Mario Cresci / D'après Retablo
Mario Cresci
Mostra / D'après Retablo
Gallery Photology - Milano - 7 Febbraio / 5 Aprile 2013
Dice Sciascia, a proposito di Retablo, il libro di Vincenzo Consolo:
“…si può dire, per quel che vi si svolge e per come è scritto, che
questo racconto è come un miracolo: il che peraltro, esattamente si
conviene alla parola retablo, di solito i retablos in pittura
rappresentano le sequenze di fatti miracolosi ”.
E' nel prelievo di questa“ incantata e incantevole fissità di un cangiare e trepidare
di linee, di colori, di eventi luministici “ che si orientano, in
questo mio progetto, la messa in scena e l'azione diretta sulla natura,
con il desiderio di creare immagini dentro a una metaforica realtà dei
luoghi e delle cose. Non una fotografia premeditata e rispettosa del
reale, quanto piuttosto, una fotografia lasciata aperta allo sguardo nel
tempo del viaggio, ma anche all'istante in cui si manifesta
l'imprevisto. Non solo quello retinico del vedere in una frazione di
secondo una casuale congiunzione prospettica delle cose o
un'apparizione, o un piccolo e apparentemente insignificante e quasi
invisibile evento, ma anche quello sensoriale del sentire dentro di sé,
nei momenti di pausa e di silenzio, lontano dal brusio dei paesi e delle
cttà una straordinaria empatia con l'ambiente, la natura e le persone.
Sono attimi di innamoramento che non hanno nessuna logica o
premeditazione, ma che aprono il pensiero, la mente e il corpo, per cui
l'atto del fotografare non è che la parte terminale di un processo
culturale e sensoriale riemerso dal profondo e reso visibile attraverso
le immagini.
Prima di partire per la Sicilia, dove mi sarei
fermato per tutto il mese di ottobre del 2012, avevo solo in mente
alcune riflessioni ricavate dalla lettura del romanzo di Consolo e del
significato emblematico del titolo del libro.
In Retablo il
protagonista, un viaggiatore che viene dal nord Italia, scopre un
territorio e una geografia umana sentite come impreviste rivelazioni di
senso, di cose e di parole che si incrociano tra loro, reinventando una
realtà che non è solo memoria antica di tradizioni secolari, quanto
piuttosto la via per entrare nel pensiero e nel sentimento di una
narrazione che si arrende continuamente alla magia della parola e che
apre lo sguardo alla profonda e arcaica bellezza di quella terra.
Arrivato in Sicilia ho semplicemente seguito le impressioni dovute alla
lettura del romanzo e ho cercato di trovare in me stesso un minimo di
orientamento, una parvenza di idea che mi aiutasse a disegnare nella
mente un particolare viaggio, il più possibile dentro a ciò che ogni
giorno incontravo, chiudendo spesso gli occhi sulle ferite inflitte
dall'ignoranza dell’uomo alla natura e all'ambiente. Anche Consolo si
sarà domandato come doveva essere la Sicilia di quel tempo ormai
lontano, nel quale diede vita al suo racconto immaginando natura e
luoghi non più reali, ma ancora presenti attraverso le tracce del
passato. Ho pensato, nei limiti delle mie possibilità, che avrei potuto
seguire un'idea simile alla sua nella ricerca di un'ecologia dello
sguardo e attraverso l’uso della fotografia cogliere il rapporto tra il
mio sé e il segno magico delle cose che volevo scoprire nella dimensione
del non visibile.
Con il passare dei giorni, dal Palmento
restaurato in cui ero ospite, alla campagna con le riserve archeologiche
e naturalistiche delle aree intorno a Noto, andando verso le spiagge
ormai vuote, lungo le coste di Pozzallo all'estremo sud della Sicilia e
nei riflessi di un limpido mare dai colori cangianti, il non visibile
assumeva il senso del visibile nella ricerca di un mia particolare
scrittura d'immagini. Mi sembrava finalmente di cogliere ciò che
inconsciamente desideravo vedere e nella più ampia libertà di pensiero:
stavo uscendo dalla realtà percepita all'inizio del viaggio per entrare
in quella misteriosa e magica che avevo incontrato nel racconto di
Consolo.
Così l'idea del Retablo descritto nelle sue parole si
imponeva su tutto ciò che vedevo e sentivo, dai più piccoli segni
impressi nella sabbia, impronte di insetti misteriosi, alle tracce
lasciate durante la notte da lumache, grilli, cavallette e lombrichi
sulle pareti della casa che mi accoglieva, sino alle vaste colture dei
fichi d'india, che la circondavano da decenni, e poi ai carrubbi, alle
olive cadute sul terreno, agli alberi e alle bacche del pepe rosa, agli
odori e ai silenzi che segnavano i momenti degli sguardi e delle attese
per cogliere le “giuste luci” del giorno e della sera, prima di
fotografare.
Pensando al senso delle mie immagini che stavano
nascendo, mi ritrovai ad identificarle con una frase di Consolo, che in
una delle ultime interviste, considerava la sua scrittura non come forma
comunicativa quanto piuttosto come forma espressiva: iniziai così il
mio lavoro di messa in scena della natura.
A Vincenzo Consolo dedico questo mio appassionato contributo creativo.
Mario Cresci