La Galleria 28 Piazza di Pietra presenta dal 30 ottobre 2015 al 29 febbraio 2016 la mostra “Michelangelo Antonioni Pittore”. Una mostra curata dalla moglie del Maestro Enrica Antonioni e da Francesca Anfosso. In esposizione i quadri di Michelangelo Antonioni, premio Oscar alla carriera oltre che vincitore di tutti i principali premi della cinematografia internazionale. Si tratta della prima volta in cui le opere pittoriche di Antonioni vengono esposte in una Galleria d’arte.
Michelangelo è pittore.
Certo che è un pittore. Ha sempre dipinto, ha sempre guardato come un pittore, ha guardato i colori, colto le sfumature, la bellezza dei paesaggi e dei volti, dei muri e della luce rarefatta, si è soffermato a gioire dell'armonia degli alberi fioriti o delle dune del deserto, ha ammirato l'estro nelle tele dei più grandi artisti, ma quello che ha guardato più di tutto è stato l'uomo che guarda, che dispone, che medita, come è scritto in una lettera di Giorgio Morandi a lui indirizzata. Per questo credo sia diventato regista, perchè la curiosità di scoprire i sentimenti era più forte di tutto.
Questo è stato il suo compito, scavare nell'animo umano, a costo di incontrare una grande sofferenza. L'impegno che ha messo nel cinema è stato lo stesso che ha messo nella vita. Ha seguito una caparbia volontà di voler capire, di voler capire tutto.
E io credo che alla fine ci sia arrivato a capire tutto. Avvolto nel suo morbido scialle color rosso fuoco, alla sua tarda età, il suo sguardo sapeva andare molto lontano e sapeva adagiarsi gentile sui colori delle sue ultime tele, finalmente libero, libero di giocare nella forma e nello spazio, nel colore puro o composto sapientemente, nella condizione che lo rendeva felice, quella astratta.
Dipingere per lui era una gran gioia. I momenti dedicati alla pittura sembravano liberi dal tormento che il cinema poteva dargli, insieme alla soddisfazione di saper fare il mestiere che amava di più, ma che lo metteva sempre alla prova.
Nei suoi ultimi anni, dal 2001, ha deciso di dedicare alla pittura tutto il tempo che gli rimaneva.
Era al suo tavolo di lavoro tutto il giorno e tutti i giorni, assorbito nel colore, nella forma, nel silenzio, nella quiete del suo respiro. L'eleganza dei suoi gesti era disarmante, come sempre.
La sua casa, la nostra casa si è riempita di colori e di improvvisa giovinezza. Invece di invecchiare sembrava affrontare il viaggio verso la morte immerso nella bellezza, quando dipingeva l'aria intorno a lui diventava leggera e sembrava che tutto quello che aveva imparato, osservato, letto, capito, si potesse disporre in un rosso, in un verde, nell'accostamento di molti colori, a volte mischiati e cercati per ore. Lui che stava perdendo la vista si è lasciato riempire le pupille di luce colorata e ha raffinato sempre di più il suo sguardo, per riuscire a vedere meglio quasi come con un senso superiore. Come quando una volta siamo usciti dal Prado, dopo essere stati giorni davanti a Velasquez, mi ha detto 'ora vedo in modo completamente diverso'.
La pittura che ha guardato lo ha sempre influenzato. La bellezza e l'eleganza lo hanno strutturato, cominciando dalla sua città, Ferrara. Per capire veramente Antonioni bisogna andare a Ferrara, la notte, con la nebbia o al tramonto per gustare il colore caldo dei muri di cotto sempre coperti da un velo di grigio. Nelle piazze di Ferrara si trova la pittura che ha voluto ricreare nei suoi fotogrammi. Le piazze vuote, il deserto dei sentimenti, il rumore dei passi di camminate solitarie, percorsi vuoti all'interno di sé stessi. Il De chirico che si rivela a Ferrara era anche appeso alle pareti della sua casa romana, insieme a Morandi, a Bacon a Balla, Feininger, Baumeister. Una discreta collezione.
Il bianco e nero dei suoi film era costruito per essere infinitamente ricco di sfumature, composto da centinaia di grigi. Una fotografia pastosa che rendeva i volti di pelle di pesca, gli abiti fruscianti nelle loro pieghe. Aveva il gusto di una ricerca della fotografia nitida, quasi come la percezione dell'occhio, studiata con i più grandi maestri, quelli che hanno insegnato a tutti. Con loro, Gianni di Venanzo, Enzo Serafin, Michelangelo ha conosciuto le scale dei grigi e la ricchezza della luce.
Poi è venuto il momento di cedere al colore, di allontanarsi dalla nebbia, anzi di raccontarla con un occhio più distaccato. Si doveva preparare a raccontare le percezioni della sua natura più adulta, quella dell'uomo che sa stare nel deserto, o solo in una stanza deserta, di un uomo che non vuole appartenere a nessuna città, a nessun paese, per poter raccontare lucidamente di ogni cosa che vede.
Con Il deserto rosso si è veramente affermato pittore. Ha letteralmente dipinto i suoi set, i fotogrammi sono diventati tele. I colori esprimono i sentimenti, ancora di più della posizione della macchina da presa. L'angoscia è grigia, l'amore è rosa. Sembra così semplice, ma è grigia anche la faccia di chi vende la frutta su un carretto anch'esso grigio, in una strada tutta grigia. Poi negli interni, col pretesto di raccontare le impressioni di un personaggio psicopatico, si concede a dipingere le pareti nella ricerca dei blu, dei viola, i verdi. Esprime la sua voglia di essere pittore. Come Rothko che aveva visitato nel suo studio a New York nel 1962, per l'uscita de L'Eclisse.
Raramente Michelangelo riconosceva una grandezza negli artisti suoi contemporanei, invece considerava i quadri di Rothko superbi. Gli scriveva del quadro N.19, esposto alla mostra di Roma nel 1962: quest'opera è di una purezza e di una forza fenomenali, c'è tutto l'accaio di New York nel colore del quadrato superiore, così isolato dal fondo scuro: ti dà il panico, un panico cosmico. Questa è l'angoscia dipinta. Straordinario.
E ancora, in un'altra lettera. Caro Rothko, io e lei facciamo lo stesso mestiere: lei dipinge e io filmo il niente.
E' stato quel dipingere il niente che lo rendeva felice. Solo immerso nel colore ha creato superfici che potevano parlare il suo linguaggio, di nuovo trovare un'armonia, un canto senza parole.
Enrica Antonioni
La Castellina, 17 Agosto 2015
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