La ricerca artistica di Cecilia Luci trae grande alimento dalla vita dell’io invisibile e ineffabile, cui la materia dell’arte si incarica di dare forma.
Una chiave di lettura ci è fornita dall’artista stessa allorché ricorda il suo incontro, in tenera età, con Paul Klee, attraverso il libro regalatole dalla nonna materna, che era per lei tormento e ristoro: «avevo paura di quel libro, lo temevo, tanto potenti erano gli effetti che provocava e creavaper me, o in me, una realtà alternativa nella quale ripararmi». Esso costituiva una sorta di misterioso varco oltre il quale scoprire un mondo parallelo: «un ipnotico dizionario di leggi cosmiche ed interiori»; il detonatore di uno «stato d’ipnosi (che) creava una catarsi, una mutazione creativa che faceva e fa salire a galla tutto, ma proprio tutto quello che era stato messo in quell’angolo, archiviato per tanto tempo».
Il celebre artista svizzero intende notoriamente la sua ricerca come inserimento nelle forze creative della natura. La prassi dell’artista romana sembra liberamente riprodurre tale attitudine, ma con delle varianti significative, dal momento che, se a Klee interessano più le forze formative che le forme stesse, Cecilia lascia affiorare le forme del suo io integrale, trovando così un formidabile mezzo di autoespressione che non di meno trapassa repentinamente da traccia di un vissuto individuale a immagine di un semi-conscio più aperto alla dimensione collettiva.
Ogni sua opera, in altre parole, è innanzi tutto paziente, delicatissima, cadenzata scrittura di una personale storia interiore, sia essa radicalmente aniconica o improntata all’evocazione di elementi figurativi, benché assai stilizzati. Essa slitta tuttavia, in un secondo tempo, su di un piano ulteriore: allora lo spettatore, pur impossibilitato a conoscere l’insondabile profondità dalla quale certe epifanie provengono, è capace, in virtù della sua sensibilità e, più specificamente, del bagaglio di immaginario che scopre di possedere in comune con l’artista, di (com)prendere ciò che si sta comunicando visivamente pur senza essere in grado necessariamente di restituirlo attraversoil linguaggio verbale.
Il principio del ricamo, con il silenzio e la lentezza compassata che pervadono inevitabilmente tale pratica, con la estrema cura che essa richiede, con il suo inevitabile lambire, quando non rappresentare, una peculiare attività dello spirito, sembra in definitiva ricapitolare l’ispirazione generale del progetto in mostra. Parlando di delicatezza e impalpabilità, che non significano però debolezza ed inconsistenza, Cecilia Luci pare allertarci sul fatto che ciò che più conta nella nostra vita è anche ciò che più è fragile e in quanto tale va amorevolmente curato e fermamente difeso come i fiori di un campo. Ecco perché è severamente «vietato calpestare i sogni»!
Cecilia Luci vive e lavora a Roma. Avvalendosi di diversi media, la sua ricerca mira ad indagare un’intimità conflittuale, raccolta, a tratti dolorosa. Alla base vi è la memoria legata al suo quotidiano, da cui trae linfa quella sorta di universo parallelo che è la sua interiorità. Negli ultimi anni si è inoltre crescentemente avvicinata alle questioni femminili, affrontando, tra l’altro, il problema della violenza simbolica e fisica di cui ancora troppe donne sono vittime. Ha quindi avviato una collaborazione con la Casa Internazionale delle Donne e con l’UDI, connettendo le diverse storie e cogliendo il tempo per una reazione forte e condivisa.
Ha al suo attivo numerose mostre personali e collettive. Tra le personali: “In potenza sono tutto”, acura di Benedetta Carpi De Resmini, Casa Internazionale delle Donne, Roma (2019); “Made in Water”, a cura di Marco Tonelli e Fabiola Naldi, Museo Macro, Roma (2014); Gravità, a cura di Gianluca Marziani, Palazzo Collicola Arti Visive, Spoleto (2012). Tra le collettive “AlbumArte. Da Casa. Abitare il tempo sospeso”, a cura di Cristina Cobianchi, mostra virtuale (2020); “IT. Spazi di percezione tra intangibile e tangibile”, a cura dello IED, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma (2014).
Stefano Taccone (Napoli, 1981), dottore di ricerca in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico-artistica, è attualmente docente di storia dell’arte nei licei. Tra le sue recenti monografie La radicalità dell’avanguardia (Ombre Corte, 2017), La cooperazione dell'arte (Iod edizioni, 2020). Collabora stabilmente con le riviste “Frequenze Poetiche”, “Segno” ed “OperaViva Magazine”.
Mostra in presenza
Ingressi contingentati www.axrtgallery.com
INFO contact: info@axrtgallery.com
Cell. +393355819837 Tel. 082525851
Artista: CECILIA LUCI
a cura di: Stefano Taccone
titolo: Vietato calpestare i sogni
Ingressi contingentati www.axrtgallery.com
INFO contact: info@axrtgallery.com
Cell. +393355819837 Tel. 082525851
Artista: CECILIA LUCI
a cura di: Stefano Taccone
titolo: Vietato calpestare i sogni
fino al 24 luglio 2021
luogo: AXRT Contemporary Gallery
indirizzo: via Mancini 19 - Avellino
info: Info@axrtgallery.com / 335.5819837 / 0825.25851
orari della galleria: la AXRT è aperta tutti i giorni ore 10/13, ore 17/20.30 chiusura mostra: 24 luglio 2021
luogo: AXRT Contemporary Gallery
indirizzo: via Mancini 19 - Avellino
info: Info@axrtgallery.com / 335.5819837 / 0825.25851
orari della galleria: la AXRT è aperta tutti i giorni ore 10/13, ore 17/20.30 chiusura mostra: 24 luglio 2021