Ph. Emilio Tremolada
Tarshito - Vasi Comunicanti
a cura di/by Silvana Annicchiarico
21 ottobre – 30 novembre 2014
October 21st – November 30th 2014
Triennale di Milano – Triennale DesignCafè
Il pieno e il vuoto
Silvana Annicchiarico
Progettare vasi significa, prima di tutto, tracciare confini al vuoto. Significa disegnare strutture destinate a contenere. Un vaso indica una disponibilità, un’offerta di accoglienza: è un dispositivo relazionale che si offre – proprio perché ontologicamente vuoto – a essere riempito da qualcosa di altro da sé.
Forse è per questo che i vasi occupano un posto così centrale nel lavoro e nella produzione di Tarshito (nome che in sanscrito significa“sete di conoscenza interiore”): perché si aprono all’altro e lo accolgono. Gli prestano una forma. Come dice una frase dell’amatissimo Lao-Tzu: “Plasmiamo la creta per formare un vaso, ma è il vuoto centrale che rende utile il recipiente”. Il percorso di ricerca di Tarshito, che si muove da sempre al crocevia di culture e di pratiche diverse (oriente e occidente, arte e artigianato, materia e spirito) trova nel vaso una forma a suo modo paradigmatica, e ne fa uno di quegli oggetti così radicati nella loro materialità (nella creta, nella terracotta, nella ceramica…) da riuscire a suggerire anche il loro legame con la dimensione del sacro. Come faceva del resto l’antica arte bizantina da cui Tarshito oggettivamente proviene. L’India e l’idea di design come meditazione vengono dopo: prima, nelle forme e nelle luci dei suoi oggetti, nelle curve e negli ori di questi vasi, c’è la traccia mnestica di una civiltà-crogiolo che lavorava sull’amalgama fra sacro e profano. Tarshito viene da lì, dalla Puglia levantina e bizantina. Lì sono le sue radici, li si è formato. Cioè ha preso forma. Come un vaso. Che poi si è fatto e si fa riempire dal mondo.
Full and empty
Silvana Annicchiarico
Designing vases means, first and foremost, tracing boundaries around emptiness. It means designing structures that are made to hold something. A vase stands for something available, for the will to receive something: it is a relational device that lends itself – just because it is metaphysically empty – to be filled with something that is not itself. Maybe that’s why vases take such a central place in the work and creations of Tarshito (the Sanskrit for “longing for inner knowledge”): because they open up to otherness and take it in. They lend it a shape. As the beloved Lao-Tzu used to say: “Clay is fashioned into vessels, but it is on their empty hollowness that their use depends”. In Tarshito, who always moves at the crossroads of different cultures and practices (East and West, arts and crafts, matter and spirit), the research process finds in the vase a shape that is somewhat paradigmatic and turns it into one of those items that are so deeply rooted into their own matter (in clay, terracotta, ceramics…) that they can even hint at their bond with the dimension of holiness. That was after all the common practice, in the ancient Byzantine art that Tarshito objectively comes from. India and the idea of design as meditation come after that: before that, in the shapes and lights of his objects, in the curves and gildings of these vases, there is the mnestic trace of a melting pot-society that used to work on the amalgam between the sacred and the profane. Tarshito comes from there, from Levantine and Byzantine Puglia. His roots are there, he was raised there. Which means, he took shape there. Like a vase. Which then let itself be filled up by the world, and still does.
*********************************************************************
Speciale Tarshito
strada Torre di Mizzo, 27
70126 Mungivacca-Bari-Italy
Per arrivare: S.S. 100, Uscita Mungivacca Stazione, attraversare i binari, 50metri a destra
tel: +39 080 5484699
mob: +39 3355341129
mail: info@tarshito.com
a cura di/by Silvana Annicchiarico
21 ottobre – 30 novembre 2014
October 21st – November 30th 2014
Triennale di Milano – Triennale DesignCafè
Il pieno e il vuoto
Silvana Annicchiarico
Progettare vasi significa, prima di tutto, tracciare confini al vuoto. Significa disegnare strutture destinate a contenere. Un vaso indica una disponibilità, un’offerta di accoglienza: è un dispositivo relazionale che si offre – proprio perché ontologicamente vuoto – a essere riempito da qualcosa di altro da sé.
Forse è per questo che i vasi occupano un posto così centrale nel lavoro e nella produzione di Tarshito (nome che in sanscrito significa“sete di conoscenza interiore”): perché si aprono all’altro e lo accolgono. Gli prestano una forma. Come dice una frase dell’amatissimo Lao-Tzu: “Plasmiamo la creta per formare un vaso, ma è il vuoto centrale che rende utile il recipiente”. Il percorso di ricerca di Tarshito, che si muove da sempre al crocevia di culture e di pratiche diverse (oriente e occidente, arte e artigianato, materia e spirito) trova nel vaso una forma a suo modo paradigmatica, e ne fa uno di quegli oggetti così radicati nella loro materialità (nella creta, nella terracotta, nella ceramica…) da riuscire a suggerire anche il loro legame con la dimensione del sacro. Come faceva del resto l’antica arte bizantina da cui Tarshito oggettivamente proviene. L’India e l’idea di design come meditazione vengono dopo: prima, nelle forme e nelle luci dei suoi oggetti, nelle curve e negli ori di questi vasi, c’è la traccia mnestica di una civiltà-crogiolo che lavorava sull’amalgama fra sacro e profano. Tarshito viene da lì, dalla Puglia levantina e bizantina. Lì sono le sue radici, li si è formato. Cioè ha preso forma. Come un vaso. Che poi si è fatto e si fa riempire dal mondo.
Full and empty
Silvana Annicchiarico
Designing vases means, first and foremost, tracing boundaries around emptiness. It means designing structures that are made to hold something. A vase stands for something available, for the will to receive something: it is a relational device that lends itself – just because it is metaphysically empty – to be filled with something that is not itself. Maybe that’s why vases take such a central place in the work and creations of Tarshito (the Sanskrit for “longing for inner knowledge”): because they open up to otherness and take it in. They lend it a shape. As the beloved Lao-Tzu used to say: “Clay is fashioned into vessels, but it is on their empty hollowness that their use depends”. In Tarshito, who always moves at the crossroads of different cultures and practices (East and West, arts and crafts, matter and spirit), the research process finds in the vase a shape that is somewhat paradigmatic and turns it into one of those items that are so deeply rooted into their own matter (in clay, terracotta, ceramics…) that they can even hint at their bond with the dimension of holiness. That was after all the common practice, in the ancient Byzantine art that Tarshito objectively comes from. India and the idea of design as meditation come after that: before that, in the shapes and lights of his objects, in the curves and gildings of these vases, there is the mnestic trace of a melting pot-society that used to work on the amalgam between the sacred and the profane. Tarshito comes from there, from Levantine and Byzantine Puglia. His roots are there, he was raised there. Which means, he took shape there. Like a vase. Which then let itself be filled up by the world, and still does.
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Speciale Tarshito
strada Torre di Mizzo, 27
70126 Mungivacca-Bari-Italy
Per arrivare: S.S. 100, Uscita Mungivacca Stazione, attraversare i binari, 50metri a destra
tel: +39 080 5484699
mob: +39 3355341129
mail: info@tarshito.com
ricevo e pubblico:
amalia di Lanno