lunedì 23 maggio 2011

Ai Magazzini della Lupa di Tuscania










Maurizio Gregorini con “L’odore del nulla o l’eresia del Cristo scomposto” e Raffaella Belli con “Elitra diafana-Partitura"
Sabato 11 giugno alle ore 19.00 ai Magazzini della Lupa di Tuscania un affascinante incontro letterario con Maurizio Gregorini e Raffaella Belli che ci presenteranno i loro ultimi lavori poetici “L’odore del nulla o l’eresia del Cristo scomposto” e “Elitra diafana- Partitura” con l’intervento di Agostino Raff e Vincenza Fava. Maurizio Gregorini, giornalista, scrittore e poeta ritorna alla poesia dopo nove anni con un inedito volume in cui: “La tenuta, la tensione al calor bianco non deve nulla alle influenze culturali del circostante. Questa poesia è gloriosamente isolata, si percepisce prorompente, nativa. Ha la vivezza e talvolta l’oscurità oracolare di una voce altra che travolge il parlante. Così sarà il lettore a gestire con libera volontà la comparazione al potente e cosmico L’Être et le Néant di Sartre, ai giardini di Lorca la parola musicale e accorata; allo sdegno blasfemo di Artaud la violenza di approccio; al percorso tormentoso di Huysmans il cammino nei rovi della Speranza come virtù teologale; all’Ulrich musiliano l’apertura finale alla trascendenza della stessa dottrina ; o richiamare le semplici sublimi altezze di Caterina, delle due Terese, di Juan de la Cruz, fino a Turoldo” scrive Agostino Raff nella postfazione. Dieci anni separano il nuovo libro di poesie di Raffaella Belli dal suo esordio in versi, avvenuto con “Pensieri d’azzurro”; tempo in cui la poetessa ha potuto maturare ed accettare con chiarezza, dentro di sé, la peculiare voce della sua poesia, un canto che sfugge alla cronologia e si impossessa di una sequenza privata, tutta intrisa di musica, che interagisce con la cognizione del potere creativo. “La tematica della natura, ricorrente nella sua opera quanto il bisogno intimo di mostrarne all’altro il suo spettacolo, fa sì che il poeta ponga il suo sentire al limite del comprensibile, tuttavia nitidamente chiaro se ‘letto’ con attenzione in ogni sua parola espressiva: “Un tuffo scellerato/ mi portò ad infrangere il mare./ Con un’altra carezza/ l’onda generosa/ accolse gli inquieti deliri”” scrive Maurizio Gregorini nella prefazione.




Vedo Maurizio Gregorini come un essere siderale, gli occhi
sgranati sull’Universo.
Una poesia gridata, la sua, in questo “Cristo scomposto”,
grido che si fa urlo in cento echi, dunque coro, dunque tintinnàbula
(l’amato Arvo Pärt) che fanno strazio (nostalgia
solenne, placata) e ti straziano. Suoni della Terra Madre, scaturigini,
si concretano nel rito sacrificale con un tormento
a ritroso, dalla metafora dell’Eucarestia al Cristo dell’origine.
Corpo Immenso e Sanguinolento che dalla Croce Ti
Minaccia (le maiuscole sono dovute perché l’indignazione
del poeta è qui Sacra e Maiuscola) quasi a chiedere che la
tortura si faccia eterna e tu contribuisca – peccatore richiesto
e fatale – con l’ennesimo colpo.
A spendersi totalmente anima e corpo su questo Calvario
raggiunto, è il cantore del poema incandescente, fuoco che
mano a mano trascolora nella solitudine fredda delle lacrime.
Esse attendono chi si è battuto contro il Cristo Sanguinante
assaltandolo sul patibolo in un corpo a corpo necessario per
realizzare nell’inesausta violenza il simbolo divino come
uomo.
Questo passo coraggioso e tremendo è un poeta a compierlo,
forte della sua capacità di sfida e di rimorso, di organizzare
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un gioco crudele col Messia Sterminatore per smascherarlo e
riconoscerlo nella propria passione, nel corpo-in-sé, nel proprio
sangue di uomo solo.
La tenuta, la tensione al calor bianco di questa poesia non
deve nulla alle influenze culturali del circostante. Questa
poesia è gloriosamente isolata, si percepisce prorompente,
nativa. Ha la vivezza e talvolta l’oscurità oracolare di una
voce altra che travolga il parlante.
Così sarà il lettore a gestire con libera volontà la comparazione
: al potente e cosmico “L’Être et le Néant” di Sartre,
allora, far risalire il “Nulla” del titolo ; ai giardini di Lorca la
parola musicale e accorata ; allo sdegno blasfemo di Artaud la
violenza di approccio ; al percorso tormentoso di Huysmans il
cammino nei rovi della Speranza come virtù teologale ; all’Ulrich
musiliano l’apertura finale alla trascendenza della stessa
dottrina ; o richiamare le semplici sublimi altezze di Caterina,
delle due Terese, di Juan de la Cruz, fino a Turoldo.
Bisogna accostarsi al cristallo iridescente di questo breve e
sacro poema di Gregorini col pudore inebriato che lui stesso
cela ed esercita, per innamoramento, verso il mondo vivo.
È la meraviglia insostenibile della vita, che lui tenta di scalfire,
di ferire, di massacrare. Per risponderle.
Ma la risposta è impossibile.
Non restano che i battiti del cuore. Quelli perenni del
Cristo, e i nostri, che un giorno si fermano.
Agostino Raff

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Vincenza Fava