venerdì 26 giugno 2015

Can food be art? Fotografie di Salvo D’Avila




Istituto Italiano di Cultura Stuttgart


Venerdì 19 giugno alle ore 19, presso la sede dell’Istituto Italiano di Cultura di Stuttgart in Kolbstrasse 6, sarà inaugurata la mostra Can food be art? Fotografie di Salvo D’Avila.

La mostra, promossa dall’IIC di Stuttgart e curata da Lia De Venere, riunisce una serie di ventidue foto di nature morte, realizzate negli ultimi tre anni.

Così scrive in catalogo la curatrice:

“D’Avila costruisce l’immagine in uno spazio esiguo, trasformando pochi frutti, ortaggi o pesci in apparizioni improvvise che squarciano il buio assoluto dello sfondo, richiamando alla mente le rare affascinanti minimali composizioni del pittore spagnolo Francisco de Zurbarán (1598-1664), giocate su netti e sapienti contrasti tra luci e ombre; oppure li immerge in una luminosità abbagliante, quasi un rimando alla pittura iperrealista di Luciano Ventrone, definito da Federico Zeri “il Caravaggio del XX secolo”.

Avvicina ai nostri occhi le coppe e i canestri che li accolgono, posandoli a volte su tovaglie ornate da raffinati motivi decorativi come nei dipinti dell’età d’oro della natura morta nordeuropea o su superfici specchianti che rafforzano il carattere straniante della composizione.

Mai una concessione a gratuiti virtuosismi nella cura assidua del dettaglio e nelle scelte cromatiche – raramente corrette in postproduzione – quasi la condivisione dell’idea che della pittura aveva Eugène Delacroix, per il quale “la prima virtù di un dipinto è essere una festa per gli occhi, ma ciò non significa che non vi debba essere posto per la ragione”.



Salvo D’Avila

nasce nel 1968, nella luce del Salento. Sua madre è uno storico dell'arte e insieme a suo padre ha lungamente diretto una galleria di arte contemporanea. Salvo coltiva quindi la passione di famiglia per le arti visive, specialmente per la pittura, avvalendosi di un mezzo - la macchina fotografica - le cui basi tecniche consolida presso la Scuola Romana di Fotografia. I generi nei quali principalmente si cimenta sono quello del ritratto (in particolare di imprenditori e artisti, soprattutto circensi e danzatrici) e la natura morta (con vari soggetti). E' in questo genere che è più evidente la relazione tra la pittura, citata esplicitamente, e l'invenzione personale. La sua mostra d'esordio "immagini rubate all'agricoltura" è nel 2012, in una location romana insolita e suggestiva: il mercato di Campo de' Fiori.

Dal 20 giugno all’8 settembre 2015
Orari: lunedì e mercoledì 10-13; giovedì e sabato 15-18
info.iicstuttgart@esteri.it
info@salvodavila.com



Testo critico

Dalla natura all’arte, dalla ragione al cuore
Lia De Venere


Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore.
Henri Cartier-Bresson


Indubbiamente nel mettere in scena le proprie nature morte Salvo d’Avila rivela una profonda conoscenza dell’arte e della sua storia e insieme dà conto dell’ammirazione incondizionata per alcuni artisti del passato e del nostro tempo, in tal modo indicando la fonte della molteplicità di suggestioni che hanno indirizzato la propria ricerca.
D’Avila costruisce l’immagine in uno spazio esiguo, trasformando pochi frutti, ortaggi o pesci in apparizioni improvvise che squarciano il buio assoluto dello sfondo, richiamando alla mente le rare affascinanti minimali composizioni del pittore spagnolo Francisco de Zurbarán, giocate su netti e sapienti contrasti tra luci e ombre; oppure li immerge in una luminosità abbagliante, quasi un rimando alla pittura iperrealista di Luciano Ventrone, definito da Federico Zeri “il Caravaggio del XX secolo”.
Avvicina ai nostri occhi le coppe e i canestri che li accolgono, posandoli a volte su tovaglie ornate da raffinati motivi decorativi come nei dipinti dell’età d’oro della natura morta nordeuropea o su superfici specchianti che rafforzano il carattere straniante della composizione.
Mai una concessione a gratuiti virtuosismi nella cura assidua del dettaglio e nelle scelte cromatiche – raramente corrette in postproduzione – quasi la condivisione dell’idea che della pittura aveva Eugène Delacroix, per il quale “la prima virtù di un dipinto è essere una festa per gli occhi, ma ciò non significa che non vi debba essere posto per la ragione”.
E se le foglie avvizzite e la superficie non più integra dei frutti appaiono come gli indizi della presa d’atto del trascorrere ineluttabile del tempo, d’altra parte costituiscono una chiara allusione alla caducità dell’esistenza umana, come nella vanitas, quel particolare tipo di natura morta che ricordava attraverso l’allegoria la precarietà di ogni cosa terrena.
Una vena di sensualità, mai troppo esibita e dichiaratamente mutuata dalle foto in bianco e nero di Edward Weston, percorre spesso le immagini di d’Avila, che attraverso il colore e l’istituzione di relazioni tra gli elementi della composizione offre una rilettura personale della lezione del grande fotografo americano. Ad accomunare le immagini di d’Avila c’è evidentemente un’attenzione amorevole per le piccole cose che popolano il nostro orizzonte quotidiano e insieme la volontà di sottrarle dal carcere dell’ordinarietà, con l’intento di condividere con chi guarda le proprie emozioni e di conferire all’attimo lo stigma della durata. Del resto la fotografia – ha scritto Gesualdo Bufalino – “obbedisce al tempo e lo fulmina; sanziona una perdita e vi sostituisce un simulacro immortale”.


riceve e pubblica:
amalia di Lanno
art promoter - blogger