La Fondazione Bevilacqua La Masa testimonia
per la prima volta con una mostra personale l’operato di Elisabetta Di
Maggio (nata a Milano nel 1964) ideale completamento di un lavoro murale
iniziato nel 2004 e lasciato incompleto per la nascita del figlio
Andrea.
La mostra conterrà tutta la gamma di tipologie operative sviluppate dall’artista negli ultimi dieci anni circa.
La mostra conterrà tutta la gamma di tipologie operative sviluppate dall’artista negli ultimi dieci anni circa.
I lavori di Elisabetta Di Maggio sembrano a prima vista dei pattern
decorativi. In effetti, essendo partita soprattutto dal ricamo, la sua
pratica si realizza muovendo da una manualità molto precisa di vocazione
femminile. Una delle sue prime opere importanti è stato un corredo che
simulava in carta ciò che le ragazze di un tempo facevano sulla stoffa.
Guardando con attenzione, si scopre però che non c'è nulla di romantico o
di specificamente muliebre nelle opere: sono spesso, anzi, portatrici
di un senso duro della vita, aspro, crudele.
L'artista
generalmente trafora con una acribia da chirurgo fogli di carta velina,
foglie di vegetali piccoli o enormi, saponi e altre superfici, incluso
l'intonaco. Operando con una serie di bisturi passa ore a sezionare
questi materiali, ottenendo una geografia disegnata che allude a molti
soggetti. Tutti pero' possono essere accomunati a un tema unitario, cioè
le forme che assume la vita nel suo dilatarsi e organizzarsi.
Ecco
allora che troviamo, come temi e come trame sottostanti al ricamo, la
maniera in cui si espandono le radici di certi vegetali, il modo in cui
si sviluppano le cellule dei tessuti viventi, la maniera in cui si
snodano varie tipologie di città con la loro rete di strade, circuiti
che ricordano quelli elettrici e che scopriamo, invece, essere il
pattern che assume il volo di una farfalla.
L'artista prende dunque i
suoi soggetti dal mondo reale, partendo da illustrazioni
antropologiche, botaniche, urbanistiche e scientifiche in genere. In
quest'ottica, anche il richiamo a tappezzerie domestiche, decorate con
rose o con fiori vari, diventano una manifestazione di come opera la
natura, in questo caso attraverso la manualità e il gusto dell'uomo.
Dunque, nelle grandi superfici di carta, nelle configurazioni fatte di
spilli, nei disegni preparatori, in tutto il repertorio di Elisabetta Di
Maggio, si ripete dunque il rito della vita e del suo diffondersi
ineluttabile, a volte lasciando morire i rami secchi, a volte lasciando
vivere e anzi esagerando la vitalità di rami collaterali.
L'opera
complessiva assume dunque il sapore di una riflessione sul nostro stesso
esistere come parti di un tutto che tende a ripetere certe leggi di
proliferazione frattale. La vita umana vi si presenta fatta di poesia e
di piacere, ma anche di pericolo, di costante precarietà, di mancanza di
pace. In questo senso l'artista scarnifica e rende scheletrica la vita
al punto da suggerire un senso di “disnascita”, di riconduzione a uno
stato originario e precosciente, di ossificazione dei processi
esistenziali e quindi di raggelamento del malessere. L'unico modo per
lenire l'angoscia della lucidità su chi siamo e da dove veniamo sembra
essere quella dell'agire, dell'applicazione al fare come una forma di
meditazione e, al contempo, di anestesia.
Mostra supportata da LAURA BULIAN GALLERY
For the first time, the Bevilacqua La Masa is to witness the work of
Elisabetta Di Maggio (born in Milan in 1964) in a solo exhibition, the
ideal occasion for the completion of a mural begun in 2004 and left
unfinished due to the birth of her son Andrea.
The exhibition will cover the entire range of techniques developed by the artist over approximately the last ten years.
At first sight, Elisabetta Di Maggio's works appear as decorative
patterns. In fact, her method begins above all with embroidery, moving
on from what is a highly precise, typically female skill. One of her
first major works was a trousseau, simulating in paper what girls used
to do on cloth. On looking more carefully, though, you see nothing
romantic or specifically feminine in her works. They are dense, bearers
of a sense of the hardness in life, bitter and cruel.
Usually, with
the precision of a surgeon, the artist cuts through sheets of tissue
paper, small or enormous vegetable leaves, soap and other surfaces,
including plaster. With a set of scalpels, she spends hours cutting
these materials, obtaining a sculpted geography that alludes to many
things. All of them, though, share a single theme – the form taken by
life as it spreads and organises itself.
It is there, in the themes
and plots underlying the embroidery, that we see the way the roots of
certain vegetables expand, the way the cells of living tissue develop,
the way different kinds of towns unravel their networks of roads and
electric-like circuits, only to discover the pattern taking the form of a
butterfly's flight.
The artist thus takes her subjects from the
real world, starting from anthropological, botanical and all kinds of
scientific illustrations and street maps. In this perspective, even the
allusion to domestic upholstery, with its rose and flower patterns,
becomes a manifestation of how nature works – in this case via the
dexterity and taste of man.
And so, in the great surfaces of paper,
the structures made of pins, the preparatory drawings and the entire
repertoire of Elisabetta Di Maggio, the rite of life and its inevitable
propagation are repeated, with the dry branches being left sometimes to
die and sometimes to live with, indeed, an exaggerated vitality in the
collateral branches.
The entire work thus takes on the flavour of a
reflection on our own existing as parts of a whole that tends to repeat
certain laws of fractal growth. Human life is portrayed as made up of
poetry and pleasure, but also of danger, a constant precariousness and
the absence of peace. In this sense, the artist strips the flesh off
life, reducing it to a skeletal form to convey the sense of being
“dis-born”, taking it back to an original preconscious state with the
ossification of existential processes and hence the freezing of malaise.
The only way to allay the anguish of being lucid about who we are and
where we come from seems to be action, the application of doing as a
form of both meditation and, at the same time, anaesthetic.
Exhibition supported by LAURA BULIAN GALLERY
Segnala:
Amalia Di Lanno