Opera di Letizia Gatti "L'attesa"
Domenico Fumarola critico d'Arte
Non esiste esperienza psicologica e umana al di fuori della dimensione temporale. Ma non c’è solo il tempo dell’orologio, tempo esteriore, quasi matematico, che scandisce le ore in eguale misura per ciascuno di noi ed ovviamente estraneo ad ogni risonanza interiore ed emozionale. Non c’è solo il tempo scandito da ore, minuti e secondi, quindi, ma c’è anche il tempo interiore: il tempo soggettivo, che è il tempo vissuto, il tempo che cambia in ciascuno di noi di momento in momento. A quest’ultimo ordine temporale appartiene anche l’arte e con essa i fenomeni dell’attesa e della speranza. Non a caso, attendere, aspettare, rinviano al termine latino “ex-spectare”, rafforzativo di specere, che significa guardare. Etimologicamente attendere è aspettare, e aspettare è guardare: guardare l’altro e attendere di essere guardati, è l’attesa di uno sguardo che dica qualcosa e che dimostri attenzione. Come spiegano efficacemente Eugenio Borgna e Umberto Galimberti, l’attesa si fa corpo soprattutto nello sguardo, dove incontriamo il timore, l’angoscia, la speranza e talvolta, tragicamente, il silenzio.
L’attesa, secondo lo psicologo Minkowski, è un fenomeno di ordine temporale: essa ha in sé, come sua dimensione fondamentale, l’avvenire, il futuro. Nell’attesa noi sentiamo che il tempo si avvicina e viene a noi, nella sua immediatezza e nella sua spontaneità. Così avviene nell’estetica di Letizia Gatti, artista santermana degna allieva del Maestro Massimo Nardi. Tutte le sue opere sembrano in attesa, tutte le protagoniste dei suoi dipinti o delle sue sculture sono assimilabili in tale dimensione temporale, ma a colpire particolarmente è proprio l’opera che si intitola “L’attesa”.
“L’attesa” è un’opera scultorea che possiamo dividere in due parti, quella superiore e quella inferiore. La parte inferiore, legata al ventre provvisto di un rigonfiamento, non deve trarci in inganno: non si tratta dell’attesa di una maternità, ma il gonfiore sta a rappresentare i malanni, fisici e psicologici, che la figura scolpita deve affrontare per tornare a vivere pienamente. È l’attesa di un avvenire immediato, legato ad un evento specifico, probabilmente condito di ansia, inquietudine, perplessità, insicurezza, angoscia. Letizia Gatti crea un forte legame, in quest’opera, tra attesa e angoscia. L’attesa rappresentata nella scultura, infatti, mostra una vertiginosa accelerazione e un’ossessiva anticipazione del futuro, che brucia il presente e rende insignificanti i suoi momenti, perché tutta l’attenzione e la tensione corporea è spostata in avanti, spasmodicamente concentrata sull’evento che si attende. In quest’attesa non c’è durata, non c’è organizzazione del tempo, perché il tempo è divorato dal futuro che risucchia il presente, a cui toglie ogni significato, perché tutto ciò che succede è deviato dall’attesa, che sembra paradossalmente prendere “forma” nel corpo “de-forme”.
La parte superiore, invece, indica la gioia, l’audacia e l’orgoglio di chi ce l’ha fatta a superare un momento difficile, passando anche attraverso la speranza, con un volto nuovamente pieno di sé ed uno sguardo fiero, pronto ad affermare quello che si è non trascurando mai quello che si è stati in passato. La speranza – altro sentimento connesso alla percezione intima e soggettiva del tempo – porta la figura a guardare più lontano, ad ampliare lo spazio del futuro, distogliendo l’attesa dalla concentrazione sul presente e, liberandola dall’immediato, la apre in nuovi orizzonti che la concentrazione sul presente sembrava avessero cancellato, verso una forma armonica della figura, percepibile dall’esterno perché finalmente interiorizzata.
L’artista ci rammenta che l’essere umano è una costruzione: se l’attesa, nella parte inferiore, rappresenta l’angoscia che quella costruzione che noi siamo abbia buon fine, la speranza, insita nello sguardo e nella parte superiore della scultura, pone nelle nostre mani e nei nostri comportamenti il buon esito delle vicende e la ritrovata armonia della nostra figura.
L’opera di Letizia Gatti ci spinge verso il tempo, inteso come dimensione assegnata a ciascuno di noi per la propria realizzazione, in un’epoca in cui il tempo sembra scorrere troppo veloce per vivere pienamente la nostra esistenza.
Domenico Fumarola
L’attesa, secondo lo psicologo Minkowski, è un fenomeno di ordine temporale: essa ha in sé, come sua dimensione fondamentale, l’avvenire, il futuro. Nell’attesa noi sentiamo che il tempo si avvicina e viene a noi, nella sua immediatezza e nella sua spontaneità. Così avviene nell’estetica di Letizia Gatti, artista santermana degna allieva del Maestro Massimo Nardi. Tutte le sue opere sembrano in attesa, tutte le protagoniste dei suoi dipinti o delle sue sculture sono assimilabili in tale dimensione temporale, ma a colpire particolarmente è proprio l’opera che si intitola “L’attesa”.
“L’attesa” è un’opera scultorea che possiamo dividere in due parti, quella superiore e quella inferiore. La parte inferiore, legata al ventre provvisto di un rigonfiamento, non deve trarci in inganno: non si tratta dell’attesa di una maternità, ma il gonfiore sta a rappresentare i malanni, fisici e psicologici, che la figura scolpita deve affrontare per tornare a vivere pienamente. È l’attesa di un avvenire immediato, legato ad un evento specifico, probabilmente condito di ansia, inquietudine, perplessità, insicurezza, angoscia. Letizia Gatti crea un forte legame, in quest’opera, tra attesa e angoscia. L’attesa rappresentata nella scultura, infatti, mostra una vertiginosa accelerazione e un’ossessiva anticipazione del futuro, che brucia il presente e rende insignificanti i suoi momenti, perché tutta l’attenzione e la tensione corporea è spostata in avanti, spasmodicamente concentrata sull’evento che si attende. In quest’attesa non c’è durata, non c’è organizzazione del tempo, perché il tempo è divorato dal futuro che risucchia il presente, a cui toglie ogni significato, perché tutto ciò che succede è deviato dall’attesa, che sembra paradossalmente prendere “forma” nel corpo “de-forme”.
La parte superiore, invece, indica la gioia, l’audacia e l’orgoglio di chi ce l’ha fatta a superare un momento difficile, passando anche attraverso la speranza, con un volto nuovamente pieno di sé ed uno sguardo fiero, pronto ad affermare quello che si è non trascurando mai quello che si è stati in passato. La speranza – altro sentimento connesso alla percezione intima e soggettiva del tempo – porta la figura a guardare più lontano, ad ampliare lo spazio del futuro, distogliendo l’attesa dalla concentrazione sul presente e, liberandola dall’immediato, la apre in nuovi orizzonti che la concentrazione sul presente sembrava avessero cancellato, verso una forma armonica della figura, percepibile dall’esterno perché finalmente interiorizzata.
L’artista ci rammenta che l’essere umano è una costruzione: se l’attesa, nella parte inferiore, rappresenta l’angoscia che quella costruzione che noi siamo abbia buon fine, la speranza, insita nello sguardo e nella parte superiore della scultura, pone nelle nostre mani e nei nostri comportamenti il buon esito delle vicende e la ritrovata armonia della nostra figura.
L’opera di Letizia Gatti ci spinge verso il tempo, inteso come dimensione assegnata a ciascuno di noi per la propria realizzazione, in un’epoca in cui il tempo sembra scorrere troppo veloce per vivere pienamente la nostra esistenza.
Domenico Fumarola