martedì 30 settembre 2014

DOMENICO CARELLA Paesaggi verbali – Piccolo formato




Milano
2/19 ottobre 2014
Inaugurazione giovedì 2 ottobre ore 21:00
Libreria Bocca
Galleria Vittorio Emanuele II, 12


di Matteo Galbiati
Dentro a un fiume di “parole”
Ho incontrato e conosciuto il lavoro di Domenico Carella quando, ancora giovanissimo artista, partecipò al celebre Premio Artivisive San Fedele di Milano. Sono passati un po’ di anni da quella prima esperienza che mi ha portato ad osservare un lavoro già solido di un pittore – e scultore – che sapeva affrontare con energica risoluzione la materia e le sue mille implicazioni, interpretandone, con profondità e attenzione, le remote e intangibili energie interne.
Domenico Carella, senza tradire la sua capacità legata al fare, all’essere operatore completo delle sue opere, ha mosso e spinto la sua visione verso altri orizzonti.Tralasciata l’energica impronta delle opere giovanili – molti giovani artisti sentono la giusta esigenza di approdare al meno, superando il più – approda ad un lavoro che, più controllato per quanto libero, si epura dell’ingombrante preponderanza del materiale, per sopraggiungere ad interpretazioni più sottilmente concettuali, come dichiarano le opere in questa mostra e di cui qui brevemente accenniamo.
Recuperato il collage, frantumate le parole nella singolarità rappresentante della lettera alfabetica, simbolo enunciante di parole dette solo in potenza, Carella compone dispersioni lessicali che, nella superficie del quadro, vanno a disegnare forme e contorni di ideali paesaggi immaginari. Non cerca di conquistare un’immagine desunta dal reale, ma ne crea una ex-novo. Assistiamo in questi lavori recenti, che cercano altre posizioni concettuali, ad una trasformazione del paesaggio che, pur restando visione e apparizione, non si dichiara nella figura, ma si pronuncia attraverso la parola. Il paesaggio diviene “verbale” ma non “narrativo”, “scritturale” ma non racconto. I puzzle di lettere si disperdono in un vorticoso caos organizzato che, isolando il singolo segno oltre una sua logica consequenzialità con gli altri a lui accanto, fa perseguire a quella singola forma un potere decisivo.
Messa da parte la logica della “poesia visiva”, questi lavori consentono alle il-logiche scritture mosse sulla superficie di farsi vere e proprie texture del pensiero. Non trovando l’immagine compiutamente, e nemmeno una scrittura comprensibile, lasciano aprire uno spazio nuovo all’idea di chi guarda. Uno spiraglio che incontra il pensare dell’altro.
E proprio chi guarda, con tutta la sua realtà, diventa ulteriore protagonista: le superfici specchianti riportano dentro e dietro l’opera – suggerendo, tra l’altro, anche un altro punto di vista, la visione del retro, di quello che sta sotto al visibile – lo sguardo dello spettatore che, catapultato, naviga nella dimensione immersiva dell’opera.
Se da una parte le lettere diventano lo spunto per una ri-costruzione mentale e interiore, dall’altro, tramite lo specchio, diventano presenze partecipi della fisicità di chi a loro si pone davanti.Questi “paesaggi” – forse più tavole di verifica – superano le posizioni pittoriche e compositive dell’immagine consueta di Domenico Carella, ma anche si scostano – pur lasciando impronte evidente dei grandi maestri che l’arte ci ha consegnato e di cui l’artista non ricusa certo l’ispirazione – da opere già viste.
Specchio, parola, carattere, forma diventano posizioni vibranti, pronte a superare l’assunto appena conseguito e a disperdere quelle prove e posizioni appena raggiunte. A mischiare ancora il tutto, lasciando come unico valore stabile, lo sguardo fissato sullo specchio. Testimonianza del nostro pensiero che, vigile, deve cogliere la suggestione non della superficialità del reale, ma della profondità della visione. 

Pubblica:
Massimo Nardi