venerdì 7 ottobre 2016

Apulia Land Art Festival gli artisti del concorso recensiti da Giosuè Prezioso e Liliana Tangorra

 
APULIA LAND ART FESTIVAL 2016 quarta edizione: L’ESPERIENZA DI ELEANOR GRIERSON, FAWN QIU, LEONARDO CANISTRA’E DARIO AGRIMI

di Giosuè Prezioso
Un chimerico lenzuolo di conifere, orchidee e falchi grillai perduto in Puglia, più rossa, arida e calda per antonomasia. È questo il paesaggio che ha ospitato gli 11 artisti in residenza presso ‘Apulia Land Art Festival’: il Bosco di Mesola (Cassano delle Murge, BA), una realtà silvanica indipendente che nonostante le piogge, le erosioni e i mutamenti delle ultime settimane ha lasciato intatte le opere di questi artisti provenienti da tutto il mondo, un urbi et orbi dell’arte nella periferica Puglia. Rivisitando il motto latino ‘gutta cavat lapidem’ (la goccia scava la pietra), gli 11 (1 duo) hanno proposto progetti molto diversificati, che come riprende la citazione, fra le righe, riporta l’acqua e la pietra come protagonisti dell’edizione. Per questioni editoriali, le 10 opere verranno presentate in due articoli: 5 e 5, la cui prima lista, senza ordine prestabilito, inizia come segue:
 
 
 
Eleanor Grierson. L’opera dell’artista inglese, architetto di formazione e in via di specializzazione presso l’università di Cambridge parte da una suggestione personale che vede la Grierson come un’estemporanea intellettuale britannica in corso di formazione nel nostro paese (favoleggiando un ‘Grand Tour’), da cui si dice attratta – sue parole – dai bellissimi ‘giardini all’italiana’ e dalla ‘campagna’. Interpretandone un po’ il ruolo, l’artista vive la residenza piuttosto accigliata, osservando però la terra ospitante con rispetto, interesse ed ispirazione. Quanto coglie – fra le cose – è il disegno frastagliato tipico del muretto a secco – opus incertum in architettura – a cui, su progetto personale, appone dei mattoni di terra autoctona seccati. Il risultato è contrastante: al seno di pietre secolari, grezze, ruvide e scalfite si ergono palazzine di mattoncini in terra che ricordano lo skyline di una cittadina inglese: lineare, verticale, ascendente.apulia-land-art-festival L’anima ‘incertum’ del muretto a secco, ora, è evidente. Il gioco della Grierson, però, si spinge proprio a rappresentare la transitorietà del manufatto umano, del progresso e dell’ascensione: i mattoncini di terra, percorsi dall’acqua, torneranno ad essere polvere, chiedendo asilo alla pietra ‘incerta’ che nonostante i secoli e la frammentarietà, resiste all’azione dell’acqua. L’invito della Grierson è quello di riflettere sulla caducità del manufatto umano, destinato a perire sotto la forza della natura e la sua imprevedibilità, invitando l’uomo, nel suo atto di costruzione, a sentirsi essere limitato, transitorio e caduco.
 
 
Fawn Qiu. Di origini cinesi, ma dal sarcasmo e dalla cultura americana, Fawn Qiu è un’artista dal curriculum più che variegato: pluripremiato ricercatore, brillante studentessa di Harvard, analista, educatrice ed artista, Fawn è un pan di risorse agli antipodi, ma che con solerzia, tenacia e dedizione tesse insieme, producendo opere singolari che chiudono triangoli spesso scaleni, quelli dell’arte, la scienza e l’insegnamento, l’istruzione. Storicamente contestualizzata, la sua opera parte dall’idea d’immigrazione, passaggio, frontiera, muro. In una serie di laboratori chiede a dei volontari di realizzare degli origami (icona dell’asia e di pace, intrattenimento) che si spiegazzano in più forme sulla base di copie di giornale che trattano dell’immigrazione in Puglia, tema storico e attuale. Poi, distribuendo gli origami sulla terra, in modo da definire una zona geografica prescelta (una “proto-Europa” per la residenza), l’artista collauda un software perché, puntando uno schermo sugli origami, si possano animare le fasi storiche dell’area: sull’Europa, per esempio, si alterano i confini dell’impero romano, quello carolingio, longobardo, germanico, francese, tedesco, italico e così via, rendendo visivo – seppur virtuale – il tormentato susseguirsi di muri, confini ed immigrazioni.apulia-land-art-10apulia-land-art-9 Da un piccolo cignetto bianco, quindi, si edifica un terremotato susseguirsi di epoche, in cui l’uomo, a capo di tirannici progetti, sposta, allarga e accorcia i confini geografici. Sfruttando l’elemento della participation, il coinvolgimento del pubblico, l’artista cerca di rendere visiva la responsabilità di ognuno nella costruzione dei limiti e delle barriere, “signifying that everyone, all humans” asserisce l’artista “are making the countries, the borders” (“con l’intento che tutti, tutti gli esseri umani [sono loro] a costruire gli stati, i confini”). Distribuendo gli origami sul terreno, inoltre, l’artista cerca di neutralizzare l’azione del confine, “trying to show”, come sottolinea lei stessa, “the balance between nature and manmade borders and maps” (tentando di mostrare l’equilibrio fra natura e i confini e le mappe di mano dell’uomo).
 
 
 
 
Leonardo Cannistrà. Molto complessa, l’opera dell’artista Leonardo Cannistrà – vivace fumettista, talentuoso scultore e pittore – parte da una lettura ad iperbole che ha come inizio l’epitaffio dedicato a Raffaello (di mano di Pietro Bembo) oggi nel Pantheon: “Qui giace Raffaello, dal quale la natura temette mentre era vivo di essere vinta; ma ora che è morto teme di morire”. Bembo, così come altri, considerava Raffaello il raggiungimento e il superamento della mimesis, l’imitazione della natura, che imitata –ed addirittura superata– trova compimento nell’operato dell’artista. Realizzando calchi di corpi naturali (pietre e tronchi d’albero) Cannistrà forgia pezzi che, per mezzo della techné, il fare, il processo artistico, riproducono perfettamente il corpo naturale, soddisfacendo la ricerca della mimesis e aggiungendo a questa, con novità contemporanea, il ‘difetto’, l’errore dell’artista, che come tale diventa creazione e novità, appositiōne(m), affiancamento. apulia-land-art-festival-12Il prodotto finale di Cannistrà è un manufatto all’apparenza naturale, partorito in un bosco, non replicabile; in questo, però, si cela un premeditato (?) margine di errore, difettosità e ‘mis-take’ – letteralmente ‘preso/interpretato male’ – che va interpretato come un gioco a scacchi con la storia, la critica e l’arte, a cui il giovane Leonardo – in nomen omen – ovvia con ironia e critico umorismo.
 
 
Dario Agrimi. Unica rappresentanza pugliese dell’Apulia Land Art Festival, Dario Agrimi vanta personali, collettive, premi e nomine a livello internazionale, distinguendosi per la personalità assai singolare di carismatico e provocatore, disarmando per la praticità nell’osservare e discutere concetti complessi, spesso trattati con ironia, arguzia e “dariocentrismo”. In occasione della residenza, questa centralità è messa off stage per un attimo, giusto il tempo di donare i propri abiti ad uno spaventapasseri, regista della piana di Mesola.dario-agrimi-apulia-land-art Lo spaventapasseri in questione è il titolare di un’opera complessa che Agrimi intitola Vita Vera, allitterazione tuonante che canta la parabola della vita: lo stare in piedi su uno scenario burrascoso e franoso che verte sull’imminenza della morte, destino comune a tutti gli esseri umani e che l’artista scava sui perimetri di una “X”, enfatizzandone l’anonimato, forse (?). Lo spaventapasseri porta i corredi delle casucole abbandonate nell’area, issato ad assi consunte che trovano un flebile cordone che le collega alla terra. Per far si che l’acqua penetri il terreno e il cordone si spezzi, Agrimi collauda una meccanica semplice ma d’effetto: l’acqua, incontrando la terra, sfalda la base dell’opera e la destina al ventre della terra, a cui sempre, per leggi entropiche, è stata destinata. Cruciforme, cristico ed apocalittico, lo spaventapasseri di Agrimi è un profeta della parabola della vita, che per somiglianza con l’artista (“cristico”, su suggestione personale) conferma il “dariocentrismo” di cui sopra.
 
APULIA LAND ART FESTIVAL: L’ESPERIENZA DI FABRIZIO CICERO, NOEL GAZZANO & GRACE ZANOTTO, NICOLAS MELLIET E VALENTINA SCIARRA
di Liliana Tangorra
 
Apulia Land Art Festival: residenza, condivisione, evento. Nei giorni 16-17-18 settembre 11 artisti hanno presentato il frutto del loro lavoro al pubblico, sotto l’egida richiesta del direttore Carlo Palmisano del festival, il quale ha pensato per questa quarta edizione al tema Gutta CavArt Lapidem. Cinque le opere da me presentate durante il convegno scientifico realizzato a chiusura del Festival presso la Pinacoteca Comunale di Cassano delle Murge. Il vincitore, ex equo con Eleonor Grierson, Fabrizio Cicero
 
ha realizzato Lafuria, fabrizio-cicero-ilsitodellarte opera ironica e dissacrante, un kalashnikov in pietra tufacea tra gli alberi. Un elemento straniante, eppure così condiviso nell’immaginario comune, che solo la natura può toccare, modificare, penetrare. Un’icona della precarietà che diventa rifugio, dimora per la fauna locale.
 
Nicolas Melliet ha prodotto Time stretched Nature. L’artista ha trasformato i suoni del Bosco di Mesola, che insiste nell’agro di Cassano delle Murge e luogo della residenza, in frames,
 
 
 
 la cui ripetitività e accelerazione ha dato vita a musica elettronica – provocata dalla volontà degli spettatori che potevano decidere attraverso un bottone di cambiare il ritmo – fisicamente imbarazzante e al contempo attrattiva, capace di innestarsi nel paesaggio.
 
 
 
L’opera Vita di Valentina Sciarra è l’emblema della volontà dell’uomo al servizio della natura. È una stella scavata nel terreno che funge da abbeveratoio per la fauna locale. Vita è uno specchio d’acqua collocato in una porzione di territorio di cui ne è privo. Un’opera di land art con una doppia connotazione: il movimento, ricreato dall’acqua, e la stasi, acquisita attraverso la pietra.sciarra-ilsitodellarte Difatti questo lavoro è stato realizzato coscientemente per accomunare due elementi naturali ipoteticamente opposti ed in realtà complementari: pietra ed acqua.
Noel Gazzano e Grace Zanotto hanno realizzato l’installazione Terra Mia Io Sono Tua a un tempo «metafora ed esempio concreto del possibile, sincrono superamento di ogni forma di violenza: verso le donne, la natura e gli esseri umani tutti». Le due artiste, dicono nel loro comunicato stampa: «trasformano una preistorica specchia nel Bosco di Mesola – scelta come luogo-simbolo dell’originario rapporto non-violento tra essere umano e natura – in una vera e propria opera fitodepurante sfruttando la capacità della canapa di eliminare la diossina.
 


Dalla sommità della specchia fanno delicatamente emergere una struttura di legno recuperato e fibre naturali che, integrandosi con l’esistente, è rivestita da terra in cui germogliano semi di canapa formando un burka camouflage».