«Trasportare o ricostituire in ogni luogo il sistema di sensazioni – o più esattamente, il sistema di eccitazioni – provocato in un luogo qualsiasi da un oggetto o da un evento qualsiasi».
Paul Valéry
Il passaggio dall’era analogica a quella digitale ha permesso di ampliare i nostri sguardi e i nostri pensieri; animali pacatamente sociali, gli esseri umani sono proiettati in un contesto regolato da consuetudini ben precise. Sia che ci si riconosca o meno nell’identificazioni terminologiche di immigrati o nativi digitali la nostra attività mentale si sta inserendo all’interno di un percorso che va infittendosi in reti (o ragnatele?) per approdare dolcemente nei porti, ben gestiti dai colossi multinazionali, della realtà aumentata in una disperata rincorsa per essere sempre on line.
Una transumanza culturale indotta?
Certamente, si.
Un passaggio comodo, forse, ma sicuramente colmo di opportunità e di possibilità. La mostra che qui si presenta procederà anch’essa su questo contorto sentiero.
R.S.V.P. è l’acronimo di Répondez, s'il vous plaît , utilizzato nelle comunicazioni scritte formali per invitare a rispondere, sia con un assenso che con un diniego. Il messaggio che qui si vuol trasmettere è lo stesso. Si chiederà ai pubblici che fruiranno del percorso allestitivo di essere parte attiva del progetto. Ecco perché sulle piattaforme social di Twitter© e di Instagram© sono stati attivati i profili collegati al progetto: attraverso l’hashtag #rsvpnarni chiunque potrà commentare, taggare, linkare e così far crescere un’idea, oppure abbatterla. Un coinvolgimento diretto che agevoli lo scambio dialettico e culturale fra più interlocutori, alimentando quella percezione di con-temporaneità e con-spazialità esistenziale, per dirla con Heiddeger, nella speranza di accostarsi il più possibile a quel concetto di hic et nunc dell’opera d’arte, che Benjamin dichiara inarrivabile.
Gli artisti che hanno accettato di partecipare utilizzano alcuni dei linguaggi espressivi delle arti visive contemporanee. Un contemporaneo visuale che ha l’esigenza sempre più crescente di diversificarsi e divergere dal contemporaneo storico, o storicizzato, sarebbe opportuno riqualificarlo con il termine “piucchecontemporaneo”, una sorta di trapasso più che di trapassato, in senso esiziale, di ciò che erano le Avanguardie storiche e tutti i suoi prolungamenti deviati di fine secolo.
L’assoluto della forma acquisisce una sua consistenza materica nelle costruzioni e nelle evoluzioni delle forme glifiche di Aldo Del Bono. Le sue sperimentazioni sono rappresentative di una ricerca volta ad agevolare l’uso delle cromie nette e ben delineate, una sorta di simbolismo del pigmento, che scioglie una consistenza figurativa tout court, quasi liquefacendola. Le campiture sono sempre monocrome e compatte ed effettivamente è difficile poter asserire che esistano piani o livelli differenti, perché l’armonia della resa è così sofisticata da ammantare le forme e i colori in un unico atto complessivo dove non è possibile distinguere l’emergente dal sotteso.
Le soluzioni artistiche a tinte forti del percorso di ricerca di Ninni Donato presentano le caratteristiche dell’artista che ha acquisito a pieno la lezione Pop di Warhol. Le nuove combinazioni cromatiche, da lui utilizzate, vestono i soggetti impregnandoli di una feroce audacia, un contrasto che esorta il riguardante a osservare in maniera intimistica più il proprio animo che l’opera in sé. La natura introspettiva del suo operare ha una radice evenemenziale, affonda nel passato, anche non troppo remoto, per rivegetare nell’osservatore, come in una sorta di riflessione fecondata. I suoi militari, da reduci della guerra, si trasformano in reduci della memoria. È poi così importante ricordare? Donato utilizza la fotografia, lo scatto rubato, la velocità, nella quale tutto si perde e si congela nell’attimo.
Mutsuo Hirano lavora sulla trascendenza. Tra le sue mani sporche di creta, la terra si plasma e assume una forma, elevandosi a paradigma dello spirito. Il suo è un mondo stratificato, dalle fedi, dalla religiosità e dalla consistenza. La materia è sacra. Il mondo di Hirano è un mondo contemplativo, intriso di tradizioni. In esso coesistono kami, spiriti naturali dello shintoismo, e santi cristiani. Un’aura mistica avvolge i suoi lavori, attraversa le superfici, si insinua nelle crepe. Ci sentiamo rapiti, quasi ipnotizzati, dai campi armonici che le sue opere sprigionano. L’equilibrio è tale da avvertire dentro di noi lo spirito totalizzante dell’anima mundi.
Nel percorso allestitivo si inseriscono le evoluzioni stravaganti di Ferrero Perotti. Anticonformista e autodidatta, egli rifiuta gli standard artistici, allineandosi così alla tendenza culturale di derivazione dada. I suoi assemblaggi diventano metafore di vita, racconti di una umanità abbandonata. L’oggetto perde la sua funzione per riproporsi come argomento narrativo. Egli rappresenta quel contesto, tutto italiano, di artisticità dilagante e divagante, dal quale non si può prescindere, perché come lui stesso ci riferisce “l’arte non è qualcosa che si impara soltanto, l’arte è soprattutto essere se stessi”.
Al limite della percezione visiva si pone la realtà distorta di Jolanda Spagno. La sua produzione artistica è carica di suggestioni al limite della metafisica, di atmosfere nebulose isolate da scatole psichiche. L’elaborazione dei soggetti è maniacale e tutto si esplicita attraverso la sua mano precisa e la punta del lapis; i percorsi labirintici delle linee – spasmodiche e catartiche – sciamanicamente liberano e librano i turbamenti del suo animo. I suoi lavori sono ‘protetti’ da lenti, elementi diplopici utilizzati come un filtro, fra l’io dell’artista e la realtà circostante. La Spagno è la padrona indiscussa delle sue immagini: la realtà dei soggetti rappresentati, espressa in maniera radiografica, le consente di raggiungere lo sguardo dell’osservatore attraverso un avvicinamento controllato alla sua intimità, come a farci sentire, ingannevolmente, partecipi di quel tormento umano che attende ancora la sua sublimazione.
Giuseppe Capparelli
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