Mostra personale di
Luigi FiloGrano
“della vita,della morte,dell’amore e del peccato”
Inaugurazione sabato 14 maggio 2016 – ore 19
14 Maggio – 31 Maggio ( orario 10.30 – 13.00 / 17.30 – 20.30 )
lunedì mattina chiuso – festivi su appuntamento ( cell. 347 6754203 )
Galleria Ninni Esposito Arte Contemporanea
Via S.F. D’Assisi 26 – 1°piano ( tel. 080 5214904 – cell. 347 6754203 )
Luigi Filograno vive e lavora in Puglia, con studio in Bari,dove è nato. Sperimenta arte sin da giovanissimo, in passato avendo affiancato questa sua ricerca a lavori in settori contigui quale quello dell'architettura d' interni , ed attualmente all’insegnamento.
Dopo aver sperimentato negli anni giovanili varie tecniche, tra le quali la pittura ad olio o acrilico su tela,anche con apporti materici,negli ultimi dieci - quindici anni utilizza quale linguaggio espressivo il disegno su legno utilizzando pastelli,grafite,resine abbinati talvolta a foglia oro e smalti, attraverso una neofigurazione in cui rivisita il disegno in chiave contemporanea, mediante l'utilizzo di un archivio di immagini tratte dal vasto repertorio massmediatico.
Il tema della sua ricerca è stato inizialmente quello dell'equilibrio, osservato soprattutto nella sua possibile e potenziale instabilità ,sia in relazione al rapporto tra uomo e ambiente,sia a livello sociale e politico, sia a livello esistenziale .Recentemente, la sua riflessione ha avuto quale oggetto la finitezza dell’esistenza, il legame tra eros e morte,volutamente in atmosfere sospese ed inquietanti,la transitorietà ed il carattere effimero di tanti presunti valori, quali fama,ricchezza ,potere ,nonché la caducità della bellezza.
Ha preso parte a numerose mostre collettive e personali , tra le quali annovera la partecipazione alla Biennale di Venezia 2011 ( Palazzo delle Esposizioni di Torino – Sala Nervi - Padiglione Italia e Palazzo Ca’ Zanardi - Venezia ), la premiazione ,quale vincitore per la Sezione Disegno, al Premio Basi 2011 ( Toscana )e la presenza di sue opere nel Museo Allotropya ( Delphi – Grecia ).
“Della vita,della morte,dell’amore e del peccato”
Oscure presenze agitano gli ultimi lavori di Luigi Filograno. Figure, immagini, mitologie e simboli, provenienti da un eclettico bacino iconografico dove convivono i presagi funesti di Goya, le immateriali e seducenti bellezze di Botticelli, l’astrusa pruderie di Dalì, la violenza gestuale di Immerdorff come pure, su differenti latitudini linguistiche, Damien Hirst e Rebecca Horn, Jan Saudek, Robert Mapplethorpe, David Nebreda, Joel Peter Witkin.
In altre parole un raffinato Olimpo che aiuta a scrutare la bellezza femminile, a evidenziarne gli aspetti morbosi, che fornisce strumenti per sottoporla a sguardi torbidi, a derive voyeristiche. Sono partiture complesse, come le definisce lo stesso artista, ridondanti, barocche nei riferimenti, più o meno decorative o più intrigantemente asciutte, supportate da tecniche diverse su un terreno ambiguamente elegante tra fotografia e manualità. Filograno interpreta la pittura con fruttuosa ‘inattualità’, prelevando ed elaborando, operando una pratica di ‘postproduzione’, un colto manierismo gravido di appropriazioni. Un editing translinguistico in grado di tenere insieme eterogenee visioni con un sottofondo dove giacciono sedimentazioni culturali ad ampio spettro. Lascive figure femminili, sottratte a un erotismo da belle epoque, convivono, nella delicata stesura a grafite, con più morigerate silhouette infantili. Licenziose e torve immagini da un femminile già consegnato ad archetipici modelli, diventano versioni aggiornate di una vanitas contemporanea. Teschi, elementi animali o vegetali si stemperano, allora, in liquide sfumature di bianco/nero o in campi in cui si distendono aloni, si addensano macchie che ‘sporcano’ sapientemente i cupi contesti. Si accompagnano a reperti mitologici, quali una Leda scortata dal perverso e divino cigno d’ordinanza che appare in più versioni, compresa quella che prevede una colta incursione nella Olimpia di Manet. Sagome di donna siglate in pose sfacciate, nel sarcasmo pungente di icone espressioniste, fiere e crudeli, che si innestano a figure maschili, costrette in arditi volteggi o riassunte in metaforiche polluzioni floreali. Molti però anche i richiami al presente, alle inquietudini di una contemporaneità che rientra con circoscritti indizi, per esempio nelle innocue cavie da laboratorio o nelle tracce di crudeltà domestiche, affidate a sensuali scarpe rosse, assurte di recente a simbolo della violenza sulle donne. Compresse in equilibrate contrapposizioni, le figure maschili sono, invece, quelle più vicine alle precedenti produzioni dell’artista, delle quali mantengono echi delle sospese e fluttuanti immersioni nello spazio, già sperimentate in passato, o si sorreggono vicendevolmente, a cercare un possibile approdo. Più perturbante è l’uomo nero, con il titolo in inglese, Man in black, che, strizzando l’occhio al blockbuster hollywoodiano, attutisce l’allusione alle spaventose creature delle favole. L’uomo nero si muove su polittici, schermato da mascherine protettive, armato di torce per illuminare corpi di donne smaterializzate, ormai simulacri mistici come l’aulico sfondo dorato che impagina la composizione e rimanda a un estetismo dall’aspro retrogusto vintage.
Marilena Di Tursi
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