venerdì 25 ottobre 2013

WUNDERKAMMER (Roma)


34-36 Rue Saint-Bernard 1060 Brussels Belgium +32 2 333 20 15 JAN FABRE, Skull, 2010, mixture of jewel beetle wing-cases, polymers, stuffed bird, 28 x 23 x 19 cm, Photo: Pat Verbruggen © Angelos bvba camera delle meraviglie contemporanea wunderkammer ROMA 05.11.2013 – 29.01.2014 Via Omero 8 – 00197 Roma 34-36 Rue Saint-Bernard 1060 Bruxelles Belgium +32 2 333 20 15 VENEZIA 2013 wunderkammer camera delle meraviglie contemporanea A cura di Antonio NARDONE Espongono:  Francesco Balsamo, Pascal Bernier, Isobel Blank, Stefano Bombardieri, Ulrike Bolenz, Charley Case, Marcello Carrà, Eric Croes, Dany Danino, Wim Delvoye, Laurence Dervaux, Yves Dethier & Olivia Droeshaut, Jacques Dujardin, Jan Fabre, Alessandro Filippini, Roberto Kusterle, Pablo Mesa Capella, Jean-Luc Moerman, Michel Mouffe, Ivan Piano, Vincent Solheid, Bénédicte van Caloen, Koen Vanmechelen, Patrick van Roy, Sofi van Saltbommel inaugurazione lunedì 4 novembre 2013 alle ore 18 Periodo 05.11.2013 - 29.01.2014 Dal mercoledì alla domenica: 11.00 – 18.00. Ingresso libero Visite guidate Su prenotazione: 06 20398638 Presso 8 Via Omero – 00197 Roma Tram 3, 19: fermata Belle Arti Autobus 61, 89, 160, 490, 491, 495: fermata del Fiocco / Valle Giulia Metro A : fermata Flaminio www.academiabelgica.it www.wunderkammerexpo.com Foto : J-J Serol BRUXELLES VENEZIA Dopo il successo ottenuto a Bruxelles, WUNDERKAMMER – Camera delle meraviglie contemporanea è stata presentata alla Biennale di Venezia e nominata tra le più belle mostre OFF della Biennale dallarivista ESPOARTE. Rond-Point des Artsasbl e il curatore Antonio Nardone sono lieti di presentare la mostra nella prestigiosa cornice dell’Academia Belgica di Roma. Allestita a pochi passi da Villa Borghese, la mostra WUNDERKAMMER sarà inaugurata il 4 novembre e visitabile al pubblico dal 5 novembre2013 al 29 gennaio 2014. WUNDERKAMMER propone una ricercata selezione di più di 20 artisti che danno vita ad una “Camera delle meraviglie” in chiave contemporanea, ispirandosi a quei collezionisti che tra il XVI ed il XVIII secolo erano soliti raccogliere e conservare oggetti stravaganti ed eccezionali realizzati dall’Uomo o dalla Natura. Il visitatore potrà lasciarsi rapire da una conturbante raccolta di opere che lo guiderà alla scoperta di un mondo che alterna e mescola l’artificio con la verità, la realtà con la fantasia, la creatività con l’evidenza scientifica. Rond-Point des Arts asbl 34-36 rue Saint-Bernard – 1060 Bruxelles belgium INFO : +32 (0)2 333 20 15 A Cura di Antonio Nardone +32 (0)487 64 50 60 E-mail : antonio@artenews.net In collaborazione con A Roma in collaborazione con le gallerie In Italia in collaborazione con le gallerie Riccardo Costantini Contemporary / Torino MC2gallery Contemporary Art / Milano MLB Home Gallery / Ferrara Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea / Alessandria L’immaginazione sarà il faro che lo aiuterà ad orientarsi nei meandri dello sconosciuto, fra le pieghe del mistero, nei profondi anfratti di un percorso iniziatico fatto di magia e stupore. Grazie alle luci soffuse ed un soave quanto ipnotizzante sottofondo musicale, si ritrova la stessa atmosfera delle antiche Wunderkammer rinascimentali: una raccolta di oggetti d’arte, sculture, installazioni, fotografie, pitture con cui gli artisti coinvolti si divertono ad interpretare il legame tra Naturalia ed Artificialia, mettendo a confronto la forza generatrice dell’Essere Umano con quella della Madre Terra e sfidando il mistico potere della creazione di origine divina. Gli artisti protagonisti danno vita, grazie al proprio talento, ad opere che si collocano al confine tra la rappresentazione fenomenologica pseudo-scientifica e la pura espressione di fantasia, al solo scopo di tornare al piacere fanciullesco del sogno e della scoperta. VENEZIA Academia belgica Il progetto dell’Academia Belgica a Roma vide la luce nel 1930, in occasione del matrimonio della principessa Marie-José con il principe Umberto di Savoia. Molte nazioni, con il sostegno del governo italiano, erano già rappresentate a Roma attraverso un’istituzione scientifica e culturale. Il Belgio vedeva tutta l’importanza di un’ambasciata intellettuale e artistica in Italia, che fosse destinata da una parte a incoraggiare le relazioni tra l’Italia e il Belgio, dall’altra a offrire accoglienza ai ricercatori e artisti belgi che venivano a Roma. L’Academia Belgica avrebbe accolto, nello stesso tempo, l’Istituto storico belga di Roma (ISBR) – fondato nel 1902 – e la Fondazione nazionale Principessa Marie-José (FPMJ) appena creata. L’Academia Belgica fu inaugurata nel 1939 nella sua sede attuale, opera degli architetti Gino Cipriani e Jean Hendrickx, in un’elegante zona ai margini del parco di Villa Borghese, che accoglieva già gli istituti olandese, rumeno e, più tardi, quelli egiziano, danese e svedese. Fin dall’inizio essa ha permesso, di concerto con l’ISBR e con la FPMJ, a molte generazioni di artisti e di studiosi di perfezionare la loro formazione a Roma e di contribuire, attraverso le numerose pubblicazioni, al progresso delle arti e delle scienze storiche e filologiche. Grazie ai suoi direttori, l’Academia ha anche preso parte alla ricerca archeologica, attraverso gli scavi condotti ad Alba Fucens, in Abruzzo, e Ordona in Puglia. L’Academia Belgica, insieme a l’Istituto storico belga di Roma e la Fondazione Principessa Marie-José, ha l’obiettivo di incoraggiare le relazioni scientifiche e culturali tra l’Italia e il Belgio, sia offrendo ospitalità a ricercatori e artisti belgi che sono in Italia per le loro ricerche, sia presentando al pubblico italiano le più importanti realizzazioni belghe in campo artistico e scientifico. Essa rappresenta, attualmente, uno spazio unico di ricerca, di creazione, di collaborazione e di promozione nel pieno centro di Roma. www.academiabelgica.it ESPONGONO FRANCESCO BALSAMO Francesco Balsamo è nato nel 1969 a Catania (It), dove vive e lavora. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera e Catania e alla facoltà di Lettere dell’Università di Catania. Sin dai suoi esordi si muove nell’ambito di una creatività composita, dove s’intrecciano molte passioni: il disegno, la pittura e la scrittura in versi. Affetto, memoria, conclamata inclinazione a vecchi dagherrotipi, sono le premesse della sua ricerca, centrali il gioco della memoria o l’incongruità di soggetti che dopo la prima impressione si rivelano non poco manipolati, vecchie fotografie da cui l’artista prende lo spunto per il suo mondo fantastico. Memoria come luogo del sogno perduto, del rimpianto, di una nostalgia che muta la stessa gioia in malinconia. C’è poi, decisiva, la suddetta manipolazione, che confonde, sommerge e sgambetta quanto la foto inizialmente suggeriva: creando un mondo i cui intrecci complessi e diramati smentiscono le premesse. L’estraniamento che nelle opere iniziali veniva da attori incoerenti – rane, rettili, struzzi in luogo dei normali abitanti di interni tradizionali – deriva, nelle opere più recenti, dall’incomprensibile eppure avvincente pantomima di presenze, ciascuna delle quali pure avrebbe in sé i requisiti della quotidianità. La dimensione narrativa resta protagonista, ma è narrazione complessa talora al limite del criptico, nella quale il punto di avvio viene complicato dall’intreccio di una surrealtà che sfiora a volte il concettuale, sempre tuttavia – ed è grande talento di Balsamo – intrisa di umorosi sensi umani. Pa scal Bernier Pascal Bernier, nato nel 1960, vive e lavora a Bruxelles. L’artista si definisce come un pittore che si interessa alle condizioni di percezione e di realizzazione delle immagini. La sua opera rivisita la tradizione pittorica della Natura Morta e delle Vanitas. Attraverso installazioni, video, sculture o fotografia, Pascal Bernier mostra una Natura disincantata: animali fasciati, peluches mummificati, farfalle agonizzanti, industrializzazione della produzione animale, estinzione della specie. L’artista sviluppa un’opera poetica e critica, folle e feticista. L’arte e la morte sono intimamente legate. Inquietante e ludico allo stesso tempo, questo lavoro propone una riflessione relativa alla natura umana. Ci invita a scoprire un universo dove la natura è rivisitata dall’uomo e dal suo mondo. Pascal Bernier ci mostra una società industrializzata occupata ad assorbire la Natura per farla sua, affinché risponda a dei bisogni di produzione e redditività, anche con il rischio di maltrattarla. ISOBEL BLANK Isobel Blank nasce nel 1979 a Pietrasanta in Toscana e si laurea in Filosofia estetica a Padova. Si dedica sin dall’infanzia a diverse discipline artistiche tra cui il teatro, la danza, il disegno, la scultura, la musica, la fotografia, che oltre a svilupparsi autonomamente, confluiscono in performances e nelle opere di videoarte. La sua ricerca visionaria e surreale, in gran parte pone il proprio corpo come centro dell’opera. In generale, la fisicità è il filtro che evidenzia le questioni intrinseche all’essere umano e alla sua poetica: una continua osmosi e corrispondenza con il mondo esterno, sia esso da intendersi universalmente come natura o più specificamente come ristretto spazio quotidiano. Oltre al fulcro dell’autoritratto, ricorrente è l’elemento della memoria. Un percorso a ritroso, verso un modello ancestrale di uomo, fuso con la natura di cui è parte, ma rielaborato in forme di mitologia futura, ancora da immaginare. Particolare rilievo, in questo senso, assumono le opere di scultura tessile, realizzate con l’antica tecnica dell’infeltrimento della lana ad ago: ibridi che sembrano indugiare tra futuri innesti biologici e vetuste figure chimeriche. STAFANO BOMBARDIERI Stefano Bombardieri nasce a Brescia il 28 Gennaio 1968.Dal padre scultore apprende le tecniche artistiche e sperimenta l’uso dei materiali acquisendone una conoscenza approfondita. Il suo è stato inizialmente un approccio figurativo con la scultura, influenzato dai grandi maestri del ‘900.Successivamente la ricerca si è evoluta sperimentando un orientamento più filosofico al fare arte, basato sui concetti de “il tempo e la sua percezione”, “l’esperienza del dolore nella cultura occidentale”. Il suo lavoro parte dalla realtà per giungere a immaginare universi fantastici, mondi interiori. Accanto ad opere di matrice iperrealista ritroviamo espressioni legate all’arte povera, al minimalismo, alla video-installazione, alla ricerca concettuale. Dagli anni ’90 realizza in prevalenza opere di grandi dimensioni per spazi pubblici e privati.Lavora tra Italia, Francia e Germania. Ha partecipato alla 52° Biennale di Venezia ospite del Padiglione della Repubblica Arabo-Siriana con l’opera “Europa Pallida Madre”installata presso il Chiostro di San Francesco della Vigna, riproducendo in grandezza naturale la Colonna e il Leone di piazza San Marco, simulandone la caduta. Ulrike Bolenz Photoplasticienne di origine tedesca, nata nel 1958 a Bruxelles, Ulrike Bolenz è presente in molte collezioni pubbliche e private. Ha partecipato a diverse fiere europee come “Elysées des Art” a Parigi, “Berliner List” a Berlino o ancora “Zebra” nel Belgio. Ulrike Bolenz impone il suo gioco di trasparenze rinchiudendole nel plexiglas le silhouttes fotografate. Offrendo loro una seconda pelle tatuata d’acrilico, rinforza l’espressione dei corpi e dei visi che scaturiscono dal supporto per confrontarsi con gli spettatori. La sua scelta di appendere in sospensione accentua l’effetto irreale del suo lavoro. Noi veniamo messi in relazione frontale con questi fantasmi imprigionati nelle loro vite immateriali. Non ci sono più appigli tangibili al reale, ma delle ombre furtive che tentano d’instaurare un dialogo. Si avverte la tentazione di accostare una meta inaccessibile verso il quale tutta l’energia è diretta. Questo universo poetico ci tocca poiché anche noi, nel corso della nostra vita, passiamo dall’ombra alla luce e viceversa. Charley Ca se Nato nel 1969 a Bruxelles dove vive e lavora, Charlie Case è un artista polivalente che sarebbe vano voler inscrivere in qualsivoglia movimento o filiazione contemporanea. Cittadino del mondo, libero e nomade, questo artista proteiforme realizza installazioni, performances, litografie, disegni, acquerelli, fotografie e video per raccontare il suo attaccamento alla Vita, all’Uomo , alla Terra. Grazie a questa polivalenza Charlie Case presenta delle mises en scene sempre inedite. Carboncini, inchiostri ed acquerelli danno vita ad un mondo immaginario, oscillando dalla luce all’oscurità, dall’origine dell’Uomo fino alla sua Fine. Le sue opere conducono lo spettatore ad una riflessione su se stesso, sul corpo umano e sulla sua presenza collocata all’interno di un ambiente naturale. L’utilizzo di cerchi, di tondi e di spirali sottolinea l’importanza che egli attribuisce alla dimensione temporale. I suoi grandi girotondi rappresentanti una folla di personaggi coinvolti in un movimento senza fine, rapportano l’uomo al suo ciclo di vita e ci ricordano costantemente che il tempo passa. Allo stesso modo, i teschi umani scolpiti da Charlie Case illustrano la sua visione l’Università di Ferrara. Artista specializzato in disegni di grandi dimensioni a penna Bic (alcuni arrivano addirittura a 8 metri di lunghezza), sorprende per la sua maniacale abilità disegnativa cui fa da contraltare un forte aspetto concettuale improntato sulla caducità della vita, sull’assoluta prossimità e vicinanza della morte, sulla fragilità e bellezza di questa esistenza, che si evidenzia nelle lapidi che accompagnano le opere. Sono tutte realizzate a mano libera avvalendosi unicamente di una quadrettatura, incentrate inizialmente sul tema degli insetti, sulla loro esistenza effimera e nel contempo affascinante, cui dedica un anno di ricerca. In seguito realizza, utilizzando sempre la tecnica a penna biro, un altro ciclo di disegni incentrato sul tema della caducità dell’esistenza di scrofe e maiali, mentre recentemente, grazie alla collaborazione con una biologa marina della Nuova Caledonia, ha eseguito una nuova serie di opere che riflettono sui pericoli che l’attività antropica sta determinando per la fauna marina tropicale. Ha esposto nel 2012 nella personale “Né carne né pesce” alla MLB home gallery di Ferrara e ad OFF Art Fair Bruxelles, nel 2011 alla Galerie Antonio Nardone di Bruxelles, alla Biennale di Venezia e ad ArteFiera a Bologna; nel 2010 a Ferrara (MLB home gallery, Museo di Storia Naturale, Museo Casa Ludovico Ariosto), a Bologna, Broni (Villa Nuova Italia), Milano. Eric Croes Nato nel 1978 a La Louvière (BE), è diplomato presso l’Atelier de sculpture de l’ENSAV La Cambre. Artista variegato, egli è allo stesso tempo scultore, pittore, video-jockey, scenografo, cantante e writer. Con una certa leggerezza, questo giovane artista dalle mille sfaccettature rovescia l’immaginario kitch in un universo crudo e talvolta inquietante. I suoi soggetti, pescati perlopiù da un’iconografia sentimentale, danno luogo ad una sottile gestione dell’ambiguità e del paradosso, arrivando a trasformare questi choc visivi in piccoli attentati poetici. Dan y Danin o Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles, titolare (nel 2007) del Prix Jos Albert de L’Académie royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique, Dany Danino (nato nel 1971, vive e lavora a Bruxelles) sviluppa una scrittura figurativa densa e personale di cui il marchio è l’utilizzo della penna-stylo blu. Di forte carica espressiva, l’utilizzo della penna a sfera satura la pagina, si impone nella trama di un disegno che si lega tanto al dettaglio che alla superficie instancabilmente tessuta e ritessuta. Una iconografia che pone l’essenza della sua sostanza nella manna mediatica, la quale nutre un corpus personale ed ossessivo. Dany Danino compone uno spartito libero dove si spiega un inconscio ribollente pronto ad esprimere uno stato d’essere al mondo, tra Eros e Thanatos, sublimazione e allucinazione. Funghi atomici, bestiari, a volte fantastici, studi anatomici, crani, vulve o cuori sono realizzati dalla necessità di raccontare il flusso dell’esistenza e, al tempo stesso, lo spavento, il terrore primario. Wim Delvoye Nato a Werwik (Fiandre occidentali) nel 1965, vive e lavora a Gand. “Enfant terrible” dell’Arte Contemporanea belga, provocatore e bizzarro, Wim Delvoye ama aprire le porte a tutte le forme di riflessione artistica per la composizione di diversi universi. Il laboratorio scientifico, per esempio, diventa La Cloaca, il tatuaggio ancestrale viene messo al servizio di involontari maiali. Win Delvoye percorre l’arte contemporanea come un uomo del suo tempo, tutto ciò che lo circonda diventa il suo terreno di gioco artistico. Uomo d’affari e manager d’azienda, è anche un poeta che ha come unica frontiera la sua immaginazione senza limiti. Intestini umani, dita medie alzate, accoppiamenti, sesso orale, vergini incinte sdraiate su assi da stiro, maiali in posizione di accoppiamento, tutte queste immagini vengono radiografati e accedono così allo status di vetrate pagane. Queste parti di corpo passate ai raggi X svelano il loro messaggio ateo grazie alla luce che le vetrate trasfigurano già in divino. In effetti, se nelle chiese le vetrate assicurano comunemente il passaggio tra la Terra ed il Cielo, quelle di Delvoye rinviano al contrario all’interno dei corpi. Questo assemblamento di ferro e di vetro forza la riflessione sul corpo e sull’anima, sulla purezza e sulla corruzione,sulla religione e sull’abbiezione. Contorti e cinici, i crani, le ossa e i loro derivati pagano il lusso di poter essere interpretati come altrettante vanitas moderne, altre azioni sacrileghe figurate dal medium associato alla religione cristiana o ancora illustrazioni del peccato della carne nello spazio dedicato all’espressione della purezza e dell’astinenza. Laurence Derva ux Nata nel 1962 a Tournai, vive e lavora a Kain (BE).Prima di svelarsi, le sculture e gli oggetti di Lurence Delvaux offrono allo sguardo una visione estetica che immerge il visitatore in un percorso che lo conduce dal piacere dello sguardo allo sconforto. In effetti, l’apparenza seducente delle sue disposizioni scultoree lascia rapidamente posto all’identificazione della materia. L’incertezza si insinua allora al fondo di questa ambiguità misteriosa. L’artista visita il fragile limite tra il reale, la sua apparenza e la sua rivisitazione per mettere in mostra dei dispositivi illusori. Così, se la calotta di un cranio umano potesse essere interpretata, al primo sguardo , come una conchiglia chiusa, la forma iniziale si rivela essere un pezzo di scatola cranica ricoperta di foglie d’oro e questo unicamente grazie all’intermediazione del suo riflesso in uno specchio. Al fascino dei primi sguardi si sostituisce un sentimento di repulsione inerente al materiale di questa vanitas. L’artista cerca di formulare la grandezza e la fragilità del corpo umano. I seduttivi dispositivi realizzati nel “ Les ossaments humaines bobinés de fils rouge” intrattengono un gioco sottile tra l’evocazione di una forma, il suo potere d’attrazione e la realtà di quello che mostra. Il simbolo della condizione umana riattualizzata e riattivata provoca un vacillamento progressivo e trasgressivo. Quest’opera, nello stesso tempo attraente e opprimente, ed il filo rosso che la sottintende, tessono un’altra visione dell’essere. Olivia & Yves Dethier Droeshaut Olivia Droeshaut nata nel 1972 e Yves Dethier nato nel 1967, vivono e lavorano insieme a Bruxelles. Passati per il mondo della fotografia di moda, superano rapidamente i soggetti narrativi per offrire una visione molto personale del loro lavoro. ELLE, Gentlemen magazine o ancora la rivista Ladies pubblicano regolarmente le loro fotografie, ma è nel 2004, per una serie di ritratti di atleti belgi partecipanti ai Giochi Olimpici di Atene, che essi ottennero il primo premio del Belgium Fuji Awards 2004. La ricerca dell’umano nella sua intimità : ecco il cammino condiviso da Olivia Droeshaut e Yves Dethier , in un’arte in costante evoluzione. Il loro approccio, attraverso la scorciatoia di mise en scene elaborate, crea una narrazione fantasmagorica, come ne testimonia la serie di ritratti di personalità belghe, quali Benoit Poelvoorde, Albert Frére, Jean Galler, Jusos Beaucarne,presentata nel 2007 a Parigi CWB Beaubourg. Per Olivia Droeshaut la fotografia è indissociabile da un cammino di vita. Catartico, il suo lavora rivela sé stessa,la spinge ai suoi limiti, obbligandola ad oltrepassarli. Attraverso la moltitudine di visi che lei scruta con crudeltà ed innocenza, lei guarda in faccia i suoi propri demoni. Yves Dethier vive la sua arte come una ricerca esistenziale, nell’attesa di momenti rari condivisi in uno spazio-tempo fuori dal comune. Dal loro incontro nasce lo scambio, dai modelli incontrati si svincolano le forme. Creando una finzione, queste vibrazioni effimere districano i fili invisibili che ci legano, noi, umani. Olivia Droeshaut e Yves Dethier sviluppano un’opera molto personale, testimone di un universo tenebroso e ludico allo stesso tempo. Un lavoro di introspezione, dove essi amano fare emergere i demoni al fine di meglio comprendere ciò che anima l’essere umano in generale. Jacques Duja rdin Jacques Dujardin, nato nel 1956, vive e lavora a Tervuren, in Belgio. Le sue rappresentazioni strane e ambigue prendono vita come dei cloni. In una forma ben determinata dall’artista, le figure rappresentate sono delle silhouettes identiche, ombre all’apparenza umane. Uomini o donne? Di fronte o di schiena? Jacques Dujardin utilizza la membrana che riveste le viscere del maiale ( la « crepine du porc ») ed i semi d’erba dei quali lo schiudersi e la crescita degli stessi, appartiene pienamente al processo creativo ed alla sua concettualizzazione. La « crepine de porc », che egli ritaglia minuziosamente seguendo i contorni delle sue sagome, non è nuova nella vita di Dujardin che da bambino accompagnava ogni mercoledì suo padre macellaio, al mattatoio. La funzione vitale di questa membrana è quella di alimentare il corpo attraverso i nutrimenti digeriti e prevenire la propagazione dei virus e dei batteri nel sangue. Dujardin lo spettatore di fronte alla precarietà dell’esistenza umana, come alle sue attività primarie : nutrirsi, digerire, vivere, morire. Il contrasto tra queste figure clonate e la materia utilizzata evoca chiaramente la questione dell’utilizzo delle apparenze, come la fantasia dell’immortalità perseguita dall’uomo. Un sogno di perfezione inaccessibile…. I ritratti vegetali di Jacques Dujardin convergono perfettamente con la sua produzione animale. I semi, anch’essi disposti in un quadro limitato, germinano, sbocciano, crescono e nei limiti si aprono un cammino verso la luce per poi alla fine deperire e seccare. Jan Fabre Jan Fabre e’ nato nel 1958 ad Anversa dove vive e lavora. Disegnatore, scultore, coreografo e sceneggiatore di teatro nello stesso tempo, la poliformia della sua opera fa di lui un artista veramente impareggiabile. Conosciuto per le sue sculture di scarabei, insetti venerati nell’ antico Egitto, ora evolve verso installazioni che esprimono il suo universo fantastico. Il corpo umano si rapporta a delle metamorfosi legate ai grandi temi della vita e della morte. L’artista dà vita a delle creature uscite da un bestiario sconosciuto seguendo così la tradizione pittorica dei Primitivi fiamminghi. L’animale e’ in ciascuno di noi e può uscirne vestendo i più sbalorditivi gioielli. La scienza, l’arte e la follia si alleano per dare vita ad una creazione ilare che coltiva e celebra al contempo il lato macabro della vita. Alessandro Filippini Nato nel 1946 a Roma, Alessandro Filippini vive e lavora a Beersel, in Belgio. “Tracciare” e’ il lavoro che Alessandro Filippini ha sviluppato dopo i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Roma, completati da quelli a La Cambre a Bruxelles. L’artista si appropria dello spazio libero che lo circonda. La parola sarà da questo momento la sua compagna di viaggio. La forza del verbo fa che la parola prenda un’altra ampiezza, una forza significante intrinseca, che lascia libero corso all’interpretazione e al gioco dei sentimenti. L’intensità del tempo che passa, la memoria e le sue tracce inscritte al fondo dell’anima ci sorprendono inaspettatamente. Residui di vita, queste minuscole tracce che noi disseminiamo al nostro passaggio sono qui rinchiuse per rimandare ad una immagine di transizione che ci presenta ugualmente una puntata sull’abisso del comune. Trent’anni di storie toccate, lavate,erose e garanti della vita che passa. Nell’insieme della sua opera, la narrazione diventa contemplazione. Esiste un profondo desiderio da parte dell’artista di condurre lo spettatore dal ruolo di lettore a quello di inventore di storie. In altri termini, il lavoro di Alessandro Filippini non e’ un fine in sè stesso, ma uno strumento di attivazione di sogni. Roberto Kusterle Roberto Kusterle, nato nel 1948, vive e lavora a Gorizia. Le sue fotografie sono particolari e impregnate di una forte carica simbolica. Un universo misterioso ed ambivalente concepito come un quadro, indefinibile riflesso del subcosciente. Parlare di realismo fantastico sembra una contraddizione, ma è la migliore definizione per descrivere il lavoro di Roberto Kusterle. Segnaliamo che le sue immagini sono realizzate secondo la tecnica tradizionale, senza manipolazione ne’ intervento digitale. Se si può parlare di realismo nella misura in cui tutto ciò che è fotografia è reale, il suo lavoro è al contempo fantasioso, immaginativo e onirico. La poesia del lavoro di Kusterle risiede senza dubbio in questa tensione continua tra realtà e finzione. L’adozione di spazi spettacolari scelti e modificati con una passione quasi malata, ci permette di sentire o di immaginare la complessità dei suoi scenari. Tutto e’ realizzato affinchè la fotografia diventi un artificio, un grande equivoco visivo. Tutto e’ vero, tutto e’ complice della realta’, tuttavia le scene sono giocate come dei frammenti di miti o di racconti dove l’atmosfera sembra una sospensione spazio-temporale. Un campo di energie dove la falsa-sembianza richiama all’immaginazione che, ben cosciente dell’artificio, si lascia trascinare verso il passato, verso l’infanzia, verso quel periodo dove si poteva ancora ascoltare i racconti e crederci. Pab lo Mesa capella Pablo Mesa Capella nasce a Málaga (S) nel 1982. Laureato in Regia scenica e drammaturgia e in Comunicazione audiovisiva, si dedica al teatro curando regia e scenografia di spettacoli e di performance artistiche. Questi primi anni formano la sua concezione estetica sull’arte plastica e le installazioni. Dal 2010 lavora e vive a Roma, dove prosegue la sua ricerca artistica. Le sue installazioni partono dall’esperienza teatrale per sviluppare attraverso le arti figurative un coinvolgimento emotivo e sinestetico tra opera e pubblico, in tutte le sue sfumature e complessità. Nelle opere dell’artista, gli oggetti portano in sè memoria di vite trascorse, di tempi e luoghi che ne hanno scalfito le superfici. Il progetto “Natura onirica. La memoria degli oggetti” indaga la capacità fiabesca degli oggetti. Foto d’epoca ritagliate e allestite in scenari surreali, dove quello che sembra un paesaggio, un giardino, una quinta teatrale è, in realtà, un teschio, una concrezione minerale, una foglia. L’assemblage di figure ridenti, spensierate, o al contrario di ritratti formali, in posa, scontornati dai loro contesti, crea un cortocircuito con la presenza di elementi naturali in cui si inverte la scala delle dimensioni reali (figure piccole, oggetti enormi); dalla natura morta, secca e arida, mondi fantastici nascono come se fossero florescenze naturali; mondi evocativi, ma insieme inchiodati alla realtà, conservati in teche, e simbolicamente sotto vuoto per rappresentare un fermo immagine scultoreo di istanti rubati alla vita degli altri. Jean-Luc Moerman Jean-Luc Moerman nato nel 1967, vive e lavora a Bruxelles. Il suo universo si caratterizza per delle forme strane ed astratte dai colori talvolta molto vivi, anzi fluorescenti che prendono vita su dei supporti multipli: tele, posters, foto, adesivi, oggetti. La sua opera si ispira all’universo della strada,dei graffiti, dei cartoons, dei Manga Giapponesi, della fantascienza, della moda, della pubblicità. Egli disegna dei tatuaggi sulle foto di star, personaggi politici, antichi dipinti. Jean-Luc Moerman ama anche realizzare dei giganteschi murales. “ Costruisco un universo, invento una realtà polimorfica e aperta, fatta di oggetti mutevoli, ibridi, che nessun referente ha il potere di spiegare, di giustificare. I miei oggetti hanno giustificazione solo per i luoghi che li accolgono e che ne prolungano il significato, i posti che li fanno vivere, i personaggi che li rendono attivi. Ho concepito il mio lavoro come una proliferazione multipla di forme modulabili, poli-direzionali, spogliate di tutte le autorità, non indicibili e senza una provenienza assegnata, cortocircuitanti le dualità – il bene e il male, il positivo ed il negativo, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, il mondo ed il soggetto, l’esterno e l’interno. Le mie forme evolvono, si muovono, creano delle nuove possibilità, ma esse non superano niente, non lottano contro nulla, esse cercano semplicemente di cambiare piano senza sosta. Gli ibridi, gli oggetti mutanti sono prodotti accidentalmente e la loro sola chance di sopravvivere è quella di evolvere, di fare della loro anomalia una occasione di riinvenzione: proprio quando avrebbero dovuto sparire, gli esseri mutanti cambiano di strategia, trasformando la loro anomalia in creazione positiva. L’ibrido è per me una nuova forma di pensare, di vivere il mondo, di costruirlo e decostruirlo.” Michel Mouffe Michel Mouffe, nato nel 1957, vive e lavora a Bruxelles. Con Michel Mouffle siamo simultaneamente in presenza di un quadro monocromo che spicca sul muro e di fronte ad una scultura di un unico colore, lucidata quasi industrialmente. Il discorso estetico diventa l’unico proposito di un un’opera molto formale che travalica i canoni di bellezza tradizionali. Come parlare allora di un lavoro indescrivibile, non formale, non convenzionale? Le ricerche di Michel Mouffle l’hanno spinto a rompere la cornice della tela, a deformare le sue strutture per cercare di ritracciare l’indescrivibile materia del colore. Riflessi, sfumature, varietà di toni, fibre e ritmi, tutto nel lavoro di Mouffle si rapporta alla materia. Oggi, lui spiega il suo supporto che diventa per forza di cose una scultura tridimensionale, bella come una forma creata per la natura che apparentemente non ha beneficiato di nessuna forza umana. Questo è ciò verso cui l’artista ci direziona. IVAN PIANO Ivan Piano (1975) vive e lavora a Napoli. L’artista produce opere estremamente raffinate, concettuali, dove l’atto creativo in tutte le sue parti va a confluire nel proprio ego, quasi a riportare in voga il mito dello specchio che riflette mondi nascosti e misteriosi. L’opera di Ivan Piano si contraddistigue per la pluralità di intenti, alla componente performativa si va ad aggiungere un elemento formale di ricerca che lo porta ad intervenire sui negativi con gesti di violenza fino a manipolare l’immagine attraverso bruciature, graffi e viraggi con sostanze colorate, come una sorta di gioco d’amour passion a testimonianza di un sadomasochismo auto indotto dove i due elementi contrapposti si ricompongono nella stessa persona attraverso la sua reppresentazione e l’intervento di autodistruzzione. Eros e Thanatos riuniti in una logica delle assenze, dei non luoghi che prendono il sopravvento e confluiscono in un’immagine sorprendente nei risultati che vanno oltre le logiche costruttive e sfondano i canoni estetici convenzionali per proporre una realtà divisa tra forme astratte e dimensioni fluttuanti di una realtà parallela dove sogno e pazzia sembrano incontrarsi. VINCENT SLOH EID Artista proteiforme, nato nel 1968 a Malmed, Vincent Solheid vive e lavora a Bruxelles. Autore, nel 2011, di un primo lungometraggio per il cinema, « Le Grand Tour », questo è solo uno degli aspetti del lavoro considerevole che realizza questo artista, il quale ama aprire tutte le porte della creazione. Il film è stato selezionato al Festival International de Rotterdam e al Festival di Cannes. Come in una sfilata…la musica, i concerti, le performances, le ‘Revues Freaksviliennes’, a lato di Jacques Duval e di Jean d’Oultremond, ad esempio, non fanno che dare a Vincent Solheid la conferma che nella creazione si possono rompere le frontiere e vivere pienamente tutte le passioni artistiche. La linea costante che percorre il suo lavoro è l’amore appassionato che egli consacra al carnevale, a quei giorni tanto attesi, dove tutto può essere come dall’altra parte dello specchio, a questa singolare parentesi dove tutto può sembrare ed essere tutt’altro, dove niente è realmente certo, ma nonostante ciò è lì presente. L’artista sa a che punto ciò che si mostra è possibile e, allo stesso tempo, non lo è sempre… Santi, Vergini, Cristi di gesso diventano dei giocattoli di plastica, delle caricature o delle maschere da indossare. E se l’uomo potesse realmente diventare santo un giorno, un’ora? Bénédicte van Ca loen Nata a Bruges nel 1960, Bénédicte Van Caloen vive e lavora a Waterloo, in Belgio. Il mondo scolpito di Bénédicte Van Caloen costruisce il dialogo spogliato della figura e dello spazio in una relazione che tende all’assoluta verità e unicità del soggetto. L’artista organizza uno scambio, una relazione di connivenza tra le sue effigi totemiche. Questi innominabili personaggi sorgono dalla loro immediatezza e i loro discorsi sostengono l’espressione più umana che ci sia: lo sguardo. I totem di Benedicte Van Caloen sono anche dei feticci sacri, portatori di una storia, il gruppo non si rivela che in caso di assoluta necessità. Il simbolo che abita l’oggetto è decodificato e percepito da ciascun spettatore in un momento unico di relazione con il suo mondo. Questo perché l’umanità creata dall’artista è soprattutto la nostra. L’artista aspira all’unione di una potenza formale e di una fragilità tecnica tutta teorica. Ed è precisamente qui che si trova una delle chiavi di lettura della sua opera. In realtà, Bénédicte Van Caloen è prima di tutto un incisore, il suo atelier raccoglie delle carte, degli stracci, inchiostri, degli odori, delle varietà di umidità e di terra, carta riciclata e colle. Un universo di terre d’ombra. Le sue incisioni sono delle ricerche di ritmo e di inchiostro, le sue carte incollate, lavorate su strutture in tre dimensioni, diventano sculture, di ombra e di luce. Noi siamo nel vuoto e nel pieno, noi siamo, infine, vicini ad una certa meditazione. KOEN VANMECHELEN Cittadino onorario della città natale di Saint-Trond, Koen Vanmechelen (1965) vive a Meeuwen-Gruitrode (B). Koen Vanmechelen è un artista concettuale di fama internazionale. Il suo lavoro pionieristico s’occupa di diversità bio-culturale e di identità. Negli ultimi dieci anni Vanmechelen ha collaborato con scienziati di diverse discipline . Questa collaborazione gli valse la laurea honoris causa presso l’Università di Hasselt nel 2010 e il Golden Nica Hybrid Art nel 2013 . Poco prima della fine del millennio, Koen Vanmechelen ha lanciato un progetto artistico unico : il Cosmopolitan Chicken (PCC). Al centro della sua opera, troviamo il pollo (gallus gallus) e l’ibridazione delle specie di polli nazionali in ‘polli cosmopolitani’. Egli usa questo animale come metafora per esprimere delle osservazioni intorno a ‘la condition humaine’. Nel aprile 2013, la creazione attuale dell’artista di un pollo di un mondo ibrido ha raggiunto, con il Mechelse Styrian, la sua diciassettesima generazione. Un incrocio tra il Slovenian Styrian e il Mechelse Senegal. Un anno prima, questo Mechelse Senegal è nato dopo un incrocio tra l’African Poulet de Senegal e il Mechelse Fayoumi (noto anche come il pollo ‘biennale’). Oggi, l’ibrido è costituito da razze regionali di polli in Belgio, Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Germania, Olanda, Messico, Thailandia, Brasile, Turchia, Cuba, Italia, Russia, Cina, Egitto, Senegal e Slovenia. Koen Vanmechelen utilizza una pletora di strumenti artistici nel suo lavoro –pittura, video, installazioni , tecniche 3D innovative, sculture e vetro – , che comprende tre progetti: il progetto di ricerca Cosmopolitan Chicken, la statua in legno ‘Cosmogolem’ e il progetto di fertilità ‘Walking Egg’. Nel 2011, le fondazioni di sostegno dei prgetti sono state raggruppate nell’ ‘Open University of Diversity’. Pa trick van Roy Nato a Bruxelles nel 1972, Patrick Van Roy vive e lavora a Bruxelles. Egli presenta dei grandi ritratti di adolescenti stampati su plexiglas e retro-illuminati, un po’ come quelle immagini pubblicitarie esposte alle fermate degli autobus. I tratti sono quelli di una ragazza mescolati a quelli di tre ragazzi. Strana composizione di tre giovani che riempiono la figura generale di una donna. L’essenza di questo lavoro ci propone la visione di un ritratto come l’essere dentro ad un libro, solo che è il ritratto che è da leggere. La lettura dell’opera ci conduce ai pericoli ed alle lacerazioni che coinvolgono questi esseri fragili e ciascuno di questi volti composti porta in sé un dolore, la stigmate di una vita appena vissuta. Paradossalmente, la fotografia che avrebbe come scopo quello di renderci il vero, ci dimostra qui tutta l’ambiguità della sua funzione di fronte a queste immagini totalmente false e ricomposte. La bellezza risiede nella proporzione delle parti. E’ la “Grande Teoria” cara ai pittori del Rinascimento che ottiene il suo apogeo nel 1520. Noi troviamo qui un po’ di questa bellezza inquieta, sorprendente ed angosciante del Manierismo. La ricomposizione “arcimboldiana” del quadro ci interroga sulla nozione di bellezza tanto più in cui l’artista ci propone dei ritratti di visi, convenzionali e graziosi, ma di cui lo sguardo provocante ci segue e ci schernisce. Vincent Solheid Nato a Bruxelles (B) nel 1972, Patrick van Roy vive e lavora a Bruxelles. Egli presenta dei grandi ritratti di adolescenti stampati su plexiglas e retro-illuminati, un po’ come quelle immagini pubblicitarie esposte alle fermate degli autobus. I tratti sono quelli di un ragazza mescolati a quelli di tre ragazzi. Strana composizione di tre giovani che riempiono la figura generale di una donna. L’essenza di questo lavoro ci propone la visione di un ritratto come l’essere dentro ad un libro, solo che è il ritratto che è da leggere. La lettura dell’opera ci conduceai pericoli ed alle lacerazioni che coinvolgono questi esseri fragili e ciascuno di questi volti composti porta in sé un dolore, la stigmate di una vita appena vissuta. Paradossalmente, la fotografia che avrebbe come scopo quello di renderci il vero, ci dimostra qui tutta l’ambiguità della sua funzione di fronte a queste immagini totalmente false e ricomposte. La bellezza risiede nella proporzione delle parti. È la ‘Grande Teoria’ cara ai pittori del Rinascimento che ottiene il suo apogeo nel 1520. Noi troviamo qui un po’ di questa bellezza inquieta, sorprendente ed angosciante del Manierismo. La ricomposizione ‘arcimboldiana’ del quadro ci interroga sulla nozione di bellezza tanto più in cui l’artista ci propone dei ritratti di visi, convenzionali e graziosi, ma di cui lo sguardo provocante ci segue e ci schernisce. Sofi Van Saltbommel Sofi Van Salbommel, nata nel 1973, vive e lavora a Bruxelles.E’ un artista pluridisciplinare il cui lavoro, realizzato principalmente in porcellana, porta la ceramica contemporanea agli onori. Senza tabù, né pudori, il lavoro scultoreo di Sofi Van Saltbommel svela con franchezza la sua visione sensuale e ironica della femminilità. La donna, la grazia, la fecondità sono al centro delle sue forme, senza mai donarsi completamente. Il recupero, l’assemblaggio, la cucitura o l’associazione di oggetti insignificanti o intimi che rinviano alla femminilità- assorbenti,tettarelle, spugne, guanti per i lavori domestici,ecc.- traducono l’emozione del corpo in trasformazione,celebrano la bellezza femminile come effimera. La terra evoca dei valori essenziali, originali,sensoriali. La sua plasticità porta l’artista verso l’esplorazione del vuoto, del fondo, della matrice, del calco. Basato sull’azione dell’impronta, le sculture associano dei frammenti informi per edificare degli organi striscianti o ceduti, delle costruzioni minerali o delle fioriture fossilizzate. L’opera di Sofi Van Saltbommel rinvia costantemente ad una prossimità con il corpo. E se le sue ceramiche producono contemporaneamente attrazione e repulsione, esse sono ugualmente delle brecce dove l’immaginario penetra intuitivamente. pubblica: Massimo Nardi