Milano
2/19 ottobre 2014
Inaugurazione giovedì 2 ottobre
ore 21:00
Libreria Bocca
Galleria Vittorio Emanuele II, 12
Dentro a un fiume di “parole”
Ho incontrato e conosciuto il
lavoro di Domenico Carella quando, ancora giovanissimo artista, partecipò al
celebre Premio Artivisive San Fedele di Milano. Sono passati un po’ di anni da
quella prima esperienza che mi ha portato ad osservare un lavoro già solido di
un pittore – e scultore – che sapeva affrontare con energica risoluzione la
materia e le sue mille implicazioni, interpretandone, con profondità e
attenzione, le remote e intangibili energie interne.
Domenico Carella, senza tradire
la sua capacità legata al fare, all’essere operatore completo delle sue opere,
ha mosso e spinto la sua visione verso altri orizzonti.
Tralasciata l’energica impronta delle opere giovanili – molti giovani
artisti sentono la giusta esigenza di approdare al meno, superando il
più – approda ad un lavoro che, più controllato per quanto libero, si epura
dell’ingombrante preponderanza del materiale, per sopraggiungere ad
interpretazioni più sottilmente concettuali, come dichiarano le opere in questa
mostra e di cui qui brevemente accenniamo.
Recuperato il collage, frantumate
le parole nella singolarità rappresentante della lettera alfabetica, simbolo
enunciante di parole dette solo in potenza, Carella compone dispersioni
lessicali che, nella superficie del quadro, vanno a disegnare forme e contorni
di ideali paesaggi immaginari. Non cerca di conquistare un’immagine desunta dal
reale, ma ne crea una ex-novo. Assistiamo in questi lavori recenti, che cercano
altre posizioni concettuali, ad una trasformazione del paesaggio che, pur
restando visione e apparizione, non si dichiara nella figura, ma si pronuncia
attraverso la parola. Il paesaggio diviene “verbale” ma non “narrativo”,
“scritturale” ma non racconto. I puzzle di lettere si disperdono in un vorticoso
caos organizzato che, isolando il singolo segno oltre una sua logica
consequenzialità con gli altri a lui accanto, fa perseguire a quella singola
forma un potere decisivo.
Messa da parte la logica della
“poesia visiva”, questi lavori consentono alle il-logiche scritture mosse sulla
superficie di farsi vere e proprie texture del pensiero. Non trovando
l’immagine compiutamente, e nemmeno una scrittura comprensibile, lasciano
aprire uno spazio nuovo all’idea di chi guarda. Uno spiraglio che incontra il
pensare dell’altro.
E proprio chi guarda, con tutta
la sua realtà, diventa ulteriore protagonista: le superfici specchianti
riportano dentro e dietro l’opera – suggerendo, tra l’altro, anche un altro
punto di vista, la visione del retro, di quello che sta sotto al visibile – lo
sguardo dello spettatore che, catapultato, naviga nella dimensione immersiva
dell’opera.
Se da una parte le lettere
diventano lo spunto per una ri-costruzione mentale e interiore, dall’altro,
tramite lo specchio, diventano presenze partecipi della fisicità di chi a loro
si pone davanti.
Questi “paesaggi” – forse più tavole di
verifica – superano le posizioni pittoriche e compositive dell’immagine
consueta di Domenico Carella, ma anche si scostano – pur lasciando impronte
evidente dei grandi maestri che l’arte ci ha consegnato e di cui
l’artista non ricusa certo l’ispirazione – da opere già viste.
Specchio, parola, carattere,
forma diventano posizioni vibranti, pronte a superare l’assunto appena
conseguito e a disperdere quelle prove e posizioni appena raggiunte. A
mischiare ancora il tutto, lasciando come unico valore stabile, lo sguardo
fissato sullo specchio. Testimonianza del nostro pensiero che, vigile, deve
cogliere la suggestione non della superficialità del reale, ma della profondità
della visione.
Pubblica:
Massimo Nardi