GRAY AREA
Tra legale e illegale
Project economART di Amy d Arte Spazio MILANO
liberamente tratto da " Southern Reach Trilogy " di Jeff Vandrmeer
a cura di Anna D’Ambrosio
testo critico di Gabriele Salvaterra
10.11 / 15.12.2016
opening 10 novembre h. 18.30
finissage 15 dicembre h. 17.30
Artisti
Renato Calaj
Clément Briend
Francesco Giusti
Ettore Pinelli
“Non c’era nulla da temere.
Perché temere quello che non puoi evitare? Che non vuoi evitare. [….] Non c’era da dire niente a nessuno. Il mondo andava avanti proprio mentre si sgretolava, cambiava per sempre, diventava una cosa strana e diversa”.
Area X, territorio di confine sede di fenomeni insoliti e inquietanti: sparizioni di massa, riapparizioni, allucinazioni, alterazioni spaziali e temporali, fino al confine invisibile e invalicabile che isola la zona dal mondo esterno.
Gli ambienti di transizione – non luoghi – uniti a perdita di controllo e dell’identità sono i pilastri fondanti del progetto-mostra.
La caratteristica sconvolgente dell’Area X è quella di essere incontaminata, una sorta di habitat primordiale nel quale l’uomo non ha alcun posto, o meglio un habitat dotato di intelligenza, capace di assorbire (inglobare) chiunque lo attraversi, trasformandolo in qualcosa di molto diverso.
L’Area X è per l’uomo quello che l’uomo è per gli altri animali.
Un’entità superiore le cui azioni risultano incomprensibili.
Fotografia, pittura e video installazione danno lo spunto per riflessioni sull’idea di frontiera come scoperta o barriera, sulla ibridazione tra cosmopolitismo e rivendicazione territoriale, sulla figura dell’artista stesso nella sua condizione di viaggiatore, nomade, sperimentatore in bilico tra territori fisici e simbolici.
Flussi migratori e processi economici sempre più globali hanno radicalmente trasformato la percezione del territorio come limite e confine.
Sulla base dell’instabilità di questi concetti fondamentali per la definizione dell’identità, eccovi AREA X, ambiente di transizione, territorio indeterminato, in posizione indefinita; una grande zona grigia tra ciò che è legale e ciò che non lo è, dove i nomadi contemporanei attendono di raggiungere posti altri da abbandonare.
L’AREA X è un’anomalia, un territorio isolato da un confine immateriale in cui “qualcosa” ha aperto almeno un varco. Incombe, affascina, mette in crisi le nostre sicurezze.
Nel mondo reale ci sono molteplici Aree X, anche se non le riconosciamo. Nessuna scienza o fede sono sufficienti a capire. La scienza non è abbastanza. La fede, o qualsiasi credenza, nemmeno.
Sono entrambi metodi di controllo, ma non ne esiste uno effettivamente efficace, perché non c’è possibilità di possedere una conoscenza assoluta del mondo.
Incomunicabilità insuperabile e trasformazione irreversibile, icasticamente rappresentate dalla ripetizione dell’azione, identica nell’esecuzione ma cambiata in modo radicale e incapace di trasmettere informazioni utili, ogni passo all’interno dell’Area X allontana da ciò che è per condurre a qualcosa di diverso; oltre il limite dell’orizzonte non c’è la Natura, tantomeno Dio, quanto piuttosto il Nulla.
Negli occhi della mente rimangono immagini suggestive che sono tutte metafore dell’esistenza umana, disfatta e dilaniata in una ricerca priva di utilità e annichilita innanzi all’ineluttabile e all’incommensurabile. Nessuno ne esce vincente. Eppure, in ultimo, una speranza si apre, inaspettata e, sostanzialmente, incomprensibile. L’Area X infatti è il Mistero, totale e assoluto.
Non dà risposte, non autorizza tesi fondate, non reagisce agli stimoli.
Si racconta la storia di quattro artisti e del loro percorso all’interno del territorio denominato Area X. Il monitoraggio di quest’ultima, gestito da “CONTROLLO”, pone la questione del margine, del limite con l’ossessiva ricerca del senso di questa separazione, del suo valore etico ed epistemologico, del significato della sua posizione. Il confine dell’Area X difatti è ovunque e in nessun posto, è un principio agente, è mobile e potrebbe allargarsi a occupare il mondo intero. Ed ecco Controllo, entrare in un’enorme Sala degli specchi, in cui l’Area X riflette tutte le peggiori paure conficcate per l’eternità nel cuore degli uomini. Sprofondare nello studio di quel territorio da cui pochi fanno ritorno – e quei pochi appaiono gusci svuotati di ogni contenuto – equivale a sprofondare in sé stessi, cosa che potrebbe riservare scoperte terrificanti.
Controllo è il nome che si dà a un drone, un nome che è in sé uno scopo, un obiettivo, una bellissima sublimazione del potere che è tra di noi e della sua insignificanza.
Controllo, nominandosi, cerca il suo senso, ed essendo lui il vertice della scala gerarchica, nella logica antropocentrica che lo pervade, questo senso dovrebbe ricadere a cascata sul mondo intero. Nulla di più falso. Nel tentativo di trovare risposte con le riprese dall’alto sarà trascinato verso il fondo, perché la sua fine era già scritta con la perdita sempre maggiore di senso di realtà.
Sarà sommerso dal vortice di fallimenti, paranoie e sospetti, spinto a radicalizzare la sua direzione risolvendosi direttamente verso il cuore della trasformazione in corso.
Negli occhi della mente rimangono immagini suggestive che sono tutte metafore dell’esistenza umana, disfatta in una ricerca priva di utilità e annichilita innanzi all’ineluttabile e all’incommensurabile senza vincenti.
La struttura della narrazione nel progetto/mostra, vista nell’economia delle opere esposte, rimane un elemento a latere, quasi occasionale. Le infinite domande che prendono corpo nel corso dell’esibizione rimangono senza risposta. La rinuncia provvisoria alla coerenza interna del progetto regala in cambio una partecipazione e un’adesione emotiva senza esitazioni.