ANTEFATTO
Il Novecento al pari di pochissimi altri periodi storici è stato per la società italiana una fucina di ingegni rari e coraggiosi, forse che tutte le tragiche circostanze politiche e sociali hanno contribuito a forgiare una tipologia di artisti e pensatori capaci di attraversare e significare il caos.
Due dei più importanti, e forse poco approfonditi, nati entrambi nel 1902, sono mi pare Carlo Levi e Cesare Zavattini.
Personalità proteiformi, capaci di espandere il proprio pensiero in vari ambiti e linguaggi, sembrano condividere più di una intuizione. La prima è relativa alla consapevolezza che l’essere umano è al contempo autore e vittima della propria natura, creatura nobile e abietta, in perenne oscillazione tra la capacità di creare bellezza e libertà o espandere intorno a sé, attraverso la creazione dei propri idoli di potere, terrore e morte.
L’inesausta esplorazione di questa realtà dolorosamente contradditoria, che dal profondo dell’interiorità di ogni essere umano deflagra nel mondo, è l’archetipo davanti al quale entrambi sono rimasti tutta la vita senza indietreggiare né inorridire. Il secondo aspetto deriva immediatamente dalla serietà del primo: per preparare un mondo futuro libero dalla paura e dagli idoli era necessario lasciare che il processo creativo, che in entrambi è sinonimo di libertà, uscisse da un terreno specialistico per impastarsi con la vita stessa, al fine di trasformare in profondità non le forme dipinte, cantate o scolpite, ma il cuore stesso dell’essere umano.
Questo cuore di bambino che per reagire alla complessa, quanto vitale metamorfosi del reale, all’impermanenza, alla fragilità e alla vaghezza della vita, si rivolge, non a un appassionato esercizio di libertà, bensì alla creazione di modelli di potere (gli idoli)nelle forme politiche, come nell’arte, nel linguaggio come nella religione, con l’illusione che queste si pongano salvificamente a protezione dando un’illusione di stabilità negli aspetti della vita umana.
Levi e Zavattini avevano visto quanto poi si sarebbe affermato come norma e principio, ovvero la totalitaria polarizzazione della società in tutti gli ambiti. La terra in mezzo ai poli rimane semi deserta, nascosta. Questa terra di mezzo è il cuore degli esseri umani, ovvero ciò che li connota come cosa vivente. L’atto creativo, quel momento istantaneo di piena libertà dove gli opposti si fondono e coincidono dando vita ad alti ed effimeri momenti di civiltà, è prerogativa di questa vasta terra spopolata. Le polarità faticano ad assimilare queste voci nel deserto, il loro messaggio arriva distorto, appiattito, stravolto dall’enorme viaggio che questo deve compiere. E tuttavia, anche se flebile questa voce, continua incredibilmente a giungere.
I maestri presenti in questa mostra, ognuno in modo peculiare, abita e opera dalla terra di mezzo, senza l’aiuto di idoli, senza bisogno di guerra e sangue e riti, parole d’ordine, forme fisse e immutabili, seguitano a esporsi a una realtà cangiante, mutevole ed enigmatica. E da questa realtà compresa e accolta traggono forme e pensieri di verità, sì di verità. “Testimoni di un altro tempo all’interno del nostro tempo, di un mondo così intimo e interno al nostro mondo da suscitare scandalo”.
Chiedono forse a noi un atto di fede, venire riconosciuti come esseri umani più evoluti? Niente affatto, non chiedono nulla, ma mostrano con la radicalità della loro esperienza che qualcosa di straordinario è possibile, esiste e vive in un luogo che oggi, l’epoca dei valori rovesciati, appare un deserto inabitabile. “Dal sommo della paura nasce una speranza, muoiono gli dèi e si crea la persona umana”.
Paura della libertà, Marco Pellizolla, Contenitori di stelle, 2021_Ph credits Marcello Tedesco
LA MOSTRA
Il progetto espositivo si iscrive nella serie di mostre organizzate dal museo dedicate all’approfondimento di alcune figure chiave del ‘900. Ricordiamo quella dedicata a Cesare Zavattini (Aspettando Za, una non mostra dalla collezione Massimo Soprani) e a dieci maestri dell’arte moderna e contemporanea (All Stars, Gino De Dominicis, Claudio Parmiggiani, Joseph Beyus, etc.).
La mostra fortemente ispirata dal poema politico “Paura della libertà”, scritto da Carlo Levi nel 1939 e pubblicato in Italia nel 1946, individua alcune personalità nate tra gli anni ‘30 e ‘50 del ‘900 che, per percorso esistenziale e prassi artistica, presentano quei tratti peculiari che Levi descrive nel suo testo: un forte senso di autonomia caratterizzato da una ricerca paziente e coraggiosa, votata, più che a celebrare cristallizzate convenzioni, a un rapporto inedito con la realtà, ovvero quell’organismo enigmatico in continua mutazione e metamorfosi.
Dichiara Carlo Levi in un’intervista del 1974 con Walter Mauro:
“Il terrore di questa metamorfosi, da cui ci si può salvare soltanto vivendo completamente la propria libertà, fa creare le forme del potere che sono state prodotte esattamente per «salvarci» da questa continua metamorfosi, cioè per darci l’illusione di stabilità, nelle forme politiche, come nell’arte, nel linguaggio come nella religione, in tutti i modi e le forme della vita umana”
Quindi se da un lato esiste una volontà largamente diffusa, come dice Levi, che impedisce l’autonomo sviluppo della realtà e che ha la funzione di cristallizzarla in forme sempre più irreali e inumane, producendo in questo modo una forte disgregazione culturale e sociale, dall’altro va rilevata una corrente indubbiamente minoritaria, e per certi versi negletta, che concentra i propri sforzi verso una coscienza personale autonoma e dunque a un esercizio di libertà. A tale proposito afferma Levi: “da qualche parte certamente esistono delle espressioni di autonomia che hanno la facoltà di formare un nuovo mondo reale”.
Questa corrente di pensiero, che attraversa tutto il ‘900 fino ad arrivare sempre più flebile ai giorni nostri sarà il territorio esplorato in questo progetto espositivo.
GLI ARTISTI
Per Marion Baruch(Timisoara, 1929) il mondo si può rappresentare oggi come una realtà residuale. Le sue sculture in tessuto sono desunte dal mondo produttivo della moda, dai suoi scarti. Quello che potrebbe sembrare un atto neutro di appropriazione assume invece un valore narrativo di rara intensità drammatica. La presunta coerenza della spazialità è rotta dal ritmico dispiegarsi di questi segni che conservano un’inaspettata attrattività erotica.
Le opere di Pinuccia Bernardoni(Pisa, 1953) riescono a compiere la più misteriosa delle operazioni: fondere una profonda visione poetica con uno sguardo che penetra incandescente la freddezza della materia terrestre. Nei suoi occhi di schietta toscana si ricapitola tutta l’antica arte di fare coincidere il massimo del personale con l’universale. In mostra una sua scultura in marmo e carta del 2012 dove il tema del viaggio diventa metafora di una metamorfica attitudine alla vita.
L’opera plastica di Pietro Colletta(Bari, 1948) supera con un balzo di tigre del Bengala quanto di convenzionale esiste nella relazione tra arte e vita. Egli compie una grande fusione senza andare in fonderia, ha aperto la sua stessa vita all’irrompere delle titaniche forze della scultura. Quelle che trasformano, attraverso millenaria pressione e calore, un pezzo di carbonio in diamante. In mostra una sua scultura recente in ferro brunito dal titolo “Soglia”.
L’esigenza di pervenire a una visione metamorfica connota tutta l’opera matura di Carlo Levi(Torino, 1902). L’osservazione del mondo eterico delle piante e dei fiori gli permetteva di immergersi in quello che lui chiamava la “forma delle forme”, ovvero un’immagine primordiale che le comprendesse tutte in modo simultaneo senza cristallizzarsi in nessuna in particolare. Così quello che potrebbe sembrare un’innocua natura morta diventa una dichiarazione di un particolare atteggiamento verso la realtà. In mostra un olio su tela del 1971 dal titolo “Nel mio giardino”.
Complessivamente l’opera di Corrado Levi(Torino, 1936) coincide con l’enigma della sua vita, è in contatto costante con il suo nobile lignaggio, davanti a lui è impossibile qualunque atto di arrogante brutalità. In mostra il suo omaggio a Carlo Levi, una tecnica mista su carta del 2021. La storia recente è vista dal maestro come un magma incandescente e oscuro, eseguito direttamente con le mani, come a dire che è sua prerogativa agire sporcandosele.
Marco Pellizzola(Cento, 1953) è capace, come pochi artisti, di unire una profonda dimensione lirica all’ideazione di opere pubbliche di incredibile complessità, sia dal punto di vista formale che organizzativo. La sua attitudine creativa è talmente radicata da potersi confrontare con la dimensione pubblica senza venirne travolto né diminuito, anzi il lavoro esce rafforzato da questo confronto. In mostra un’installazione del 2018 dal titolo “Raccoglitori di stelle”.
La dimensione sonora, il ritmo, la profondità spaziale, che solo il suono riesce a evocare negli intervalli di silenzio, sono alcuni elementi che connotano le recenti opere pittoriche di Roberto Rizzoli(Bologna, 1952). Attraverso un sapiente e controllatissimo uso del colore l’artista evoca realtà immateriali e rarefatte, che sembrano contraddire l’opaca, mesta, densità di una irrealtà quotidiana. In mostra due acrilici su carta, montata su legno, dalla serie “Suite chimica”.
L’opera di Mili Romano (Siracusa, 1953) è una chiara evidenza di come oggi l’arte possa uscire dai suoi consueti argini per rapportarsi alla complessità delle dinamiche sociali e politiche. Il concetto di opera pubblica e di arte relazionale diventa un’espediente per cercare di immettere nuovi contenuti in ciò che di convenzionale sopravvive nell’arte e nella società. In mostra una serie di 36 foto analogiche dal titolo “Resuscitare il vento. Chiedi al ‘77”.
La mostra è a cura di Marcello Tedesco.
Artisti: Marion Baruch, Pinuccia Bernardoni, Pietro Coletta, Carlo Levi, Corrado Levi, Marco Pellizzola, Roberto Rizzoli, Mili Romano.
Nella project room sarà presente Agnese Zavoli, studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Opening: venerdì 14 ottobre alle ore 17
La mostra è sempre visibile dall’esterno del museo. Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, sabato e domenica dalle 15 alle 19.
Via John Cage 11/a-13/a – 40129 Bologna www.museotemporaneonavile.org info@museotemporaneonavile.org