La Galleria “Arianna Sartori” di via Cappello 17 a Mantova accoglierà, dal 29 settembre all’11 ottobre, una mostra personale della pittrice e scultrice milanese Giusi Santoro, offrendo al pubblico degli appassionati una intrigante proposta: opere di piccolo formato, assemblabili tra loro, alcune bidimensionali, in un linguaggio aniconico e suggestivo.
Il titolo, una citazione da Federico Arosio, “Il tempo che passa e muta il pensiero” indica di per sé una possibile via interpretativa e tuttavia sarebbe di gran lunga piacevole lasciarsi tentare dalle formula-zioni di queste pitture e pittosculture di Santoro. Da cosa iniziare? Innanzitutto dal colore che condensa in sé questa essere tutta pittura: il fondo è sovente chiaro, non bianco, piuttosto avorio, ma non è formulato in una stesura uniforme, bensì mossa, increspata, variegata, una “pelle” appena colorata, che invita all’esperienza tattile, che si mostra duttilmente pulsante, quasi materia viva e “calda” ai nostri sguardi.
Su questa non uniforme stesura si agglomerano, si disperdono, si sfrangiano o delicatamente si depositano leggere e quasi evanescenti stesure di colore, per solito un caldo, rugginoso colore rossastro, quasi che un “sangue” di pittura pulsasse affiorando.
Sono colori di terra rossa, di terra di Siena, qualche tocco cinabro, attenuati da tocchi di bruno, di ocra e di terra d’ombra, dialogano le partiture cromatiche con il fondo neutro, non neutro il pensiero, però, che punge al di sotto. Questa pelle lunare da cui pare sfugga la vita parla di carne, dice di sofferenza, forse, rossa come minuscole gocce purpuree che cadano, per la puntura di un ago, sull’immacolata pianura di una tela ricamata. O è una trapunta stellare di una ignota Via Lattea? Come le “lacri-me”astrali della notte di San Lorenzo le sgocciolature che si depositano a formare nebulose e comete, nei dipinti di Santoro, aprono a tempi oscuri e a realtà remote e sconosciute.
O non costituiscono piuttosto, le pittosculture dell’artista, una inusitata carta geografica di mondi inesplorati? Non importa in quale universo siano collocati, certo quei minuscoli rilievi, quegli avvalla-menti, quelle sinuose strade senza inizio né fine certi, ebbene chi potrebbe riconoscervi chissà quale deserto della Terra e chi invece vedervi l’impronta d’una creazione astrale, certo restano quei colori di terra, quasi che un vento silenzioso abbia alzato una polvere sottile che si è deposta in granuli fusi o giustapposti, variegando la superficie, magica armonia stellare nata da una misteriosa intelligenza suggestiva che ora ci affascina.
Suggestiva, appunto, ovvero atta a suggerire, poiché il lavoro di Giusi Santoro non declina, non afferma, al più suggerisce, comunica, accenna, con delicatezza di segno, con un linguaggio poeticamente sospeso, avvinto ad un moto appena percettibile e tuttavia attento. E’ una scrittura “da meditazione”, come lo sono quei vini nobili e forti che riscaldano e muovono fantasie e pensieri: ugualmente questo linguaggio limpido, sottile e pungente ci smuove, lascia spazio alla fantasticheria, alla dimensione individuale. Non si nega alla domanda ma lascia la risposta aperta, accenna alle proprie armonie, le scandisce in sordina, arpeggia, si tace, punge, si ritrae.
Ridiscende il silenzio e nel chiarore la pace: fragile, temporanea, subito compressa da una lama di tinte accennate o da un palpito di increspatura, quasi una impronta, una testimonianza fossile, un mondo altro che chiama.
E’ il tempo, dunque, che ci conduce dentro i minimi universi di Santoro? È il Magister o il Demiurgo? O polvere di pietra filosofale? O il nulla nel quale affonda il pensiero in ogni sua forma non meno di tutto quanto appariva reale? Polverizzato, distrutto, ricompattato, ricostruito, in dune e pliche di terra rosata, da invisibili ed infaticabili formiche armate di pennello? In quale dimensione Giusi Santoro? In quella del quadro o della realtà che lo ispira? O in quella dei pensieri che urgono alle porte del visibile? O non piuttosto nei palpiti d’ombra che s’annidano, ciechi all’apparenza, in fondo la cuore? Dimmi, Santoro, in quale opera futura risponderai, in quale dinamica si potrà cogliere quel moto lieve d’energia che è la vita e la morte insieme, sensuale e crudele, rosato come il sangue e la sabbia del deserto?
A questo mondo che è al contempo terrestre ed alieno, umano ed altro, fanno riferimento le creazioni di questa sensibilissima artista padana, in ogni lavoro si nota la mano e soprattutto si avverte il cuore, non già come empito emozionale romantico bensì come nucleo poetico di fondo. Ci si accorge che, passo dopo passo, opera dopo opera, l’autrice non ha perso di vista il suo punto di riferimento, la sua Stella Polare, a questo punta sempre all’interno di un percorso che rimanda e riporta alla terra, grembo ed utero.
La stessa mostra mantovana di Giusi Santoro potrebbe, in effetti, configurarsi come una sorta di viaggio spazio-temporale, un cammino di ricerca entro il quale ci si perde e ritrova, certamente vi si avverte una spinta metaforica e simbologica non priva di connotazioni poetiche, sorrette da una non celata attitudine meditativa.
L’atmosfera, per così dire, che spira dalla produzione recente di Santoro, dunque, coinvolge, sollecita, interroga, una egregia combinazione in tempi in cui si bada maggiormente a stupire con la stupidità che non a pensare e fantasticare con intelligenza e sapere.
E tuttavia non credo che sia questa la ragione del dipingere di questa artista siciliana, ma ormai milanese da tempo, l’urgenza da cui muove ed a cui ritorna: è la pittura stessa, al contrario, la sua ragione ultima, la pittura che si esprime liberamente e attinge da sé le sue fonti di esistenza, in purezza e senza preconcetti concettuali, la pittura che scende in profondità nell’io come un minatore nel ventre della terra, per ricavare e riportare alla luce le gemme grezze del tempo: la loro polvere colorata, la loro scintillante pioggia pulviscolare sembra cadere sulle pagine chiare dei dipinti di Santoro come una sorta di epifania di creazione, in cui il gesto del dipingere assume una nuova intensità creativa e segnala una inaspettata urgenza di sé.
Diplomata all’Accademia di Brera, allieva di Eva Tea, di Aldo Carpi e Domenico Purificato, seguita dalla critica più attenta, l’artista milanese possiede sia la intelligenza e l’abilità del mestiere sia la sensibilità e la cultura per costruire sia una pagina di raffinata pittura sia una indagine non ovvia e stanca su concetti e saperi fondamentali dell’esistenza umana, facendo emergere dalla densità immobile della materia la inarrestabile mobilità dello spirito: un lavoro eternamente in progress del quale si è curiosi di scoprire, pagina dopo pagina, il nuovo volto.
Tiziana Cordani