lunedì 9 settembre 2013

NATIVE LAND

Artisti: Nicola Angiuli
Iginio Iurilli
Davide Partipilo
A cura di: Roberto Eduardo Maria Mazzarago
Giuliana Schiavone
Direzione artistica: Daria Toriello
Testi: Giuliana schiavone

Da un'idea della ProLoco Adelfia
Evento in collaborazione con: Cantine Imperatore
Associazione i Cento Passi

NATIVE LAND
Quello di ‘terra natìa’ è un concetto difficilmente circoscrivibile e tutt’altro che statico. Appartenere a un determinato contesto ambientale è riconquistarlo quotidianamente manifestando la propria adesione a una storia non solo individuale ma collettiva. Essere parte di un territorio è contribuire alla sua muta evoluzione, rinsaldando al contempo le radici da cui si è stati generati. E l’arte, o meglio il fare artistico, è innanzitutto assimilare, assorbire forme e odori, materie, gestualità e tecniche legate alla propria terra di origine per sottoporli a processi di creazione che conducono sempre a nuove entità formali e noetiche. E l’opera d’arte, in qualunque medium sia espressa, ingloba costantemente il paradigma che rende un determinato territorio quel particolare territorio e nessun altro. L’arte è sempre manifestazione di una dialettica con un contesto, azione che tende sempre più o meno inconsciamente a riattualizzarlo, ribadirlo in un linguaggio che certamente è legato all’unicità del singolo artista, ma che assorbe inevitabilmente la storia totale del locus. E se è vero che i concetti di terra, comunità, limiti geografici e culturali sono sottoposti a un costante ripensamento semantico, ecco allora che persino il proprio native land può essere trasferito per le ragioni più svariate in altri native landscapes giungendo a contaminare spazi esterni, innestandosi, insinuandosi nel preesistente tessuto antropologico, o, al contrario, restando allo stadio di cultura marginale, estranea.
Aspetti come questi emergono nel progetto in fieri dell’artista Nico Angiuli. Nei “Gesti della vite” il discorso attorno alla terra di origine si fa riflessione sui concetti di lavoro e integrazione, coinvolgendo nelle fasi di realizzazione un gruppo di campesinos magrebini emigrati a Blanca, in Spagna, dove l’artista ha già lavorato a una serie di progetti complementari, passibili a infiniti sviluppi pur mutando nei mezzi di lavoro e nella forma, in cui i gesti dell’agricoltura si fanno rappresentazione ritmica e concettuale. La “danza degli attrezzi” è una sorta di archivio visivo e sensoriale in forma di trittico che evoca tecniche, tecnologie e fasi di lavorazione delle colture/culture tipiche del mondo rurale, in un percorso dotato di autonomia e di grande valenza culturale. “El campo es un camouflage” – pronuncia Chehida, uno dei lavoratori coinvolti dall’artista nella performance, come a ribadire che il lavoro nei campi sia in grado di annullare ogni distinzione tra gli uomini, rendendoli simili, camuffandone le diversità etniche.
Dalla terraferma alle profondità del mare, gli aspetti più peculiari del native landscape entrano a far parte del percorso creativo più che trentennale di Iginio Iurilli. Le forme organiche e inorganiche del paesaggio mediterraneo, le sue concavità e convessità, i moti e le increspature superficiali, vengono puntualmente tradotti in creazioni dal forte impatto estetico e sensoriale, ma sempre disciplinate in una visione sintetica di indiscusso equilibrio morfologico. Nei piatti poveri, le lische di pesce incise o impresse sul fondo somigliano a fossili reali creati dall’azione della storia per conservare la memoria del quotidiano, del legame generazionale, di una continuità tutta emotiva. Se talvolta l’uso di cromatismi o dimensioni fuori scala per i suoi soggetti sono elementi che li inscrivono nella sfera dell’artificio, si tratta sempre di un’astrazione fortemente radicata alla terra di origine. Tra le sinuosità delle forme si schiude infatti la storia di un territorio che per l’universalità del linguaggio adottato finisce per diventare frammento di storia universale.
Nel percorso di Davide Partipilo, infine, il native land sembra essere sottoposto a un’indagine naturalistica collegata alle specie arboree e arbustive del territorio, che si estende alle trasformazioni apportate dalla presenza antropica. Alberi secolari finiscono così per scomporsi e ricompattarsi in traccia cromatica, in cui il colore ora si addensa, ora si scioglie e si dipana sulla superficie, stabilizzandosi in forme appena accennate, impalpabili e sospese tra definizione e mutevolezza. Il native land è liberato dalle sovrastrutture della storia e dall’azione umana; la forma è indipendente da ogni determinazione assoluta, trascinata da una gestualità istintiva che la restituisce allo stadio incontaminato dell’origine. Così, specie arboree differenti possono convivere nello stesso “paesaggio” in una riflessione che culmina nelle conseguenze dello sfruttamento economico del suolo, come l’alterazione dell’assetto originario delle specie vegetali e faunistiche del native land pugliese.
Giuliana Schiavone


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Amalia di Lanno