giovedì 7 aprile 2011

CRISTANZIANO SERRICCHIO il poeta-scrittore stimato da MARIO LUZI


Intervistare Cristanziano Serricchio è come ripercorrere in modo piacevole un periodo importante della storia della nostra letteratura, ed è stato un vero piacere conoscere più da vicino e infiltrarsi nel mondo di questo profilico scrittore del nostro tempo. Mario Luzi lo ha molto stimato, ma non è il solo toscano doc ad avere avuto parole di elogio nei suoi confronti. Infatti Giovanna Querci Favini, oltre ad ammirare la sua attività letteraria , presenterà in anteprima nazionale la sua ultima fatica letteraria “SEPPINA DEGLI SCIALI”, Ed. Progedit. Professore perché ha scelto proprio Giovanna Querci Favini per la presentazione del suo ultimo libro? Quando si sceglie il relatore per la presentazione di un proprio libro si vuole il meglio e io , stimando moltissimo questa raffinata scrittrice, sono stato felicissimo che abbia accettato di scendere in campo al mio fianco e la ringrazio di cuore. Ho letto tutti i suoi libri e li trovo bellissimi. “Il Baratto” è una pennellata dolce e graffiante della nostra società. Mi ricordo con infinita ammirazione “La pazza”, purtroppo non si trova più e non capisco perché non venga rieditata, sono in molti a richiederla. Quando si è accorto che “scrivere” avrebbe fatto parte della sua vita? E’ difficile rispondere a questa domanda senza scavare nel labirinto, anzi nel mistero, della propria esistenza. Ho cominciato a scrivere a tredici anni, ma la consapevolezza che la scrittura avrebbe fatto parte della mia vita è venuta con gli anni dal continuo interrogare e interrogarmi sul perché dell’esistenza, sul valore e sulle motivazioni da dare ai giorni e al futuro. Inoltre gli studi, l’insegnamento, il colloquio con i giovani, gli ambienti letterari, i problemi sociali e politici, il senso della storia, il mondo degli affetti, l’attenzione alle cose e alla natura, l’ansia conoscitiva, gli ideali di vita e di amore, hanno alimentato nel tempo una nativa sensibilità e determinato la volontà di ricerca e di scrittura, poetica e narrativa oltre che teatrale, ma anche storica e archelogica, come impegno personale e totale. Cosa rappresenta, per lei, questa forma di comunicazione? Rappresenta il bisogno inquieto di meravigliata evocazione ed espressione di desideri, speranze e sogni in un mondo che pare accanirsi a negarli, e nasce dalla vita, dal colloquio che ognuno riesce a stabilire con se stesso, con gli uomini e con la natura. Rappresenta il senso del tempo e della sua reversibilità in temi e interessi di vario e ampio respiro, la necessità di conoscenza e la memoria come forme di appropriazione di eventi trascorsi e sempre rivissuti nell’occasione del presente e nella varietà anzi nella ricchezza di tali interessi. Chi è stata la prima persona a incoraggiarla? Mia madre che mi sorrideva e si chinava su di me accarezzandomi mentre scarabocchiavo le prime invenzioni poetiche sul quaderno. Poi mio fratello Niccolò, il primo di molti figli, che mi è stato maestro per tanti aspetti e mi ha invogliato negli anni cinquanta a pubblicare il mio primo libretto di poesie “Nubilo et sereno”. Accetta consigli, e se sì da chi? I miei consiglieri? I grandi maestri da Omero a Dante, da Virgilio a Quasimodo, da Shakespeare a Pirandello, da Saffo a Leopardi, ai poeti italiani e stranieri che dominavano la scena letteraria, primi fra tutti Ungaretti, Montale, Valeri, Comi, Caproni. A Firenze conobbi, oltre al grande critico Oreste Macrì, prefatore delle mie “Stele Daunie”, due insigni maestri, Carlo Betocchi e Mario Luzi, che predilessi per la forza e autenticità della loro scrittura poetica. Mario Luzi rimane ancora vivo nel cuore per il suo alto magistero letterario e perché con la vivezza della sua meditazione trasfusa nella parola poetica ha opposto al relativismo del nostro tempo la consapevolezza della visione cristiana del vivere. Di lui ricordo gli incontri a Firenze e a Manfredonia e il premio “Una vita per la poesia” del quale a Frascati nel 2003 volle insignirmi. Chi e che cosa rappresenta il letterato nella società attuale? In una società sempre più distratta, superficiale e massificata il letterato pare abbia perduto l’importanza e il ruolo che gli veniva ampiamente riconosciuto nel passato, determinante e interiore per molti aspetti nella vita della comunità sociale. Penso che i giovani ora siano più attenti e interessati all’opera degli scrittori, perché avvertono il senso di estrema vibrazione della loro voce in rapporto alle problematiche della realtà e della vita, in primis fra tutte il lavoro, la dignità, la libertà, che danno significato pieno all’esistenza e al vivere sociale, premessa di bene e di progresso civile e non limitazione o peggio oppressione di libertà. Cosa pensa del panorama letterario italiano e straniero attuale? E’ un panorama ampio e corposo di opere e di nomi illustri o meno. Elencarli non è facile e parlarne richiederebbe molto spazio. Ma emerge una visione drammatica se non tragica del nostro tempo, di guerre, lotte, terrorismo, odio e violenze di ogni genere, una concezione anche ironica se non umoristica e banale della realtà in cui viviamo. Come trascorrono le sue giornate? Trascorrono per lo più lente, uguali, ma anche con sussulti, vibrazioni, momenti alti e bassi, davanti a un libro, al computer, o alla televisione, e i pensieri, le emozioni, i desideri del tempo che trascorre, la vista del cielo e del mare, del giardino e delle mie due araucarie, e le domande ultime: chi siamo, dove andiamo? Ha scritto tantissimi libri? Se li ricorda tutti? Li può citare? Rispondere a questa domanda significa ripercorrere un itinerario di scrittura che perdura dai lontani anni dell’adolescenza a questa età ormai avanzata. Vuol dire fare un consuntivo delle esperienze e ricerche di ciò che si è compiuto nel campo poetico, da “Nubilo et sereno” del 1950 a “L’orologio di Dalì” del 2010, e, nel campo narrativo, da “Le radici dell’arcobaleno” del 1984 al “Castello sul Gargano” del 1990, a “La montagna bianca” del ’94, a “L’Islam e la Croce” del 2002, a “Pizzengùnghele” del 2005, a “Ho viaggiato con l’apostolo Tommaso” (2009), fino al recentissimo romanzo “Seppina degli sciali” del 2011. Né vanno dimenticati i numerosi saggi storici, archeologici e letterari. Li ricordo tutti, perché ogni libro è momento e parte di se stessi e della propria vicenda umana, dal citato “Nubilo et sereno” il primo nato (1950), via via, a “L’ora del tempo” (1956), “Fiori sulle pietre” (1957), “L’occhio di Noè” (1961), “L’estate degli ulivi” (1973), “Stele Daunie” (1978), “Arco Boccolicchio” (1984), “Topografia dei giorni” (1988), “Questi ragazzi” (1991), “Poesie”(1993), “Orifiamma” (1994), “Soffi di petali-Haiku” (1996), “Lu curle” (poesie in dialetto, 1996), “Polena” (1997), “Riverberi di fine millennio” (1997), “Il tempo di dirti-Piccolo canzoniere per Delia” (1998), “Stele Daunie” (edizione ampliata, 1999), “Le orme (2001), “Villa Delia” (2002), “Nuovi poeti italiani” (Einaudi, 2004), “Una terra una vita”(2007), “Echi di Haiku” (2008), “Il mito del ritorno” (2008), “La prigione del sole (2009), “L’opera poetica” (2009), “Sette sonetti di Shakespeare” (2010), “L’orologio di Dalì” (2010). Dai titoli, che ho voluto nominare a uno a uno come si fa per i figli, si può delineare lo spazio, il tempo, la storia di una vita. Molti critici dal 1950 ad oggi si sono interessati al suo lavoro letterario: può ricordarne alcuni? Andrebbero ricordati tutti e sono tanti. Ad essi va la mia gratitudine: Alfredo Petrucci, Giorgio Caproni, Bino Rebellato, Diego Valeri, Elio Filippo Accrocca, Oreste Macrì, Mario Sansone, Maria Luisa Spaziani, Donato Valli, Walter Mauro, Ferruccio Ulivi, Giacinto Spagnoletti, Rodolfo Di Biasio, Giorgio Linguaglossa, Ettore Catalano, Plinio Perilli, Antonio Piromalli Giovanni Tesio, Giuseppe Polimeni, Silvio Ramat, Maria Corti, Mario Luzi, Franco Loi, Davide Rondoni, Raffaele Nigro, Emerico Giachery, Sergio D’Amaro, Daniele Giancane, Guglielmo Petroni, Francesco Grisi, Giovanni Giraldi, Giuseppe Amoroso, Antonio Motta, Daniele Maria Pegorari, Domenico Cofano, Vincenzo Jacovino, Michele Coco, José Minervini, Pierfranco Bruni, Silvano Trevisani. - Può riportare dei loro giudizi quelli più significativi? Fra i tanti trascrivo alcuni brani di quelli contenuti nell’Antologia della critica. Mario Sansone sottolinea: “E’ la voce e il senso della storia condensata in una meditazione dolente e pacata e cantata a mezza voce…è la nostra vita, così spietata e arida, guardata da uno spirito sensibilissimo alle cose che scompaiono, sopraffatte dal fragore del tempo moderno, compreso da una commozione ormai maturata e vivente in un suo placamento che non è rassegnazione e rinuncia, ma singolare e vibrante moto di ribellione”. Michele Dell’Aquila: “In una continuità di lavoro le raccolte poetiche di Serricchio dimostrano un intenso sentimento della vita, la consumata e sofferta capacità di cogliere il trascorrere lento delle stagioni, i miti del tempo che si volge, della giovinezza che trascolora e si matura, della vita che si ricrea nel giro eterno delle stagioni”. Oreste Macrì: “La sua poesia, che io ora assumo indicativa d’ogni poesia resistente, si fonda sulla pietra di fuoco, che è la pietra nuda della coscienza”. Giacinto Spagnoletti: “Serricchio non guarda solo all’uomo, ma all’umanità, e non solo alla terra, ma a tutto l’universo. Vive nella storia, e dalla storia apprende la precarietà d’ogni certezza, il fosco fluire dei giorni, dei mesi, degli anni. Nel coro della nuova poesia, questa posizione è tra le poche, se non l’unica, a comunicarci in superbe visioni liriche quell’eterno soffrire sulle cose che Pascal chiamava chiarezza. Nel linguaggio di sempre, chiarezza vuol dire verità”. Mario Luzi: “Resta, ed è molto bella, questa disponibilità all’incontro, all’accoglienza, ed al congedo: questa trascorrenza (se la parola esiste). E comunica un fuoco sottile. Per di più una coerenza linguistica, una coscienza inappuntabile del proprio modo di esserci. E’ raro che si legga davvero e volentieri e senza noia e stanchezza come ho letto i suoi versi”. Giovanni Tesio: “Sempre più deluso dai poeti, mi tengo alla poesia, che è l’unica a restare contro ogni tentativo di affossarla o di annunciarne la morte continua. La sua, poi, è di quella che illumina fin d’ora: c’è profumo di chiarezza e di luce nel suo mondo, di colloquio necessario”. Ettore Catalano: “Qui davvero Serricchio si dimostra quel grande poeta che è: uomo di solitudini, che ha vissuto quasi tutta la sua vita di uomo e di poeta in una cittadina di provincia, quando la Puglia era davvero una lontana periferia dell’impero letterario”. Plinio Perilli: “Nessuno come Cristanziano Serricchio è oggi capace di trasformare una cruda, polverosa nozione storiografica, anzi archeologica (Stele Daunie) in essenza e sapienza lirica, monito stesso gnoseologico”. Maria Luisa Spaziani: “…poesia colta, armoniosa e cifrata: un sensibilissimo ondeggiare fra storia e non-storia, fra presente e memoria, fra terra e cielo su quella linea d’orizzonte (del presente?) che è saldata dal sole”. Maria Corti: “Il poeta ci fa ascoltare il silenzio di un mondo consumato dal tempo e le sue trasformazioni semantiche. Di esse ci fa dono in questo volume di vera poesia che, secondo le nostre dannate tradizioni, è ignorato dai più. L’importante, comunque, è che esso esista. Il fatto è che forse a noi non mancano i poeti, ma le antenne vibranti dei critici”. Silvio Ramat: “Quel che ci colpisce è la semplificazione estrema di una poesia pur svoltasi in modi anche complessi, fin dalla raccolta più fortunata (Stele daunie, 1978). I formulari di Ridonarti al sole hanno una brevità spesso irrefutabile”. Franco Loi: “Mi ha incantato questa voce di Serricchio…una lingua di rara finezza musicale e di attenzione alla sua sinuosità vocale…c’è una maestria, e una bellezza di immagini, che spesso pare di udire la voce dal vivo”. Davide Rondoni: “Ed è questa la parola chiave – anche se quasi impronunciata – di questo libro estremo: amore. Che una visione del tempo si offra come visione d’amore è lo spettacolo umano più commovente, la poesia più preziosa che un uomo possa lasciare. Pochi, rarissimi poeti ne hanno la capacità. Serricchio è in quella strana mite e invitta comitiva”. Emerico Giachery: “Se l’autetica poesia è giovinezza della parola, Serricchio la ritrova in questo slancio creativo”. PRESS OFFICE DANIELA LOMBARDI