L’opera
di Pierpaolo Miccolis è definibile pressappoco come un bestiario “surrealista”, privo ovviamente
di spiegazioni moralizzanti e di riferimenti biblici come nel medioevo, ma
ricolmo di presagi onirici, frequentati solo da inquilini selvaggi, demoniaci e
sovrannaturali. Gli “animali” non hanno alcuna valenza scientifica o
naturalistica, ma in quanto nuovo Physiologus,
egli offre un’interpretazione delle bestie e delle loro caratteristiche. Perché
la sua ricerca pittorica s’incardina su una riflessione concettuale, di là
dalla forma. Negando il descrittivismo tecnologico contemporaneo, la fredda minuzia
fotografica, non ammettendo l’essenzialità delle più comuni conoscenze
scientifiche, l’artista suggerisce paure leggendarie, incrementate dal nostro tempo
caratterizzato non più, come nel medioevo dall’isolamento urbano, bensì da
quello umano che, attaccato, si protegge richiudendosi in sé.
Lontano
dalla normalità, addomesticatore delle mostruosità ed enfatizzatore
dell’inconscio, Pierpaolo Miccolis fruga, dunque, nella psicologia d’individui
costretti a vivere in una sorta di cattività sociale, che impone loro di sedare
impulsi naturali come il sesso, la lussuriosa voglia di cibo o l’ambizione a
una libertà totale.
Le
sue opere sono veri e propri doccioni gotici che sputano, insieme all’acqua,
paure, in metamorfosi anch’esse. Elemento
imprescindibile dei suoi percorsi è, infatti, l’acqua, materia purificatrice e
nello stesso tempo tramite d’inesauribili metamorfosi. L’acquerello diviene,
dunque, strumento ponderato per un lavoro di corrosione dell’immagine e di
fluidificazione della stessa, mezzo per farle perdere la sua naturale nitidezza
descrittiva, donandole la paradossale semplicità dell’insoluto.
Egli
affronta la rappresentazione di un’ornitologia impossibile, procedendo
nell’ideazione d’ibridi immaginari, supportati da comportamenti inimmaginabili.
La raffinatezza dell’umido tratto pittorico quasi stride con l’essenziale uso
di un nero angosciante, raramente addolcito da contrasti cromatici di una
delicatezza impressionante. Il dinamismo dell’attimo fuggente, dell’incapacità al volo liberatorio dei suoi
uccelli-uomo rappresenta la conferma di una sostanziale inadeguatezza sociale
dell’ambito senso di libertà; la natura anomala di questi volatili, infatti, il
loro insoddisfatto appetito d’aria, genera sensazioni d’ansia, d’impotenza.
Perché l’uomo, lo spettatore, l’acquirente delle sue opere, vive giornalmente
il suo disequilibrio, che lo rende un essere sospeso, perennemente bramoso,
avido di ciò che non potrà mai avere o che non potrà essere. L’immagine,
infatti, prende altra forma da sé e spesso un volatile si trasforma in pene, in
conchiglia o in vagina. Perché l’immaginario di Miccolis rimanda anche al sesso
e al cibo. Il rapporto con il corpo e anche con la sessualità passano, dunque,
attraverso la complessa e articolata strada della riflessione sull’alimentazione.
Bulimia e anoressia sono argomenti totalizzanti per l’individuo, come l’incapacità
leopardiana di prendere il volo e la sessualità freudiana.
Perché,
se l’uomo non riesce a librarsi nell’aria e a staccarsi dalla materialità terrestre,
il cibo può facilmente
trasformarsi in veleno e il sesso in dipendenza.
Tommaso Adriano Galiani