lunedì 21 giugno 2010

LA CRITICA D’ARTE PUO’ PRESCINDERE DALLA STORIA DELL’ARTE?



Francesco De Sanctis dal cui magistero, noi critici d’arte figurativa non ci sapremo mai staccare, lamentava ai suoi tempi (1817 -1883) l’eccesso di erudizione, che astrattamente interviene nei cervelli di certi critici, a mortificare l’atto proprio della critica che è, anche per me, un calarsi dentro lo spirito di un pittore o di un poeta.
Questa sera, più che parlare sulle motivazioni che hanno spinto gli organizzatori a effettuare questa mostra, qui a Bitritto, vorrei intrattenermi sul compito o meglio sulla funzione di un critico d’arte.
Assai spesso, in 50 anni di mestiere, diciamo pure di scrittura, ho avvertito, non solo in Italia, una diffidenza da parte degli artisti verso i critici d’arte ritenendo loro necessaria una critica seria.
A mio avviso questi artisti ed anche voi tutti che avete aderito a “En dix” avete ragione per diversi motivi.
Prima di tutto perché la critica d’arte non può prescindere dalla storia dell’arte, se pure è esatto parlare di storia dell’arte.
Avete ragione perché i critici d’arte hanno una concezione a volte troppo limitata nel tempo e quindi sono portati a vedere quello che c’è nell’immediato presente o quantomeno nel tempo passato da poco.
Per fare critica e storia dell’arte occorre, direi, prima di tutto una grande umiltà e una grande onestà. E’ ovvio che anche il critico, lo storico, qualsiasi persona possa sbagliarsi,, però se si sbaglia lo deve fare in perfetta buona fede, per lo meno con dei motivati pensieri che magari lo hanno portato ad un ragionamento errato.
Ma veniamo più specificamente alla richiesta.
Oggigiorno, c’è un problema , sotto un certo aspetto, di fondo ed è questo: la impreparazione, in parte, di molti critici improvvisati. Poi vi sono motivi forse meno, diciamo, puliti, cioè una certa cointeressenza : ovviamente qui non parlo dal punto di vista economico soltanto, ma anche ideologico e culturale.
Chiaramente questa non è una generalizzazione, bensì una precisazione sullo stato normale delle cose.
Il critico d’arte purtroppo si trova a volte legato a dire cose che forse nel suo intimo non condivide pienamente.
Quando un critico è chiamato a fare, per esempio, un catalogo o la presentazione di una mostra, capisco perfettamente che debba mettere in miglior luce i lati positivi dell’artista, però questo punto deve essere superato allorché si arriva – che ne so ? - a una monografia, ad un articolo che non sia vincolato ad una presentazione, ma si espanda in un campo maggiore, cioè cerchi di delimitare e di delineare l’ambito in cui l’artista esplica la propria opera. In questo caso evidentemente, di fronte ai lati positivi si debbano segnalare qualora ci siano anche i lati meno positivi o addirittura negativi.
Quindi per ovviare a questa diffidenza che si è creata da parte dell’artista sarebbe opportuna una maggiore sincerità da parte del critico perché nel linguaggio molto spesso ermetico si celano termini incomprensibili che cercano di obnubilare un poco il concetto per arrivare a una dimostrazione già predisposta, già preordinata.
Questo non dovrebbe essere fatto.
E’ chiaro che anche la critica e la storia dell’arte usino termini tecnici, abbiano una tecnica del linguaggio…
Personalmente ritengo che questa terminologia deve però essere usata in strettissima misura laddove, cioè, bisognerebbe ricorrere ad un giro di parole.
La chiarezza, ritengo che sia la questione precipua, la base fondamentale della critica e della storia dell’arte, come del resto ritengo che debba esserlo per ogni, e qualsivoglia, problema scientifico, filosofico, letterario e così via.
E’ facile arrivare a dire delle cose apparentemente profondissime, abissali…. E altrettanto oscure…
Per chiarezza occorre usare un linguaggio universale, se proprio non comune, in modo da poter essere universalmente intesi, la chiarezza è la dote, la '' conditio sine qua non >>


per la quale si possa esercitare una qualsiasi forma di esame, non soltanto nella critica e nella storia dell’arte.
L’altro punto è quello che non ci si deve limitare, specialmente parlando di arte contemporanea, a un esame che vada appena al di là dei confini di questo secolo, al massimo ci si deve limitare all’impressionismo, al post-impressionismo.
Questo non dovrebbe sussistere. Un artista è tale, quando veramente lo è, quando la sua opera e la sua figura reggono di fronte al confronto, non soltanto dei secoli, ma dei millenni.
Non esiste in senso, diciamo così, eidetico, in senso di gusto, di precisazione, di valore un’arte soltanto contemporanea.
L’arte ha sempre delle radici ben profonde. Esiste l’arte o non l’arte. Tutto lì, senza di che noi non potremmo oggi gustare una fuga di Bach o essere ammirati delle porcellane Ming.
Ad esempio quando Guttuso, De Chirico, Picasso ed altri dipingevano evidentemente compivano un’opera d’arte che noi sentiamo ancora oggi.
Da questo punto di vista l’artista, secondo me, deve essere considerato. Questo è il compito fondamentale del critico e dello storico d’arte.
E mi chiedo . “ Come mai improvvisamente gli italiani si scoprono delle capacità creative così preziose? O forse questi pseudo-artisti sono semplicemente attratti da miraggi di facili guadagni?
Circa sei o sette anni fa, in una ricerca statistica fatta in Italia, si è constatato che i pittori viventi – probabilmente la cifra è inferiore alla realtà – erano 62.500.
Che l’italiano in genere sia istintivamente portato ai valori d’arte è una cosa ormai assodata.
Che ami altrettanto l’arte, non so … ne vediamo, purtroppo, certi esempi nella trascuratezza che ha di problemi più intimamente connessi all’arte.
Ecco perché, dicevo, gli italiani sono eminentemente portati all’arte, ai fatti artistici, non altrettanto però al rispetto delle cose d’arte.
Anche nel passato, nei primi del ‘900, l’italiano aveva bisogno di dipingere soltanto per un’esigenza .. sua personale; oggi, invece, succede addirittura l’opposto.
Si dipinge, non so per quali esigenze se personali o no, però perché questa necessità di pubblicare, di farsi notare, soprattutto – quello che è più grave – di accompagnare questa loro produzione con delle cifre a svariati zeri?
Ci sono stati nel passato artisti che hanno cercato di attrarre su loro stessi e sulla loro arte l’attenzione. Era un fatto, però, non normale, direi un po’ eccezionale.
Al contrario di quello che, purtroppo si verifica oggi.
Non dimentichiamo che un Rubens faceva una vita principesca!
Anzi ben venga un rendimento economico, non c’è altro che augurarselo, però questo non deve costituire il primo punto di ricerca dell’artista!
Il primo punto deve essere sempre la sua arte, se poi egli la valorizza o accetta una valorizzazione, tanto meglio, anzi, sotto un certo aspetto, è una buona cosa, anche per quello che è la storia dell’arte.
E qui vorrei aprire una parentesi : noi oggi parliamo di storia dell’arte e questo, secondo me, è una forte presunzione.
Noi dovremmo considerarci un po’ i logografi, un po’ i cronisti che preparano il materiale, sceverandolo del loro meglio, per quella che sarà una futura storia dell’arte, che potrà essere scritta fra due, trecento anni.
L’artista può fare tutto quello che vuole : dall’arte astratta alla figurativa e così via, però tenga presente due cose : la prima quella che si potrebbe chiamare la grammatica e la sintassi dell’arte, cioè la padronanza dei mezzi tecnici, dai quali potrà prescindere ma che non può ignorare.
La seconda è quella di non arrivare a un effetto di novità per la novità.
La novità in sé può costituire arte, ma difficilmente.

Lello Spinelli