lunedì 17 febbraio 2014

Ri-vedere di Nicola Maria Martino

 Ri-vedere di Nicola Maria Martino

a cura di Vito Caldaro

Galleria Formaquattro Bari, 21 febbraio - 15 marzo 2014
Via Argiro 73
70121 Bari (Ba)
Ri-vedere, vedere di nuovo. Tornare a vedere, vedere ancora.
La pittura ha bisogno di essere vista. Vedere la pittura.
Nicola Maria Martino in questa mostra presenta lavori inediti per una riflessione poetica, esponendo per la prima volta con una personale nella sua regione di origine. Al centro del lavoro dell’artista c’è il viaggio di Ulisse, il ritorno a casa, le derive e gli approdi, il verde adriatico e il colore che domina nel sogno del ritorno ad un Itaca immaginaria. L’isola dove Ulisse è Re.
Il lavoro di Nicola Maria MARTINO è più quello di un poeta che usa l’Arte visiva e la Pittura per manifestare un’urgenza espressiva che spazia dalla linea performativa e concettuale degli anni giovanili, quando si forma all’Accademia di Roma come allievo prediletto (e poi assistente) del pittore neofuturista Sante Monachesi, per arrivare fino alle belle tele dipinte adottando uno stile coloratissimo e gioioso, figurato in chiave ermeticamente neo-metafisica.
Nicola Maria Martino ha diretto le Accademie di Belle Arti di Sassari e Torino.


EnigmiECieliDiPoeta
di Gaetano Centrone
Tra i linguaggi artistici contemporanei noi italiani abbiamo questo problema irrisolto con la pittura, storicamente dominata dai nostri artisti, e però cacciata fuori dal tempio dai mercanti dell’ultimo mezzo secolo. Un linguaggio che non smette invece di avere dedicati e ispirati interpreti, che continuano a scandagliare possibilità espressive inesauste. Molti hanno coltivato questa passione e dedizione per la pittura in silenzio, altri si sono accodati, altri ancora hanno finto di riscoprirla nei momenti storici in cui è
stata sdoganata. Ma c’è anche chi l’ha sempre praticata, orgogliosamente esibita e ha resistito, andando ben al di là delle mode.
Aspetti formali e liturgie poetiche. Tra le tante tipologie d’artista che abbiamo imparato a conoscere e decrittare, Nicola Maria Martino appartiene a una che credevamo seppellita, sepolta, travolta dalla storia, o quantomeno mandata in soffitta dai formidabili anni Sessanta. Si tratta del dandy, l’aristocratico artista che vince per eleganza e distacco, l’albatros capitato per caso sulla barca dei pescatori. E visto che non inseguiamo le mode, ma proviamo a capire cosa si nasconde dentro la confezione, a tanta evidente forma corrisponde un credo inesausto nella pittura, nella tensione lirica, anche in tempi – andati – non sospetti. Una continuità di fatto tra come ci si porge al mondo, e quello che si sente, che brucia dentro e si butta
fuori, per non consumare. Non che non ci avesse provato NMM a sperimentare nei rigorosi anni Settanta con le azioni performative che sembravano l’unico modo possibile per un artista per stare al passo con i tempi. L’artista firma i muri, Uscire dalla porta della critica, Artista italiano in vendita e numerose altre, erano sperimentazioni assolutamente convincenti e al passo con i dettami dell’orientamento generale. Tutte giocate sulle note ironiche di chi aveva capito quanto fosse noioso prendersi troppo sul serio. Ma ben presto ha prevalso l’adesione incondizionata al linguaggio pittorico, che ha prodotto esiti ancor più convincenti e sentiti, tanto da indurre la critica ad accostare NMM alla poesia. Sarà per via delle poesie che effettivamente scrive, sarà per i titoli estrosi, sarà per l’oggetto dei suoi dipinti, focalizzati di solito su pochi elementi e rarefatti come nei componimenti poetici, sarà per tutte queste cose che anche chi si trova a scrivere di NMM viene coltoda afflato poetico e contagiato dal sentimento senza tempo della poesia. E non può non credere alla genuinità e alla sincerità del suo ritorno alla pittura, operato ben prima dei movimenti confezionati a tavolino all’inizio del riflusso degli anni Ottanta, come lo stesso artista rivendica orgogliosamente e polemicamente. «Peccato che i soliti grammatici non amino la pittura» ha dichiarato qualche anno fa l’artista commentando
una Biennale di Venezia. Come dargli torto? Grammatici, mercanti e opportunisti, ci verrebbe da aggiungere.
Un ritorno al mestiere di dipingere tipicamente italiano il suo invece, che passando per i grandi maestri del Novecento, risale indietro fino al rinascimento e idealmente più indietro ancora, ai quei dimenticati pittori pregiotteschi che ama citare, e che pure hanno combattuto una personalissima guerra a colpi di pennello e getti di colore: «Baldo degli Orsi, Arturo figlio di Cosimo, Matteo di Acquaviva, Gasparre d’Orsara,
Bertraime de Reale, Fortunato da Pietralunga. Erano tutti pittori. Pittori pre-giotteschi. La storia non ne parla. Non sono citati, ma ugualmente combatterono. L’impresa ardua è la pittura. Le barche sono il viaggio della pittura. Il mare, il suo attraversamento. I saraceni sono gli stolti e funesti dell’arte installativa. Le armi sono le tele, i pennelli, i colori. Con tutto questo si tenta di combattere lo scempio dell’arte».
L’importanza delle parole. E dei nomi. Un’altra singolarità che ci ha colpito è stata la concordanza della critica su quelli che sono i temi ricorrenti e le chiavi interpretative dell’opera di NMM. L’importanza delle
parole, di dare nome alle cose, ai sogni, finanche alle persone. Ovviamente Nicola Maria Martino è stato composto da chi al mondo l’ha messo e, seguendo l’antica suggestione latina del nomen omen, l’importanza del nome risiede anche nel nobile e anticheggiante risuonare di queste tre parole. Cosciente di tale importanza, da sempre Martino dà ai suoi dipinti titoli estrosi, lirici, sognanti, che diventano non un addobbo ma un completamento ermeneutico delle opere stesse. La specifica produzione esposta in questa mostra l’ha invece suddivisa in cicli, individuandone tre, Acerbo, Adriaticamente e L’enigma del poeta. Tre titoli che, a saper leggere, orientano nella pittura di NMM come le stelle orientano nel cielo i viandanti. Il primo ciclo è affollato dagli alberi e dalle foglie; il secondo, come rivela già il nome, è occupato dal mare che ha segnato la sua vita, tra la Puglia della nascita e l’Abruzzo della maturità; nel terzo invece, sono disseminati gli
elementi che solo alludono all’assenza dell’uomo e segnatamente a quella del poeta, che si fa carico del sentire collettivo. In questa rarefazione di figure passa definitivamente in secondo piano la tradizionale distinzione tra figura e astrazione, ridotta com’è l’evocazione di pochi, fondamentali e emblematici oggetti impressi nella rètina della memoria. L’elemento che si impone, esplodendo agli occhi del riguardante, è il vitalismo di una pittura calda, mediterranea, puro trionfo di un colorismo evocativo. E allora gli alberi, i pezzi di muro, le barche, restano impigliati come tanti calchi di un vissuto che va oltre – perchè c’era prima – il raziocinio raggelante. Potremmo dare titolo a un altro paragrafo, ma è un tutto che reciprocamente si tiene, e le coordinate dell’Adriatico ci uniscono in una memoria che è anche affettiva. Solo chi è nato sul mare conosce il distacco che si prova quando si vive lontani da esso. E perdersi nella pittura impaziente di NMM significa prendere quel treno che tanti di noi hanno preso, viaggiando per la dorsale adriatica, quel treno che a un certo punto sembra quasi correre sul mare. C’è solo una piccola, esigua striscia di terra che ci divide dalle sue acque, ma non se n’è mai accorto nessuno e, soprattutto, non ci ha impedito di sognare.

Ri-vedere
Vernissage: 21 febbraio 2014 ore 19
Fino al 15 marzo
Galleria Formaquattro
Via Argiro 73 Bari
info@formaquattro.com
Tel. 0805612271 - 3466260299

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amalia di Lanno