giovedì 9 novembre 2023

Paolo Fichera. Interiormimetico


Sarà inaugurata il 9 novembre 2023 alle ore 18 la mostra Interiormimetico dell’artista Paolo Fichera, curata da Laura Catini per le iniziative di Micro. La pittura di Paolo Fichera è narrazione mimetica dei passaggi interiori del sé, come individuo, all’interno della sfera del quotidiano. Paolo Balmas nella sua presentazione critica della personale alla Cripta del Collegio di Siracusa (1989) afferma “…L’opera, dunque, lo attende ed è vera quanto egli saprà essere vero. La comunicazione, il coinvolgimento dell’altro, è funzione diretta di questo impegno di verità, di un livello di definizione che l’artista non conosce in anticipo e di cui, comunque, conoscerà sempre e soltanto un equivalente, l’equivalente costituito dalla propria stessa personalità…”.

L’esposizione Interiormimetico è prova consistente di quella dimensione d’interno-esterno, di cui si nutre il fare pittorico dell’artista.Inoltriamoci nel testo critico di Laura Catini, per meglio afferrare la consistenza del suo operato e dei lavori che saranno esposti in mostra.

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Nei corridoi mimetici dell’io
di Laura Catini

Il ticchettio silenzioso di una frazione temporale, fissata nell’atto del tocco del pennello, avvolge un’olimpica stasi, in cui il respiro si fa denso e stipato da un setacciamento irruente di scrigni, ove incalzano e si agguantano le plurime soggettività, le sfaccettate sessualità, le fantasie composite e un quieto rimpatrio alle attitudini delle origini. Una salvezza tinge una sincera tempra e replica un polisemantismo psicanalitico. È tra le velature del colore che si possono vagliare i minimi depositi di un sentire che sfugge alla sublimazione freudiana. Così, l’iconico quadro sopra il sofà - che tanto si attiene alle tendenze estetiche contemporanee - viene scongiurato dallo spirito corvino di una convulsa metafisica della puerizia. La stretta nell’emergere di una modalità critica e rivisitata con la lente della psicoanalisi nella luce modernista del Ventesimo secolo è pregna di una tenue commozione che si rinnova nel linguaggio pittorico del nostro. Bus (2019) è metafora primaria di una ricercata contiguità d’animo negli aspetti collettivi della vita, e alieni da un puro contesto domestico. Si fa ingresso nella sfera intima di un locusinteriore che ci riconduce simultaneamente tra le quattro pareti del nostro abitato. Immaginiamo dinanzi a noi, seduti sul divano, quell’arazzo e quel tavolino del nostro abitacolo familiare. Eppure, il giovinetto è ben saldo sulle gambe, nel mezzo di un bus e reca con sé gli indumenti o fardelli che lo hanno sospinto a una chiara veduta, quasi una predestinazione spettante all’uomo della folla. La sua vista strega lo scorrere, nelle nostre arterie, in un’interrogazione di un fatidico trascorso. Quello sguardo fanciullo rimane avviluppato dall’alterità delle esperienze decorse che annettono, nella loro voragine inghiottitrice, la spazialità della tela, in un soggetto adulto che contempla nell’altrove la domanda di solitudine che è patrimonio individuale e flagello comunitario. L’immaginario occidentale è vagliato nello spaccato di un realismo ontologico e metempirico che si forgia e si contamina con un neoespressionismo e con un simbolismo degli elementi. L’artista si astiene dai cavilli della pittura colta, dell’apparenza e della convenzione per sugellare l’appartenenza ai moti dell’animo, senza mai ricorrere a un loro diniego. Tuttavia, non è facile estetica, ma faticoso prelievo nelle stratificazioni consce e subconsce di un ioscandagliato nei suoi avvallamenti inconfessati. La realtà irresoluta si permea di una distesa inflessione nell’ultima produzione, in esposizione. Il pittore americano Robert Henry ha esplicitato che “L’arte è la donazione da parte di ciascun uomo della sua testimonianza al mondo. Chi desidera donare, ama donare, scopre il piacere di donare”. L’artista prima del suo trasferimento nell’Urbe, nel 1968, si appropria delle contaminazioni di una vita a contatto con la civiltà contadina, in cui vizi e virtù e una profondissima umanità incalzano nel trascorrere giornaliero di un imperturbabile accoglimento delle proprie limitazioni. Afferma Paolo Fichera “... la bellezza (è) sempre più simile a quei bambini che non riusciranno a vedere mai un grattacielo, leccandosi le dita dopo aver mangiato un hot dog ai piedi del David di Donatello”. Alla fine degli anni Novanta, il sintetismo concettuale degli anni Ottanta è nuovamente dissimulato dall’artista per un’inclinazione connaturale all’azione pittorica. L’arte muta in mezzo per fare ingresso, secondo una modalità simpatetica, all’esperienza di civiltà straniere. Jhon Dewey esemplifica che “Esse (le arti) provocano un ampliamento e un approfondimento anche della nostra esperienza, rendendola meno locale e provinciale via via che, per loro tramite, afferriamo gli atteggiamenti che sono alla base di altre forme di esperienza”. L’operaPaesaggio (2020) ci accoglie nella sua contraddizione visiva, nel suo posizionarsi alla fine di una discesa di un corridoio vetrato e, in sincrono, impegnando lo sguardo in una movimentazione di “sotto in su”, essendo una finestra su reminiscenze private, una terrazza di un grattacielo. Si espongono le fragilità di un derma quasi inconsistente che pone l’esperienza comune alla mercè di un’apatia stereotipata e priva di pensiero. Incontrare l’oppressione, indotta dal circostante e dai suoi elementi, ci priva da un’imprudente insensibilità e indolenza che ammettono tale esperienza come normalizzata e conducono all’offuscamento di una rilevanza della struttura pratica comune e delle sue separazioni di percezione sensibile. In Primavera (2019), una notizia trascina, con zelo, l’attenzione di un uomo e una donna in una reviviscenza di ascolto compartecipato. Si traccia, nel presente, una cura verso il recondito, in cui una coppia atemporale è attrice di un teatro senza spettatori e in cui il transitorio sosta solo pochi attimi, per dipoi dissolversi.Leda e il cigno (2020) è metaquadro che raccoglie la nota citazione del soggetto mitologico. È protagonista principe dell’intera raffigurazione, in cui il ciglio è accompagnato dalla direzione del tracciato pedonale. Lo straniamento apportato, tramite l’inserimento di ricorrenti fenditure, in forma di porte, finestre, schermi di televisione, particolari ornamenti parietali fisici o immaginativi che percorrono la duplicità allestitiva tra esterno e interno, occupa la parabola dell’artista. Il sonetto di William Butler Yeats, dal titolo omonimo, fonde il realismo psicologico con una visione mistica che la critica e femminista accademica e sociale americana Camille Anna Paglia definisce “il più grande poema del Ventesimo secolo” - e aggiunge - “tutti gli esseri umani, come Leda, sono coinvolti momento per momento nella ‘corsa bianca’ dell’esperienza. Per Yeats, l’unica salvezza è la forma e l’immobilità dell’arte”. Certo è che il mito ha lasciato un significativo dubbio sulla versione veritiera e univoca del mito. In alcune versioni, Elena non è figlia di Leda, bensì di Nemesis, la dea che incarna il disastro infuso a coloro che patiscono per orgoglio estremo o per hybris. In Set, un uomo si affaccia al di là di un sipario tendato che delimita un interno-esterno fisico che è sintomatico e del medesimo binomio interiorizzato. Intravede due individui lontani, e altrettanto vicini, transitare per isolati corridoi esistenziali. L’osservatore, esterno dalla narrazione soggettiva dell’artista, rileva - ancora una volta - due metaquadri che, singolarmente, ragguagliano distinti istanti di storie individuali. Due scene illustrano il fenomeno ottico-visivo in prossimità di una coppia colloquiante,Intervista (2017) e Al bar della stazione (2021). Nel primo flashback, la veduta esterna di distruzione e di vestigia di vecchi trofei automobilistici di uno sfasciacarrozze sulla Tangenziale è mimesi intestina di un’inframmettenza che preclude, in una celata inibizione del sé, la possibilità di interconnettersi e di raggiungere repliche autentiche e provenienti dai precipui abissi dell’io. Nella seconda rievocazione, durante la sosta dal viaggio in un fast-food, è sempre lo sguardo di una donna-madre, generatrice della vita e delle sue future coscienziosità, a guidare l’osservatore verso l’immaginazione che accende, nel riquadro dell’anima, il ricordo d’infanzia, nel cui andito è posto un tendaggio come quinta della mente in continua peregrinazione. In un corridoio psichico, si scopre Seminterrato(2019), in cui le ombre dell’affezione e della coscienza gettano una ritmicità cardiaca nella discesa delle scale e nell’ingresso in quella porta misteriosa che sembra traboccata, senza por tempo in mezzo, dal famoso volume di Lewis Carroll. A un luogo intimo corrispondono le opere di carattere privato dell’artista. Sul fondo, a destra di un tendaggio, si situa LCD (liquid crystal display, 2023), attimo successivo al risveglio mattutino, raffigurato in Ciao (2018), in cui l’artista si autoritrae dietro un sipario, questa volta rosso, disinteressato dalle fantasticherie di un trascorso e di un presente malinconico, al quale privilegia la fantasiasine tempore, dettata dal gioco libero della solitudine, in un palcoscenico surreale. Proseguendo il camminamento, in Attesa (2020), una ragazza pensierosa, nella propria stanza, spia al di fuori della finestra il trascorrere del tempo metaforicamente delineato dal passaggio di un veicolo, i cui fanali posteriori illuminano una nebbia viscerale. Gli scorci routinari riportano la nostra memoria alle opere hopperiane di riferimento al realismo degli interni di Edgard Degas. Pregevole gioiello in mostra è sicuramente La tela bianca (2020), in cui il metaquadro, in una prospettiva centrale, si moltiplica in uno spazio indefinito e nei confini incerti di una folta nebbia che campeggia nel perno della parete. Sulla destra, oltre una porta o l’immaginario, si intravede un uomo di spalle. Soggetto “protagonista”, la donna potrebbe non essere contemplata, effettuandosi una vera e propria metempsicosi nel corpo del visitatore. All’opposto, una serie di opere parla di intermezzi che, dalla solitudine, ci consegna una presenza-assenza di coppie. Laura (2023) chiude l’intero ciclo allestitivo, con uno sguardo di curiosità verso un mondo altro che getta un cardine utopico nell’aere confinante e nel nuovo avverarsi epocale.

INTERIORMIMETICO
Paolo Fichera
Dal 9 al 16 novembre 2023
Curatela e testo critico di Laura Catini

MICRO / Roma,Viale Mazzini 1 
Info: +39 347 0900625
info@microartivisive.it