La finitezza umana abita il castello kafkiano. Come insorti in cammino ci avvalliamo a un progresso che non è divenire, bensì mortificazione che allontana l’essere da sé stesso e da un suo naturale suono del respiro. Così, in una possibile voce dell’esistenza che cerca la sua identificazione nell’argine del limitato, si riscopre lo stato naturale che ci avvicina, tramite una ritualità tutta umana, alla gracile imperturbabilità delle altre specie. Nel desiderio di una protesi di un’esistenza, l’uomo rivendica un altro da sé che lo allontana dalle radici viscerali con la terra, membrana della sua stessa linfa. Nel velo di inconoscibilità incondizionata del tangibile, si insinua lo spasimo umano. Condannati a un riciclo di un nonnulla, la nostra oppone una lirica e respinta confutazione: Nell’impalpabile abdico. Una zona di intimità in contrasto all’artificio e alla sproporzione del soffio del creato. Nel quotidiano si apre una zona sacra. Il sacro è condizione mai languidamente fioca ma inflessibilmente possente. In una materia che richiama la penombra e il finire è conservata la natura delle entità nella loro consistenza, al di là dello scorrere terreno. Inoltrandoci idealmente nell’aurea di un soffio disincantato, scopriamo un’ammissione volontaria dell’artista che riconosce un distaccamento parziale di ciò che era, per ammettere il proprio ionell’oggi. Come un perno, le espressioni denunciate dall’io si dilatano invisibili, dense nella loro estetica visiva, lateralmente nel dittico che aggiunge, alla ferita, la sua autorialità fino ad arrivare agli antipodi di una stretta che accoglie l’osservatore, revocando la possibilità di riappropriarsi del proprio danno originario, sedimentazione più pura e tutelare dell’essere, non intaccata dalla conoscenza del mondo fenomenico e dalla scienza che vaglia il susseguirsi indomabile di accadimenti. Emergono, tra le trasparenze del materiale che ha tratto origine dal processo di riesumazione e logoro per avere assorbito il prima e il dopo di una presenza, fronde vegetali, come piccole geografie di resistenza. Il contenuto si salda, severamente leggiadro, con il suo carico seducente, nel contenitore. Nella quiete di un luogo domestico si attua un ritorno al sensibile, al proprio vissuto e alle relazioni essenziali. Rileggere la scrittura del passato è atto di un trasporto condiviso, in cui il microcosmo e la sua appropriazione temporale dialogano con le profondità raggiunte da uno scorrere subterrestre della sostanza acquosa e con una materialità eterea da stringere nel flusso sanguigno. Il moto si distende da un concluso andamento orizzontale a una verticalità che veste una richiesta di apertura e di iniziazione. Il simulacro dell’essere è liberato. L’essere si pone in un presente e autonomo divenire.
Laura Catini
Nell’impalpabile abdico di Veronica Neri
a cura e con testo critico di Laura Catini
giovedì 7 settembre 2023, ore 18.00
Studio di Iginio De Luca
via Giuseppe Ravizza, 22/a, 00149-Roma
tel. 3428076850
pubblica: