La galleria ARTCORE è lieta di invitarvi all’incontro “Arte e città: esperimenti di futuro”, che si terrà nei propri spazi (via De Giosa, 48 – Bari) martedì 7 aprile dalle ore 18,30.
La conversazione tra gli artisti Alessandro Bulgini e Gian Maria Tosatti, moderata dal critico Christian Caliandro, trarrà spunto dal progetto che in questi giorni Bulgini sta realizzando a Taranto, intitolato Taranto Opera Viva, prodotto dalla galleria Cosessantuno e curato dallo stesso Caliandro con Alessandro Facente.
A partire dal 18 marzo, infatti, l’artista sta realizzando una serie di interventi, azioni e attività che coinvolgono l’intera comunità cittadina, e in particolare quella della città vecchia: la sua intenzione è quella di costruire relazioni vivide con luoghi e persone, le cui tracce operative verranno esposte a partire dal 18 aprile (e fino al 16 maggio) negli spazi di Palazzo Pantaleo.
Di questo progetto, del suo sviluppo e delle sue modalità, Bulgini discuterà insieme a Gian Maria Tosatti, parallelamente impegnato a Napoli nella realizzazione ambiziosa del suo progetto triennale Sette Stagioni dello Spirito, di cui è quasi pronta la terza tappa (dopo le due precedenti, La peste presso la Chiesa dei SS. Cosma e Damiano in Largo Banchi Nuovi, e Estate nell’ex sede dell’Anagrafe Comunale in Piazza Dante): romanzo di formazione artistico, lavoro epico e monumentale che rappresenta e costituisce un autentico “corpo a corpo” con il tessuto e l’identità e la materia della città di Napoli, conferendo vita e senso a luoghi abbandonati e dimenticati, l’intero ciclo di opere è “pensato per manifestarsi nello spazio urbano quasi segretamente, sottopelle.”
Insieme a Christian Caliandro, i due autori a partire dalla propria esperienza rifletteranno sulle nuove pratiche e sui modi possibili per costruire una nuova relazione tra la produzione artistica e la comunità urbana. Nella convinzione che le città sono prima di tutto esistenze, relazioni umane – non infrastrutture materiali: se la nostra attenzione si focalizza sull’ecosistema (costituito da paesaggio architettonico, paesaggio naturale e paesaggio umano), sulla temperatura e sulla qualità di questo ecosistema, ecco che le sue funzioni - e le disfunzioni – ci saltano all’occhio più chiaramente. Le nostre città hanno infatti l’opportunità di ricostruire in profondità il proprio tessuto culturale, facendo emergere e connettendo tra di loro le esperienze e le energie virtuose orientate all’innovazione radicale, che esistono e resistono al momento in maniera sparsa, radicale, frammentaria: attraverso cioè una forte attitudine interdisciplinare non intesa come elemento esotico e decorativo ma come struttura fondamentale dell’azione culturale. Se mutiamo punto di vista, dunque, non abbiamo bisogno tanto di spazi fisici quanto di modi di relazione e di incontro – tra i territori culturali, così come tra questi e la cittadinanza. Per ricostruire forme di responsabilità civile, attraverso una partecipazione non retorica: questa è la funzione vera, autentica di arte e cultura all’interno dello spazio urbano, materiale e immateriale.
Alessandro Bulgini: “L’artista relazionale, abbandonando la produzione di oggetti tipicamente estetici, opera creando dispositivi in grado di attivare la creatività degli altri trasformando l'oggetto d'arte in un luogo di dialogo e di relazione, in cui perde importanza l'opera finale e assume centralità il processo, la scoperta dell’altro, l’incontro. (…) Da anni uso sistematicamente ‘Opera Viva’ per rappresentare il mio percorso e le mie opere. L’origine deriva dal fatto la parte degli scafi sommersa (a partire dalla loro linea di galleggiamento in giù) si chiama appunto ‘opera viva’: questo accade perché della barca la parte più attiva e più importante è la parte che, invisibile agli occhi, si attiva in relazione all'acqua.”
Gian Maria Tosatti: “Ci diranno: «il mondo sta crollando e voi disegnate fiori?». Risponderemo: «disegniamo fiori proprio perché il mondo sta crollando». Noi siamo la generazione che è già stata falciata dalla Storia. Abbiamo già perso. (…) Abbiamo fracassato la nostra cultura, l’abbiamo tolta dalla circolazione, abbiamo sostituito il pensiero con le parole d’ordine, la dignità con la volgarità. (…) Parlo al plurale perché noi artisti eravamo presenti. Avremmo dovuto essere l’ultima linea di difesa secondo Brecht e, invece, siamo stati i poeti di corte di chi ha fatto tutto questo. E per decenni siamo rimasti a guardare. Abbiamo dipinto i vessilli di questa guerra civile mascherata e abbiamo allontanato le masse dal nostro ‘latinorum’. Per decenni ci siamo rifugiati dietro le fortificazioni a disegnare fiori per chi li ha potuti comprare. Ed è proprio perché i nostri fiori sono finiti tutti dietro alte mura che, al di là di esse, si è creato il deserto.”
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