi dialettica tra ordine e caos, perché le pellicole azzurro grigiastre contenenti i frammenti poetici scompigliati vengono ricomposte in una sorta di ordine, seguendo lo schema di alcune costellazioni non ancora scoperte ai tempi dell'Alighieri, Orue, Lodràlo e Gràvia, una sorta di rinnovato paesaggio mentale dove l'antico si riorganizza e rinasce in un diverso equilibrio e dove la parola, portata da un vento divino, ritrova nuovi significati e si riscopre, ancora una volta, creatrice. Qui entra in scena il gioco di parole del titolo, dove ed io può leggersi e Dio e il tutto rimanda a una tematica profondissima e complessa quale è quella del rapporto tra la parola e l'essere: dal libro della creazione, nero su bianco e bianco su nero dei cabalisti alle speculazioni dei nominalisti medioevali sull'identità di nomi e cose, da Platone a Heidegger, dalle lingue sacre delle varie religioni alla lingua degli uccelli degli alchimisti, dallo sciamanesimo al Cyberpunk sempre la parola ha avuto un rapporto stretto con il piano ontologico, ma non è questa la sede per approfondire ciò che generazioni di filosofi non sono riusciti a definire pienamente, qui ci troviamo di fronte all'arte, e l'arte ,semplicemente, “parla” da sola alla vista e all'anima, con immediatezza, celando tutte le speculazioni logiche e concettuali che la sostengono.
Un video silenzioso accompagna infine questa installazione evocando l'evento raccontato nella poesia ed i frammenti, scompigliati dal vento e salvati dalla pioggia, parlano ancora un linguaggio nuovo....soffermatevi ad ascoltarli e
A voi convien trovar la somma e ‘l resto
Margherita Levo Rosenberg, The Toil of Light....
Elisabetta Rota
Margherita Levo Rosenberg, a highly sensitive and complex artist behind her apparent playful levity, is joining in the celebrations of Chanukkàh with the Jewish Community of Casale with her much personal lamp-holder and with an installation, both of them linked together under a strongly symbolic title: “The Toil of Light”. This title is not only an intimate and deep synthesis of the meaning this festivity has for the author, but it is also charged with polysemantic and multicultural implications. Indeed, quoting the artist herself: “Chanukkàh, in the Jewish tradition, commemorates the miracle of light lasting eight days after the threatened destruction of the temple, which is also a threatened annihilation of one people, of an identity, and of the light of a civilization”. Actually, for all cultures of the Northern Hemisphere, since very ancient times, December has always been characterized by festivities of light: Chanukkàh, Christmas, Yule, the solstice, Santa Lucia. No matter how they are called in the various cultures, in all these celebrations, the kindling of light first of all fortifies and strengthens a weaker sun, but it also symbolizes the surprise, happiness, and gratitude of man for the gradual, weary return of the light, which, prior to any revealed religion, is above all life, germination, essence, unconscious and primordial intuition. Cultures would later conceptualize their instinct, loading it with very important and founding historic and religious implications, just like Chanukkàh in the Jewish tradition. Its powerful and indivisible core, however, is still clearly readable and capable of stirring emotions even in secular and agnostic people.
Further, “The Toil of Light” ideally joins the votive lamp-holder with the installation “If Dante, the wind, and I”. It is as if a sudden illumination had led Margherita to discover the material of which the work is composed. As a matter of fact, what else is the dash of genius and creativity informing the whole operation, other than illumination? A complex and articulated trajectory unravels from the very literary ploy of the fictitious find in an attic of scattered strips of X-ray films with lines from the Divine Comedy, accompanied by a poem by unknown author. It touches upon sensitive issues: the deep, even esoteric value of the word, the eternal dialectics between order and chaos, personal growth, and the rites of passage, which populate also our lives of modern men, although in a more unconscious and uncontrollable way than in traditional societies. First of all the rites of passage: Dante’s Comedy is an initiatory work par excellence, and also because, in order to get near the installation, one has to walk across a rustling and dark threshold, just like the dark wood mentioned by Dante. Dialectics between order and chaos: because the light blue/greysh strips of X-ray films carrying muddled poetic fragments are rearranged back into some sort of order, following the succession of some constellations, not yet discovered at the time of Dante, namely Orue, Lodràlo, and Gràvia. It is some sort of renewed mental passage, where the ancient is reorganized and born again with a different balance, and where the word, blown by a divine wind, comes up with new meanings and realizes, once again, its creative nature. Here, the artist plays with the title words: since ”ed io” (meaning “and I”) can be read as “e dio” (meaning “and God”). It all refers to the profound and complex issue of the relationship between word and Being: from the book of creation, from the Cabalists’ black on white and white on black, to the speculations of medieval nominalists about the identity of names and things, from Plato to Heidegger, from the sacred languages of the various religions to the language of the birds of the Alchemists, from shamanism to Cyberpunk, the word has always enjoyed a close relationship with the ontologic domain. But this is not the time to investigate what generations of philosophers have failed to define fully. Here we are facing art, and art, quite simply, “speaks” for itself to our eyes, our soul, with immediacy, while masking all underlying logic and conceptual speculations.
Finally, a silent video accompanies the installation evoking the event told by the poem, while the fragments scattered by the wind and rescued from the rain, speak a new language once again ...Take your time to listen and
A voi convien trovar la somma e ‘l resto
(Up to thou to find the sum and the rest)
Segnala
Amalia Di Lanno