Ritorno a Milano. La mostra attraverso un corpus di circa 120 opere riscopre il percorso artistico e la vita del pittore dall'infanzia, trascorsa nella vivace Milano post-unitaria, al trasferimento tra le montagne dell'Engadina, uno degli ultimi incontaminati paradisi naturalistici.
COMUNICATO STAMPA
a cura di Annie-Paule Quinsac
Un ideale ritorno a Milano, città che fu per Segantini finestra fondamentale sul panorama dell’arte europea.
Artista di straordinaria notorietà in vita, dimenticato e poi riscoperto dalla critica italiana e internazionale in varie fasi del Novecento, Giovanni Segantini è il protagonista della grande mostra antologica prodotta per il prossimo autunno da Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e Skira editore in collaborazione con Fondazione Antonio Mazzotta.
La mostra partecipa a Milano Cuore d’Europa, il palinsesto culturale multidisciplinare dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all'identità europea della nostra città anche attraverso le figure e i movimenti che, con la propria storia e la propria produzione artistica, hanno contribuito a costruirne la cittadinanza europea e la dimensione culturale.
“Il cuore dell’attività di Giovanni Segantini si è sviluppata a Milano – afferma l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno - dove il suo status di ‘cittadino di frontiera’ gli ha permesso di spaziare con libertà intellettuale e artistica attraverso le diverse tendenze pittoriche e culturali dell’epoca. Per questo motivo siamo molto lieti di ospitare le sue opere a Palazzo Reale nella più grande mostra a lui dedicata in Italia, nella quale non solo ritroveremo i suoi quadri più noti, come le sue straordinarie nature morte oppure i navigli milanesi dei suoi esordi, ma anche molti dipinti che non sono mai stati esposti nella nostra città. Un grande artista, molto noto in vita, la cui pittura è stato un punto di riferimento per i maggiori pittori delle avanguardie europee, la cui fama, però, è stata offuscata durante il fascismo a causa dell’isolamento culturale di cui ai tempi ha sofferto il nostro paese ”.
Curata da Annie-Paule Quinsac, autrice del catalogo ragionato e maggior esperta di Segantini, a cui ha dedicato quasi mezzo secolo di studi e otto mostre in tutto il mondo, e da Diana Segantini, pronipote dell’artista e già curatrice della esposizione tenutasi alla Fondazione Beyeler nel 2011, la mostra presenta per la prima volta a Milano oltre 120 opere da importanti musei e collezioni private europee e statunitensi, divise in otto sezioni, ciascuna delle quali dedicata a un aspetto dell’arte di Segantini e rappresentata da alcuni dei maggiori capolavori del grande artista, di cui molti mai esposti in Italia o esposti oltre un secolo fa. Scopo della rassegna è offrire al grande pubblico e agli studiosi la panoramica più completa dell’opera di Segantini e farlo così scoprire, o riscoprire, nella sua straordinaria arte.
Milano è centrale nella breve e intensa vicenda dell’artista che, nato ad Arco di Trento nel 1858, allora “terra irredenta” posta sotto il dominio dell’Impero Asburgico, muore quarantunenne nel 1899 in Engadina. Segantini ritenne sempre sua patria l’Italia, anche se, persa la cittadinanza austriaca, non riuscirà per questioni burocratiche legate al mancato servizio di leva prestato per l’Austria, ad ottenere cittadinanza e passaporto italiani. Si troverà così in una situazione quasi da “apolide”, che non gli permetterà una libera circolazione all’estero, e quindi di intraprendere quei viaggi tanto necessari alla formazione di ogni artista.
A Milano arriva nel 1865 a sette anni e se ne andrà nel 1881 per trasferirsi prima in Brianza e poi in Svizzera, a Savognino e poi in Engadina. Resta dunque nel capoluogo lombardo diciassette anni, fondamentali per lo sviluppo della sua carriera artistica e per la sua fortuna di artista. Milano rimarrà il fulcro della parabola segantiniana, la perenne finestra sul mondo dell’arte.
Il percorso della mostra si apre con una sezione introduttiva di documenti, fotografie, lettere, libri, il busto di Segantini eseguito da Paolo Troubetzkoy e quello giovanile di Emilio Quadrelli, il ritratto di Segantini sul letto di morte, acquarello di Giovanni Giacometti, suo amico fraterno e padre del celebre scultore Alberto. Segue una sezione preliminare con quasi tutti gli autoritratti di Segantini, che permettono di percepire l’evoluzione dall’immagine “realistica” che il pittore dà di se stesso nell’Autoritratto all’età di vent’anni (1879-1880), alla progressiva trasformazione simbolista in icona bizantina, nel carboncino su tela del 1895.
Milano, come abbiamo visto, è centrale nella vita e nell’opera del maestro, è il luogo dove Segantini preferisce esporre, dove ha sede la galleria Grubicy che, tramite Vittore prima e Alberto poi, lo sostiene e lo introduce alla borghesia illuminata lombarda, facendogli conoscere, attraverso pubblicazioni e riproduzioni, la maggiore arte contemporanea europea: da Millet, cui sarà spesso accostato, alla Scuola di Barbizon sino alla scuola olandese che ne deriva. A Milano assimila le nuove tendenze artistiche, dapprima la Scapigliatura, poi il Divisionismo, di cui sarà considerato il corifeo, sino al Simbolismo, che rielaborerà in modo personalissimo e visionario. Tuttavia, alla città stessa Segantini dedica pochi lavori, tutti presenti in mostra nella I sezione Gli esordi come Il coro di Sant’Antonio (1879) o gli scorci cittadini quali Il Naviglio sotto la neve (1879-1880), Ritratto di donna in Via San Marco (1880), Nevicata sul Naviglio (1880 circa), Il Naviglio a Ponte San Marco (1880), rimanendo estraneo alla rinascita di quella poetica urbana che genera una vera e propria iconografia della città in trasformazione. In questa sezione introduttiva della mostra viene presentato il dittico I pittori di una volta, I pittori di oggi, la cui prima parte, disgiunta da Vittore Grubicy dopo la mostra del 1883 e non più esposta, è stata ritrovata di recente. Segantini resta comunque dal 1886 un outsider rispetto alla cultura milanese, comunque determinante nelle sue scelte di artista e di uomo e della quale influenza gli sviluppi: “Una posizione in bilico – spiega Quinsac nel suo saggio in catalogo – la cui peculiarità ha originato gli equivoci del Novecento, spiazzando la fortuna critica, comunque spezzettata tra tre paesi, Italia, Austria e Svizzera, che tuttora se lo contendono”.
Nato poverissimo e orfano, compie il suo apprendistato a bottega e a Brera, sviluppando rapidamente una prodigiosa capacità artistica e intellettuale, tanto da lasciare numerosi e brillanti scritti teorici che, pur sgrammaticati per via delle sue lacune infantili, danno prova di una mente lucida che arriva a formulare un personalissimo pensiero estetico.
La II sezione della mostra Il ritratto. Dallo specchio al simbolo, presenta una selezione di magnifici dipinti, alcuni mai visti a Milano, come ad esempio il Ritratto della Signora Torelli (1885-1886), nel quale è raffigurata la moglie del fondatore del “Corriere della Sera”, Eugenio Torelli Viollier, scrittrice femminista affermata, nota come marchesa Colombi. Quest’opera appartiene a una famiglia che ne è proprietaria sin dal 1898. E poi L’ebanista Mentasti (1880), il Ritratto di Carlo Rotta (1897), pretesto per una meditazione sulla morte, o Petalo di rosa (1890), dipinto sopra il precedente Tisi galoppante del 1883, nel quale il volto della compagna Bice al risveglio è simbolo di sensualità: la scelta di opere effettuata intende illustrare l’evoluzione simbolista che l’artista impartisce al genere del ritratto.
Quando nel 1881 lascia Milano per la Brianza, Segantini aspira a un contatto con la natura, rifiutando l’idea metropolitana della vita e dell’arte dei suoi amici scapigliati. Imbocca subito una via inconsueta: traduce i paesaggi dal vero in ricche sfumature tonali per farsi interprete di una natura concepita come terra di vita agricola. Non intende tuttavia condividere l’esistenza quotidiana dei contadini. Adotta infatti da subito uno stile alto borghese, con villa e servitori, che lo porta in breve a uno stato di crisi economica permanente, nonostante il successo e i guadagni. Dalla Brianza passa in Svizzera in abitazioni via via più lussuose: nel 1886 a Savognino nei Grigioni, nel 1894 a Maloja nel meraviglioso chalet Kuoni, spostandosi durante i lunghi e freddi inverni a Soglio in Val Bregaglia. La vita agiata non lo distoglie dalla pittura en plein air, passa lunghe ore all’aperto per impossessarsi pittoricamente dei luoghi che lo circondano, componendo direttamente sulla tela e di getto per giorni. “Il contadino come eroe dimenticato non lo interessa – scrive la Quinsac – è della natura che vuole impadronirsi, con i cieli, la terra, gli animali e le genti che la popolano”.
La III sezione Il vero ripensato: la natura morta presenta una serie di straordinarie nature morte, genere obbligato alla fine dell’Ottocento, cui Segantini si dedica con eccellente maestria sia in pannelli decorativi, di cui sono esposti due bellissimi esempi con frutta e fiori, sia nella sua personalissima maniera di costruire il reale in quadri che paiono astratti come Funghi (1886), Pesci (1886), Anatra appesa (1886). La IV sezione Natura e vita dei campi raccoglie i capolavori sulla vita agreste caratterizzati dalla presenza femminile, come La raccolta dei bozzoli (1882-1883), Dopo il temporale (1883-1884), L’ultima fatica del giorno (1884) sia nella versione a olio che in quella a pastello che nell’ultima del 1891 a carboncino, Vacca bagnata (1890), mai esposto in Italia, Ritorno all’ovile (1888), Allo sciogliersi delle nevi (1891), Riposo all’ombra (1892), La raccolta delle patate (1886), La raccolta delle zucche (1884 circa), sino al primo paesaggio monumentale Alla stanga (1886). All’interno di questa sezione troviamo una sottosezione Il disegno dal dipinto, a testimonianza del continuo rifacimento di Segantini dei propri lavori, che venivano modificati per arrivare a soluzioni diverse: sono qui esposti mirabili disegni tratti dal dipinto già realizzato, opere compiute e di altissima qualità stilistica.
Segantini si riallaccia alla tradizione della pittura contadina derivata da Millet e dai pittori francesi della metà dell’Ottocento, la supera e arriva poi al simbolismo di una natura incentrata sul paesaggio, dove il contadino è incidentale nella natura. Raffigura inoltre la religiosità degli umili, cui da voce in opere fondamentali presenti nella V sezione Natura e simbolo come Effetto di luna (1882), il celeberrimo Ave Maria a trasbordo (II versione 1886) presentato con i vari disegni precedenti e successivi alla tela, Ritorno dal bosco (1890), opere “dove Segantini già tocca, in embrione – afferma Quinsac – le tematiche chiave cardine del suo simbolismo: solitudine al cospetto della natura, armonia tra natura e destino, calore e tenerezza delle greggi, implicito parallelo tra maternità umana e animale”. Anche in questa sezione sono presenti importanti disegni tratti da dipinti come La raccolta del fieno (1889-1890), All’arcolaio (1892), Ave Maria sui monti (1890).
Con il trasferimento in Svizzera nel 1886, Segantini approda al suo personale divisionismo, spezzando la materia in lunghi filamenti di colore. Protagoniste saranno le Alpi, prese sempre di scorcio. Oltre alle donne compaiono gli uomini, anche se dopo il 1890 la natura dominerà
sempre di più la scena in composizioni molto vaste dove la presenza umana sarà solo simbolica. Ai capolavori indiscussi del periodo di Savognino, Mezzogiorno sulle alpi (1891), Ritorno dal bosco (1890), fanno seguito le monumentali opere in formato orizzontale, in un divisionismo atto a rendere la luce rarefatta delle Alpi, in cui il paesaggio è maggiormente protagonista e assurge a simbolo come L’ora mesta (1892), Donna alla fonte (1893), Primavera sulle Alpi (1897).
La VI sezione Fonti letterarie e illustrazioni mostra l’evoluzione del modus operandi di Segantini attraverso importanti disegni ispirati a opere letterarie e religiose, la Bibbia e Così parlò Zarathustra di Nietzsche.
Nella VII sezione, dedicata al Trittico dell’Engadina, viene ricostruita attraverso disegni, studi preparatori e filmati la genesi di questa monumentale opera concepita tra il 1896 e il 1899 e considerata il testamento spirituale dell’artista.
Nella sezione conclusiva La maternità sono presenti altri capolavori come lo splendido olio Le due madri (1889) della GAM di Milano, considerato manifesto del divisionismo italiano alla prima Triennale di Brera che vide la nascita ufficiale del movimento, e le opere simboliste in cui l’uso dell’oro e argento in polvere si abbina a una tecnica mista di derivazione divisionista, come le due versioni de L’Angelo della Vita (1894), quella della GAM e quella di Budapest, riprese anche in due disegni, e L’amore alla fonte della Vita (1896). A ulteriore approfondimento, i visitatori saranno qui accompagnati anche da un breve filmato che li aiuterà a comprendere nella sua totalità la riflessione segantiniana sul tema della maternità che, anche per via della sua vicenda familiare, si era trasformato per lui in un’ossessione e nel quale il suo simbolismo raggiunge gli esiti più alti.
Segantini muore il 29 settembre del 1899, ancora giovane e famoso, tra i pittori meglio pagati del suo tempo e presente con le sue opere in molte importanti collezioni pubbliche olandesi, belghe, tedesche, austriache, ungheresi e inglesi, tanto che nel primo decennio del Novecento sarà il riferimento per i maestri delle avanguardie europee. Con la prima guerra mondiale, l’isolamento culturale dell’Italia fascista e la visione franco-centrica della storiografia delle avanguardie europee elaborata nel Novecento, Segantini viene relegato nel limbo del provincialismo, subendo in seguito la condanna politicizzata del futurismo italiano.
Dato il numero limitato di opere prodotte, disperse in tutto il mondo e rese molto fragili dalla tecnica utilizzata, il percorso dell’artista è stato ricostruito solo poche volte nella sua interezza, con i capolavori simbolisti visionari accanto a quelli naturalisti, ai ritratti e alle nature morte degli esordi; per i più recenti episodi si deve infatti risalire alla mostra di San Gallo in Svizzera del 1956 e alla retrospettiva del centenario ad Arco nel 1958.
Il catalogo della mostra sarà edito da Skira e conterrà i saggi di Annie Paule Quinsac, Diana Segantini, Pietro Bellasi, Dora Lardelli, Guido Magnaguagno, Beat Stutzer e Luigi Zanzi; le immagini di tutte le opere esposte, fotografie e altre illustrazioni con un testo introduttivo a ciascuna sezione della mostra; le schede tecniche, bibliografiche ed espositive
delle opere curate da Annie Paul Quinsac e Donatella Tronelli; tre testi di indagini scientifiche su tre opere esposte – Dopo il temporale, Il ventaglio de L’amore alle fonti della
vita, Alla stanga – curati da Gianluca Poldi, Letizia Montalbano e Stefania Frezzotti e gli apparati con le esposizioni, un aggiornamento dei passaggi di proprietà e la bibliografia di Segantini, curati da Donatella Tronelli.
La rassegna di Milano a Palazzo Reale intende così rendere compiuto omaggio a uno dei maggiori artisti europei del secondo Ottocento che “in meno di vent’anni di attività ha espresso – conclude Quinsac – tutte le angosce e i fermenti della sua epoca in un linguaggio che, teso tra innovazione e tradizione, risulta di una forza senza ulteriori esempi”.
“Già con la mostra di grande rilievo internazionale alla Fondation Beyeler – afferma Diana Segantini - si era dato a Giovanni Segantini, affiancato dai celebri pittori europei dell’epoca, il posto che merita nella storia dell’arte. Dati la sua biografia e il suo percorso artistico strettamente legati alla capitale lombarda, questa mostra darà a Segantini la giusta risonanza a tutti livelli e soprattutto sarà salutata come il suo ritorno a Milano”.
Sito mostra: http://mostrasegantini.it
Infoline: 02 92800375
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Inaugurazione a inviti mercoledì 17 settembre ore 19
Milano
piazza Duomo, 12
02 0202, 02 88451 FAX 02 88450104
SEGANTINI
dal 17/9/2014 al 18/1/2015
lun 14.30-19.30, mar, mer, ven e dom 9.30-19.30, gio e sab 9.30-22.30
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amalia di Lanno